L’identità di questo discepolo resta per il quarto vangelo volutamente misteriosa. Infatti non è mai indicato con il suo nome, ma con la qualità che gli deriva dalla sua relazione con Gesù, perché è questa relazione che fa di lui una persona nuova. Identificarlo con Giovanni – anche se storicamente potrebbe essere possibile, forse plausibile – è compiere un’operazione indebita, che va contro l’intenzione dell’evangelista. Il discepolo che Gesù amava rappresenta infatti il discepolo che in ogni tempo dovrà essere presente nella comunità, in quanto si lascia raggiungere dall’amore di Gesù, ne ascolta i segreti del cuore e non si scandalizza di fronte al suo amore quando sembra perdente, sprecato. In definitiva, non è un discepolo anonimo, perché riceve il nome nuovo di ‘amato’. Il discepolo amato riconosce l’autorità di Pietro e per questo lo attende e lo lascia entrare per primo nel sepolcro, limitandosi per il momento a guardarvi dentro dall’esterno e a notare che i teli sono ancora nella loro posizione. “Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva” (v.6). Questo ‘lo seguiva’, detto di Pietro rispetto al discepolo amato, non può essere certamente, nel dettato giovanneo, una semplice annotazione spaziale e temporale, ma un indizio teologico: il discepolo amato deve essere ‘seguito’, cioè il suo lasciarsi raggiungere dall’amore di Cristo deve diventare esemplare per ogni cammino di discepolato e per realizzare un autentico servizio dell’autorità nella comunità. Dopo che Pietro è entrato nel sepolcro e ha visto l’inconsueta scena, vi entra anche il discepolo amato, che ha una reazione ben diversa. L’oggetto visto è il medesimo, ma il discepolo amato scorge ben più in profondità, e inizia a penetrare nel mistero, e cioè in quella rivelazione di Dio che lì si è compiuta. Comincia allora ad aprirsi alla fede pasquale, per cui nella morte di Gesù non si è consumato un fallimento, ma si è manifestato l’amore divino che trionfa sulla morte. Il discepolo amato, dunque, non si arresta davanti ai segni materiali collegati alla morte di Gesù, ma si apre allo sguardo della fede, per cui questi segni diventano indizi rimandati ad un ‘oltre’, ad una dimensione trascendente, divina: “ e vide e credette”. Certamente questa fede pasquale è ancora germinale e dovrà anch’essa maturare negli incontri con il Risorto, attraverso il dono dello Spirito. Non è allora contraddittorio con questa iniziale apertura alla fede da parte del discepolo amato quanto l’evangelista aggiunge, subito dopo, a modo di commento: “Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti” ( v.9).
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