Cieco dalla nascita - In parole povere vuol dire che non ha mai visto la luce del sole e che vive completamente immerso nelle tenebre. San Paolo nella lettera agli Efesini ci aiuta a decifrare questa condizione. Per l’apostolo, infatti, i destinatari della sua lettera prima di conoscere la fede in Cristo erano tenebra (“Un tempo eravate tenebra” v. 5,8a). Proprio questa oscurità fa maggiormente risaltare la trasformazione operata da Cristo : “Ora siete luce nel Signore” (v. 5,8b). C’ è una sorta di condizione ineluttabile, da cui il cieco non può uscire con le sue forze. E così egli diviene il simbolo di un’umanità priva di luce, disorientata, immersa in una realtà di cui non è responsabile, ma alla quale finisce per aderire, senza poter neppure immaginare qualcosa di diverso. Come può uno che non ha mai visto la luce immaginare di cosa si tratti? L’intervento di Gesù - Il modo in cui avviene la guarigione è decisamente strano. Non è il cieco ad invocarla, a chiederla con forza (come accade in altri frangenti). Gesù passa di là e lo vede. E quindi decide di intervenire, di strapparlo alla sua cecità. Non si tratta però di donargli solamente la vista. Quello che avviene è un cambiamento che ha tutti i connotati di una nuova creazione (il fango che richiama la creazione del primo uomo dall’argilla, la saliva che rappresenta un elemento vitale, associato alla bocca, al respiro, alla parola). Il nostro incontro con Cristo, in effetti, non è tanto il risultato della nostra ricerca, ma del suo venirci incontro: è passato per la nostra strada, ci ha visti, ha deciso di cambiare la nostra esistenza. Come? Attraverso la sua parola e il soffio del Suo Spirito. Ciò che è accaduto è spiegabile solo attraverso questi doni, che precedono ogni nostra invocazione, ogni nostra richiesta e che sono pura grazia. In mezzo alle reazioni e ai contrasti - Se il cieco può finalmente vederci, la sua guarigione però lo colloca in mezzo a reazioni diverse. Il racconto le registra e ciò che a prima vista potrebbe sembrare un diversivo appare invece come un vero e proprio percorso di esplorazione su ciò che conduce alla fede e su ciò che, al contrario, la blocca. Si, perché davanti al miracolo diverse persone sono obbligate a prendere posizione. C’è così la reazione della gente, la sua curiosità mista ad incredulità. I cambiamenti – da che mondo è mondo – non mancano di attirare una certa attenzione, ma spesso si tratta di un fuoco di paglia, che non va oltre un interesse superficiale e di breve durata. Lo stupore va di pari passo con l’incapacità di emettere un vero e proprio giudizio sulla vicenda, di rischiare un proprio atto di fede in Gesù. È il ritratto di tante persone che non raccolgono i grandi interrogativi della vita, non si impegnano in una ricerca seria, personale. C’ è la reazione dei farisei che rivela una progressiva chiusura. I loro pregiudizi nei confronti di Gesù contano di più del gesto miracoloso da lui compiuto. Così diventano incapaci di riconoscere l’opera di Dio e si attaccano alle regole per trovare una conferma ai loro sospetti. La loro cecità li conduce a negare addirittura l’identità tra la persona che hanno di fronte e colui che era nato cieco, a mettere in dubbio la sua condizione prima dell’incontro con Gesù, e a cercare nei genitori una conferma ai loro sospetti. Il loro atteggiamento incarna quello che è il vero peccato: è la figura di chi è chiuso alla novità dell’amore divino in nome del ‘già noto’ per cui giungono a negare le evidenze, gli stessi fatti, pur di non riformare il loro modo di intendere e di volere. La cacciata dell’uomo miracolato dalla sinagoga non è che la logica conseguenza di tutto ciò. C’è infine la reazione dei genitori del cieco nato. Di fatto essi lasciano il loro figlio senza difesa perché sono vittime della paura: a preoccuparli sono le minacce dei responsabili della sinagoga. La loro mancanza di coraggio, la loro paura e la loro scelta di lavarsene le mani evidenziano un altro percorso bloccato, che non arriva alla fede. Soggiogati dal parere degli altri, non hanno voglia di correre dei rischi, di affrontare conflitti. Alla ricerca della verità preferiscono le comodità di una vita priva di problemi. È come se rimanessero in uno stato di ‘minore età’, in contrasto chiaro con il cieco nato che diventa ‘maggiorenne’ nella fede.
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