L’ineluttabilità della morte - La morte, quella che colpisce gli altri e soprattutto quella con cui dobbiamo fare i conti in prima persona, detiene la terribile capacità di farci sentire del tutto disarmati. Disarmati e incapaci di fare qualcosa, se non di offrire il nostro cordoglio e di rassegnarci davanti a quanto accade. Essa ci appare ineluttabile e pertanto ogni nostra lotta sembra destinata all’insuccesso. Che cosa fare dal momento che Lazzaro è già da quattro giorni nel sepolcro? Il racconto ci mette davanti alle reazioni che tutto questo provoca. * C’è la gente, che è venuta a consolare Marta e Maria, ad esprimere partecipazione al loro lutto. * Marta, per prima, viene incontro a Gesù e non può fare a meno di evocare l’amicizia che legava Lazzaro al Maestro, ma anche la fiducia in una risurrezione che avverrà un giorno. * E c’è poi Maria, che ripete le parole della sorella e da sfogo al suo dolore, mettendosi a a piangere. Il racconto, induce a rilevare gli atteggiamenti di Gesù: ° Gesù dapprima sconcerta perché non si dirige subito verso Betania, una volta ricevuta la notizia della malattia di Lazzaro. ° Poi, nonostante il rischio che corre tornando in Giudea, e più in particolare a Gerusalemme, Gesù, si dirige decisamente verso la morte per affrontare, certo la morte dell’amico, ma anche per andare incontro alla sua. Un incontro che trasforma - L’incontro con Marta avviene fuori dal villaggio: Gesù entra nella casa degli amici solo dopo aver sconfitto la morte. Nel dialogo noi possiamo ravvisare gli elementi di un itinerario che parte da una certezza generica sulla risurrezione come principio o verità astratta (“So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno”) per approdare in una fede esplicità in Gesù, “il Figlio di Dio, colui che viene nel modo”. La confessione di Marta diventa a questo punto testimonianza che coinvolge Maria. Questa per incontrare Gesù deve “uscire dalla casa del lutto, dove difronte alla morte si conosce solo il soffrire insieme, per aprirsi ad un ottica di fede e di speranza”. Il pianto di Maria e di coloro che l’attorniano è la reazione scomposta e disperata di fronte al volto mostruoso della morte. Anche Gesù piange e questo testimonia la sua umanità ferita dalla perdita di un amico, ma anche l’ira e lo sdegno per l’ingiustizia della morte. Se egli versa lacrime lo fa, tuttavia, senza clamore e senza urla. Una parola piena di autorità - E’ un Gesù “commosso profondamente” quello che si reca al sepolcro di Lazzaro. Ma è anche un Gesù determinato a contrastare e vincere il potere della morte, da troppo giudicato ineluttabile. Intendiamo il suo comando “Togliete la pietra”, e anche l’urlo che lo segue: “Lazzaro, vieni fuori!”. E’ un grido di vita che strappa l’amico dalle mani della morte e lo restituisce all’affetto delle sorelle e degli amici. Ma perché possa riprendere il suo posto in mezzo ai suoi anche gli uomini devono fare la loro parte: “Liberatelo e lasciatelo andare”.Solo Dio può vincere la morte e tuttavia Egli cerca creature disposte a collaborare con Lui per far trionfare la vita. Il segno compiuto non manca di destare la fede di coloro che l’hanno visto. Si tratta, comunque, solo di un anticipo. Sarà la luce della risurrezione di Gesù che lo farà apparire in tutto il suo profondo significato. Allora si rivelerà chiaramente l’identità del Maestro: Egli è veramente il Buon Pastore che offre la sua vita per le pecore e affronta senza paura la morte, per amore. Egli è colui che conosce ognuno per nome (Lazzaro) e chiama a seguirLo per la via in cui ci ha preceduto.
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