sabato 28 maggio 2011

225 - GESÙ RISORTO, LO SPIRITO SANTO, I DISCEPOLI - 29 Maggio 2011 – Sesta domenica di Pasqua - (Atti 8,5-8.14-17 1ª Pietro 3,15-18 Gv 14,15-21)

Gesù è in mezzo ai suoi anche attraverso il suo Spirito. In tal modo si rafforza la relazione tra il Risorto e coloro che lo riconoscono. La fedeltà alla sua parola, perciò, non ha nulla di servile: si tratta di un atto d’amore, che si esprime nell’accoglierlo e nel seguirlo come rivelazione dell’amore del Padre in tutti i contesti della vita. Il cristianesimo non può diventare né moralismo ne formalismo. Non è teoria a soddisfazione dell’intelletto, né un insieme di regole e neppure un apparato di usi e costumi a cui conformarsi per abitudine. È scelta di vita, è esperienza di una relazione forte e profonda. Una relazione che non si riduce a esteriore conformismo, ma umanizza perché avvicina a Dio. Il Vangelo di oggi proclama la promessa rassicurante di Gesù: non vi lascerò orfani, ritornerò a voi! Le parole di Gesù assumono però significati profondi: esse rivelano la volontà di presenza, e il progetto di comunione da realizzare nell’umanità. Per questo Gesù affida ai discepoli le sue consegne per il tempo successivo alla risurrezione, il tempo dello Spirito e della Chiesa.
Nei discorsi di addio(capitoli 13-17) il vangelo di Giovanni dimostra un particolare interesse al tema dello Spirito, come appare dalle promesse del Paraclito. Ognuna sottolinea un aspetto particolare della presenza dello Spirito nella vita dei discepoli, una sua attività. Nella prima promessa ancor più che un’attività precisa dello Spirito si sottolinea la sua intimità al discepolo e la sua relazione con il Cristo. Va subito detto che il vangelo di Giovanni mostra una forte concentrazione cristologica del tema dello Spirito, come appare già dal fatto che gli unici abilitati a parlarne sono appunto Gesù, il Battista, in quanto suo testimone, e il narratore come colui che dà voce al discepolo amato, che rende testimonianza. Per cogliere meglio la portata delle singole promesse è poi opportuno non isolarle dal contesto dei discorsi della Cena, ma collegarle alle domande che i discepoli pongono a Gesù in relazione alla loro sequela, al mistero della sua persona, alle paradossali modalità della rivelazione divina che si attua in lui. Ebbene, i discepoli potranno superare la loro incomprensione del mistero di Cristo e del senso della loro sequela proprio grazie al dono dello Spirito.
Preghiera - Vivere in relazione con te, Gesù, non significa accontentarsi di belle idee, di principi che entusiasmano, di parole piene di saggezza, di professioni di fede colme di luce. Tu ci chiedi di mettere alla prova la nostra relazione con te, di verificarne l’autenticità con un criterio semplice, ma sicuro. Tu ci domandi, infatti, di accogliere i tuoi comandamenti, di realizzarli, giorno dopo giorno, nelle scelte che costellano il nostro percorso quotidiano, con atteggiamenti concreti che rivelano la fedeltà a quanto tu ci hai insegnato.
È così, infatti, incarnando le tue parole, anche quelle più esigenti, nella nostra storia, individuale e comunitaria, che noi permettiamo al tuo amore di modellarci, di trasformarci proprio come fa un vasaio con la sua argilla. È così che il tuo Spirito agisce in modo discreto, ma efficace, liberandoci da quanto risulta non conforme al Vangelo e portando a maturazione ogni seme deposto in noi.
Preghiera a Maria – Il Signore ti ha esaltata, o Regina, per la tua umiltà. Umiltà con cui hai detto: “Eccomi, sono la serva del Signore”; umiltà con cui hai generato e custodito il tuo Figlio divino; umiltà con cui lo hai accompagnato nei giorni della sua missione; umiltà con cui hai condiviso l’ignominia della croce. Da dove ora siedi, Regina accanto al Re, intercedi per tutti noi: fa che possiamo giungere, come te, alla gloria del Regno eterno promesso dal Figlio tuo, Gesù, a chi lo segue sulla via del servizio, nell’amore e nell’umiltà.

venerdì 27 maggio 2011

224 - IL NOSTRO ITINERARIO VERSO IL CRISTO RISORTO - 28 Maggio 2011 – Sabato 5ª sett. di Pasqua

Il brano del vangelo della risurrezione (Matteo 28,1-10) deve diventare immagine del nostro itinerario verso il Cristo risorto. Si tratta, perciò, di accompagnare le due Marie al sepolcro e di compiere, assieme a loro, cinque tappe significative.
Il percorso verso la tomba - Le due donne che avevano visto tutto da lontano rispettano la legge del sabato, ma poi, all’alba, si recano al sepolcro dove è stato deposto colui che tanto hanno amato. Vanno, tuttavia, solo verso una tomba, per onorare un morto, il suo corpo senza vita. Anche le nostre esistenze si dirigono, ineluttabilmente, verso la tomba. È alla tomba di Gesù, però, che ci viene dato appuntamento perché non rimaniamo prigionieri della morte.
La visione celeste - Il terremoto, la discesa dell’angelo che rotola la pietra del sepolcro e vi si siede sopra rappresentando la sorpresa che Dio prepara per noi: un evento inatteso a cui possiamo reagire in due modi diversi. I forti, come i soldati, crollano a causa dello spavento. I deboli, come le donne, rimangono vigili e attenti. Anche per noi il Signore moltiplica i suoi segni. Siamo pronti ad aprire gli occhi del nostro cuore e ad accogliere la speranza che ci viene donata?
Il messaggio dell’angelo - È destinato a liberare le donne dalla paura e ad orientare il loro sguardo. Non verso un morto, ma verso il Risorto, colui che ha sconfitto la morte ed è ora il Signore della gloria. L’appuntamento è in Galilea: il luogo in cui tutto è cominciato, ma anche il “paese delle genti”, crogiolo di popoli che si sono scontrati e mescolati. La risurrezione di Gesù ci rinvia allora alla Galilea della nostra vita quotidiana. È lì che possiamo incontrare il Signore Gesù nei momenti che egli predispone, a patto che siamo disposti ad accogliere la sua presenza.
Il ritorno dalla tomba - Avviene in fretta, di corsa, ed è caratterizzato dal timore e dalla gioia. Il timore è generato dalla coscienza di essere testimoni di un evento decisivo; la gioia è la reazione alla Buona Notizia sorprendente che è appena stata comunicata a loro. Anche a noi è chiesto di fare come le donne, di diventare testimoni. Saranno la nostra fede vibrante, la nostra speranza a tutta prova, la nostra carità generosa, la nostra esistenza di salvati a costruire un segno della sua risurrezione.
L’incontro con il Risorto - È lungo la strada del ritorno che Gesù stesso va incontro alle donne. Queste lo riconoscono e gli manifestano il loro amore e la loro adorazione. Più che il sepolcro vuoto è questo incontro a fare da fondamento alla nostra fede. Anche noi, infatti, possiamo affermare per esperienza personale che egli è vivo. Lo proviamo quando apriamo il nostro cuore alla sua Parola, quando ci sediamo alla sua mensa, quando lo soccorriamo nei poveri. La sua luce, la sua pace, la sua gioia trasfigurano la nostra esistenza, la strappano alle tenebre, le donano consolazione e forza, la liberano da ogni angoscia, incertezza e paura. Ecco perché anche noi possiamo proclamare che “Cristo è risorto! E’ veramente risorto!”.
Preghiera a Maria – “Esulta, Vergine santa, che hai portato nel grembo Colui che i cieli non possono contenere e hai dato vita al Signore che ti ha creata. Tutti i cori degli angeli rimasero stupiti di fronte al mistero del tuo concepimento: come mai colui che col suo gesto domina le cose, è tenuto tra le tue braccia come mortale? Come riceve un inizio chi è anteriore ai secoli e come viene allattato chi, con bontà, nutre ogni vivente? Perciò ti acclamiamo e ti glorifichiamo quale vera Madre di Dio!”

223 - IL MANDATO - 27 Maggio 2011 – Venerdì 5ª sett. di Pasqua

“Andate dunque, e fate discepoli tutti i popoli”, dice Gesù agli undici (Matteo 28,19). Terminata la sua missione, quelli che l’hanno accolto cominciano il loro cammino. È il suo stesso Figlio, che testimonia l’amore del Padre ai fratelli che ancora non lo conoscono. Ciò che il Nazzareno ha offerto a Israele, i “nazzarei” lo offrono a tutti i popoli. Chi, in lui, ha scoperto il proprio nome di figlio, lo realizza, come lui, andando verso i fratelli, fino a che il nome del Padre dei cieli sia santificato su tutta la terra. Il brano (28,16-20) è una postfazione, che offre una visione sintetica di tutto il libro di Matteo. Come il finale di una sinfonia, riprende e fonde in un’unica armonia i temi sviluppati nel suo Vangelo. Il testo, come sempre, è rivolto ai lettori, perché facciano anche loro l’esperienza dei primi discepoli. Devono recarsi in Galilea, “sul monte” indicato loro da Gesù (v.16). Lì lo vedono e lo adorano (v.17a). Fa parte dell’incontro pure il dubbio (v.17b), di cui la fede rappresenta il superamento. Chi si reca sul monte, conosce “il Figlio” e gli è conferito il suo stesso potere (v.18). È quello di farsi fratello di tutti (v.19a), perché ogni uomo sia immerso nell’unico amore del Padre e del Figlio (v.19b), che abilita a “fare” quanto Gesù ha ordinato (v.20a). In questo modo lui è il Dio-con-noi, per condurre il mondo al suo compimento (v.20b). Gesù, il Crocifisso risorto, non ha esaurito il suo compito, né si assenta dal mondo: è presente come l’Emmanuele, il Dio-con-noi, perché in ciascuno si compia ciò che in lui è già compiuto. La Chiesa ha la stessa “vocazione” del Figlio, che si realizza nella “missione” verso i fratelli. Porta avanti nella storia ciò che Gesù ha detto e fatto, fino a che in ogni uomo riluca la gloria di Dio.
Preghiera a Maria – Ricorda, Vergine Maria, il tuo cuor mite e sì umano, che mai alcun la scortesia soffrì nel suo pregarti invano. No, mai alcuno in confidenza ha chiesto a te la sicurezza senza ottener la tua assistenza, senza provar la tua dolcezza. Madre, con pentimento vero oso invocarti, nome santo, e, pur se peccatore, spero di essere protetto dal tuo manto. Mostra qual è la tua clemenza, impetra dal tuo Figlio stesso il pentimento e l’indulgenza del grande male che ho commesso. Di grazia, sii per me propizia, salvami dalla nera zona, che i miei peccati e la malizia per te son poca cosa, o Buona! (Luigi M. De Montfort).

222 - LA RISURREZIONE DI GESU’ NEL QUOTIDIANO - 26 Maggio 2011 – Giovedì 5ª sett. di Pasqua

Una esegesi delle parole più importanti di Matteo 28,1-10.
“Dopo il sabato” - Il sabato è il giorno del riposo. Anche il Signore, finita la sua fatica, ha dormito nel sepolcro.
“All’albeggiare del primo giorno della settimana” - Il giorno, in cui il Signore si è risvegliato dal sonno, non è l’ultimo, ma il primo della settimana, alba dell’ottavo giorno. La nostra esistenza è ormai illuminata da questa luce senza tramonto. Il ‘risus paschalis’, che sgorga dalla vittoria sulla morte e dalla comunione con Dio, è ormai il ‘colore’ della vita: per il credente ogni giorno è festa.
“Venne Maria di Magdala e l’altra Maria a vedere la tomba” - Le due donne, che stettero ai piedi della croce e davanti al sepolcro, irresistibilmente attratte, tornano là dove è il loro tesoro: lì è anche il loro cuore! È importante il confronto con la tomba. È in essa, e non “nonostante essa”, che si esperimenta la risurrezione. Solo qui la nostra memoria di morte diventa ricordo di vita.
“L’angelo disse alle donne” - Nessuna parola alle guardie. L’angelo si volge alle donne, che cercano Gesù. Si può stare al sepolcro come chi custodisce un morto, e diventare morti; oppure come le donne, che sono lì per amore, e incontrano la loro vita.
“Voi non temete” – ‘Non temere, non aver paura!’, dice il Signore quando si rivela. Perché l’uomo, da Adamo in poi, ha paura di Dio.
“So infatti che cercate Gesù …” - Queste donne cercano Gesù, non una idea. Cercano il Crocifisso, quell’uomo che hanno visto vivere e morire così! E’ lui, non un altro, il Risorto.
“Non è qui!” - Eppure dovrebbe essere lì, come ogni carne. Come mai non è dove l’hanno visto, e attendono che sia? L’assenza “indebita” del corpo di Gesù scardina l’unica certezza di ogni nato da donna: essere lì, nella tomba.
“È infatti risorto, come disse” - La risurrezione, come ogni azione di Dio, è stata predetta (cf. Matteo 12,40; 16,21; 17,23; 20,19): è compimento di promessa divina, non deduzione di premessa umana.
“Venite, vedete il luogo dove giaceva” - È importante andare a vedere il luogo dove giaceva Gesù: la tomba è vuota, il vuoto svuotato! Le donne constatano che il grembo della terra è una fonte che genera vita, non più una cavità che risucchia nella morte.
La Parola invita a “entrare” nella tomba, per vedere che non è lì, e quindi uscirne e andare verso i fratelli, per incontrare il Vivente. Chi non entra, non può uscirne!
“E subito andate a dire ai suoi discepoli” - Il Signore ordina loro di lasciare subito la tomba e le invia verso gli altri. Ma non lo riconoscono come tale, fino a quando non ne seguono la parola. La risurrezione è uscire dalla fossa dell’egoismo: chi ama il fratello è passato dalla morte alla vita, e partecipa da figlio all’amore del Padre (cf. 1Gv 3,14). Questa è l’esperienza di risurrezione che Matteo propone nel suo Vangelo: la fraternità è il luogo della presenza del Figlio (cf. 28,20).
“È risorto!” - E’ l’annuncio pasquale: la Parola, da ricevere e da trasmettere.
“Vi precede in Galilea” - In Galilea Gesù aveva promesso di incontrarli, dopo aver predetto la loro infedeltà (cf. 26,32).
“Là lo vedrete” - Anche i discepoli lo “vedranno” mentre, investiti del suo potere, sono inviati a farsi prossimi dei più lontani (vv. 16-20).
“Ecco, ve l’ho detto” - È la parola definitiva: chi cerca Gesù, il Crocifisso, lo incontra in questo, e non in altro modo.
Preghiera a Maria – Madre, rivelaci il grande principio poiché d’allora già eri evocata quando le cose nel Verbo creava. Madre, disponi pur noi ad accoglierlo, a rivestirlo di splendida carne, resi fecondi con te dallo Spirito. O Madre, fà che la Chiesa continui la sua preghiera concorde, unanime, perché continui lo Spirito a scendere. Madre, nel nuovo principio assistici, e il mondo intero intenda le voci, e gioia torni a riempire la terra. O Madre, sia pentecoste perenne, e il santo fuoco consumi ogni male, sia come il vento una libera Chiesa (D.M. Turoldo).

221 - LA RISURREZIONE DI GESU’ DIVENTA MISSIONE - 25 Maggio 2011 – Mercoledì 5ª sett. di Pasqua

Il racconto matteano (28,1-10) degli avvenimenti del primo giorno dopo il sabato è caratterizzato dalla presenza di fenomeni soprannaturali tipici delle treofanie e delle visioni apocalittiche: il terremoto, gli angeli dal volto fulgente e dalle vesti bianchissime. La terra si scuote, come una partoriente, e, invece di una pietra che sigilla l’ombra della morte, sfolgora una potenza celeste, che invita a entrare nella tomba, dicendo: “Non è qui” il Gesù crocifisso. La Parola, che incoraggia ad entrare, espelle anche dalla tomba, per annunciare ai discepoli che “lo vedranno in Galilea”. Mentre le donne obbediscono a ciò che hanno udito, Lo incontrano con gioia, Lo abbracciano e adorano. Ma il Signore, finalmente riconosciuto, le invia ancora una volta verso i fratelli. È proprio andando verso gli altri che si incontra l’Altro: amando loro, viviamo del suo Spirito e siamo nel Padre (cf. Matteo 28,16-20). Tutto il Vangelo tende alla “missione” verso i fratelli (cf. 28,7.10.19). In essa realizziamo la nostra “vocazione” di figli, e siamo con colui che è sempre con noi, per portare il mondo al suo compimento (v.20). Lui infatti, l’ultimo degli uomini, attende che gli diventiamo fratelli, per donarci il nostro essere figli!
Le guardie, che hanno posto il sigillo sulla pietra e l’hanno vista rotolare via, vengono corrotte con il denaro (vv. 11-15). Invece di fare come le due Marie e la donna di Betania, che annunciano il Risorto , fanno come Giuda e gli altri: diventano vittime e diffusori della menzogna di morte. Gesù è risorto dai morti.
Possiamo vederne la tomba: è vuota. Lui non è lì, ma nei fratelli. E in noi, quando andiamo verso di loro. La Chiesa nasce dall’annuncio del Crocifisso risorto, e vive nella gioia dell’incontro con Lui. Questo avviene andando verso i “discepoli” (v.7), i “fratelli” (v.10) e tutti gli uomini (cf. v. 19s). Chiunque sia fratello, incontra il Figlio: ritrova, nel proprio, il suo stesso volto.
Preghiera a Maria – Padre, tu che hai voluto fare della Vergine Maria colei che ha ricevuto il Cristo e lo ha dato al mondo, il modello di fedeltà della tua Parola. Manda su di noi il tuo Spirito Santo perché possiamo essere anche noi segno del tuo amore nel mondo. Insieme con Maria, madre dei credenti, riunisci nell’unità visibile tutti i testimoni del Cristo, affinché ci rallegriamo in te, nostro Salvatore, ora e per sempre, nei secoli eterni. Amen!

220 - LA RISURREZIONE DI GESU’ NEL CRISTIANO - 24 Maggio 2011 – Martedì 5ª sett. di Pasqua

“E’ risorto dai morti!”(Matteo 28,7), dice l’angelo alle donne. “Rallegratevi!”, dice il Risorto, venendo loro incontro. L’annuncio del Crocifisso risorto è il centro della fede cristiana. Il Gesù che abbiamo visto crocifisso e deposto nel sepolcro, ha vinto la morte, e ci comunica la sua gioia. Questo brano racconta l’esperienza del mattino di pasqua: le due donne che l’hanno contemplato in croce e dietro la pietra, ne ascoltano l’annuncio e lo vedono. Sia l’angelo che il Risorto dicono le stesse parole. Il Crocifisso risorto è infatti la Parola, sola e definitiva, di Dio! Questa è destinata non solo alle donne e ai discepoli, ma a tutti (cf. Matteo 28,16-20). Le donne, come i discepoli e chiunque altro, incontreranno il Signore solo nella Parola, e lo riconosceranno mentre la eseguono. Non c’è altra esperienza del Risorto. Matteo non ha bisogno di spiegare cos’è la risurrezione (cf. 22,23-33). Si rivolge al popolo al quale Dio ha detto: “Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi risusciterò dai vostri sepolcri, o popolo mio. Farò entrare in voi il mio spirito, e rivivrete; vi farò riposare nel vostro paese; saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò” (Ezechiele 37,13s). La risurrezione del Messia, il primogenito, è l’anticipo di quella degli altri fratelli. Ascoltando e facendo la sua parola, anche loro diventeranno figli. La risurrezione, alla quale tutto il creato partecipa (Romani 8,19ss), è frutto dell’ “ascolto”, che ci rende eredi di Dio. Il Figlio è venuto per dirci e darci quanto il Padre vuol donare ad ogni figlio.
Preghiera a Maria – La tua presenza, santa Maria, discreta e vigile, è amica degli uomini! Intercedi, anche per noi, occhi attendi e soccorrevoli come i tuoi, che sanno intuire in anticipo l’esaurirsi del vino alle nozze e sanno implorare che mai cessi il canto, né si spenga la danza alla festa dei poveri. Resti così la Chiesa una sposa fedele nella gioia e l’ebbrezza del convito si tramuti in servizio della Parola e in Segno dell’unico Signore.

219 - LA RISURREZIONE DI GESU’ NEL VANGELO DI MATTEO - 23 Maggio 2011 – Lunedì 5ª sett. di Pasqua

La risurrezione del Signore è in evento straordinario, il mistero centrale della fede. Non è possibile, però, abbracciarlo con un solo sguardo. Ecco perché ogni evangelista è più sensibile a questo o a quell’aspetto, il che lo spinge ad una presentazione particolare. Per Matteo (28,1-10) la risurrezione di Gesù corrisponde all’inaugurazione dei tempi nuovi, è l’evento che prelude alla fine dei tempi. Il racconto è il più ricco di dettagli, il più elaborato teologicamente e, grazie al suo ‘ieratismo’, il più liturgico. L’evangelista ha notato che due donne, Maria di Magdala e Maria la madre di Giacomo e di Giuseppe, hanno assistito alla sepoltura di Gesù e hanno visto rotolare una grande pietra all’ingresso del sepolcro. Due guardie sono state collocate per sorvegliare la tomba, dopo che essa è stata sigillata. Tutto, dunque, sembra finito, ma non sarà così. Se Matteo insiste sui particolari e dettagli è perché il lettore se ne ricordi quando leggerà il seguito. La narrazione comincia proprio con la visita al sepolcro delle due donne: esse avrebbero dovuto trovare le cose come le avevano lasciate e invece avviene una serie di fatti straordinari: un gran terremoto, quello che Gesù aveva annunciato come un segno che avrebbe anticipato il suo ritorno nella gloria (Matteo 24,7), un fenomeno uguale a quello accaduto al momento della sua morte (27,51-52); le guardie vengono scosse dallo spavento e rimangono come morte; un angelo del Signore scende dal cielo, rotola la pietra e si siede sopra di essa: “Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve”(28,3). Anche se il racconto è contraddistinto da una grande sobrietà, questi sono tutti gli elementi tipici del genere apocalittico. Matteo, in effetti, non vuole soddisfare la curiosità dei lettori, ma piuttosto far comprendere che la risurrezione inaugura un mondo nuovo, la fine dei tempi: “all’alba del primo giorno della settimana”(28,1). Diversamente dalle guardie – che sono morte di paura – le donne accolgono l’annuncio dell’angelo: “So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto”(28,5a-6b). È il messaggio pasquale in tutta la sua forza e semplicità: a fare da fondamento sono le parole stesse di Gesù.
Preghiera a Maria - Santa Maria, umile serva del Signore, gloriosa Madre di Cristo, salve! Vergine fedele, grembo sacro al Verbo, insegnaci ad essere docili alla voce dello Spirito; a vivere nell’ascolto della Parola, attenti ai suoi richiami nel segreto del cuore, vigili alle sue manifestazioni nella vita dei fratelli, negli avvenimenti della storia, nel gemito e nel giubilo del creato. Vergine dell’ascolto, creatura orante, accogli la preghiera dei tuoi servi.

giovedì 19 maggio 2011

218 - IO SONO LA VIA, LA VERITÀ E LA VITA - 22 Maggio 2011 – Quinta domenica di Pasqua (Atti 6,1-7 1ª Pietro 2,4-9 Giovanni 14,1-12)

Abbiamo bisogno di continua conversione, di riorientarare la nostra esistenza a Gesù. Oggi è difficile per molti trovare criteri validi di orientamento. Gesù si propone ai suoi discepoli come la via, la verità e la vita. Solo lui infatti conosce il Padre e può condurci al Padre. Le strade terrene possono deviarci, i maestri terreni possono infarcirci di menzogne, le fonti terrene a cui ci dissetiamo possono essere inquinate. La vita delle comunità cristiane non è senza tensioni e difficoltà, ma esse possono cercare i loro equilibri e le soluzioni efficaci orientandosi a Gesù. Il Vangelo indica in questo modo con chiarezza a chi vuole seguire Gesù il criterio di riferimento per ogni azione e scelta. La fede in Gesù e la sequela di lui non hanno nulla di evasione dalla realtà, rappresentano piuttosto un orientamento serio nelle questioni del presente, impegnando la responsabilità dei credenti nel mondo e verso il mondo.
Tommaso è una figura di grande rilievo nel vangelo giovanneo. Egli appare la prima volta esprimendo la sua disponibilità a rischiare la morte con il Maestro, seguendolo dunque fino all’esito fatale (Giovanni 11,16b). ora non si mostra più tanto sicuro di poterlo seguire. Alla fine dell’evangelo avrà bisogno di un incontro personale, ‘ravvicinato’, con il Gesù pasquale, per poter intraprendere davvero una sequela della fede. In sostanza, Tommaso è il ‘gemello’ di Gesù (tale è il significato del termine aramaico, che Giovanni traduce anche nel greco Didimo) perché è persona generosa, pronta ad impegnarsi per fedeltà alla parola data. Ma Tommaso esprime anche tutta la difficoltà dell’umanità ad aprirsi alla fede, in una vita che vince la morte passando proprio attraverso la morte. Qui, nell’ultima Cena, la sua figura è analoga a quella di Pietro, perché tradisce anch’essa un’incomprensione della persona di Gesù e del significato teologico della sua morte. Gesù non lo rimprovera ma, cogliendo in sostanza il desiderio intimo di Tommaso di seguirlo, di essere discepolo, risponde con una grandiosa parola di autorivelazione: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (v.6). A Tommaso preme sapere quale sia la via, ma egli non la potrà conoscere senza accedere alla verità, e cioè senza comprendere che Gesù è la rivelazione definitiva di Dio. Pertanto Gesù orienta la domanda di Tommaso sul mistero della propria persona, affinché il discepolo non si disperda ancora nell’interrogativo su quanto può e deve fare, perché ciò sarebbe un ripiegarsi su se stesso. Al contrario, dovrà riconoscere che l’unica via per accedere al Padre è Gesù e che Dio si manifesta pienamente all’umanità proprio in lui, che è perciò la verità, cioè lo svelamento di ciò che era misterioso, inaccessibile. Pertanto Tommaso dovrà riconoscere anche che il desiderio di vita che abita nel cuore dell’uomo si compie solo nell’incontro con Gesù, la vita. Gesù fa poi seguire alle tre qualifiche – con cui si presenta a Tommaso (v.6a) – tre proposizioni che le approfondiscono (vv.6b-7). Così, a proposito del cammino, ribadisce che nessuno va al Padre se non per mezzo suo; per quanto riguarda la verità stabilisce l’equivalenza tra conoscere lui e conoscere il Padre e infine, per quanto attiene alla vita, afferma che, al presente, i discepoli già conoscono il Padre e hanno la possibilità di vederlo in lui.
Preghiera - Le tue parole, Gesù, gettano una luce nuova sul legame che ci unisce a te, sulla relazione che ha trasformato questa nostra esistenza. Sono tanti i percorsi che ci troviamo davanti: molti di essi appaiono allettanti e pieni di promesse, ma poi generano un’amara delusione. Ma sei tu, Gesù, la via, l’unica via che conduce al Padre, tu sei la strada su sui mettere i nostri passi se desideriamo arrivare al traguardo dell’eternità.
Sono tante le verità che gli uomini si affannano a spacciare per autentiche, paghi di aver trovato dei clienti che si lasciano ingannare. Ma sei tu, Gesù, la verità che scandaglia le profondità di questo mio cuore così spesso in balia di pericolose tempeste.
La tua parola non si limita a decifrare ciò che accade, ma come un lavacro rigeneratore rende feconda la mia terra e mi fa assaporare una fecondità nuova. Sì, perché tu, Gesù, sei la vita che genera in me un frutto abbondante.
Preghiera a Maria – Ricordati, Madre, di tutti i tuoi figli. Ricordati di coloro che versano nelle tribolazioni, nelle necessità, nei pericoli; di coloro soprattutto che soffrono persecuzioni e si trovano in carcere per la fede. Guarda con occhio benigno i nostri fratelli separati e degnati di unirci. O tempio della luce senza ombra e senza macchia, intercedi presso il tuo Figlio unigenito, mediatore della nostra riconciliazione col Padre, affinché conceda misericordia alle nostre mancanze. E fa che la Chiesa tutta possa sempre elevare al Dio delle misericordie l’inno della lode e del ringraziamento, perché grandi cose ha operato il Signore per mezzo tuo, o clemente, o pia, o dolce Vergine Maria (Paolo VI).

mercoledì 18 maggio 2011

217 - CHIAMATI AD ESSERE MISSIONARI, EUCARISTIA, SERVI - 21 Maggio 2011 – Sabato 4ª sett. di Pasqua

Sappiamo che dopo la risurrezione del Signore la Chiesa, che siamo tutti noi, si va organizzando e si va manifestando nel tempo come sacramento universale di salvezza. Il capitolo 21 di Giovanni evidenzia tre ambiti particolari che concorrono a dare un volto missionario, sacrificale e di comunione alla Chiesa. È opportuno coglierne i contenuti e le suggestioni.
La missione della Chiesa – Giovanni (21,4) ricorda che Gesù va ad incontrare il gruppo dei discepoli là dove essi avevano vissuto l’apprendistato della missione: il lago di Tiberiade. Va là dove a Pietro aveva promesso che sarebbe diventato pescatore di uomini. Non a caso gli Atti ci ricordano che gli Apostoli rendono testimonianza al Risorto. La Chiesa è la comunità di coloro che hanno fede nel Risorto e che credono anche nelle situazioni difficili. Per questo annunciano a Gesù, sicuri di riuscire non con persuasioni umane, ma con la potenza del Risorto che si manifesta con risultati inattesi. Sono inattesi perché sgorgano dall’affermazione: “Senza di me non potete fare nulla” (21,5) e non dalle nostre – a volte furbastre – strategie pastorali. Gli Apostoli ne fanno esperienza. Annota il Vangelo: “Quella notte non presero nulla”(15,5). La missione della Chiesa è fruttuosa ad una condizione: che percepisca in essa la presenza del Risorto, lo si riconosca e lo si invochi. Si può allora capire che questa missione non è più quella dei missionari col casco in testa, a cavallo, verso l’ignoto. La si può vivere anche qui, con il vicino di casa che non è aperto alla speranza, che non sa nulla sulla Vangelo-Buona notizia, che confida solo in una lotteria nazionale o in un condono illegale.
L’Eucarestia - Gesù, dopo la pesca, invita i discepoli: “Venite a mangiare”(21,12). Il Risorto imbandisce la mensa, personalmente distribuisce pane e pesce: gesto che è memorabile discreto della moltiplicazione dei pani e dell’Ultima Cena. Per questo l’Apocalisse proclama che “l’Agnello immolato è degno di ricevere onore, gloria e benedizione”(5,12) e che “i quattro esseri viventi dicevano: Amen”(5,14). In questo contesto eucaristico la missione della Chiesa è realizzata dai non potenti perché la possiamo o, in alcuni casi, la dobbiamo vivere in solitudine. Discorso ostico in questo tempo, nel quale si pensa che l’uomo possa tutto; ostico per gli attivisti cristiani che, malati di protagonismo, si comportano come se tutto dipendesse da loro. È l’eucarestia che consegna alla Chiesa, nella ritualità, la realtà sacrificale della Pasqua di cui si fa memoria. E questa memoria è veramente mistero della fede, essendo mistero della fedeltà alla Parola-evento dell’Ultima Cena, all’amore (lavanda dei piedi) di cui è sorgente e segno.
Il servizio di Pietro - Sappiamo che nel gruppo apostolico Pietro occupa un posto preminente. Lui aveva preso l’iniziativa della pesca sul lago. Lui si era buttato in acqua per raggiungere il Signore. A lui Gesù rivolge l’interrogativo sull’amore, in relazione al triplice rinnegamento della passione. In quel semplicissimo ed essenziale conclave narrato dal Vangelo, Gesù non chiede a Pietro: quante lauree hai, quante lingue parli correttamente, qual è il tuo curriculum ecclesiastico, qual è lo stato attuale della tua salute? Chiede solo e in forma decisiva: “mi ami più di costoro?”(Giovanni 21,15). La triplice confessione d’amore da parte di Pietro è seguita dall’annuncio del suo martirio, come per il Maestro. La Chiesa, noi, siamo promossi alla Croce. In questa prospettiva il “seguimi”(15,19) di Cristo a Pietro è senza riserva, sulle strade dell’amore, fino al dono della propria vita.
Preghiera a Maria - Salve, unica porta per la quale solo il Verbo è passato! O mistica porta della vita, immacolata genitrice di Dio, libera dai pericoli coloro che con fede a te ricorrono, affinché possiamo glorificare il tuo santissimo Figlio, salvezza delle anime nostre. Ezechiele ti previde come porta invalicabile, o Purissima, che apri a tutti gli afflitti le porte della penitenza; e perciò ti supplico: aprimi il varco che fa entrare nel riposo. O santa Vergine, tu sei porta di salvezza, paradiso di delizie e nube della luce eterna; noi inneggiamo a te e ti ripetiamo l’Ave!

216 - TESTIMONI DEL RISORTO - 20 Maggio 2011 – Venerdì 4ª sett. di Pasqua

La presenza dei testimoni risulta essere indispensabile per la fede stessa degli Apostoli, per il nostro cammino di fede, a volte incerto, a volte difficile da decifrare. Perché l’intreccio tra fede e testimonianza sia fecondo, sono necessarie alcune scelte precise e determinanti.
Imparare il proprio mestiere da Gesù. In caso diverso si corre il rischio di lavorare a vuoto. Gli Apostoli erano convinti che il pescare pesci fosse la loro specializzazione, ma è nel fallimento della pesca che capiscono come debbano lasciarsi guidare da Gesù. Oggi l’uomo, reclamando autonomia da Dio, si sente specialista nelle cose del mondo. E rischia di gettare le reti dalla parte sbagliata. Come mai, pur essendo cresciuti nel benessere, non siamo cresciuti in umanità? Senza Dio, la società sta migliorando o peggiorando?
Recuperare uno stile di umanità. Emerge come bisogno impellente dalle osservazioni appena fatte. Gesù, davanti al fuoco, prepara la colazione agli Apostoli. È un Gesù che a mensa si interessa dei suoi amici, si interessa dei loro problemi, si colloca sullo stesso piano di umanità. Può darsi che alcune volte noi cristiani non riusciamo ad incidere perché non entriamo nel vivo dei drammi del vissuto della nostra storia. Non si può entrare in rapporto con le persone prendendo le distanze. Per innalzare gli altri dobbiamo prima abbassarci al loro livello.
Vivere il primato dell’amore. Questo è il segreto per realizzare il progetto indicato con il “mi ami tu più di costoro?” (Giovanni 21,15). Non è questione di essere superiori o migliori. È questione di amare di più. Per Cristo l’unico titolo che giustifica l’autorità è l’amore.
Disponibilità a seguirlo. Solo questa decisione rende possibile l’itinerario di fede indicato. Questo itinerario è percorribile non sulla via degli interessi, dei privilegi, degli onori mondani, ma sulla via della croce. Bisogna che qualcuno ci chieda qualcosa perché ci accorgiamo di essere esperti nell’avere le mani vuote. La forza di queste convinzioni è stata capace di portare agli Apostoli fino all’effusione del sangue. Questo è il prezzo che ci viene chiesto: l’offerta della vita per sconfiggere lo stile manageriale dell’azione.
Preghiera a Maria - Il cuore degli uomini anela alla pace … Le famiglie hanno bisogno di pace … Tra i popoli la sospirata riconciliazione e la pace … Tu, Maria, hai dato alla luce il Principe della pace; sei stata presso quella croce dove Cristo, con il suo sangue, ha pacificato ogni cosa; nel cenacolo hai invocato, insieme con gli apostoli, lo Spirito di unità e di pace, di gioia e di amore. Guarda questa nostra umanità travagliata e ottienile, ti preghiamo, il dono prezioso e atteso della pace. E che il saluto di pace rifiorisca sulle nostre bocche a riavvivare la memoria della presenza divina in mezzo a noi.

215 - PIETRO IN CRISTO PRONTO A DONARE LA VITA PER LE PECORELLE - 19 Maggio 2011 – Giovedì 4ª sett. di Pasqua

Gesù nel suo colloquio con Pietro (Cfr. Giovanni 21,15-19) usa la parola agapáo, che indica l’amore originario e gratuito con il quale Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio (3,16), l’amore estremo con il quale Gesù ci ha amati (13,1), che è lo stesso con il quale il Padre ama noi (15,9). È l’amore con il quale ora anche noi possiamo amarci gli uni gli altri (13,34; 15,12.17), fino a dare la vita (15,13). È quell’amore la cui forza è la debolezza di chi espone, dispone e depone la propria vita per l’amato, gli lava i piedi e gli si dona senza riserva, come nel boccone offerto a Giuda. Gesù chiede a Pietro se ha accolto l’amore che gli ha mostrato. Ora, dopo la croce, può capirlo. Si, Signore, tu sai che ti sono amico. La risposta affermativa di Pietro non si fonda sulla sua sicurezza di dare la vita per Gesù (cf. 13,37). Si fonda su quanto il Signore sa: gli aveva predetto la sua defezione (13,38), ma pure che lo avrebbe seguito più tardi (13,36b). Pietro lascia perdere l’emulazione con gli altri: non risponde al “più di costoro”. Inoltre non usa la parola di Gesù (agapáo), bensì philéo, che significa essere amico. Non è una semplice variazione stilistica. Il verbo agapáo indica l’amore che dà la vita: origine di questo amore è solo lui, il Signore. Quando accettiamo che lui ci lavi i piedi, allora anche noi possiamo amare come lui. Il verbo philéo aggiunge sfumature di amicizia e reciprocità affettiva, ormai possibile perché abbiamo accolto il suo amore assoluto. “Nessuno ha un amore più grande di questo, che qualcuno ponga la propria vita per i suoi amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che vi comando” (15,13s), amandovi gli uni con gli altri con l’amore con cui io ho amato voi(15,12).
Grazie all’esperienza di amore ricevuto, Pietro è associato alla missione del buon Pastore. L’essere pastore non è onore, ma onere. Scaturisce dal pondus amoris, da quel peso di amore noto solo a colui al quale è perdonato di più. Pietro è posto a servizio dell’unità tra i fratelli perché, nel suo peccato perdonato, ha coscienza dell’amore di Cristo. Per questo il suo ministero sarà contrassegnato da perdono e riconciliazione. La sua preminenza non è nel dominio, ma nel servizio di misericordia e perdono (cf. 20,21-23). Istituzione e amore non vanno mai separati. Senza amore ogni istituzione è perversione; anzi, più l’istituzione è perfetta, più grande è la perversione. La Chiesa è in’istituzione che ha come fine quello di amare l’uomo perché sia libero di amare. Cristo ci ha liberati per questa libertà (cf. Gal 5,1.13).
Preghiera a Maria - Per te, Maria, ringraziamo Dio Padre perché ti ha donata al popolo cristiano come ausiliatrice e madre. Tu conosci tutte le nostre lotte tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre, e su di esse fai splendere la tua immagine di ‘donna’ vittoriosa, prefigurata fin dai primordi del genere umano. Per questo confidiamo che, sotto la tua protezione, possiamo affrontare il buon combattimento della fede e, ancorati alla parola di Dio e all’insegnamento della Chiesa, procedere sicuri tra le tempeste del mondo. Il tuo aiuto efficace faccia di noi cristiani, nella compagnia degli uomini e delle donne di oggi, quello che l’anima è per il corpo, fino a che, insieme a tutti i nostri fratelli e sorelle, possiamo giungere alla gioia perfetta, nella patria celeste.

214 - GESU’, PIETRO E LE PECORELLE - 18 Maggio 2011 – Mercoledì 4ª sett. di Pasqua

La triplice ripetizione della domanda rivolta a Pietro da parte del Signore (Cfr. Giovanni 21,15-19) richiama chiaramente il triplice rinnegamento di Pietro. La comunione è stata già ristabilita con il dono sacrificale che Gesù ha fatto di se stesso sulla croce e che è stato simbolizzato dal pasto, ma è necessario richiamare la particolare funzione che Pietro svolgerà nella storia della salvezza, per un dono d’amore del tutto particolare da parte del suo Signore. Pietro è chiamato a rappresentare il buon pastore che dona la vita per le sue pecorelle, come già si era presentato Gesù in Giovanni 10. Il gioco dei verbi che indicano l’amore di Gesù e di Pietro, e che viene reso nella nuova traduzione CEI con la differenza tra il verbo ‘amare’ e la locuzione ‘voler bene’, suggerisce un gioco complesso di relazioni. In realtà bisognerebbe tener conto che qui i soggetti in gioco non sono due, Gesù e Pietro, ma tre: Gesù, Pietro e le pecorelle. Il verbo philéō, che esprime una sfumatura legata alla tenerezza nelle relazioni umane, mostra la grande umiltà di Pietro, che si ritiene incapace dell’amore totalmente fontale e gratuito del Signore, l’amore agapico. Pietro ama con l’amore tenero dell’amico, che sa che il suo amore non nasce in una totale gratuità, ma come risposta all’amore di Gesù nei suoi confronti. Ma a Gesù questo basta: infatti già questo permette a Pietro di cogliere nelle pecorelle il riflesso dell’amore del Signore e così amarle a sua volta e pascerle con l’amore tipico dell’amico dello sposo, che non possiede la sposa, ma gioisce alla voce dello sposo. Pietro sa allora che il fondamento del suo amore nei confronti di Gesù e del gregge non è lui stesso, perché l’amore non scaturisce da lui. Questa è la fondamentale conversione di Pietro, chiamato a non reggersi più sulle sue forze. Nello stesso tempo egli è sicuro, egli sa che quel fondamento si trova nel Risorto. Egli è entrato nel pensiero e nel cuore del Risorto così che può affermare qualcosa che rivela una comunione inaudita: egli è certo che il Signore sa che lui lo ama. Questo è il vero superamento di ogni sentimentalismo religioso: il suo amore per Cristo non si basa su una qualche consapevolezza di un sentimento interiore, ma va molto al di là, fino a penetrare nel pensiero stesso di Cristo. “Gesù sa che io lo amo, e questa è la garanzia più forte per me del fatto che davvero io lo amo!”: queste sono le parole che avrebbe potuto pronunciare Pietro, se lo avessimo interrogato sul senso della sua conversione dopo la tremenda disillusione culminata nel tradimento. Questo vangelo rivela qualcosa che per un pastore è sempre difficile affermare, perché riguarda da vicino la sua stessa identità. Il prete è inserito in un circuito di affetti il cui pieno e la cui fonte è la persona del Signore. Egli impara ad amare dentro l’amore del Signore per le sue pecore: è tale amore che diviene generatore di nuove relazioni.
Preghiera a Maria - Ave, salus infirmorum! Ti preghiamo: guarda tutti i malati che sperano nel tuo aiuto, tutti coloro che, nei tuoi santuari, ti chiedono grazia, tutti gli infermi che non ti conoscono, ma dei quali sei ugualmente madre. Tu hai portato con fortezza il dolore, in comunione con Cristo, tuo figlio, servo sofferente di JHWH. In lui sei passata vittoriosa attraverso sofferenza e morte. Ti chiediamo di intercedere per la guarigione di tutte le malattie che affliggono l’umanità e di far splendere il tuo esempio di adesione totale al volere divino. La tua vicinanza materna può schiudere al senso del dolore e noi, come te, possiamo essere solleciti e premurosi verso chi è nel bisogno e nella prova.

213 - I SETTE DISCEPOLI VANNO A PESCARE -17 Maggio 2011 – Martedì 4ª sett. di Pasqua

Dopo il dono di Pasqua, i discepoli sono “insieme”. Si parla di sette discepoli (Giovanni 21,2). Non sono i Dodici (cf. Giovanni 6,70), che rappresentano le tribù d’Israele. Sono sette, numero di totalità, che rappresenta le nazioni pagane. È ormai la comunità delle sette chiese (cf. Apocalisse capitoli 2-3), aperta al mondo.
Simon Pietro - Gesù gli aveva promesso che, “dopo queste cose”, avrebbe capito il suo gesto di lavargli i piedi (13,7). Simone, fratello di Andrea, è uno dei primi che lo ha incontrato, ricevendo il nome di Pietro (1,42). È lui che, dopo il discorso sul pane di vita, dice a nome di tutti: “Noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (6,68s). lo ritroviamo nell’ultima cena a più riprese: non vuole che Gesù gli lavi i piedi (13,6-9), chiede all’altro discepolo di domandare chi è il traditore (13,24) e dichiara di essere disposto a seguire il Signore fino a morire per lui (13,36-38). Nel giardino estrae la spada per difenderlo (18,10s) e nel cortile, dove l’ha introdotto il discepolo amato, lo rinnega (18,15-27). Lo incontriamo, ancora insieme a lui, nella corsa mattutina al sepolcro (20,2-10). L’intreccio del loro cammino continua anche in questo racconto (cf.vv. 1-14) e trova nel finale – come sintesi di tutto il Vangelo – la sua spiegazione (cf. vv. 15-24).
Tommaso - detto Didimo. Tommaso si dichiara disposto a morire accanto a Gesù (11,16). Nell’ultima cena gli chiede inoltre dove va; e ottiene la risposta: “Io Sono la Via, la Verità e la Vita” (14,5s). Riappare nel racconto precedente come l’incredulo che raggiunge la piena fede, esclamando: “Il mio Signore e il mio Dio” (20,28).
Natanaele - quello di Cana di Galilea. È il vero israelita che, superando i suoi dubbi (1,46), per primo riconosce Gesù come Figlio di Dio e re d’Israele (1,49). Si precisa che è di Cana di Galilea, dove Gesù fece il primo segno e “manifestò la sua gloria” (2,11).
I due figli di Zebedeo - È l’unica volta che nel quarto Vangelo ricorre quest’espressione. Sappiamo dagli altri Vangeli che sono Giacomo e Giovanni (cf. Marco 1,19), coloro che, con Pietro, partecipano alla pesca miracolosa (Luca 5,1ss). Nella tradizione il secondo di questi fratelli è stato identificato con il compagno anonimo di Andrea (cf. Giovanni 1,35-40), “l’altro discepolo”, quello che Gesù amava, autore del quarto Vangelo.
Altri due discepoli - Chi sono questi due altri discepoli? Inutile chiederselo, perché sono anonimi. Sappiamo che sono due, principio di molti. Rappresentano i discepoli che verranno in seguito, chiamati “altri”, come l’”altro discepolo”, quello che Gesù amava.
Preghiera a Maria - “Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu magnifico vanto d’Israele, tu splendido onore della nostra gente” (Giuditta 15,9). Infatti, tu, Maria, hai aderito con tutta te stessa al disegno di Dio che ti ha voluto indissolubilmente congiunta alla missione redentrice del Figlio. Dall’albero della croce presso il quale tu eri presente e partecipe, è maturato il frutto della nostra libertà. Il tuo esempio e la tua intercessione renda anche noi, come te, generosi e solerti nell’operare a favore del riscatto di ogni schiavitù. In particolare al tuo cuore di madre presentiamo i giovani vittime della droga, le prostitute, i prigionieri, coloro che muoiono di AIDS, coloro che sfruttano i piccoli. Possa per ciascuno giungere presto il momento della riacquistata libertà del corpo e dello spirito.

212 - IL DINAMISMO MISSIONARIO DELLA RISURREZIONE DI GESU’ - 16 Maggio 2011 – Lunedì 4ª sett. di Pasqua

Al capitolo 20 del vangelo di Giovanni abbiamo dedicato la prima (nn. 190-195) e la seconda (nn.196-203) settimana di Pasqua.In questa settimana meditiamo il capitolo 21 composto di due sezioni, separate dall’annotazione dell’evangelista al versetto 14: “Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti”. Nella prima parte c’è la terza apparizione di Gesù, dopo le prime due descritte nel capitolo 20, la quale inizia con la pesca miracolosa e si compie nel pasto conviviale (21,1-13); nella seconda parte sempre del capitolo 21 l’attenzione si concentra prima su Pietro e poi sul discepolo amato indicandone, seppure in modo misterioso, la sua missione.
Quella di partenza del racconto è una situazione di stallo: si rievoca qui ciò che nei sinottici è presente come racconto di vocazione. In Luca 5,5 è Pietro a rispondere a Gesù dicendo: “Abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla”. Al mattino l’incontro con Gesù rende possibile un nuovo inizio, una svolta: è la vera e definitiva chiamata, quella del Risorto, che coinvolge nel dinamismo missionario della sua risurrezione tutta la vita dei discepoli. Difatti l’elemento dell’abbondanza materiale dei pesci evoca il racconto dei pani (Giovanni 6,5-13) e contribuisce così a delineare lo sfondo simbolico dell’attività dei pescatori: tale abbondanza indica già in modo eloquente l’azione evangelizzatrice che i discepoli compiranno e i suoi frutti. Al contempo indica che ogni frutto della missione non è che un’obbedienza dei discepoli al comando del Signore: essi non hanno preso nulla per tutta la notte e solo il Signore è la vera garanzia di successo per l’evangelizzazione. Infine ancora il segno dell’abbondanza del pescato diviene indicatore anche dell’identità di colui che ha impartito il comando, ancora non identificato dagli apostoli. Qui si innesta il primato del discepolo amato: come egli è stato colui che davanti alle bende “vide e credette” (20,8), così ora è il primo a vedere e credere. Ma da qui in poi tutta l’attenzione del narratore è incentrata su Pietro. È interessante il dettaglio del camiciotto che Pietro si stringe attorno e che ritornerà al termine del capitolo: arriverà il momento in cui sarà qualcun altro a cingergli la veste. C’è qui un simbolismo molto profondo: Pietro sarà chiamato a dare la vita per il Signore. Proprio lui che si vergogna di comparire nudo al cospetto del suo Signore, avendolo tradito, ora sta per essere riabilitato dal Signore stesso per un dono particolare del suo amore. Ed egli risponderà a sua volta con il dono della sua vita, gettandosi nel mare della morte per raggiungere così il suo Signore. Il ruolo di Pietro è centrale anche nel seguito della narrazione: è lui che trascina da solo la rete piena di pesci, la quale non si spezza. Il Signore aveva usato lo stesso verbo (elkÝō) per indicare la forza di attrazione che egli, una volta innalzato, avrebbe esercitato su tutti gli uomini (12,32). E se la rete non si spezza vuol dire che il lavoro apostolico di Pietro avrà successo: egli sarà il garante dell’unità e dell’efficacia dell’attività di tutti gli apostoli e di tutta la Chiesa. È importante poi sottolineare che Gesù offre ai discepoli un pasto già preparato da lui stesso: gli elementi non sono costituiti da ciò che hanno portato i discepoli, e dunque simbolizzano l’offerta di sé che il Signore risorto fa loro, ristabilendo una comunione che sempre e di nuovo verrà attualizzata nell’eucarestia.
Preghiera a Maria - Tu, Vergine Madre, hai dato alla luce di questo mondo Colui che del mondo è la consolazione, promessa dai profeti. Tu, afflitta presso la croce del Figlio dell’Altissimo, sei stata confortata con la speranza della risurrezione. Tu, unita agli apostoli nel cenacolo, hai atteso con fiducia lo Spirito consolatore. Ed ora che sei gloriosa in cielo, non dimenticare le tristezze della terra. Abbi pietà di tutti coloro che soffrono per la malattia, la solitudine, la separazione; di quanti lottano per sopravvivere e di quanti hanno tutto,proprio tutto, ma non trovano il senso della vita. Dona consolazione e forza a chi si sente incapace di amare e perdonare. Noi, fiduciosi, ci rivolgiamo a te.

domenica 15 maggio 2011

211 - IO SONO IL BUON PASTORE - 15 Maggio 2011 – Quarta domenica di Pasqua (Atti 2,14a.36-41 1ª Pietro 2,20b-25 Giovanni 10,1-10)

L’immagine del pastore che guida e protegge il suo gregge è usata da Gesù stesso per presentare la sua missione. Era una immagine familiare nell’ambiente di Gesù e anche nelle Scritture di Israele, in particolare nella preghiera dei Salmi. L’immagine del pastore buono, contrapposta a quella del mercenario indifferente, richiama anche una profonda esperienza di fede: ci parla della responsabilità di tutti all’interno della comunità cristiana e, in particolare, della responsabilità di quanti svolgono un ministero di guida. Il servizio dell’amore è la via attraverso la quale continua l’azione del Risorto nel mondo e nella Chiesa. L’immagine del pastore buono è al centro del Vangelo. È illuminante riflettere sul suo comportamento: entra dalla porta del recinto, conosce le pecore una ad una, le porta al pascolo e le protegge. Il vangelo propone dunque uno stile per le relazioni che devono contrassegnare la comunità cristiana: non relazioni puramente strumentali e interessate, ma fatte di coinvolgimento personale e cura, di attenzione e premura. Poche immagini riescono ad esprimere, con alcuni semplici tratti, l’essenziale della fede cristiana in modo tanto suggestivo come quella di Gesù buon pastore; è un’immagine da sempre particolarmente cara alla tradizione cristiana, come testimonia già l’iconografia delle catacombe. La fermezza e la sollecitudine con cui il pastore deve custodire e guidare il gregge ne fanno infatti, nel contesto culturale mediorientale e mediterraneo, un simbolo eminente della regalità. Tale simbologia sta sullo sfondo del linguaggio biblico, che ama paragonare la cura e la misericordia divine per Israele alla costante premura di un pastore per il proprio gregge. A questa allegoria Giovanni affida il compito di raccogliere in modo sintetico e immaginativo il suo messaggio sul mistero di Cristo, sul senso e sull’efficacia della sua Pasqua. Per realizzare questo suo intento non esita neppure ad introdurre elementi di rottura con la familiare immagine del pastore, ben nota al contesto culturale dell’antichità. Questa rottura è innanzitutto nel fatto che il Pastore chiami per nome le sue pecore, una per una. Ancora più insolito è il fatto che esse siano raccolte non in un ovile, ma in un luogo che la traduzione rende ‘recinto’, ma che nel vangelo di Giovanni indica innanzitutto l’atrio del tempio. Ma l’elemento più inatteso è il fatto che il pastore giunge a dare la propria vita per le pecore (cfr. Giovanni 10,11ss.)!
Preghiera - Signore Gesù, tu instauri con ogni discepolo un rapporto personale, unico. Ai tuoi occhi nessuno di noi diventa solo un numero. Anzi, ciascuno sperimenta cosa significhi essere conosciuti e conoscere nel profondo. Come le pecore riconoscono la voce del loro pastore, così anche noi distinguiamo il timbro, il colore, il suono della tua voce.
Ecco perché quando ci parli ci sentiamo raggiunti non da un messaggio generico, destinato a tutti, ma da un annuncio che risponde alle nostre attese, ai nostri interrogativi e traccia dentro la nostra storia un percorso di luce, un sentiero di grazia. Signore Gesù, è attraverso di te che noi possiamo entrare nel mistero di amore che trasfigura la nostra esistenza: tu sei la porta, il passaggio che conduce al volto di Dio e ne rivela la misericordia senza limiti; tu sei la porta che apre su una pienezza sconosciuta, l’approdo di gioia e di pace del nostro pellegrinaggio.
Preghiera a Maria - Vergine, figlia di Adamo per la nascita, figlia di Abramo per la fede, pianta della radice di Jesse da cui è sbocciato il Fiore, Cristo Gesù, ci rivolgiamo a te. Tu sei la voce dell’antico Israele, esultanza del piccolo resto fedele, grembo sacro che genera Colui nel quale tutte le promesse antiche hanno compimento. Donaci il tuo cuore di povera perché diveniamo capaci di fervente attesa. Donaci il tuo ascolto attento rivolto al Dio delle Scritture, affinché anche in noi possa germogliare il seme della Parola deposto nelle profondità dell’essere. Ti ringraziamo, Vergine benedetta, madre del Frutto benedetto.

venerdì 13 maggio 2011

210 - NOI COME I DESCEPOLI DI EMMAUS - 14 Maggio 2011 – Sabato 3ª sett. di Pasqua

Il brano evangelico di Emmaus è stato cavalcato da moltissime persone con svariate finalità. Vogliamo coglierne alcune sottolineature utili al percorso della nostra fede pasquale.
Spesse volte gli occhi dei credenti possono vedere senza riconoscere, come è capitato a Clèopa e al suo socio. E difficile o addirittura, impossibile, riuscire con gli occhi carnali a riscoprire i tratti spirituali. Del resto gli Apostoli al sepolcro vedono un sepolcro vuoto e non vanno oltre. La cognizione umana si fa evento di grazia solo quando viene fecondata dalla rivelazione divina. Siamo chiamati a camminare nella speranza senza vedere nulla.
Il Risorto sceglie di comunicare con l’uomo al quale si aprono gli occhi e il cuore di fronte al gesto conviviale dello spezzare il pane. Questo fatto deve consolidarci nella convinzione che la fede non sta alla conclusione di una nostra ricerca, ma all’inizio del rivelarsi di Dio. Ma l’azione di vita spesso oggi viene letta nella cifra del miracolo. Questo sta vivendo momenti di attualità. Sembra che la sete dello straordinario sia più invasiva della sete di Dio. Del resto con il miracolo i conti sembrano tornare, con la fede pura la sequela di Cristo chiede di spogliarci da tutti gli amminicoli distraenti.
Ai discepoli di Emmaus è stato chiesto di fare memoria del gesto unico dello spezzare il pane nella semplicità di una mensa, in una locanda comunissima, nell’intimità dei due con il Risorto. La vicinanza di Dio non si realizza nelle forti emotività, ma nella trama normale delle relazioni interpersonali. Il mistero di Dio entra a passi felpati nelle esperienze vere dell’amore. Solo accettando questo stile unico dell’agire di Dio ci accorgiamo come, gradualmente, vadano spegnendosi dubbi e incertezze, mentre si accendono speranze e gioie. Diventa possibile passare dal “credere, obbedire, combattere” al vivere di fede per condividere la vita nell’amore gratuito e santo. La fraternità fra gli uomini ratifica la novità del Risorto.
Preghiera a Maria - Tutta bella sei, Maria! Bella nella tua concezione, che non ha conosciuto la macchia del peccato; bella nel tuo parto verginale, con cui hai dato al mondo il Figlio di Dio; bella accanto alla croce, come agnella imporporata del sangue dell’Agnello; bella nella risurrezione del Signore, al cui trionfo partecipi gloriosa. Tutta bella sei, Maria, madre di Colui che è “il più bello tra i figli degli uomini”. La luce della tua bellezza ci pervada e riscaldi in noi, facendolo crescere, il germe battesimale della santità. La forza del tuo esempio ci attiri perché, guardando te, progrediamo nell’esperienza dello Spirito che è via di bellezza.

209 - IL RITORNO A GERUSALEMME - 13 Maggio 2011 – Venerdì 3ª sett. di Pasqua

Il ritorno a Gerusalemme è quindi opposto al cammino che essi hanno fatto poco prima. Se per l’innanzi erano tristi, senza più speranza, ora hanno ritrovato la gioia, anzi un entusiasmo senza limiti e una speranza assolutamente certa. Pur essendo ormai sera e nonostante il viaggio di ritorno a piedi sia piuttosto lungo, i due non esitano a correre a Gerusalemme. È davvero un giorno che non finisce mai, perché ormai è dentro di loro la luce. È un giorno che preannuncia l’interminabile tempo della missione della Chiesa, in cui ogni uomo deve essere raggiunto dalla buona notizia. Clèopa e il suo amico non possono più tenere solo per sé la meravigliosa notizia, ma si devono fare evangelizzatori, annunciatori della risurrezione di Gesù; è la parabola dell’annuncio cristiano. Il testimone di Cristo non potrà tenere segreto l’incontro che egli ha fatto con il suo Signore e il cambiamento di vita che ha sperimentato: deve comunicarlo ai suoi fratelli. Il fatto che Gesù li abbia preceduti e sia già apparso a Simone è segno ulteriore della grazia divina che sta convocando i discepoli dopo lo scacco della morte di Gesù. La condivisione della medesima scoperta li avvince e li fa diventare nuovamente comunità di Cristo. Questa è la Chiesa: la comunione tra coloro che si riconoscono nella storia di Gesù come il Vivente, confessano insieme la loro fede e mettono in comune la loro esperienza di discepoli. Con questa conclusione, Luca rafforza il parallelismo che viene a stabilirsi tra la vicenda dei due discepoli di Emmaus e l’episodio, narrato in Atti 8,26-40, dell’incontro tra Filippo e l’eunuco della regina d’Etiopia. In questo caso il compagno di viaggio non è immediatamente Gesù, ma è un ‘altro’ Gesù, cioè il discepolo che si è fatto missionario, evangelizzatore. E come con i due discepoli di Emmaus Gesù si accosta a percorrere con loro un tratto di cammino, così Filippo sale sul carro del funzionario regale per condividere con lui le Scritture e portarlo a riconoscere che esse parlano di Gesù. Sia i due discepoli di Emmaus sia l’eunuco etiope hanno bisogno di qualcuno che si faccia per loro interprete delle Scritture, mostrandone il fulcro vitale: il mistero di Cristo, morto e risorto. Ad Emmaus Gesù spezza il pane e mostra la centralità dell’eucarestia per l’esperienza del discepolo; similmente Filippo introduce l’eunuco nella vita cristiana attraverso un segno sacramentale: il battesimo. E la corsa gioiosa, quasi frenetica dei due discepoli di Emmaus per portare agli altri l’annuncio pasquale, trova un suo parallelo nel viaggio che l’eunuco prosegue sotto il segno della gioia piena (Atti 8,39).
Preghiera a Maria - Gesù ha pregato alla vigilia della sua passione perché i discepoli fossero una cosa sola ed è morto in croce per attirare tutti a sé, riunendo i figli di Dio dispersi. E presso la croce, eri tu, Maria, a generare, con Cristo, l’una e indivisa Chiesa. E tu eri pure nel cenacolo a invocare, insieme con gli apostoli, il Santo Spirito perché tenesse unita nella concordia e nella pace la prima comunità cristiana. Senza una madre non c’è unità! Ti preghiamo di vegliare ancora sulla Chiesa e di affrettare l’esaudimento della preghiera sacerdotale di Gesù. Ti preghiamo anche di vegliare sull’umanità intera e di ottenere che formi l’unico popolo della nuova alleanza.

208 - ED ENTRO’ … PER APRIRE I LORO OCCHI - 12 Maggio 2011 – Giovedì 3ª sett. di Pasqua

Ed entrò per rimanere con loro -Il viaggio volge verso la sua conclusione e viene il momento della separazione, per cui l’anonimo interlocutore sembra voler lasciare i due per proseguire nel suo cammino. Non è solo un trucco narrativo, ma una manifestazione dello stile di Gesù, che si lascia incontrare se si è disposti ad incontrarlo. Orbene, la richiesta dei due, perché il loro compagno di viaggia rimanga con loro, è più dell’uso orientale dell’ospitalità che prevede pressanti inviti rivolti all’ospite perché accetti. È invece la domanda di ogni credente, che si fa preghiera al Risorto, invocazione accorta della sua presenza, specie quando si affacciano le ombre della prova, il buio del dubbio, la notte del dolore: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto” (Luca 24,29). Gesù accoglie questa richiesta, accettando l’invito; ma l’espressione evangelica è assai più intrigante, in quanto si afferma che “entrò per rimanere con loro”. Non entra semplicemente per condividere un momento fugace o per farsi riconoscere, ma per ‘rimanere’. E l’insistenza è sul ‘con loro’ (tre volte nei vv. 29-30), a sottolineare così la sua volontà di comunione intima. E da allora non ha mai smesso di rimanere con i suoi! Gesù vuole entrare nella vita dei credenti, fino a prendere dimora in loro. Questa realtà del ‘rimanere’ del Risorto provoca tutta una serie di risonanze nei testi biblici. Anzitutto si pensi alla promessa del Risorto in Mt 28,20: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. E ricordiamo anche la stupenda immagine della promessa di Ap3,20: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”.
Si aprono i loro occhi - Quanto avviene in quella casa ha i tratti di gesti estremamente familiari e insieme assolutamente singolari. Mettersi a tavola e spezzare il pane è cosa ordinaria, come pronunciare la benedizione su di esso. D’altra parte il tratto singolare è che tutti questi gesti richiamano la passione del Signore, l’ultimo pasto con i suoi discepoli: “Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro” (Luca 22,19). Quanto i due discepoli volevano lasciarsi alle spalle, e cioè la morte del loro Maestro, che era stata, per così dire, anticipata nella Cena, ora viene riproposto loro dai gesti del misterioso ospite. Adesso questi gesti diventano per loro comprensibili, perché sono stati illuminati dalla Parola. E così si arrendono ai gesti di Dio che parlano di un amore umanamente incomprensibile, paradossale, perché pronto a dare la vita. Sta avvenendo in loro una profonda trasformazione, perché finalmente si lasciano amare da un amore che accetta il fallimento pur di donarsi all’amato. È una trasformazione che non avviene per opera loro, grazie alle loro risorse interiori, psicologiche, ma è evento di grazia, così some evidenzia letteralmente il testo greco: “Furono aperti i loro occhi”. Luca usa qui il verbo dianóighein, che non indica un semplice aprirsi, ma uno spalancarsi pieno (cfr. Mc 7,34) e lo propone al passivo, proprio per indicare l’azione divina. I loro occhi interiori erano già stati dischiusi al senso delle Scritture; ora vengono aperti per riconoscere il Vivente. Certamente è una visione che, pur coinvolgendo il corpo, trascende la dimensione materiale, come appare dall’annotazione immediatamente successiva che Gesù sparisce dalla loro vista, una volta che è stato riconosciuto. Non è più necessario vederlo, perché ormai i due discepoli sono stati educati a comprendere che egli è sempre con loro ed è presente nel segno del pane spezzato (eucarestia), della Parola ascoltata, del cammino condiviso. I due hanno dunque riconosciuto che il Risorto è il Vivente, ed è una presenza fedelissima, reale e misteriosa, che è ‘già’ e ‘per sempre’ con i credenti. Questo riconoscimento prende anche l’aspetto di un fare memoria del cammino con Gesù, dell’esperienza del lavoro intimo che la sua parola ha fatto nel loro cuore, fino a farlo ardere nel petto. È un fuoco che si è acceso in loro e che non si spegnerà più, perché è come il battesimo in spirito e fuoco (Luca 3,16).
Preghiera a Maria - “Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te!”. La gioia sbocciata nel tuo cuore di vergine, all’annuncio dell’angelo, è rimbalzata sui colli di Giuda, fino alla casa di Elisabetta, fino al grembo gravido in cui Giovanni “ha esultato di gioia”, e poi si è effusa nel canto: “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente …”. Nello stupore hai generato il tuo Creatore e con silenzio e umiltà lo hai seguito fino a soffrire con lui la passione, ma gioendo poi indicibilmente per la sua risurrezione. Ti ringraziamo, Maria, perché donandoci Colui che ci salva, la tua gioia si trasfonde in noi; e ti preghiamo: questa gioia essenziale sia risvegliata dall’attenzione orante, capace di riconoscere la sua presenza salvifica nella ‘piccola storia’ di ogni giorno.

207 - STOLTI E LENTI DI CUORE! - 11 Maggio 2011 – Mercoledì 3ª sett. di Pasqua

Il Risorto è rimasto in atteggiamento di paziente attesa e perciò ha ascoltato senza fretta, senza interrompere i due, e senza impedire loro di esprimere le loro perplessità e delusioni. Ma ora prende la parola e dalla dolcezza passa ad un rimprovero deciso, che deve scuoterli, colpirli: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!”. Il rimprovero non è segno di mancanza d’amore, ma piuttosto di interesse profondo per i due discepoli, che vede oppressi dalla tristezza e prigionieri dei loro schemi inadeguati. Essi avevano detto di sperare che sarebbe stato Gesù a liberare Israele: ora egli comincia a liberare le loro menti, aiutandoli a comprendere ciò che aveva paralizzato il loro cammino di fede. Proprio la morte, che essi hanno interpretato come un fallimento, è il senso più alto della missione di Gesù, perché sta al centro del piano salvifico di Dio e dell’attestazione delle Scritture. Queste, infatti, attestano che il Messia doveva passare attraverso il mistero della sofferenza: “non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Luca 24,26). Le Scritture appaiono allora come l’aiuto divino a comprendere il suo piano d’amore e di salvezza sugli uomini, e a rileggere la propria esistenza nell’ottica di Dio. In esse vi è il segreto per decifrare anche il senso del dolore umano e degli avvenimenti che resterebbero incomprensibili e deludenti. Davvero portano a intravedere come nello stesso fallimento possa esserci un’opportunità. Se questo è vero per ognuno, è tanto più vero per la morte di Gesù! Luca presenta allora il Risorto che spiega ai due tutto ciò che nelle Scritture si riferiva a lui; appare chiaro il principio–guida con cui la Chiesa delle origini si accosta alle Scritture d’Israele: esse sono testimonianza del piano divino che si realizza nel Cristo, cioè in Gesù morto e risorto. Inoltre questo racconto del Risorto, che cammina per strada spiegando ai due discepoli le Scritture, indica come una loro lettura giunga a far sperimentare il mistero di Dio proprio perché in tale pratica agisce misteriosamente la grazia di Cristo, che ci illumina portandoci al piano della fede.
Preghiera a Maria - “Fate quello che vi dirà”: questo il tuo invito pressante alle nozze di Cana, indicando il Figlio. Noi vorremmo sempre ascoltare la sua Parola orientatrice del cammino, ma spesso siamo incapaci, distratti, apatici … Ci rivolgiamo allora a te, Madre del buon consiglio, perché tu renda attento il nostro orecchio, sensibile il cuore, decisa la volontà. Ci rivolgiamo a te tutte le volte in cui ci è più difficile conoscere il volere del Padre, chiedendoti di ottenere per noi la ‘cosa buona’ promessa a chi la domanda con insistente fiducia, lo Spirito e i suoi sette doni: la sapienza, l’intelletto, il consiglio, la scienza, la fortezza, la pietà, il santo timore.

206 - DI CHE COSA DISCUTETE? - 10 Maggio 2011 – Martedì 3ª sett. di Pasqua

Noi siamo avvantaggiati perché sappiamo che l’anonimo pellegrino è Gesù, quindi più che interessarci alla sua identificazione siamo liberi di analizzare gli atteggiamenti e le reazioni dei due ex discepoli, e così riconoscervi anche le nostre problematiche di fede. Il loro atteggiamento è di divisone, come suggerisce la domanda che delicatamente Gesù pone loro e che suona letteralmente così: “che parole sono queste, che vi lanciate contro l’un l’altro?”. E ancor più è uno stato interiore di profonda tristezza e delusione che traspare dai loro volti scuri, cupi, perché privi di luce. Per loro la domanda di Gesù suona come una provocazione, che causa in loro una sorta di meraviglia stizzosa: non si può essere all’oscuro di fatti tanto gravi e recenti! Infatti la morte di Gesù è stata pubblica, come il suo ministero, e questo viandante che li interroga sull’oggetto della loro discussione non può che essere un forestiero, uno straniero. Si avverte una delicata ironia lucana, che fa emergere le domande che spesso si agitano nel cuore umano, quando ci si chiede se Dio non sia per caso straniero alla propria vita, incapace di capire i problemi che angustiano. Ebbene, il Signore non è estraneo ad alcun turbamento, ad alcuna difficoltà, anche se il credente non sa avvertirne la presenza! E così i due raccontano al viandante “ciò che riguarda Gesù, il Nazareno”, facendo una specie di sintesi del racconto evangelico, privo però della luce della fede. Dicono anche le loro attese nei confronti di Gesù, quanto li aveva affascinati: “Noi speravamo …”. Per loro è stato un grande sogno da cui hanno dovuto bruscamente risvegliarsi per ritornare alla dura realtà. Le loro parole tradiscono una visione che Gesù non aveva per nulla appoggiato, ma che essi non avevano mai messo in discussione, e cioè un’attesa messianica di tipo politico, per cui il regno di Dio deve essere una realtà mondana che si manifesta in termini di potere e di successo. Il tutto ammantato di una certa religiosità ispirata alla vicenda esotica della liberazione, ma sostanzialmente estraneo a quanto Gesù invece ha inteso proclamare. I due viandanti di Emmaus hanno definito ‘forestiero’ il loro compagno di viaggio, ma indubbiamente i ‘forestieri’ erano proprio loro, lontano dal messaggio di Gesù e dal senso delle sue opere. Implicitamente vogliono anche giustificare il loro allontanarsi da Gerusalemme, il loro percorrere il cammino di smobilitazione rispetto al loro essere discepoli: tutto si è arrestato davanti alla morte e al sepolcro. E se questo è stato trovato vuoto, non significa però nulla e le voci delle donne sono solo inattendibili fantasie: “Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto” (v.24). Si può apprezzare l’ironia lucana, perché proprio mentre i due pronunciano queste parole, hanno davanti a sé Gesù in persona, ma non lo sanno riconoscere. Ancora una volta non è lui il fallito, ma loro gli incapaci!
Preghiera a Maria - Nel cammino della vita il tuo esempio, santa Maria, brilla sempre davanti a me, come stella luminosa. Sono incapace, ma alla tua luce e sotto la tua protezione posso tutto. Prendimi alla tua scuola e insegnami come si fa ad essere attento alla voce dello Spirito; a dire “Eccomi!” senza alcun timore se non quello di Dio; a tenere il cuore sveglio ‘cullando’ la parola del Signore; a seguirlo con amore fino alla croce e servirlo incondizionatamente nei fratelli. Prendimi alla tua scuola e insegnami soprattutto a pregare, tu che sei maestra perché sei orante e puoi dire parole di sapienza perché sei silente. I varchi si passano pregando e soltanto dalla preghiera può sgorgare la vita vera.

205 - PER STRADA - 09 Maggio 2011 – Lunedì 3ª sett. di Pasqua

Premessa - Luca riporta un trittico di apparizioni pasquali, dove due sono parallele ai racconti degli altri vangeli, e la terza è un ‘esperienza pasquale coinvolgente due discepoli di Gesù, che non fa parte del kerygma ufficiale della comunità (1 Cor 15,3-9), ma che l’evangelista ritiene preziosa per rispondere alle domande dei credenti di ogni tempo: Chi è il Risorto, e come opera? Dove è possibile incontrarlo e che cosa cambia nella propria vita quando lo si incontra? In questo senso il brano lucano dei discepoli di Emmaus (Luca 24,13-35) è un racconto di trasformazione, che vuole mostrare l’attualità e l’efficacia della Pasqua di Cristo per il credente.
Per strada - Due discepoli sono in cammino verso Emmaus, un villaggio lontano 60 stadi (circa 11 km) da Gerusalemme. Il luogo è di difficile identificazione, ma forse è proprio quello che l’evangelista vuole ottenere per permettere di riconoscervi ogni luogo della terra, ogni situazione in cui il discepolo, disorientato e deluso, può incontrare il suo Signore, venendo rianimato nella fede e nutrito dalla Parola e dal pane di vita. Dei due discepoli, uno ha un nome mentre l’altro resta sconosciuto. Anche qui vi è un abile strategia narrativa dell’evangelista: il nome di Cleopa serve ad ancorare alla storia concreta la vicenda narrata. Va ricordato infatti che nel vangelo di Giovanni si parla di una “Maria, madre di Clèopa” (19,25), dando come assodata la conoscenza di quest’ultimo da parte delle comunità delle origini. Il fatto che l’altro discepolo resti anonimo permetterà ad ognuno, che ascolti con fede il racconto, di potersi riconoscere in lui e fare la medesima esperienza. I due sono dunque in cammino per allontanarsi da Gerusalemme, e quindi dalla storia che hanno vissuto con Gesù; stanno, in qualche modo, smobilitando totalmente dal loro discepolato, oppressi dalla delusione per il fallimento delle loro speranze riposte nel Maestro. “E conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme” (Luca 24,14-15a). Ogni passo è come un percorso a ritroso per disfare la loro vocazione e, nel contempo, è un prendere atto che non possono rinchiudere nell’oblio quanto hanno vissuto con Gesù. Infatti la loro conversazione diventa una discussione o, meglio ancora, una ricerca comune per capire qualcosa di quello che è successo e che continua a tormentarli. È a questo punto che sopraggiunge Gesù, nella figura di un viandante anonimo, che si accosta a loro e si unisce al loro cammino: “ Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro” (v. 15b). Nel vangelo Gesù appare quasi sempre in movimento, come uno che cammina, e anche adesso egli è in cammino con gli uomini. Per un verso questo incontro tra Gesù (non riconosciuto) e i due viandanti ha un apparente aspetto di casualità, di contingenza fortuita, ma per l’altro è invece espressione di una presenza fedele e misteriosa. Purtroppo i due sono incapaci di riconoscere il loro compagno di viaggio. L’espressione greca è molto intensa: “i loro occhi erano trattenuti dal riconoscerlo”. È un impedimento dovuto al loro stato di delusione, al ripiegamento su se stessi, ma più radicalmente è l’impossibilità dell’uomo di vedere il Risorto semplicemente con gli occhi della carne, senza aprirsi invece alla visione della fede. Peraltro va segnalato che vari esegeti vedono nel passivo trattenuti/impediti un passivo teologico, per cui si tratterebbe di un’incapacità a vedere funzionale ad un piano salvifico di Dio, che li vuole portare alla visione della fede.
Preghiera a Maria - Tu, o Madre, per la tua fede e la tua obbedienza, ci hai donato Cristo, fonte della salvezza. Infatti dal suo costato trafitto sono scaturite le acque che risanano le profondità malate dell’umana esistenza. Acque che la Chiesa, di cui tu sei immagine perfetta, continuamente offre al nostro bisogno insaziato di Dio, per mezzo dei sacramenti. La tua materna intercessione ci renda sempre desiderosi di attingere a questa sorgente inesauribile, affinché maturino in noi, abbondanti, i frutti dello Spirito. Possiamo, a nostra volta, guardando te e facendo nostri i valori da te vissuti, essere fonte di acqua viva per la sete di tanti fratelli che, consapevoli o meno, cercano Dio, unica risposta di senso.

sabato 7 maggio 2011

204 - IL NOSTRO CUORE ARDE MENTRE CI PARLI - 08 Maggio 2011 – Terza domenica di Pasqua (Atti 2,14a.22-33 1ª Pietro 1,17-21 Luca 24,13-35)

La fede nel Risorto è una certezza che va continuamente approfondita con l’ascolto della Parola e la condivisione eucaristica. Ce lo ricorda oggi l’esperienza dei discepoli di Emmaus. Riconoscere Gesù di Nazaret come il Salvatore inviato da Dio è un cammino di una nuova vita. Lo possiamo riconoscere negli eventi della storia, nelle persone che incontriamo, nei segni che egli ci ha lasciato, a condizione che il nostro cuore si apra alla sua parola e si lasci da essa interpellare. Il Signore ci è vicino, anche se spesso non ci accorgiamo. Anche per noi la pagina evangelica odierna descrive l’itinerario della nostra fede pasquale. I discepoli di Emmaus riconobbero Gesù risorto “nello spezzare il pane”, racconta il Vangelo di oggi: la condivisione fraterna dello stesso pane fa crollare il velo di incredulità dai loro occhi. Non ci parla solo dell’eucarestia, ma di una condivisione ampia, in grado di umanizzare la nostra convivenza umana.
Preghiera - Di domenica in domenica, Gesù, tu ci attendi all’appuntamento dell’Eucarestia. Arriviamo con il nostro fardello di tristezza e di scoraggiamento, incapaci spesso di interpretare ciò che ci sta accadendo e di scorgere i disegni di Dio nella storia così confusa in cui siamo immersi.
Tu ci ascolti, Gesù, ascolti le nostre perplessità, le nostre paure, i nostri interrogativi e ci fai intendere una Parola capace di leggere nel profondo dei nostri cuori, della nostra esistenza, di illuminare il nostro percorso. Mentre scende nell’anima, la tua Parola guarisce e consola, riaccende la fiamma sopita della fede e della speranza, dona energia nuova per camminare sulle tue vie.
È allora, Gesù, che tu spezzi per noi il Pane della vita, tu ci doni il tuo Corpo perché veniamo trasformati e formiamo un’unica famiglia, la tua famiglia, che porta agli uomini l’annuncio della misericordia e della grazia. Di domenica in domenica, Gesù, tu ci offri una sosta per rinfrancarci e rimetterci sulla via.
Preghiera a Maria - Benedetta tu, Maria, fra tutte le donne, perché della Parola ascoltata sei divenuta discepola, del Verbo accolto nel grembo sei stata madre, del Figlio nato dalla tua carne sei stata custode e maestra.
Benedetta tu, Maria, fra tutte le donne, perché fosti donna dal cuore docile e sapiente, mite e forte. Cammina sempre innanzi a noi come esempio luminoso e insegnaci a conservare nel cuore Parola ed eventi, per scoprire, nella storia piccola o grande d’ogni giorno, la presenza salvifica del tuo Figlio, e poter ridire con te l’“Eccomi, sono la serva del Signore”, attestazione dell’abbandono alla sua volontà.

venerdì 6 maggio 2011

203 - L’INCONTRO DOMENICALE CON IL RISORTO NELL’EUCARESTIA - 07 Maggio 2011 – Sabato 2ª sett. di Pasqua

Non è così lontano da noi il tempo nel quale bisognava avere coraggio per non andare alla Messa domenicale. Oggi, al contrario, occorre coraggio per partecipare all’Eucarestia nel giorno del Signore. Stante questa situazione, è utile per noi fare memoria del dato inoppugnabile che è stato il Signore risorto ad inaugurare questo incontro settimanale con i suoi discepoli. Il Risorto è “apparso la sera del primo giorno della settimana (domenica)”. Non solo, ma “otto giorni dopo (ancora domenica) i discepoli erano di nuovo in casa … venne Gesù, a porte chiuse, e stette in mezzo”.
Da allora gli Apostoli e le prime comunità cristiane hanno vissuto la fedeltà a questo evento settimanale che ha preso come riferimento identitario il giorno del Signore. I primi cristiani “erano perseveranti nell’insegnamento degli Apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere”. Naturalmente questa esperienza settimanale non è sempre facile. A tal punto che l’autore della lettera agli Ebrei deve esortare i suoi lettori: “non disertate le vostre assemblee, come alcuni di voi sono abituati a fare”. Osservando lo stile dei cristiani contemporanei si può facilmente affermare: “Non c’è niente di nuovo sotto il sole”.
Siamo chiamati a sottolineare come il nostro raccoglierci ogni domenica per celebrare l’Eucarestia rende attuale l’invito di Paolo ad “annunciare la morte del Signore finché egli venga”. Ci inserisce, poi, nel fiume immenso che scorre da duemila anni come sorgente viva e scintillante, che è, poi, il Signore stesso, il Risorto. Non dobbiamo, tuttavia, dimenticare che, alla pari di Tommaso gli Apostoli hanno dovuto oltrepassare ciò che vedevano per aderire al mistero del Vivente, che sembra, in alcuni momenti, un assente. Mentre loro vedevano un uomo nel quale riconoscevano il Signore con il quale avevano vissuto per tre anni. Tommaso, invece, li supera, lui che era stato incredulo, con la solenne professione di fede “mio Signore e mio Dio”. Vedeva un uomo e lo professava come Dio. L’Eucarestia domenicale permette anche a noi di professare il mistero della nostra fede aprendo il cuore allo Spirito perché subentri in noi il desiderio di unirci sempre più a Colui che era morto, ma che ora è il Vivente.

Preghiera a Maria – Tu, o Maria, sei la donna che hai dato carne al Verbo eterno. Con Lui sei vissuta per anni nella casa di Nazareth e, insieme a Giuseppe lo hai visto crescere, lavorare, obbedire … In quella casa hai accolto e meditato le primizie del Vangelo, cantato i Salmi, adorato in silenzio il mistero, glorificato Dio con la laboriosità delle tue mani. Rivela a noi la fecondità di questa vita nascosta, mistero del lievito in cui rinasce il mondo. Fa’ che, a tua immagine, possiamo essere ‘custodia vivente’ della Parola e viverla nell’incessante colloquio con il Padre. Amen.

202 - LA BEATITUDINE DELLA FEDE - 06 Maggio 2011 – Venerdì 2ª sett. di Pasqua

“Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Giovanni 20,29). La seconda parte della frase non è rivolta a Tommaso, ma piuttosto alla comunità dei futuri discepoli, a quelli che cronologicamente verranno più tardi, in tempi già lontani dalle origini cristiane. Sono coloro che crederanno grazie alla parola dei testimoni, ma per i quali Gesù prega il Padre: “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola” (Giovanni 17,20). È, in definitiva, la preghiera di Gesù che dà senso alla promessa di beatitudine, di felicità riguardante questi futuri credenti. Eppure costoro sono paradossalmente nella stessa situazione del discepolo amato quando, giunto alla tomba vuota, si apre alla fede anche se non ha ancora visto il Risorto. Il discepolo amato ha compiuto il suo cammino uscendo dalle tenebre; il medesimo cammino lo compiranno i discepoli futuri, ma con un aiuto in più: quello del Libro (Giovanni 20,30-31). Il discepolo amato (come anche Pietro e gli altri) non aveva ancora compreso le Scritture, mentre le generazioni future potranno contare sulla guida autorevole e sicura del Libro che raccontando i segni compiuti da Gesù, le porterà a riconoscere in lui il Figlio di Dio e colui che dà loro la vita. Non è allora vero che i discepoli futuri saranno meno fortunati dei primi testimoni. Anzi, godranno appunto del paradossale vantaggio di possedere la parola consegnata al Libro, che consentirà una visione unitaria del mistero di Cristo, senza perdersi nei frammenti e percorrere piste infruttuose.

Preghiera a Maria – Veglia su di noi, madre, e continua a generarci alla vita vera, poiché siamo tuoi figli. Guarda al mondo intero come l’hai visto dal monte del Calvario, smarrito dal suo egoismo, e indicagli Cristo via della salvezza. Rimani in mezzo alla Chiesa come in mezzo ai discepoli nel Cenacolo, e presiedi ancora all’incessante invocazione dello Spirito, perché i popoli diventino l’unica famiglia del Padre. E noi volgiamo costantemente lo sguardo a te, poiché la meta del tuo cammino terrestre – la tua assunzione – illumina anche il nostro, fino al giorno in cui troveremo, in Dio, l’immagine compiuta, e Lui sarà tutto in tutti. Amen.

201 - LA CONFESSIONE DI TOMMASO - 05 Maggio 2011 – Giovedì 2ª sett. di Pasqua

Il cammino dei discepoli, che nel quarto vangelo era iniziato già nella settimana inaugurale all’interno della cerchia dei simpatizzanti del Battista, giunge ora al suo apice, proprio nella confessione di fede di Tommaso. Sulla sua portata i commentatori non sono concordi, ma ci sembra decisamente più convincente la valutazione di questo atto di fede come la suprema dichiarazione cristologica del quarto vangelo. Va subito notato che il testo non offre alcuna indicazione che consenta di dire che Tommaso ha avuto effettivamente bisogno di ‘toccare’; in ogni caso le sue parole vanno ben oltre ciò che gli occhi possono vedere e i sensi sperimentare, perché la confessione giunge ad affermare la divinità stessa di Gesù. Questi ha invitato Tommaso a non voler diventare incredulo, ma a divenire/restare credente; ebbene, il discepolo eleva la sua proclamazione di fede, che letteralmente suona così: “Il mio Signore e il mio Dio!”. Dichiarando che Gesù è il suo Signore, Tommaso evidenzia la relazione che si stabilisce tra la sua persona, la sua intera esistenza, e il Crocifisso risorto; è un’appartenenza intima, profonda, assolutamente esclusiva di altre “signorie”. È una signoria che dà senso alla sua vita, le dà uno scopo e una direzione. Ma c’è di più: Tommaso riconosce in colui che gli appare come il Crocifisso risorto la rivelazione di Dio, la presenza di una divinità che gli occhi non possono vedere, ma che si mostra alla fede. All’esclamazione di Tommaso segue la parola di Gesù sulla beatitudine della fede: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (v.29). Anche su questa frase le opinioni dei commentatori sono molto diverse. Vi è chi coglie nella prima parte una domanda con una punta di rimprovero. Non a caso si citano testi rabbinici che esaltano colui che assume il giogo della Legge senza aver vissuto di persona gli eventi del Sinai. In altre parole si tratterebbe di una fede insufficiente, che ha bisogno di vedere e non si fonda sulla nuda parola. Per altri commentatori è preferibile leggere la frase come una felicitazione verso Tommaso da parte del Risorto: il vedere di Tommaso è sfociato nella fede, nel suo vero traguardo. Peraltro, in direzione di questa lettura può portare la promessa di Gesù ai suoi discepoli durante l’ultima Cena: “ Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi” (Giovanni 14,19-20). Tommaso ha dunque visto il vivente, ma ha conosciuto anche qualcosa che gli occhi non possono vedere, e cioè l’unità tra Gesù e il Padre, conoscenza che lo porta allora a confessare Gesù come il suo Dio!

Preghiera a Maria – O Signora, mia santissima, madre di Dio, piena di grazia. Dopo la Trinità, signora universale, dopo il Paraclit, altro consolatore, dopo il Mediatore, mediatrice di tutti gli uomini. In te ho speranza, e vedrò realizzato il mio desiderio; in te trovo motivo di gloria; non volgere il tuo sguardo da me, indegno tuo servo, a causa dei miei numerosi errori e peccati. Tu che hai generato in modo misterioso una persona della Trinità, il Figlio di Dio, l’hai portato in braccio, l’hai nutrito al tuo seno, ricorda i giorni della sua prima infanzia; unisti le tue sofferenze alle sue, alla croce, al sangue, alle ferite che ci hanno salvato. Non privarmi, ti prego, della tua protezione, ma aiutami e vieni sempre in mia difesa. Amen. (preghiera alla Madre di Dio composta in Siria nel VI secolo)

200 - ESSERE FAMIGLIA

“Che tutte le famiglie abbiano lo spazio vitale necessario per vivere in una casa, abbiano una tavola dove non manchi il pane, abbiano la gioia della condivisione tra genitori e figli, abbiano il coraggio di vivere il loro compito educativo nella crescita, formazione e maturazione delle nuove generazione, abbiano la speranza in un futuro migliore che nasce dalla fede, restino unite per poter vivere e testimoniare lo spirito del vangelo, diano esempio di bontà, di solidarietà e di giustizia, siano scuola di aiuto vicendevole, di perdono e di riconciliazione, vivano un autentico spirito di preghiera e di raccoglimento che porta alla pace personale, familiare e sociale, siano l’ambiente vitale dove i figli, educati ai valori evangelici, possano scoprire la loro vocazione al servizio della società e della Chiesa e trovino la via per realizzare la loro identità cristiana!”

199 - OTTO GIORNI DOPO - 04 Maggio 2011 – Mercoledì 2ª sett. di Pasqua

“Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo …” (Giovanni 20,26). La scena è come la precedente, anche nel particolare delle porte chiuse. Qui però non si annota più che è per timore dei giudei, ma piuttosto perché questa situazione di chiusura è come la materializzazione dell’indisponibilità di Tommaso a credere. Ecco allora Gesù venire; il verbo, in greco, è al presente e suggerisce l’identità del Risorto, di cui si può dire che è ‘colui che viene’, in quanto in lui si realizza quel ‘venire’ di Dio che è uno dei temi centrali del discorso teologico del Primo Testamento. Al venire corrisponde poi il suo ‘stare in mezzo’ ai discepoli; è uno ‘stare’ che dice l’essenza profonda della comunità cristiana, come una comunione raccolta attorno a lui, centro e punto fermo. Il Risorto viene in mezzo a loro come portatore di pace. Viene per sua iniziativa e non come risultato della preghiera dei discepoli; è un venire che compie la promessa formulata nel primo discorso di addio (Giovanni 14,18). D’altra parte il Risorto non è il Gesù terrestre e redivivo, ma è colui che è andato al Padre, e perciò può donare ai suoi discepoli la pace. Questa non è un semplice augurio, un auspicio, ma è il frutto della sua morte e risurrezione, un dono reale che trasforma i discepoli e consente loro di superare ogni turbamento. Da tutto ciò sembrerebbe escluso Tommaso, e invece per lui il Risorto ha un’attenzione speciale, perché si mostra disponibile ad accettare le condizioni poste dal discepolo, cui non basta dire una cosa perché altri la dicono. Costui ha insistito sulle mani, sul costato, sulle ferite inflitte al corpo di Gesù. Ebbene, Gesù libera la richiesta del discepolo da tutto ciò che di inadeguato contiene, e cioè il tratto dell’incredulità, per mantenere invece ferma quell’istanza di non banalizzare la sua morte, togliendo consistenza alla concretezza di un corpo piagato, straziato, ucciso. Gesù condivide con Tommaso il fatto che la morte è il ‘caso serio’, e perciò lo invita a mettere le sue mani nei segni dei chiodi e nel costato. D’altra parte lo mette in guardia di fronte alla china pericolosa sui cui Tommaso è avviato, e cioè quella dell’incredulità. Ecco allora l’esortazione a non divenire incredulo, ma ad essere credente (v. 27). Sono proprio queste parole che distolgono Tommaso dall’incredulità e lo mettono sulla via della fede. Non è asserito con ciò che Tommaso sia incredulo o un credente (preferiamo leggere i due termini àpistos e pistós non come aggettivi, ma come sostantivi). Questa alternativa è proposta dall’evangelista, attraverso la figura di Tommaso, alla comunità dei credenti e ad ogni singolo membro, perché si tratta di decidere da quale parte si vuole stare: con il Crocifisso o contro; dalla parte della fede o dell’incredulità.

Preghiera a Maria
– Sei tu, Maria, la vergine sapiente che “si è scelta la parte migliore” (Luca 10, 42). Sei tu la maestra di verità che ha meditato, confrontandoli, i misteri di Dio. Sei tu colei che ha generato Cristo, sapienza del Padre, riconosciuto e adorato dai sapienti della terra. Con te prego il Signore: “Donami, o Dio, la sapienza del cuore; donami di conoscerti e conoscere me stesso alla tua luce; donami di far maturare quella creatura nuova, secondo lo Spirito, che geme e attende di essere liberata per il tuo servizio e la tua gloria. Amen”.

198 - LA MORTE E’ IL ‘CASO SERIO’ DELLA VITA - 03 Maggio 2011 – Martedì 2ª sett. di Pasqua

Il rifiuto di Tommaso ad accogliere la loro testimonianza non è la gretta obiezione del sensista, disposto a riconoscere soltanto quanto i sensi comunicano, e neppure la più raffinata resistenza del razionalista, che riconosce solo le evidenze dimostrabili dalla sua ragione. Se resiste nella sua negazione di quanto i discepoli affermano è perché non vuole giocare con la serietà della morte. Egli non può verificare con qualche favoletta il dramma che ha coinvolto il suo Maestro e che ha travolto l’intero gruppo dei discepoli. La morte è il caso serio della vita, e soluzioni facili non sono per lui accettabili, perché sono solo farmaci inefficaci, palliativi per non cadere nella disperazione. Tommaso esige allora che la vittoria sulla morte proclamata dai discepoli sia in qualche modo tangibile e non una pia frode per non ammettere con se stessi la tragedia. Ecco allora la sua provocazione: “ Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo” (Giovanni 20,25). Nella sua richiesta vi è qualcosa di analogo a quella di Maria di Magdala, quando reclamava dal giardiniere il corpo di Gesù. Ma non è soltanto la pretesa di poter sperimentare il contatto fisico con il corpo risorto di colui che era stato crocifisso, bensì anche il desiderio di non scordare mai quanto quell’uomo li aveva amati, tenendo fisse nella mente le ferite dei chiodi, le mani trafitte, il costato squarciato. Propriamente, Tommaso non dice di non credere alla possibilità della risurrezione, ma esige che la morte di Gesù non venga messa tra parentesi. D’altra parte ha la pretesa di imporre le sue condizioni, rivendicando i diritti di un assente. E qui è la sua incredulità, perché è una fede il cui cammino si è arrestato a metà, e sembra irrimediabilmente arenato.

Preghiera a Maria – Tu che eri assidua alle preghiere, intuivi qualcosa del mistero nascosto in quelle arcane parole che l’angelo faceva risuonare dentro il tuo cuore e, dopo l’immediato, umano turbamento, hai dato l’adesione di fede dicendoti ‘serva della divina volontà’. Serva sei stata in tutti gli istanti della tua vita, vissuta accanto a quel Figlio … Per questo, ora siedi regina presso il trono di Cristo Signore, da dove intercedi per noi grazia e pietà. Insegnaci, sorella e madre, a comprendere che soltanto servendo Dio e i fratelli, possiamo trovare, come te, pienezza di vita e di gioia. Amen.

197 - TOMMASO E IL ‘CASO SERIO’ - 02 Maggio 2011 – Lunedì 2ª sett. di Pasqua

Premessa -La pericope evangelica proposta dalla liturgia della seconda domenica di pasqua è articolata sulle due scene delle apparizioni di Gesù ai discepoli: la prima in assenza di Tommaso (Giovanni 20,19-23); la seconda con la sua presenza (20,24-29); infine vi è la prima conclusione del vangelo giovanneo, con una riflessione sul ruolo del Libro nel cammino di fede (20,30-31). Qui sosteremo sull’apparizione di Gesù in presenza di Tommaso e sul finale giovanneo.
Tommaso e il ‘caso serio’. “Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù” (v.24). Il luogo in cui è ambientata questa scena pasquale è il medesimo della prima apparizione; l’atmosfera interiore resta quella della gioia che ha pervaso il cuore dei discepoli, ma uno ne sembra escluso, e cioè colui che era assente alla sera del primo giorno della settimana, quando il Risorto era venuto dai suoi. Si tratta di Tommaso, che rimane ancora nelle tenebre dell’incredulità, in quelle tenebre in cui all’inizio si erano trovati Maria di Magdala, Pietro e lo stesso discepolo amato. Eppure Tommaso ha una relazione intensa con Gesù, quasi come quella che lega due gemelli tra loro. È proprio questo che l’evangelista mette in rilievo, ricordando il nome aramaico, che significa appunto ‘gemello’ e traducendolo anche nel corrispondente termine greco, dato che dìdymos significa appunto ‘gemello’. Tommaso aveva manifestato una forte solidarietà discepolare con il Maestro, allorché si era dichiarato disposto ad affrontare la morte con lui, in occasione del viaggio in Giudea per andare da Lazzaro: “Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: ‘Andiamo anche noi a morire con lui!’” (Giovanni 11,16). Un’intenzione simile sembra implicita nella sua richiesta, durante la Cena, di poter conoscere la meta di Gesù e la strada da percorrere con lui. In tale occasione, però, non si mostra del tutto sicuro di poter davvero camminare con il Maestro (“Gli disse Tommaso: ‘Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?” - Giovanni 14,5). Ora la sua situazione sembra confliggere totalmente con il significato del suo nome: il gemello non c’era, quando era venuto Gesù! Così, di fronte ai condiscepoli che cercano di comunicargli insistentemente la loro fede pasquale (“gli dicevano …”), egli appare arroccato nella sua chiusura, che va però compresa senza deformazioni caricaturali.

Preghiera a Maria – Vergine Santa, tu sei stata prediletta dall’eterno Padre che ti ha scelta per essere la madre del suo Figlio. Ma, in Lui, sei anche madre della Chiesa e di ogni cristiano. Vieni sempre, premurosa, a noi, come sei andata da Elisabetta, portandoci il frutto benedetto del tuo seno. Vieni sempre, piena di grazia, a noi, per donarci l’autore della nostra salvezza. Non cesseremo di chiamarti con il dolce nome di ‘madre’. E tu donaci la tua parola che ci riporta sul retto cammino, il tuo esempio che ci attrae alla sequela di Cristo, la tua preghiera che ci ottiene il perdono e la pace. Amen.