Sappiamo che dopo la risurrezione del Signore la Chiesa, che siamo tutti noi, si va organizzando e si va manifestando nel tempo come sacramento universale di salvezza. Il capitolo 21 di Giovanni evidenzia tre ambiti particolari che concorrono a dare un volto missionario, sacrificale e di comunione alla Chiesa. È opportuno coglierne i contenuti e le suggestioni.
La missione della Chiesa – Giovanni (21,4) ricorda che Gesù va ad incontrare il gruppo dei discepoli là dove essi avevano vissuto l’apprendistato della missione: il lago di Tiberiade. Va là dove a Pietro aveva promesso che sarebbe diventato pescatore di uomini. Non a caso gli Atti ci ricordano che gli Apostoli rendono testimonianza al Risorto. La Chiesa è la comunità di coloro che hanno fede nel Risorto e che credono anche nelle situazioni difficili. Per questo annunciano a Gesù, sicuri di riuscire non con persuasioni umane, ma con la potenza del Risorto che si manifesta con risultati inattesi. Sono inattesi perché sgorgano dall’affermazione: “Senza di me non potete fare nulla” (21,5) e non dalle nostre – a volte furbastre – strategie pastorali. Gli Apostoli ne fanno esperienza. Annota il Vangelo: “Quella notte non presero nulla”(15,5). La missione della Chiesa è fruttuosa ad una condizione: che percepisca in essa la presenza del Risorto, lo si riconosca e lo si invochi. Si può allora capire che questa missione non è più quella dei missionari col casco in testa, a cavallo, verso l’ignoto. La si può vivere anche qui, con il vicino di casa che non è aperto alla speranza, che non sa nulla sulla Vangelo-Buona notizia, che confida solo in una lotteria nazionale o in un condono illegale.
L’Eucarestia - Gesù, dopo la pesca, invita i discepoli: “Venite a mangiare”(21,12). Il Risorto imbandisce la mensa, personalmente distribuisce pane e pesce: gesto che è memorabile discreto della moltiplicazione dei pani e dell’Ultima Cena. Per questo l’Apocalisse proclama che “l’Agnello immolato è degno di ricevere onore, gloria e benedizione”(5,12) e che “i quattro esseri viventi dicevano: Amen”(5,14). In questo contesto eucaristico la missione della Chiesa è realizzata dai non potenti perché la possiamo o, in alcuni casi, la dobbiamo vivere in solitudine. Discorso ostico in questo tempo, nel quale si pensa che l’uomo possa tutto; ostico per gli attivisti cristiani che, malati di protagonismo, si comportano come se tutto dipendesse da loro. È l’eucarestia che consegna alla Chiesa, nella ritualità, la realtà sacrificale della Pasqua di cui si fa memoria. E questa memoria è veramente mistero della fede, essendo mistero della fedeltà alla Parola-evento dell’Ultima Cena, all’amore (lavanda dei piedi) di cui è sorgente e segno.
Il servizio di Pietro - Sappiamo che nel gruppo apostolico Pietro occupa un posto preminente. Lui aveva preso l’iniziativa della pesca sul lago. Lui si era buttato in acqua per raggiungere il Signore. A lui Gesù rivolge l’interrogativo sull’amore, in relazione al triplice rinnegamento della passione. In quel semplicissimo ed essenziale conclave narrato dal Vangelo, Gesù non chiede a Pietro: quante lauree hai, quante lingue parli correttamente, qual è il tuo curriculum ecclesiastico, qual è lo stato attuale della tua salute? Chiede solo e in forma decisiva: “mi ami più di costoro?”(Giovanni 21,15). La triplice confessione d’amore da parte di Pietro è seguita dall’annuncio del suo martirio, come per il Maestro. La Chiesa, noi, siamo promossi alla Croce. In questa prospettiva il “seguimi”(15,19) di Cristo a Pietro è senza riserva, sulle strade dell’amore, fino al dono della propria vita.
Preghiera a Maria - Salve, unica porta per la quale solo il Verbo è passato! O mistica porta della vita, immacolata genitrice di Dio, libera dai pericoli coloro che con fede a te ricorrono, affinché possiamo glorificare il tuo santissimo Figlio, salvezza delle anime nostre. Ezechiele ti previde come porta invalicabile, o Purissima, che apri a tutti gli afflitti le porte della penitenza; e perciò ti supplico: aprimi il varco che fa entrare nel riposo. O santa Vergine, tu sei porta di salvezza, paradiso di delizie e nube della luce eterna; noi inneggiamo a te e ti ripetiamo l’Ave!
La missione della Chiesa – Giovanni (21,4) ricorda che Gesù va ad incontrare il gruppo dei discepoli là dove essi avevano vissuto l’apprendistato della missione: il lago di Tiberiade. Va là dove a Pietro aveva promesso che sarebbe diventato pescatore di uomini. Non a caso gli Atti ci ricordano che gli Apostoli rendono testimonianza al Risorto. La Chiesa è la comunità di coloro che hanno fede nel Risorto e che credono anche nelle situazioni difficili. Per questo annunciano a Gesù, sicuri di riuscire non con persuasioni umane, ma con la potenza del Risorto che si manifesta con risultati inattesi. Sono inattesi perché sgorgano dall’affermazione: “Senza di me non potete fare nulla” (21,5) e non dalle nostre – a volte furbastre – strategie pastorali. Gli Apostoli ne fanno esperienza. Annota il Vangelo: “Quella notte non presero nulla”(15,5). La missione della Chiesa è fruttuosa ad una condizione: che percepisca in essa la presenza del Risorto, lo si riconosca e lo si invochi. Si può allora capire che questa missione non è più quella dei missionari col casco in testa, a cavallo, verso l’ignoto. La si può vivere anche qui, con il vicino di casa che non è aperto alla speranza, che non sa nulla sulla Vangelo-Buona notizia, che confida solo in una lotteria nazionale o in un condono illegale.
L’Eucarestia - Gesù, dopo la pesca, invita i discepoli: “Venite a mangiare”(21,12). Il Risorto imbandisce la mensa, personalmente distribuisce pane e pesce: gesto che è memorabile discreto della moltiplicazione dei pani e dell’Ultima Cena. Per questo l’Apocalisse proclama che “l’Agnello immolato è degno di ricevere onore, gloria e benedizione”(5,12) e che “i quattro esseri viventi dicevano: Amen”(5,14). In questo contesto eucaristico la missione della Chiesa è realizzata dai non potenti perché la possiamo o, in alcuni casi, la dobbiamo vivere in solitudine. Discorso ostico in questo tempo, nel quale si pensa che l’uomo possa tutto; ostico per gli attivisti cristiani che, malati di protagonismo, si comportano come se tutto dipendesse da loro. È l’eucarestia che consegna alla Chiesa, nella ritualità, la realtà sacrificale della Pasqua di cui si fa memoria. E questa memoria è veramente mistero della fede, essendo mistero della fedeltà alla Parola-evento dell’Ultima Cena, all’amore (lavanda dei piedi) di cui è sorgente e segno.
Il servizio di Pietro - Sappiamo che nel gruppo apostolico Pietro occupa un posto preminente. Lui aveva preso l’iniziativa della pesca sul lago. Lui si era buttato in acqua per raggiungere il Signore. A lui Gesù rivolge l’interrogativo sull’amore, in relazione al triplice rinnegamento della passione. In quel semplicissimo ed essenziale conclave narrato dal Vangelo, Gesù non chiede a Pietro: quante lauree hai, quante lingue parli correttamente, qual è il tuo curriculum ecclesiastico, qual è lo stato attuale della tua salute? Chiede solo e in forma decisiva: “mi ami più di costoro?”(Giovanni 21,15). La triplice confessione d’amore da parte di Pietro è seguita dall’annuncio del suo martirio, come per il Maestro. La Chiesa, noi, siamo promossi alla Croce. In questa prospettiva il “seguimi”(15,19) di Cristo a Pietro è senza riserva, sulle strade dell’amore, fino al dono della propria vita.
Preghiera a Maria - Salve, unica porta per la quale solo il Verbo è passato! O mistica porta della vita, immacolata genitrice di Dio, libera dai pericoli coloro che con fede a te ricorrono, affinché possiamo glorificare il tuo santissimo Figlio, salvezza delle anime nostre. Ezechiele ti previde come porta invalicabile, o Purissima, che apri a tutti gli afflitti le porte della penitenza; e perciò ti supplico: aprimi il varco che fa entrare nel riposo. O santa Vergine, tu sei porta di salvezza, paradiso di delizie e nube della luce eterna; noi inneggiamo a te e ti ripetiamo l’Ave!
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.