Ed entrò per rimanere con loro -Il viaggio volge verso la sua conclusione e viene il momento della separazione, per cui l’anonimo interlocutore sembra voler lasciare i due per proseguire nel suo cammino. Non è solo un trucco narrativo, ma una manifestazione dello stile di Gesù, che si lascia incontrare se si è disposti ad incontrarlo. Orbene, la richiesta dei due, perché il loro compagno di viaggia rimanga con loro, è più dell’uso orientale dell’ospitalità che prevede pressanti inviti rivolti all’ospite perché accetti. È invece la domanda di ogni credente, che si fa preghiera al Risorto, invocazione accorta della sua presenza, specie quando si affacciano le ombre della prova, il buio del dubbio, la notte del dolore: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto” (Luca 24,29). Gesù accoglie questa richiesta, accettando l’invito; ma l’espressione evangelica è assai più intrigante, in quanto si afferma che “entrò per rimanere con loro”. Non entra semplicemente per condividere un momento fugace o per farsi riconoscere, ma per ‘rimanere’. E l’insistenza è sul ‘con loro’ (tre volte nei vv. 29-30), a sottolineare così la sua volontà di comunione intima. E da allora non ha mai smesso di rimanere con i suoi! Gesù vuole entrare nella vita dei credenti, fino a prendere dimora in loro. Questa realtà del ‘rimanere’ del Risorto provoca tutta una serie di risonanze nei testi biblici. Anzitutto si pensi alla promessa del Risorto in Mt 28,20: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. E ricordiamo anche la stupenda immagine della promessa di Ap3,20: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”.
Si aprono i loro occhi - Quanto avviene in quella casa ha i tratti di gesti estremamente familiari e insieme assolutamente singolari. Mettersi a tavola e spezzare il pane è cosa ordinaria, come pronunciare la benedizione su di esso. D’altra parte il tratto singolare è che tutti questi gesti richiamano la passione del Signore, l’ultimo pasto con i suoi discepoli: “Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro” (Luca 22,19). Quanto i due discepoli volevano lasciarsi alle spalle, e cioè la morte del loro Maestro, che era stata, per così dire, anticipata nella Cena, ora viene riproposto loro dai gesti del misterioso ospite. Adesso questi gesti diventano per loro comprensibili, perché sono stati illuminati dalla Parola. E così si arrendono ai gesti di Dio che parlano di un amore umanamente incomprensibile, paradossale, perché pronto a dare la vita. Sta avvenendo in loro una profonda trasformazione, perché finalmente si lasciano amare da un amore che accetta il fallimento pur di donarsi all’amato. È una trasformazione che non avviene per opera loro, grazie alle loro risorse interiori, psicologiche, ma è evento di grazia, così some evidenzia letteralmente il testo greco: “Furono aperti i loro occhi”. Luca usa qui il verbo dianóighein, che non indica un semplice aprirsi, ma uno spalancarsi pieno (cfr. Mc 7,34) e lo propone al passivo, proprio per indicare l’azione divina. I loro occhi interiori erano già stati dischiusi al senso delle Scritture; ora vengono aperti per riconoscere il Vivente. Certamente è una visione che, pur coinvolgendo il corpo, trascende la dimensione materiale, come appare dall’annotazione immediatamente successiva che Gesù sparisce dalla loro vista, una volta che è stato riconosciuto. Non è più necessario vederlo, perché ormai i due discepoli sono stati educati a comprendere che egli è sempre con loro ed è presente nel segno del pane spezzato (eucarestia), della Parola ascoltata, del cammino condiviso. I due hanno dunque riconosciuto che il Risorto è il Vivente, ed è una presenza fedelissima, reale e misteriosa, che è ‘già’ e ‘per sempre’ con i credenti. Questo riconoscimento prende anche l’aspetto di un fare memoria del cammino con Gesù, dell’esperienza del lavoro intimo che la sua parola ha fatto nel loro cuore, fino a farlo ardere nel petto. È un fuoco che si è acceso in loro e che non si spegnerà più, perché è come il battesimo in spirito e fuoco (Luca 3,16).
Preghiera a Maria - “Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te!”. La gioia sbocciata nel tuo cuore di vergine, all’annuncio dell’angelo, è rimbalzata sui colli di Giuda, fino alla casa di Elisabetta, fino al grembo gravido in cui Giovanni “ha esultato di gioia”, e poi si è effusa nel canto: “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente …”. Nello stupore hai generato il tuo Creatore e con silenzio e umiltà lo hai seguito fino a soffrire con lui la passione, ma gioendo poi indicibilmente per la sua risurrezione. Ti ringraziamo, Maria, perché donandoci Colui che ci salva, la tua gioia si trasfonde in noi; e ti preghiamo: questa gioia essenziale sia risvegliata dall’attenzione orante, capace di riconoscere la sua presenza salvifica nella ‘piccola storia’ di ogni giorno.
Si aprono i loro occhi - Quanto avviene in quella casa ha i tratti di gesti estremamente familiari e insieme assolutamente singolari. Mettersi a tavola e spezzare il pane è cosa ordinaria, come pronunciare la benedizione su di esso. D’altra parte il tratto singolare è che tutti questi gesti richiamano la passione del Signore, l’ultimo pasto con i suoi discepoli: “Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro” (Luca 22,19). Quanto i due discepoli volevano lasciarsi alle spalle, e cioè la morte del loro Maestro, che era stata, per così dire, anticipata nella Cena, ora viene riproposto loro dai gesti del misterioso ospite. Adesso questi gesti diventano per loro comprensibili, perché sono stati illuminati dalla Parola. E così si arrendono ai gesti di Dio che parlano di un amore umanamente incomprensibile, paradossale, perché pronto a dare la vita. Sta avvenendo in loro una profonda trasformazione, perché finalmente si lasciano amare da un amore che accetta il fallimento pur di donarsi all’amato. È una trasformazione che non avviene per opera loro, grazie alle loro risorse interiori, psicologiche, ma è evento di grazia, così some evidenzia letteralmente il testo greco: “Furono aperti i loro occhi”. Luca usa qui il verbo dianóighein, che non indica un semplice aprirsi, ma uno spalancarsi pieno (cfr. Mc 7,34) e lo propone al passivo, proprio per indicare l’azione divina. I loro occhi interiori erano già stati dischiusi al senso delle Scritture; ora vengono aperti per riconoscere il Vivente. Certamente è una visione che, pur coinvolgendo il corpo, trascende la dimensione materiale, come appare dall’annotazione immediatamente successiva che Gesù sparisce dalla loro vista, una volta che è stato riconosciuto. Non è più necessario vederlo, perché ormai i due discepoli sono stati educati a comprendere che egli è sempre con loro ed è presente nel segno del pane spezzato (eucarestia), della Parola ascoltata, del cammino condiviso. I due hanno dunque riconosciuto che il Risorto è il Vivente, ed è una presenza fedelissima, reale e misteriosa, che è ‘già’ e ‘per sempre’ con i credenti. Questo riconoscimento prende anche l’aspetto di un fare memoria del cammino con Gesù, dell’esperienza del lavoro intimo che la sua parola ha fatto nel loro cuore, fino a farlo ardere nel petto. È un fuoco che si è acceso in loro e che non si spegnerà più, perché è come il battesimo in spirito e fuoco (Luca 3,16).
Preghiera a Maria - “Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te!”. La gioia sbocciata nel tuo cuore di vergine, all’annuncio dell’angelo, è rimbalzata sui colli di Giuda, fino alla casa di Elisabetta, fino al grembo gravido in cui Giovanni “ha esultato di gioia”, e poi si è effusa nel canto: “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente …”. Nello stupore hai generato il tuo Creatore e con silenzio e umiltà lo hai seguito fino a soffrire con lui la passione, ma gioendo poi indicibilmente per la sua risurrezione. Ti ringraziamo, Maria, perché donandoci Colui che ci salva, la tua gioia si trasfonde in noi; e ti preghiamo: questa gioia essenziale sia risvegliata dall’attenzione orante, capace di riconoscere la sua presenza salvifica nella ‘piccola storia’ di ogni giorno.
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