sabato 27 novembre 2010

98 - AVVENTO I – VIGILATE - 28 NOVEMBRE 2010 – Avvento in famiglia…

LA PAROLA DOMENICALE LETTA IN FAMIGLIA
(Isaia 2, 1-5 Romani 13, 11-14a Matteo 24, 37-44)

L’Avvento non è tempo di tristezza, ma di gioia, questo tempo liturgico invita a celebrare l’attesa di Cristo, alimenta la speranza in colui che Dio manda a salvare l’umanità. E’ il “Messia, il “Cristo”, viene a noi sempre nel mistero. Viene a noi nel mistero della carne, ossia nel mistero della storia. Viene a noi nel mistero dell’eucarestia: qui i cristiani possono riconoscere, personalmente e come comunità, il Signore che viene nella loro vita, che pianta la sua tenda in mezzo a noi, e che ci educa, di domenica in domenica, ad un atteggiamento di accoglienza.
La speranza produce gioia: i Padri della Chiesa parlavano di una “sobria ebrietas”, una serena e pacata esultanza per la certezza che Egli viene e che non possiamo accoglierLo nelle nostre case. Senza questo apprendimento ad accogliere coLui che viene, non è possibile celebrare cristianamente il Natale. E’ questo che rende concreta la nostra speranza e attenta e vigilante la nostra attesa. Ma siamo anche consapevoli che l’incontro con coLui che viene nella nostra vita, incontro che salva, comporta anche un “giudizio” sulla storia e sulle nostre singole vite. Un giudizio che non può essere rimandato alla sua, e definitiva, “seconda venuta”. Il giudizio sulla vita, alla luce della sua presenza e della sua parola, è adesso e chiede conversione.
In questa prima domenica la fiducia di Dio “che viene” ci introduce nel tempo di Avvento e contraddistingue la nostra preghiera. La speranza fa vivere. Gesù scuote i discepoli, impedisce che il loro amore si raffreddi, non esita a ricorrere ad immagini severe, che comunicano un senso di urgenza e richiamano all’attenzione la coscienza di chi ascolta. L’Avvento liturgico, mentre celebra questa attesa della venuta di Gesù, alimenta la nostra tensione di credenti verso l’incontro definitivo con Lui, dando unità e senso ai molti frammenti di cui si compone le nostra vita.

Avvento in famiglia…
L’Avvento celebra la venuta di Gesù nel tempo e nella storia degli uomini per portare a loro la salvezza e prepara la seconda venuta di nostro Signore.
Memoria e attesa stanno a fondamento della vita familiare: ricordare la nascita del proprio amore, la sua celebrazione e consacrazione definitiva, il suo percorso nei vari anni di matrimonio, l’arrivo dei figli… E’ occasione per dire grazie all’altro/a ed insieme ringraziare Dio del dono della fedeltà.
Da qui si parte per guardare avanti, per dare colore e calore agli anni che verranno, per vedere di meglio individuare la rotta che ci porta ad apprezzare il mistero della vita donata di nostra moglie o di nostro marito, per costruire insieme la pace familiare, per superare uniti eventuali difficoltà ed ostacoli.
Come è certo che il Signore viene tra noi (“Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome lì sono Io in mezzo a loro” Matteo 18, 20), come è certo che dopo ogni tramonto viene un’alba nuova… così è certo che là dove c’è preghiera, memoria, attesa, impegno d’amore, accoglienza, desiderio di bene… la famiglia vive!

mercoledì 24 novembre 2010

97 - Una settimana per SENTIRSI AMATI

Ottavo giorno: Vivere come Amati
In quanto scelti, benedetti, spezzati e dati, siamo chiamati a vivere le nostre vite con profonda, intima gioia e pace…
Ma che dire del nostro desiderio di fare carriera, della nostra speranza di avere successo e fama e del nostro sogno di farci un nome? Sono da disprezzare? Queste aspirazioni sono in contrasto con la vita spirituale?
Qualcuno potrebbe rispondere di sì a queste domande e consigliarti di lasciare il ritmo frenetico della grande città e cercare un ambiente dove puoi perseguire la vita spirituale senza restrizioni. Ma non credo che sia la tua strada. Non credo che il tuo posto sia in monastero, o in una comunità come “L’Arche” dove vivo io, o nella solitudine della campagna. Vorrei anche dirti che la città, con le sue sfide, non è un luogo così cattivo per te, la tua famiglia e i tuoi amici. C’è stimolo, eccitazione, movimento moltissime cose da vedere, sentire, gustare e gioire. Il mondo è malvagio solo quando diventi il suo schiavo. La grande lotta da affrontare non è lasciare il mondo, rifiutare le tue ambizioni e aspirazioni, o disprezzare il denaro, il prestigio o il successo, ma rivendicare la tua verità spirituale e vivere nel mondo come qualcuno che non gli appartiene. E’ eccitante vincere una gara, è interessante incontrare persone influenti, dà ispirazione ascoltare un concerto, vedere un film, visitare una nuova mostra. E che c’è di sbagliato nell’avere buoni amici, buon cibo e bei vestiti?
Credo profondamente che tutte le buone cose che il nostro mondo ha da offrire sono per la tua gioia. Ma puoi gioirne veramente solo quando puoi esserne riconoscente perché affermano la verità che tu sei l’Amato di Dio. Questa verità ti renderà libero di accogliere con gratitudine la bellezza della natura e della cultura, come segno del tuo “essere Amato”. Questa verità ti permetterà di ricevere i doni che la società ti offre e di celebrare la vita. Ma ti permetterà anche di allontanarti da tutto ciò che ti distrae, ti confonde e mette a repentaglio la vita dello Spirito dentro di te.
Il mistero insondabile di Dio è che Dio è un Innamorato che vuole essere amato. Colui che ci ha creato sta aspettando la nostra risposta all’amore che ci ha dato la vita. Dio non dice solamente: “Tu sei il mio Amato”, Dio chiede anche: “Mi ami?” e ci dà innumerevoli possibilità per dire “sì” alla nostra verità interiore. La vita spirituale, così compresa, cambia radicalmente ogni cosa. L’essere nati e cresciuti, l’avere lasciato la casa e cercato una professione, l’essere lodato e l’essere rifiutato, il camminare e il riposare, il pregare e il giocare, l’ammalarsi e l’essere guarito – sì, il vivere e il morire – diventano tutte espressioni della domanda divina: “Mi ami?” e in ogni momento del viaggio c’e’ sempre la possibilità di dire di “sì” e la possibilità di dire “no”.
Quello che però desidero dire è che quando la totalità della nostra vita quotidiana è vissuta “dall’Alto”, in virtù del fatto che siamo gli Amati mandati nel mondo, allora chiunque incontriamo e qualsiasi cosa ci accada diventa una opportunità unica di scegliere per la vita, la quale non può essere soggiogata dalla morte. Così, sia la gioia che la sofferenza diventano parte del cammino verso la nostra realizzazione spirituale.
Dove ci porta questo? Io penso che ci riporti al “posto” da dove veniamo, il “posto” di Dio. Siamo stati mandati su questa terra, per un breve periodo, per dire – attraverso le gioie e i dolori del tempo a nostra disposizione – il grande “sì” all’amore che ci è stato dato e, così facendo, tornare a Colui che ci ha mandato con quel “sì” scolpito nei nostri cuori. La nostra morte può essere il momento del ritorno solo se la nostra intera vita è stata un viaggio di ritorno verso Colui dal quale noi veniamo e che ci ha chiamati Amati. Penso che questa che viviamo sia come una missione nel tempo, una missione veramente stimolante ed anche eccitante, soprattutto perché Colui che mi ha inviato in missione sta aspettando il mio ritorno a casa perchè gli racconti la storia di ciò che ho imparato.
Mi chiedi se ho paura di morire? Ne ho ogni volta che mi lascio sedurre dalle rumorose voci del mio mondo che mi dicono che la mia “piccola vita” è tutto ciò che ho e mi consigliano di tenermi stretto a lei con tutte le mie forze. Ma quando lascio che queste voci tornino sullo sfondo della mia vita e ascolto la piccola voce tenera che mi chiama Amato, so che non ho nulla da temere e che morire è il più grande atto d’amore. Atto che mi porta nell’eterno abbraccio del mio Dio il cui amore è per sempre.
(Le riflessioni sono tolte dal libro SENTIRSI AMATI di Henri J.M. Nouwen – Editrice Queriniana)

96 - Una settimana per SENTIRSI AMATI

Settimo giorno: Per diventare l’Amato … essere Dato
Il quarto aspetto della vita dell’Amato è essere dato. Per me, personalmente, questo significa che solo come persone che sono date possiamo, comprendere appieno il nostro essere scelti, benedetti e spezzati. Nel “dare” diventa chiaro che siamo scelti, benedetti e spezzati non semplicemente per noi stessi, ma perché tutto ciò che noi viviamo trovi il suo significato finale nel suo essere vissuto per gli altri.
Tutti conosciamo per esperienza la gioia che deriva dall’essere capaci di fare qualcosa per un’altra persona: “Tu hai fatto molto per me, e io ti sarò grato per sempre per quello che mi hai dato”. Parte della mia gratitudine è, tuttavia, il risultato di vederti così felice nel darmi tanto.
Che stupendo mistero è questo! La nostra più grande realizzazione sta nel dare noi stessi agli altri. Sebbene spesso sembri che la gente dia solo per ricevere, credo che, al di la’ di qualsiasi nostro desiderio di essere apprezzati, premiati e riconosciuti, ci sia il puro e semplice desiderio di dare. La nostra umanità arriva alla sua espressione piu’ alta nell’atto di dare. Diventiamo gente stupenda quando diamo … qualsiasi sia la cosa data: un sorriso, una stretta di mano, un bacio, un abbraccio, una parola d’amore, un regalo, una parte della nostra vita… tutta la nostra vita!
E’ triste vedere che, nel nostro mondo altamente competitivo e avido, abbiamo perso il contatto con la gioia del dare. Spesso viviamo come se la nostra felicità dipendesse dall’avere. Ma non conosco nessuno che è veramente felice per ciò che ha. La vera gioia, la felicità, l’intima pace provengono dal dare noi stessi agli altri. Una vita felice è una vita per gli altri. Questa verità, però, di solito viene scoperta quando ci confrontiamo in profondità con il nostro “essere spezzati”.
Pranzare insieme non è forse la più bella espressione del nostro desiderio di essere dati l’uno all’altro, condividendo la realtà del nostro “essere spezzati”? La tavola, il cibo, le bevande, le parole, i racconti: non è forse il modo piu’ intimo con cui esprimiamo non solo il desiderio di dare le nostre vite l’un l’altro, ma anche di farlo realmente? Mi piace molto l’espressione “spezzare il pane insieme” perché lo spezzare e il donare sono allora chiaramente una identica cosa. Quando mangiamo insieme, siamo tutti vulnerabili. Intorno al tavolo non possiamo indossare armi di nessun tipo. Mangiare dallo stesso pane e bere dalla stessa coppa ci chiama a vivere nell’unione e nella pace. Questo diventa molto evidente quando c’è un conflitto. Allora, mangiare e bere insieme può diventare un fatto veramente minaccioso, allora il momento del pasto può diventare il più terribile della giornata. Conosciamo tutti quei penosi momenti di silenzio durante il pranzo. Momenti che contrastano desolatamente con l’intimità del mangiare e del bere insieme e in cui la distanza tra i commensali può essere insopportabile. D’altro canto, i pasti veramente gioiosi e sereni insieme agli altri, fanno parte dei più grandi momenti belli della vita.
Come Amati, la nostra più grande realizzazione sta nel divenire pane per il mondo. Questa è la più intima espressione del nostro più profondo desiderio di dare noi stessi agli altri. Come può attuarsi tutto questo?
Innanzi tutto, la vita in sé è il più grande dono da offrire – cosa che noi costantemente dimentichiamo. Quando pensiamo al nostro darci agli altri, quello che ci viene subito alla mente, sono i nostri talenti unici: quelle capacità di fare cose speciali! E’ utile fare una distinzione tra talenti e doni. I nostri doni sono più importanti dei nostri talenti. Possiamo avere solo pochi talenti, ma abbiamo molti doni. I nostri doni sono i molti modi coi quali esprimiamo la nostra umanità. Sono parte di ciò che siamo: amicizia, bontà, pazienza, gioia, pace, perdono, gentilezza, amore, speranza, fiducia… Questi sono i veri doni da offrire agli altri.
In secondo luogo, siamo chiamati a dare noi stessi non solo nella vita, ma anche nella morte. Come gli Amati figli di Dio, siamo chiamati a fare della nostra morte il più grande dono. Poiché è vero che siamo spezzati, così come è vero che siamo dati, allora l’atto culminante del nostro “essere spezzati”, cioè la morte, deve diventare lo strumento del nostro ultimo dono di noi stessi. Per gli Amati figli e figlie di Dio, la morte è il passaggio nella totale esperienza di essere gli Amati. Per coloro che sanno di essere scelti, benedetti, spezzati e dati, la morte è il modo per diventare puro dono.
La fecondità della nostra piccola vita, una volta riconosciuta e vissuta come la vita di colui che è l’Amato, va oltre qualunque cosa si possa immaginare. Uno dei più grandi atti di fede è credere che i pochi anni che viviamo su questa terra sono come un piccolo seme piantato in un suolo molto fertile. Perché questo seme porti frutto, deve morire. Noi spesso vediamo o sentiamo solo l’aspetto finale della morte, ma il raccolto sarà abbondante anche se noi non se siamo i mietitori.
Quanto sarebbe diversa la nostra vita se fossimo veramente capaci di credere che essa si moltiplica donandola! Quanto diversa sarebbe la nostra vita se noi potessimo soltanto credere che ogni piccolo atto di fedeltà, ogni gesto d’amore, ogni parola di perdono, ogni piccolo scampolo di gioia e di pace … si moltiplicheranno per quante persone li ricevono e che, anche allora, ce ne sarà in abbondanza!
(Le riflessioni sono tolte dal libro SENTIRSI AMATI di Henri J.M. Nouwen – Editrice Queriniana)

95 - Una settimana per SENTIRSI AMATI

Sesto giorno: Per diventare l’Amato … essere Spezzato
L’“essere spezzati” è una esperienza davvero nostra. Di nessun altro. E’ tanto unica quanto il nostro “essere scelti” e il nostro “essere benedetti”. Il modo in cui siamo spezzati è una espressione della nostra individualità, tanto quanto il modo in cui siano scelti e benedetti. Sì, come coloro che sono Amati, anche se può suonare spaventoso, siamo chiamati a rivendicare il nostro unico “essere spezzati”.
Devo provare adesso ad avvicinarmi un po’ di più a questa nostra esperienza. Come ho appena detto, è un’esperienza del tutto personale e nella società in cui tu ed io viviamo, l’“essere spezzati” è generalmente una esperienza intima – è lo spezzarsi del cuore. Sebbene molti soffrano per invalidità fisica o psichica e sebbene ci sia molta povertà e molte persone siano senza tetto e soffrano per non poter soddisfare i loro bisogni primari, la sofferenza della quale io sono di giorno in giorno più consapevole, è la sofferenza del cuore spezzato. Vedo sempre di più l’immensa sofferenza provocata da relazioni spezzate, tra mariti e mogli, genitori e figli, innamorati, amici e colleghi. Nel mondo occidentale, la sofferenza che sembra essere la più dolorosa, è quella del sentirsi rifiutati, ignorati, disprezzati e lasciati soli. Nella mia comunità, ci sono molti uomini e donne gravemente handicappati, ma la più grande sorgente di sofferenza non è l’handicap in quanto tale, ma la sensazione di essere inutili, indegni, incompresi e non amati. E’ molto più facile accettare l’incapacità a parlare, camminare o nutrirsi da soli, che accettare l’incapacità ad avere un valore speciale per un’altra persona. Noi esseri umani possiamo soffrire immense privazioni con grande forza, ma quando sentiamo di non avere più qualcosa da offrire agli altri, abbandoniamo presto la nostra presa sulla vita.
Come possiamo rispondere a questa fragilità? La prima risposta alla nostra fragilità è allora affrontarla direttamente e favorirla. Questo può sembrare del tutto innaturale. La nostra prima, più spontanea risposta alla sofferenza è quella di evitarla, tenerla a distanza, ignorarla, aggirarla o negarla. La sofferenza, sia fisica, che mentale o emotiva è quasi sempre sperimentata come una sgradita intrusione nelle nostre vite, qualcosa che non dovrebbe esserci. E’ difficile, se non impossibile, vedere qualcosa di positivo nella sofferenza; deve essere allontanata a tutti i costi. Se questo è l’istintivo atteggiamento verso la nostra fragilità, non c’è da stupirsi se favorirla può sembrare a prima vista masochistico. Tuttavia, la mia personale esperienza di sofferenza mi ha insegnato che il primo passo verso la salute non è un passo lontano dal dolore, ma un passo verso il dolore. Quando infatti il nostro “essere spezzati” è proprio come una intima parte del nostro essere, così come il nostro “essere scelti” e il nostro “essere benedetti”, dobbiamo aver l’ardire di domare la nostra paura e di familiarizzare con essa. Sì, dobbiamo trovare il coraggio di abbracciare il nostro “essere spezzati”, fare del nostro più temuto nemico un amico e rivendicarlo come un compagno intimo. Sono convinto che spesso la guarigione è difficile perché non vogliamo conoscere il dolore. Quando, nella nostra sofferenza, abbiamo bisogno di guida, deve essere innanzi tutto una guida che ci conduca più vicino al nostro dolore, e ci faccia capire che non dobbiamo evitarlo, ma che possiamo favorirlo.
La seconda risposta al nostro “essere spezzati” è di porlo sotto la benedizione. Per me porre il nostro “essere spezzati” sotto benedizione è una condizione a priori per favorirlo. Infatti, se è così spaventoso da affrontare è perché lo viviamo sotto la maledizione. Vivere il nostro “essere spezzati” sotto la maledizione significa che sperimentiamo il dolore come una conferma dei sentimenti negativi che abbiamo verso noi stessi. E’ come dire: “Ho sempre sospettato di essere inutile e indegno e adesso ne sono sicuro a causa di ciò che mi sta succedendo”. C’è sempre in noi qualcosa che ricerca una spiegazione per ciò che accade nelle nostre vite e, se abbiamo già ceduto alla tentazione di un rifiuto di noi stessi, allora ogni forma di sventura tende ad acuirlo.
La grande chiamata spirituale degli Amati figli di Dio sta nell’allontanare il loro “essere spezzati” dall’ombra della maledizione e di metterlo sotto la luce della benedizione. Non è così facile come può sembrare. Attorno a noi i poteri dell’oscurità sono forti e il nostro mondo trova più facile manipolare le persone che rifiutano se stesse, che quelle che si accettano. Ma quando restiamo attentamente all’ascolto della voce che ci chiama Amati, vivere con il nostro “essere spezzati” diventa possibile, non come una conferma della nostra paura di essere indegni, ma come una opportunità di purificare e approfondire la benedizione che è su di noi. Il dolore fisico, mentale o emotivo che vive sotto la benedizione è sperimentato in modo radicalmente diverso dal dolore fisico, mentale o emotivo che vive sotto la maledizione. Anche un piccolo fardello, se percepito come un segno della nostra indegnità, può condurci ad una profonda depressione, e anche al suicidio. Invece anche i fardelli pesanti e grandi diventano leggeri e facili da portare quando sono vissuti nella luce della benedizione. Quello che sembrava insopportabile diventa una sfida. Quello che sembrava un motivo di depressione diventa una sorgente di purificazione. Quello che sembra una punizione, diventa una garbata correzione. Quello che sembrava un rifiuto, diventa un modo per una più profonda comunione.
Così il grande compito diventa quello di consentire alla benedizione di raggiungerci nel nostro “essere spezzati”.
(Le riflessioni sono tolte dal libro SENTIRSI AMATI di Henri J.M. Nouwen – Editrice Queriniana)

94 - Una settimana per SENTIRSI AMATI

Quinto giorno: Per diventare l’Amato …essere Benedetto
Come Amati Figli di Dio, noi siamo benedetti. Cosa intendo con la parola “benedire”. In latino benedire è “benedicere” che letteralmente significa: parlare (dicere) bene (bene) cioè “dire cose buone” di qualcuno. Questo mi dice qualcosa. Ho bisogno di sentire che si dicano cose buone di me, e so quanto tu abbia lo stesso bisogno. Al giorno d’oggi diciamo spesso: “Dobbiamo rassicurarci l’uno l’altro”. Senza sicurezza è difficile vivere bene. Dare a qualcuno una benedizione è la più significativa sicurezza che possiamo offrire. E’ più che una parola di lode o di apprezzamento, è piu’ che indicare i talenti o le buone azioni di qualcuno; e’ più che porre qualcuno in luce. Dare una benedizione è confermare, dire “sì” al fatto che una persona è Amata. Una benedizione tocca la primigenia bontà dell’altro e dà vita al suo “essere Amato”.
Non molto tempo fa, nella mia comunità per persone disabili, ho avuto una autentica esperienza personale del potere di una vera benedizione. Poco tempo prima che ciò accadesse, avevo iniziato una funzione in una delle nostre cappelle. Janet, una handicappata della nostra comunità, mi disse: “Henri, mi puoi benedire?”. Io risposi alla sua richiesta in maniera automatica tracciando con il pollice il segno della croce sulla sua fronte. Invece di essere grata, lei protestò con veemenza: “No! Questa non funziona. Voglio una vera benedizione!” Mi resi subito conto di come avevo risposto in modo formalistico alla sua richiesta e dissi: “Oh, scusami… ti darò una vera benedizione quando saremo tutti insieme per la funzione religiosa”. Lei mi fece un cenno con un sorriso e io compresi che mi si richiedeva qualcosa di speciale. Dopo la funzione, quando circa una ventina di persone erano sedute in cerchio sul pavimento, io dissi: “Janet mi ha chiesto di darle una benedizione speciale. Lei sente di averne bisogno adesso”. Mentre stavo dicendo questo, non sapevo cosa Janet volesse veramente. Ma Janet non mi lasciò a lungo nel dubbio. Appena dissi: “Janet mi ha chiesto di darle una benedizione speciale”, lei si alzò e venne verso di me. Io indossavo un lungo abito bianco con ampie maniche che coprivano sia le mani che le braccia. Spontaneamente Janet mi cinse tra le sue braccia e pose la testa contro il mio petto. Senza pensare, la coprii con le mie maniche al punto da farla quasi sparire tra le pieghe del mio abito. Mentre ci tenevamo l’un l’altra io dissi: “Janet, voglio che tu sappia che sei l’Amata figlia di Dio. Sei preziosa agli occhi di Dio. Il tuo bel sorriso, la tua gentilezza verso gli altri della comunità e tutte le cose buone che fai, ci mostrano che bella creatura tu sei. So che in questi giorni ti senti un po’ giù e che c’è della tristezza nel tuo cuore, ma voglio ricordarti chi sei: sei una persona speciale, sei profondamente amata da Dio e da tutte le persone che sono qui con te”.
Appena dissi queste parole, Janet alzò la testa e mi guardò; il suo largo sorriso mi mostrò che aveva veramente sentito e ricevuto la benedizione. Quando Janet tornò al suo posto, un’altra donna handicappata alzò la mano e disse: “Anch’io voglio una benedizione”. Si alzò e, prima che mi rendessi conto, mise il suo viso contro il mio petto. Dopo che io le dissi parole di benedizione, molti altri handicappati vennero, esprimendo lo stesso desiderio di essere benedetti. Ma il momento più toccante si verificò quando uno degli assistenti, un giovane di ventiquattro anni, alzò la mano e disse: “E io?” “Certo”, risposi. “Vieni”. Lui venne e, quando ci trovammo di fronte, lo abbracciai e dissi: “John, è così bello che tu sia qui. Tu sei l’Amato figlio di Dio. La tua presenza è una gioia per tutti noi. Quando le cose sono difficili e la vita è pesante, ricordati sempre che tu sei Amato di un amore infinito”. Pronunciate queste parole, egli mi guardò con le lacrime agli occhi e disse: “Grazie, grazie molte!”.
Quella sera compresi l’importanza della benedizione e dell’essere benedetto e l’ho intesa come il vero segno che contraddistingue l’Amato. Le benedizioni che diamo gli uni agli altri sono espressioni della benedizione che riposa su di noi da tutta l’eternità. E’ la più profonda conferma del nostro vero io…
Lascia che ti dia due suggerimenti per rivendicare il tuo “essere benedetto”. Prima di tutto la preghiera. Per me, personalmente, la preghiera diventa sempre piu’ un modo di ascoltare la benedizione. Ho letto e ho scritto molto sulla preghiera, ma quando mi ritiro in un luogo appartato per pregare, capisco che, sebbene io abbia la tendenza a dire molte cose a Dio, il vero “lavoro” della preghiera è di farsi silenziosa e ascoltare la voce che dice cose buone di me. Questo può suonare come una sorta di auto indulgenza, ma in pratica è una disciplina dura.
Il mio secondo suggerimento per sostenere il tuo “essere benedetto”, è quello di coltivare la presenza. Con questo intendo dire di porgere attenzione alle benedizioni che giorno dopo giorno, anno dopo anno, ti arrivano. Questa attenta presenza può permetterci di vedere quante benedizioni riceviamo: la benedizione del povero che ci ferma per strada, la benedizione delle gemme degli alberi e dei fiori freschi che ci parlano di una nuova vita, la benedizione della musica, della pittura, della scultura e dell’architettura, ma soprattutto le benedizioni che ci vengono attraverso parole di gratitudine, incoraggiamento, affetto e amore. Queste molte benedizioni non hanno bisogno di essere inventate. Sono qui, ci circondano da ogni parte, ma dobbiamo essere presenti e riceverle. Esse non si impongono a noi. Sono il dolce ricordo della bella, forte, ma nascosta voce di colui che ci chiama per nome e dice cose buone di noi.
(Le riflessioni sono tolte dal libro SENTIRSI AMATI di Henri J.M. Nouwen – Editrice Queriniana)

93 - Una settimana per SENTIRSI AMATI


Quarto giorno: Per diventare l’Amato … essere Scelto
Per diventare gli Amati, dobbiamo, prima di tutto, rivendicare di essere scelti. Inizialmente questo può sembrare molto strano, eppure, essere scelti è essenziale per divenire gli Amati.
Quando so che sono scelto, so che sono stato visto come una persona speciale. Qualcuno mi ha notato nella mia unicità e ha espresso il desiderio di conoscermi, di avvicinarsi di più a me, di amarmi. Quando ti scrivo che, come Amati, siamo coloro che sono scelti da Dio, intendo dire che siamo stati visti da Dio, da tutta l’eternità, e che Egli ci ha visti come esseri unici, speciali, preziosi. E’ molto difficile esprimere bene la profondità del significato che la parola “scelto” ha per me, ma spero che sarai in grado di ascoltarmi dal tuo intimo. Da tutta l’eternità, prima ancora che tu nascessi e diventassi parte della storia, tu esistevi nel cuore di Dio. Assai prima che i tuoi genitori ti desiderassero e che i tuoi amici riconoscessero i tuoi doni, o i tuoi insegnanti, colleghi e datori di lavoro ti incoraggiassero, tu eri già “scelto”. Gli occhi dell’Amore ti hanno visto come una realtà preziosa, di infinita bellezza e di eterno valore. Quando l’amore sceglie, sceglie con una perfetta sensibilità per l’unica bellezza di colui che e’ scelto e sceglie senza che nessun altro si senta escluso.
Questa è la grande gioia dell’essere scelti: la scoperta che anche gli altri sono stati scelti. Nella casa di Dio ci sono molte mansioni. C’è un posto per tutti – un posto unico, speciale. Una volta che crediamo profondamente di essere preziosi agli occhi di Dio, diventiamo capaci di riconoscere la preziosità degli altri e il loro posto unico nel cuore di Dio.
Ti supplico, non cedere “il tuo essere scelto” al mondo. Osa sostenerla come se fossa tua, anche se è continuamente incompresa. Devi persistere nella verità che sei “quello scelto”. Questa verità è la base fondamentale su cui puoi costruire una vita come Amato. Quando perdi contatto con il tuo “essere scelto”, ti esponi alla tentazione di rifiutare te stesso, e questa tentazione mina la possibilità di ogni crescita come Amato.
Come possiamo prendere contatto con la realtà del nostro “essere scelti”, quando siamo circondati dal rifiuto? In primo luogo, devi continuare a smascherare il mondo e vederlo com’è: una realtà che manipola, che opprime, affamata di potere e alla fine distruttiva.
Secondariamente, devi continuare a cercare persone e luoghi dove la tua verità è detta, e dove ti si ricorda la tua più profonda identità, cioè l’esser scelto.
In terzo luogo, devi celebrare il tuo “essere scelto” costantemente. Questo significa dire “grazie” a Dio per avere scelto te, e dire “grazie” a tutti coloro che ti ricordano che sei scelto. La gratitudine è il modo più fecondo per approfondire la tua consapevolezza che non sei un “incidente”, ma una scelta divina.
(Le riflessioni sono tolte dal libro SENTIRSI AMATI di Henri J.M. Nouwen – Editrice Queriniana)

92 - Una settimana per SENTIRSI AMATI

Terzo giorno: Diventare l’Amato
Dal momento in cui rivendichiamo la verità di essere gli Amati, noi affrontiamo la chiamata di diventare ciò che siamo. Diventare gli Amati: ecco il viaggio spirituale che dobbiamo compiere. Le parole di Sant’Agostino: “La mia anima è inquieta, finché non riposa in Te, mio Dio” definiscono bene questo viaggio. So che il fatto di essere alla costante ricerca di Dio, in continua tensione per scoprire la pienezza dell’Amore, con il desiderio struggente di arrivare alla completa Verità, mi dice che ho già assaporato qualcosa di Dio, dell’Amore e della Verità. Posso cercare solo qualcosa che, in qualche modo, ho già trovato. Come posso cercar la bellezza e la verità, senza che la bellezza e la verità siano, nel profondo del mio cuore, a me già note? Sembra che tutti noi, esseri umani, abbiamo un profondo, intimo ricordo del paradiso che abbiamo perduto. Forse è più appropriata la parola “innocenza”, che la parola “paradiso”. Eravamo innocenti prima di cominciare a sentirci colpevoli; eravamo nella luce prima di entrare nell’oscurità; eravamo a casa prima di iniziare a cercare una casa. Nella profondità dei recessi delle nostri menti e dei nostri cuori dimora nascosto il tesoro che noi cerchiamo. Sappiamo che è prezioso, e sappiamo che contiene il dono che più desideriamo: una vita più forte della morte.
Se è vero che non siamo solamente gli Amati, ma dobbiamo anche diventare gli Amati: se è vero che non solo siamo i figli di Dio, ma dobbiamo anche diventare fratelli e sorelle… se tutto questo è vero, come possiamo allora, afferrare appieno questo processo del divenire? Se la vita spirituale non è semplicemente un modo di essere, ma anche un modo di divenire, qual è allora, la natura di questo divenire?
Diventare gli Amati significa lasciare che la verità dell’“essere Amati” si incarni in ogni cosa che pensiamo, diciamo o facciamo. Ciò comporta un lungo e doloroso processo di appropriazione o, meglio, di incarnazione. Finché “essere l’Amato” è poco più di un bel pensiero o di una idea sublime, sospesa sulla mia vita per impedirmi di diventare depresso, niente cambia veramente. Ciò che è richiesto, è diventare l’Amato nella banale vita di ogni giorno e, a poco a poco, colmare il vuoto che esiste tra ciò che io so di essere e le innumerevoli specifiche realtà della vita quotidiana. Diventare l’Amato significa calare nella ordinarietà di ciò che io sono e di ciò che penso, dico e faccio ora dopo ora, la verità che mi è stata rivelata dall’Alto.
Per identificare i movimenti dello Spirito nella nostra vita, ho trovato utile ricorrere a quattro parole: scelto, benedetto, spezzato e dato. Queste parole riassumono la mia vita di essere umano, perché in ogni momento della mia vita, da qualche parte, in qualche modo, l’essere scelto, il benedire, lo spezzare, il dare, sono eventi che accadono.
(Le riflessioni sono tolte dal libro SENTIRSI AMATI di Henri J.M. Nouwen – Editrice Queriniana)

91 - Una settimana per SENTIRSI AMATI

Secondo giorno: Tu sei il mio Amato
Quella voce dolce e gentile che mi chiama l’Amato è venuta a me in innumerevoli modi. I miei genitori, gli amici, gli insegnanti, gli studenti e i molti estranei che ho incrociato nel mio cammino, mi hanno fatto sentire quella voce in toni differenti. Sono stato benvoluto, con tenerezza e gentilezza, da molte persone. Mi hanno insegnato e sono stato istruito con molta pazienza e perseveranza. Sono stato incoraggiato a perseverare quando ero pronto a lasciar perdere, e sono stato stimolato a riprovare quando ho fallito. Sono stato ricompensato e elogiato per il mio successo… però, in un certo qual modo, tutti questi segni d’amore non sono stati sufficienti a convincermi che ero l’Amato. Sotto l’apparente salda fiducia in me stesso, c’era sempre la stessa domanda: “Se tutti quelli che mi coprono di tanta attenzione, potessero vedere e conoscere la parte più intima di me stesso, mi amerebbero ancora?”. Questa tormentosa domanda era radicata nella mia intima oscurità, continuando a perseguitarmi e a farmi fuggire da dove quella tranquilla voce, che mi chiamava l’“Amato”, poteva essere ascoltata.
Noi siamo gli Amati. Siamo intimamente amati, assai prima che i nostri genitori, insegnanti, coniuge, figli e amici ci abbiano amati. Questa è la verità della nostra vita. Questa e’ la verità enunciata dalla voce che dice: “Tu sei il mio Amato”.
Ascoltando con grande, interiore attenzione quella voce, sento nell’intimo parole che dicono: “Ti ho chiamato per nome fin dal principio. Tu sei mio e io sono tuo. Tu sei il mio Amato, in te mi sono compiaciuto. Ti ho modellato nella profondità della terra e ti ho formato nel grembo di tua madre. Ti ho scolpito nei palmi delle mie mani e ti ho nascosto all’ombra del mio abbraccio. Ti guardo con infinita tenerezza e ho cura di te con una sollecitudine più profonda che quella di una madre per il suo bambino. Ho contato ogni capello del tuo capo e ti ho guidato ad ogni passo. Ovunque tu vada, io vengo con te, e ovunque tu riposi, io veglio su te. Ti darò del cibo che soddisfera’ ogni tua fame e bevande che estingueranno ogni tua sete. Non nasconderò il mio viso da te. Tu sai che io sono tuo come io so che tu sei mio. Tu mi appartieni. Io sono tuo padre, tua madre, tuo fratello, tua sorella, il tuo amante e il tuo sposo… Sì, persino il tuo bambino… ovunque tu sia, io ci sarò. Niente mai ci separerà. Noi siamo uno”.
Ogni volta che ascolti con attenzione quella voce che ti chiama l’Amato, scoprirai in te il desiderio di riascoltarla più a lungo e più profondamente. E’ come scoprire una sorgente nel deserto. Quando si sente il terreno umido, si vuol scavare più a fondo.
(Le riflessioni sono tolte dal libro SENTIRSI AMATI di Henri J.M. Nouwen – Editrice Queriniana)

90 - Una settimana per SENTIRSI AMATI

Primo giorno: Essere l’Amato
Nel corso di quest’ultimo anno, la parola speciale, che io cercavo, si è fatta lentamente strada dal profondo del mio cuore. La parola è “Amato”. Sono sicuro che questa parola mi è stata data per amore di molte persone. Come cristiano, ho scoperto per la prima volta questa parola nella storia del battesimo di Gesù di Nazareth. Non appena Gesù uscì dall’acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba. E sentì una voce dal cielo. “Tu sei mio Figlio, l’Amato, in te mi sono compiaciuto”.
Il piu’ grande dono che la mia amicizia possa farti è il dono di riconoscere il tuo stato di “essere amato”. Posso farti questo dono solo per quanto l’ho preteso per me stesso. Non è questa l’amicizia: darci l’uno all’altro il dono del nostro “essere amati”? Sì, è questa voce, la voce che parla dall’alto e da dentro i nostri cuori, che sussurra dolcemente o dichiara con forza: “Tu sei il mio Amato, in te mi sono compiaciuto”. Non è certamente facile ascoltare quella voce in un mondo pieno di altre voci che gridano: “Tu non sei buono, sei brutto; sei indegno; sei da disprezzare, non sei nessuno – e non puoi dimostrare il contrario”. Queste voci negative sono così forti e così insistenti che è facile credere loro. Questa è la grande trappola. E’ la trappola del rifiuto di noi stessi.
Il rifiuto di se stessi è il più grande nemico della vita spirituale perché contraddice la voce sacra che ci chiama gli “Amati”. Essere l’Amato esprime la verità centrale della nostra esistenza.
Quella voce è sempre stata lì, ma a quanto pare, io desideravo di più ascoltare le altre voci, voci forti, che dicevano: “Dimostra che sei degno di qualcosa; fai qualcosa di significativo, spettacolare o potente, e allora potrai guadagnare l’amore che desideri”. Nel frattempo, la voce dolce e gentile che parla nel silenzio e nella solitudine del mio cuore rimaneva inascoltata o, perlomeno, non era convincente.
(Le riflessioni sono tolte dal libro SENTIRSI AMATI di Henri J.M. Nouwen – Editrice Queriniana)

sabato 20 novembre 2010

88 - XXXIV DOMENICA – CRISTO SIGNORE DELLA PACE - 21 NOVEMBRE 2010

(2Samuele 5,1-3 Colossesi 1,12-20 Luca 23.35-43 )
LA PAROLA DOMENICALE LETTA IN FAMIGLIA

Gesù Cristo, Re del’Universo, presenta il suo Regno:
ha un solo Dio ... la TRINITA’
ha un solo SIGNORE ... il PADRE
ha un solo RE ... il FIGLIO GESU’ CRISTO
ha un solo CONSOLATORE ... lo SPIRITO SANTO
ha una sola REGINA ... MARIA VERGINE MADRE
ha un solo TRONO ... la CROCE
ha una sola CORONA ... le SPINE
ha un solo TERRITORIO ... la VITA UMANA
ha una sola LEGGE ... la CARITA’
ha una sola PAROLA ... la BIBBIA
ha un solo POTERE ... il SERVIZIO
ha una sola GIUSTIZIA ... il PERDONO
ha una sola SENTENZA ... l’ASSOLUZIONE
ha un solo DOVERE ... il BENE
ha una sola MONETA ... la GRATUITA’
ha una sola CONTABILITA’ ... il DONO
ha una sola PROPRIETA’ ... la CONDIVISIONE
ha un solo STIPENDIO ... la SALVEZZA
ha una sola FAMIGLIA ... la CHIESA
ha un solo PANE ... l’EUCARISTIA
ha una sola MISURA ... la FRATELLANZA
ha un solo PASSAPORTO ... il BATTESIMO
ha un solo TESORO ... il CUORE UMANO
ha un solo FINE ... la GLORIA DI DIO
ha una sola PATRIA ... il PARADISO
ha un solo LEGAME ... l’AMORE
ha un solo TEMPO... l’ETERNO OGGI DI DIO
ha una sola COMUNIONE ... la PREGHIERA
ha una sola AZIONE ... la PACE
ha un solo INTERESSE … SEI TU
benvenuto nel mio Regno!

Amare …ma da signori!
Amare da signori è un amore che non uccide la persona amata ma che muore con lei e per lei. “Amare silenziosamente, nascostamente, senza mettere la firma personale di proprietà, senza dirlo nemmeno a se stesso, lasciandosi cancellare dal tempo. Questo sì che è morire, di quella morte con Cristo che porta in sé la gestazione della vita di molti”.

mercoledì 17 novembre 2010

87 - STORIA DI UN CHICCO DI GRANO

Alla scuola della sapienza … impariamo a crescere in famiglia!

Come il seminatore ebbe terminato l'opera sua, il chicco di grano venne a trovarsi tra due zolle di terra nera e umidiccia, e divenne terribilmente triste. Era buio, era umido, e l'oscurità e l'umidore aumentavano sempre di più, poiché al calar della sera la nebbia s'era disciolta in pioggia fitta fitta. C'era da darsi alla disperazione. E il chicco di grano fece proprio così: prese a frugare nella memoria per fame uscire il ricordo di tempi belli e non belli - cosa, come tutti sanno, che porta alla disperazione.
Bei tempi quelli - quando il chicco di grano stava al caldo e al riparo in una spiga diritta e cullata dal vento, in compagnia dei fratellini! Bei tempi sì, ma così presto passati!
Poi era venuta la falce, con il suo suono stridulo e devastatore, a sbattere a terra le spighe. Poi i mietitori con i loro rastrelli avevano caricato sui carri le spighe legate in covoni. Poi, cosa più terribile ancora, i battitori si erano accaniti sulle spighe pestandole senza pietà. E le famigliole dei chicchi, vissute sempre insieme sin dalla verde giovinezza, erano state sbalzate fuori dalle loro spighe, e i chicchi scaraventati all'ingiro, ciascuno per conto suo, per non incontrarsi mai più.
Ma nel sacco del grano almeno d si trovava ancora in compagnia. Un po' pigiati, é vero, e magari si respirava a fatica, ma insomma si poteva chiacchierare un po' ... Ora invece, era l'abbandono assoluto, la solitudine tetra, la distruzione sicura! Il chicco di grano pativa l'umidità, e sentiva che in breve tutto quell'umidore lo avrebbe completamente inzuppato ...
Ma l'indomani fu peggio, quando l'erpice passò sul campo, e il chicco di grano si trovò nel tenebrore più denso, con terra sopra, terra sotto, terra da tutte le parti. L'acqua lo penetrava tutto, non sentiva più in sé il minimo cantuccio asciutto.
«Ma perché fui creato, gemeva, se dovevo finire in modo così miserando? Non sarebbe stato meglio per me non aver mai conosciuto la vita, la luce del sole? »
Allora dal profondo della terra una voce si fece sentire. Gli diceva: «Abbandonati con fiducia, volentieri, senza paura. Tu muori per rinascere a una vita più bella».
«Chi sei?» domandò il povero chicco, mentre un senso di rispetto sorgeva in lui. Poiché sembrava che la voce parlasse a tutta la terra, anzi all'universo intero.
«Io sono Colui che ti ha creato, e che ora ti vuole creare un' altra volta ».
Allora il chicco di grano si abbandonò alla volontà del suo Creatore, e non seppe più nulla di nulla.
Un mattino di primavera, un germoglio verde mise fuori la testolina dalla terra umida. Si guardò intorno inebriato. Era proprio lui, il chicco di grano, tornato a vivere un'altra volta. Nell'azzurro del cielo il sole splendeva e la lodoletta cantava. Era tornato a vivere ... E non da solo, poiché intorno a sé vedeva uno stuolo di germogli in cui riconobbe i suoi fratellini.
Allora la tenera pianticella si senti invadere dalla gioia di esistere, e avrebbe voluto alzarsi fino al Cielo per accarezzarlo con le sue foglie.

Due affermazioni evangeliche stanno a fondamento dell’amore familiare: “ Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”(Giovanni 15,13); “In verità, in verità Io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Giovanni 12,24).

sabato 13 novembre 2010

86 - XXXIII DOMENICA – ALLA SCUOLA DEI MARTIRI - 14 NOVEMBRE 2010

LA PAROLA DOMENICALE LETTA IN FAMIGLIA
(Malachia 3, 19-20 2Tesselonicesi 3,7-12 Luca 21, 5-19 )

“Al termine del secondo millennio, così scriveva Giovanni Paolo II nella Bolla d’indizione dell’Anno Santo del 2000, la Chiesa è diventata nuovamente Chiesa dei martiri… Le persecuzioni nei riguardi dei credenti – sacerdoti, religiosi, laici – hanno operato una grande semina di martiri in varie parti del mondo… Se ci vantiamo di questa eredità non è per spirito di parte e tanto meno per desiderio di rivalsa nei confronti dei persecutori, ma perché si è resa manifesta la straordinaria potenza di Dio”.
Nel maggio del 1977 nella celebrazione del funerale di un suo prete assassinato degli squadroni della morte Mons. Oscar Arnulfo Romero (Arcivescovo di San Salvador che verrà ucciso con un colpo di fucile il 24 marzo 1980 verso le ore 18 mentre stava celebrando la Messa nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza) spiegò ai presenti cos’è il martirio cristiano: “Non tutti, dice il Concilio Vaticano II, avranno l’onore di dare il loro sangue fisico, di essere uccisi per la fede, però Dio chiede a tutti coloro che credono in Lui lo spirito del martirio, cioè tutti dobbiamo essere disposti a morire per la nostra fede, anche se il Signore non ci concede questo onore; noi, sì siamo disponibili in modo che quando arriva la nostra ora di render conto, possiamo dire “Signore, io ero disposto a dare la mia vita per Te. E l’ho data”. Perché dare la vita non significa solo essere uccisi, dare la vita, avere spirito di martirio, è dare nel dovere, nel silenzio, nella preghiera, nel compimento onesto del dovere; in quel silenzio della vita quotidiana; dare la vita a poco a poco. Come la dà la madre, che senza timore, con la semplicità del martirio materno, dà alla luce, allatta, fa crescere e accudisce con affetto suo figlio. E’ dare la vita con amore per tutti…”
Nella sua ultima lettera don Andrea Santoro, un prete romano ucciso in Turchia, così scriveva: “Il vantaggio di noi cristiani nel credere in un Dio inerme, in un Cristo che invita ad amare i nemici, a servire per essere ‘signori’ della casa, a farsi ultimo per risultare primo, in un Vangelo che proibisce l’odio, l’ira, il giudizio, il dominio, in un Dio che si fa agnello e si lascia colpire per uccidere in Sè l’orgoglio e l’odio, in un Dio che attira con l’amore e non domina con il potere, è un vantaggio da non perdere. E’ un ‘vantaggio’ che può sembrare ‘svantaggioso’ e perdente e lo è, agli occhi del mondo, ma è vittorioso agli occhi di Dio e capace di conquistare il cuore del mondo. Diceva san Giovanni Crisostomo: “Cristo pasce agnelli, non lupi”. Se ci faremo agnelli vinceremo, se diventeremo lupi perderemo. Non è facile, come non è facile la Croce di Cristo, sempre tentata dal fascino della spada… Ci sarà chi voglia essere presente in questo mondo mediorientale semplicemente come ‘cristiano’, ‘sale’ nella minestra, ‘lievito’ nella pasta, ‘luce’ nella stanza, ‘finestra’ tra muri innalzati, ‘ponte’ tra rive opposte, ‘offerta’ di riconciliazione?”.
L’amore martiriale, ossia gratuito e senza limiti, è la forza che piega un mondo alla ricerca del proprio vantaggio di una indispensabile reciprocità, dell’interesse anzitutto per se stessi e per la propria parte. Solo questo tipo di amore è grande e salva e merita il nome di ‘cristiano’.

Perseveranza in famiglia.
Con la formula profetica “verranno giorni” Gesù offre riflessioni su quanto sta per accadere e, più in generale, sul mistero della storia. Non appartiene al suo metodo educativo soddisfare le curiosità sul futuro con previsioni da “indovino”. Piuttosto gli sta a cuore orientare le persone a comprendere il fine al quale la storia tende, e dunque verso un atteggiamento di impegno e di attesa fiduciosa, che aiuti gli sposi a vivere la quotidianità della loro famiglia.
“Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”. La perseveranza cristiana non significa rassegnazione, ma ne è l’esatto contrapposto: essa imita la lunga pazienza esercitata da Dio nella vita degli uomini; è frutto della fede ed è libertà non asservita ai capricci del tempo; possiede la forza di resistere con pazienza e tenacia nella prova; sa attendere il giorno di Dio lavorando ed edificando l’oggi nell’amore. Quanta perseveranza serve nelle nostre famiglie!

giovedì 11 novembre 2010

85 - IL GIOVANE GAMBERO

Alla scuola della sapienza … impariamo a crescere in famiglia!

Un giovane gambero pensò: «Perché nella mia famiglia tutti camminano all'indietro? Voglio imparare a camminare in avanti, come le rane, e mi caschi la coda se non ci riesco ».
Cominciò ad esercitarsi di nascosto, tra i sassi del ruscello natio, e i primi giorni I'impresa gli costava moltissima fatica. Urtava dappertutto, si ammaccava la corazza e si schiacciava una zampa con l'altra. Ma un po' alla volta le cose andarono meglio, perché tutto si può imparare, se si vuole.
Quando fu ben sicuro di se, si presentò alla sua famiglia e disse:
-State a vedere.
E fece una magnifica corsetta in avanti.
- Figlio mio - scoppiò a piangere la madre -, ti ha dato di volta il cervello? Torna in te, cammina come tuo padre e tua madre ti hanno insegnato, cammina come i tuoi fratelli che ti vogliono tanto bene.
I suoi fratelli però non facevano che sghignazzare.
Il padre lo stette a guardare severamente per un pezzo, poi disse:
- Basta così. Se vuoi restare con noi, cammina come gli altri gamberi. Se vuoi fare di testa tua, il ruscello é grande: vattene e non tornare più indietro.
Il bravo gamberetto voleva bene ai suoi, ma era troppo sicuro di essere nel giusto per avere dei dubbi: abbracciò la madre, salutò il padre e i fratelli e si avviò per il mondo. Il suo passaggio destò subito la sorpresa di un crocchio di rane che da brave comari si erano radunate a far quattro chiacchiere intorno a una foglia di ninfea.
- Il mondo va a rovescio - disse una rana -, guardate quel gambero e datemi torto, se potete…
- Non c'e più rispetto - disse un'altra rana.
- Ohibò, ohibò! - disse una terza.
Ma il gamberetto proseguì dritto, é proprio il caso di dirlo, per la sua strada.
A un certo punto si sentì chiamare da un vecchio gamberone dall'espressione malinconica che se ne stava tutto solo accanto a un sasso.
- Buon giorno! - disse il giovane gambero.
Il vecchio lo osservo a lungo, poi disse:
- Cosa credi di fare? Anch'io, quando ero giovane, pensavo di insegnare ai gamberi a camminare in avanti. Ed ecco che cosa ci ho guadagnato: vivo tutto solo, e la gente si mozzerebbe la lingua piuttosto che rivolgermi la parola. Fin che sei in tempo, da' retta a me: rassegnati a fare come gli altri e un giorno mi ringrazierai del consiglio!
Il giovane gambero non sapeva cosa rispondere e stette zitto. Ma dentro di sé pensava: «Ho ragione io! ».
E salutato gentilmente il vecchio riprese fieramente il suo cammino. .
Andrà lontano? Farà fortuna? Raddrizzerà tutte le cose storte di questo mondo? Noi non lo sappiamo, perché egli sta ancora marciando con il coraggio e la decisione del primo giorno. Possiamo solo augurargli, di tutto cuore: - Buon viaggio!
(GIANNI RODARI, Favole al telefono, Einaudi)
PS.: Nell’amore come in educazione rispettare le peculiarità dell’altro è una condizione indispensabile per il successo e per la continuità!

sabato 6 novembre 2010

84 - XXXII DOMENICA – DIO NON E’ DIO DEI MORTI MA DEI VIVI - 7 NOVEMBRE 2010 -

LA PAROLA DOMENICALE LETTA IN FAMIGLIA
( 2 Maccabei 7,1-2.9-14 2 Tesselonicesi 2,16 – 3,5 Luca 20,27-38 )

Ancora una volta, in questa settimana siamo invitati a riflettere sulla Vita eterna, sull’immortalità dell’anima, sul “cosa c’è dopo la morte”. Gesù risponde chiaramente: “Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per Lui”. Dio è vita e chi crede in Lui vive con Lui e per Lui, restando così strappato alla morte. Contro le paure della morte Gesù oppone la speranza pasquale legato al Dio della Vita.
L’uomo può arrivare, facendo uso della sua intelligenza, all’immortalità dell’anima… ce lo hanno dimostrato Socrate, Platone, Aristotele già nell’antichità. E’ importante questa affermazione perché ci dice che certe verità sono scritte nel profondo della vita umana, sono nel DNA dell’uomo, sono congenite con la persona. La Rivelazione viene a donare a tutti con la forza dell’Ispirazione queste stesse verità: l’uomo è immortale, c’è una vera ed unica continuità tra questa vita e quella del Cielo, la persona con le sue caratteristiche umane e personali vive per sempre.
Già l’Antico Testamento afferma con chiarezza (vedi la celebrazione descritta nella prima lettura, dell’eroismo dei fratelli martiri durante la rivoluzione dei Maccabei) che il legame d’amore, instauratosi tra il giusto e Dio già durante l’esistenza terrena, non può non giungere che a fioritura perfetta. La comunione di grazia dell’esistenza presente si trasforma in comunione definitiva.
Gesù conferma molte volte queste verità. Oltre il Vangelo di oggi ricordiamo quanto leggiamo in Giovanni (14,2-3): “Io vado a prepararvi un posto. Quando sarò andato vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con Me, perché siate anche voi dove sono Io”.

Il sacramento del matrimonio in Cielo.
Sappiamo che i sacramenti servono per questa vita terrena… in Cielo vivremo della visione beatifica di Dio e tutto sarà visto e vissuto come lo vede e lo vive Dio. L’affermazione di Gesù che in Cielo i giusti “non prendono moglie ne marito” stabilisce il principio, che già dovremmo vivere su questa terra, che il vero amore lo si vive solo attraverso l’amore di Dio. Il primo comandamento “Ama il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le tue forze” sta a fondamento di ogni vita cristiana. E’ qui che gli sposi possono attingere il dono di rendere il loro amore “fedele e inesauribile”. Se io amo mia moglie o mio marito attraverso Dio il mio amore non smette di farsi dono perché è costantemente alimentato dalla fonte inesauribile dell’amore che è Dio. Mentre tutto questo sulla terra lo dobbiamo scegliere quotidianamente… in Cielo è la vita stessa dei beati.
Tutto ciò non dice però che io non riconoscerò il legame avuto su questa terra con la mia famiglia… riconoscerò che quella persona è mia moglie, è mio marito, è mia figlia, è mio figlio, è mia madre, è mio padre, è un mio amico…
Facciamo un esempio: la moglie è in Paradiso ed il marito all’Inferno. (L’Inferno deve esistere perché Dio rispetta la libertà dell’uomo anche nelle scelte più drammatiche come voler vivere eternamente senza Lui). La moglie vedendo l’amore che Dio ha per suo marito, un amore indescrivibile al punto da accettare la sua scelta di essere staccato da Lui, vive benissimo nella beatitudine proprio perché sente che suo marito è amato e rispettato da Dio nella verità delle sue scelte della sua vita… E’ certo che noi ci auguriamo di trovarci tutti in Paradiso!

martedì 2 novembre 2010

83 - LA MORTE: UN MISTERO CHE CI PARLA DI DIO

La morte è un pensiero da evitare o un pensiero da coltivare?
E’ “sorella morte”, come la chiama S. Francesco, da abbracciare o la matrigna da allontanare?
La morte è “amica” della vita o l’unico vero “nemico” della vita …
Ci sono alcune verità incontestabili:
* ogni minuto che viviamo … facciamo un passo verso la morte;
* non si può capire la verità della vita senza il suo compiersi naturale che è la morte;
* da come guardo alla morte … determino il mio stare davanti alla vita:
^paura della morte … diventa paura della vita;
^non considerazione della morte … recita nella vita;
^morte come fine di tutto … la vita diventa ingiustizia;
^morte come separazione … angoscia nella vita;
^morte come compimento … responsabilità nella vita;
^morte come parte del progetto di Dio … vita dono e mistero di fede;
^morte vinta dalla Croce di Cristo … vita come anticipo di risurrezione.
Quindi dobbiamo lasciar accendere la verità pasquale della vita di Gesù che nella sua risurrezione ha vinto il peccato ed il suo pungiglione che è la morte.
La nostra morte fisica determina il nostro passaggio alla vita eterna. Siamo sempre noi … ben identificabili, con la nostra personalità e le nostre caratteristiche umane, liberati dai limiti del corpo terreno e dalle seduzioni del male, innamorati del bene, ripieni della grazia divina … ma tutto questo vissuto con l’esperienza della nostra vita personale costruita giorno dopo giorno dalle nostre scelte quotidiane. Saremo nel bene quello che viviamo oggi e che desideriamo essere. La morte compie in noi tutto questo. Come dice bene il prefazio dei defunti: “Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna in Cielo”.
La morte quindi è un pensiero da coltivare, è un’amica della vita, è una sorella da tenere accanto, è il compiersi definitivo della vita tanto che diventa eterna, è il realizzarsi del bene …cercato anche se non raggiunto, …desiderato anche se non fatto, …creduto anche se non compiuto, …sperato anche se non realizzato, …amato anche nell’esperienza quotidiana del proprio limite.

82 - PERCHE’ AMO I SANTI

Amo i santi perché la loro frequentazione mi rende ottimista.
Quando li incontro, nella memoria della Chiesa o nella vita quotidiana, mi sento portato altrove da un soffio tonificante, lungi dai lamenti catastrofici sul nostro tempo, al di sopra dell’amarezza dilagante e della sfiducia nel futuro. Essi soffrono per il male, ma sanno che il bene è più forte. Non si lamentano, ma pregano e agiscono. Prima di denunciare gli altri, fanno i conti con se stessi, mettendo ordine in casa propria.
Amo i santi perché hanno fatto e fanno bella la Chiesa.
Quando sento, anche in questi giorni, voci di sfiducia nei suoi confronti, mi onoro di presentarli, con una punta di orgoglio familiare, come i risultati più riusciti delle sue fatiche, i fiori più profumati del suo campo, la sua gloria, sempre vivi e nuovi anche negli inverni più gelidi.
Amo i santi perché in ciascuno di loro riconosco un tratto del volto di Cristo.
E, contemplando la loro straordinaria varietà, mi viene da pensare che la storia abbia per scopo segreto quello di comporre, epoca dopo epoca, il disegno dell’incomparabile volto del mio Signore, proprio attraverso le loro sempre nuove fattezze: in uno il suo volto sofferente, nell’altro il volto rasserenante, in quello il volto misericordioso, nell’altro il volto operoso. Sempre un volto che guarda in alto, per meglio servire chi sta accanto.
Amo i santi feriali, quelli che crescono silenziosamente nelle persone che corrono dalla mattina alla sera per onorare il loro compito nella vita, e talvolta non sanno di alimentarli dentro di sé, tanto sono umili e generose.
Esse sorridono là dove altri imprecano, sono fedeli là dove altri desistono, perdonano là dove altri covano vendetta, “lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera”(Rm 12,12).
Amo i santi perché son partiti mediocri come me, ma guardando Te, o mio Signore, si sono staccati da sé, si sono messi a disposizione del tuo Spirito e in tal modo sono stati inventivi, contribuendo a risolvere problemi di convivenza, di annuncio, di servizio, di dialogo, di pacificazione.
Non mi stancherò mai di amare i santi perché spero sempre che mi diano una mano per camminare libero come loro lungo la loro via, che è la tua. Perché lì, sulla Tua e loro strada, Tu possa trovarmi quando mi comanderai di venire a Te, a lodarTi per sempre, assieme a loro.
( Riflessione di Padre Pier Giordano Cabra fn)