domenica 30 dicembre 2012

458 - SOTTO IL SEGNO DELLA BENEDIZIONE - 01 Gennaio 2013 – Maria Madre di Dio

(Numeri 6,22-27 Galati 4,4-7  Luca 2,16-21 )
BUON ANNO  BUON ANNO  BUON ANNO  BUON ANNO  BUON   “Cosi benedirete gli Israeliti: direte loro: Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”. Cosi porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò”.
Questa lettura dal libro dei Numeri ci ricorda che il mondo e la vita sono sempre sotto il segno della benedizione.
Che cosa significa, in effetti, ricevere una benedizione? Come ci ha ricordato il biblista, «ogni qualvolta riceve una benedizione, l’uomo viene ricondotto dentro una storia buona, fatta di fedeltà ad un rapporto di alleanza, che lo mantiene unito a Dio e custodito dal suo amore». Così il sacerdote che pronuncia il nome di Dio sul popolo e compie un solenne gesto di benedizione, non usa la sua potenza a fini magici, ma piuttosto «veicola e trasmette l’abbraccio del Padre verso i suoi figli e mima la bellezza del nome di Dio sul corpo benedetto».
Nessuno può dirci cosa dovremo affrontare nell’anno che ci sta davanti e noi non siamo in grado di prevedere neppure quanto si trova dietro l’angolo. Ciò che conta, però, è che il bene più grande nasce in Dio e che trova in lui il suo compimento.
Uniti a Dio, troveremo la luce per capire quanto ci sta accadendo, la saggezza che orienta le decisioni giuste, la forza di metterle in pratica. Uniti a Dio, avvertiremo di non essere in balia di forze occulte: è Dio che guida la storia ed i segni per sperare non mancano. Gesù ha annunciato ed inaugurato un mondo nuovo. Le fatiche, le sofferenze del tempo presente sono simili ai dolori del parto: preludono ad una nuova vita. In ogni caso siamo custoditi dall’amore di Dio. Egli ci porta nel suo cuore e quindi nulla ci potrà strappare da lui.
La benedizione di Dio assume un volto e un corpo in Gesù. In lui, nel suo nome («Dio salva»), il piano di salvezza non è più solamente un programma, ma un’esperienza concreta, una piena manifestazione. A coloro che credono nel Figlio di Dio fatto uomo viene donata la pienezza della pace, cioè una salvezza che raggiunge
ogni ambito della vita umana. Non è solo assenza di guerra, ma guarigione, forza, sostegno. Non si tratta, così, di un sogno, di un’illusione, ma di una realtà consolante. Il corso della storia ne è segnato una volta per tutte e ogni tornante – costituito da un nuovo anno – non deve farci perdere di vista il senso, la destinazione del nostro cammino.
A questo proposito è importante apprendere gli stessi atteggiamenti di Maria. Essa appare come la «custode della benedizione», colei che ‘conserva’ e ‘confronta’ ogni avvenimento e ogni parola, alla ricerca del vero senso di quanto è accaduto.

PREGHIERA
Anche noi, in questo primo giorno di un nuovo anno civile, siamo invitati a metterci in cammino, proprio come i pastori, e a rompere ogni indugio.
Vinciamo, dunque, ogni resistenza, ogni atteggiamento di pigrizia e la paura della fatica che ci incollano alla nostra poltrona, al cantuccio sicuro che ci siamo costruiti. E affrontiamo con fiducia l’itinerario che ci sta davanti: è il Signore a tracciare la strada, è lui a fornirci le indicazioni giuste per farsi trovare.
Quando lo avremo incontrato tutto diventerà diverso: acquisterà un significato nuovo questa nostra esistenza e ci confronteremo senza timori anche con i tempi bui, con le zone oscure, con le prove che ci attendono.
Ma facciamo nostro anche l’atteggiamento di Maria: custodiamo gelosamente nel nostro cuore ogni parola e ogni gesto, ogni frammento che Dio ci offre per rischiarare il sentiero e donarci forza e sicurezza. Non disperdiamo la grazia della sua presenza, i doni del suo amore.
BUON ANNO  BUON ANNO  BUON ANNO  BUON

457 - DA NAZARET ALLE NOSTRE FAMIGLIE - 30 Dicembre 2012 – Santa Famiglia di Nazaret

(1º Samuele 1,20-28 1ª Giovanni 3,1-24 Luca 2,41-52 )
Nella casa di Nazaret la promessa di salvezza diventa realtà: una realtà quotidiana che parla di relazioni, di dialogo e obbedienza: da questo modello ogni famiglia può apprendere che cosa sia la vera libertà e la Chiesa stessa può imparare a essere meno istituzione e più comunione. Fede e famiglia, un binomio che sembra quasi impossibile nel mondo di oggi. E tuttavia, quella che appare come una missione fallimentare agli occhi di molti, non è una chimera per tanti ge­nitori e figli. La festa odierna ci aiuta proprio a cogliere il ruolo della famiglia in ordine alla fede perché si possano imboccare vie antiche ed inventarne di nuove.
Il racconto del Vangelo ci presenta Giuseppe e Maria che ritrovano Gesù dopo tre giorni, nel tempio, mentre ‘ascolta’ e ‘interroga’ i maestri della legge. La loro angoscia si traduce in rimprovero, un rimprovero dettato, in fondo, dall’amore. La risposta non tarda ed è garbata, ma anche chiara, senza tentennamenti: «Non sa­pevate che io devo occuparmi delle cose (della casa) del Padre mio?».
Colui che prende la parola non è un bambino. Gesù ha dodici anni e, compiuto il suo «Bar mitzvah» è diventato per l’appun­to un «figlio della legge», cioè ‘maggiorenne’, responsabile delle sue azioni davanti a Dio e davanti agli uomini. Questo compor­ta la coscienza chiara di una missione da compiere, a cui biso­gna prepararsi. Essa non può essere ignorata perché costituisce l’orizzonte e poi il cuore della sua esistenza. Non saranno Maria e Giuseppe a decidere del suo futuro. Non saranno i legami di sangue (Maria) o legali (Giuseppe) a prevalere sul legame con il Padre, più profondo e più originario, perché esiste da sempre. E non saranno neppure le convenzioni sociali – regole non scrit­te, ma sovente più forti di quelle codificate – a imporsi sullo stile o sulle scelte della sua esistenza. Che Maria e Giuseppe non ‘comprendano’ ci risulta del tutto plausibile. Questa loro fatica, del resto, li avvicina alla condizio­ne di tanti genitori che, pur con tutta la buona volontà, non rie-scono a ‘capire’ i figli. Non per loro colpa, ma perché Dio non manca di suscitare percorsi inediti, che sorprendono.
Se ci siamo fatti un’immagine oleografica della Santa Famiglia, il racconto di oggi la smentisce senza mezzi termini. E ci rimanda alla famiglia a cui appartenia­mo con uno sguardo nuovo ed un cuore aperto. C’è chi dice, scherzando, che genitori e figli vivono una radi­cale ‘povertà’. Nessuno si sceglie i genitori e nessuno si sceglie i figli. C’è quindi un percorso da compiere per crescere e vivere bene in famiglia.
Percorso di amore e di autentica santità che ogni famiglia è chiamata a compiere… lo ha dovuto affrontare anche la fami­glia di Gesù! Sì, perché di quel figlio, nato in modo straordina­rio, Maria e Giuseppe non sanno granché. E devono accettare di conoscerlo un po’ alla volta, passando attraverso ansie ed inquietudini. E lui, Gesù, non lo ha certo fatto per cattiveria…ma nello stesso tempo non può rinunciare alla sua identità e alla sua missione. Passaggi difficili? Sicuramente! Ma anche passaggi che fanno approdare a ciò che conta: fare ognuno la sua parte, da genito­ri e da figli, accogliendo e realizzando il progetto di Dio. Che, inevitabilmente, è per ognuno fonte di sorpresa. Un progetto che non è scritto, da qualche parte, in un libro inaccessibile, ma che si deve scoprire, giorno dopo giorno. Accettando i tempi ed i modi che si presentano, gli eventi e gli indizi che ci vengono offerti. Con fiducia perché il Signore ci accompagna sempre e il suo Spirito ci suggerisce gli atteggiamenti e le decisioni miglio­ri. Con speranza perché questo, nonostante ogni difficoltà, è il cammino della vita e della gioia.

PREGHIERA 
Non sei più un bambino, Gesù, quando Maria e Giuseppe ti conducono con loro al tempio del Signore, a Gerusalemme. Per il tuo popolo, per la legge sacra tu sei ormai ‘maggiorenne’, responsabile delle tue azioni davanti a Dio e agli uomini.
Ed è per questo che non puoi ignorare la missione ricevuta dal Padre. Nella sua casa tu ti trovi perfettamente a tuo agio, per nulla imbarazzato dai maestri, esperti conoscitori della Bibbia, che ascolti ed interroghi, senza presunzione e senza timore, seduto in mezzo a loro, giovane per età, ma portatore di un’esperienza unica di Dio  perché sei il suo Figlio, l’amato.
E quando vieni rimproverato per l’ansia e per l’angoscia di cui sei stato causa, la tua risposta è meravigliata: il legame col Padre tuo, infatti, non è forse in cima ai tuoi pensieri, alle tue azioni, ai tuoi sentimenti?
In ogni caso tu accetti i tempi diversi della tua vita di uomo: torni a Nazaret e ti sottometti all’autorità di Giuseppe e di Maria, impegnato a crescere in sapienza, età e grazia, per prepararti alla tua missione.

sabato 29 dicembre 2012

456 - IL VERBO SI È FATTO CARNE - 25 Dicembre 2012 – Natale del Signore

(Isaia 52,7-10  Ebrei 1,1-6  Giovanni 1.1-18)

Il prologo di Giovanni ci obbliga a staccarci dal presepio e dalla sua poesia. E tuttavia, mentre ci narra l’Incarnazione par­tendo da un altro punto di vista, apre uno squarcio significativo sull’esperienza del credente, raccontata nei suoi aspetti fonda­mentali. Così, aiutati dalla seconda lettura, noi abbiamo la pos­sibilità di situare l’Incarnazione dentro un disegno d’amore che lega Dio all’umanità e di entrare personalmente nel Mistero di una comunione che dilata gli spazi della nostra esistenza, apren­doli alla bellezza e alla grandezza di Dio.

Uno sguardo diverso è quello che siamo invitati a getta­re sull’evento che celebriamo. Il presepio ci mette davanti alla culla improvvisata e ci invita a riconoscere in quel bambino il Salvatore, il Cristo, il Signore. Uomini dinanzi ad un piccolo d’uomo, ci troviamo al suo stesso livello, nella condizione della nostra dolorante umanità. La Parola però ci induce a ricono­scere in lui il Messia, l’Atteso, il Figlio stesso di Dio. Quello che balza subito agli occhi è la sua umanità: solo la fede ci permette di confessare la divinità.

Ora il prologo, però, ci prende per mano perché consideria­mo tutto con gli occhi di Dio. È dall’eternità che egli ha riserva­to agli uomini il suo amore e quanto celebriamo – l’Incarnazio­ne – è il culmine di una storia. La lettera agli Ebrei la riassume in modo sobrio e al contempo efficace. Dio si era già rivelato «molte volte» e in «diversi modi» attraverso i suoi inviati (i profeti), ma ora è il suo stesso Figlio che prende la carne di un uomo. Dio non agisce più “per interposta persona”, ma diret­tamente. Perché questo avvenisse è accaduto l’impensabile: «Il Verbo si è fatto carne». Colui che era fin dal principio, la Parola eterna che ha creato il mondo, ha assunto la carne di un uomo e tutto ciò che essa comporta, eccetto il peccato. Attraverso di es­sa Dio ha piantato la sua tenda per sempre nella nostra storia, si è legato indissolubilmente all’umanità.

PREGHIERA DELLA NOTTE
Nella nostra storia non mancano tempeste ed uragani, Gesù, che intervengono con violenza, colpiscono e devastano, ma la memoria del tuo Natale è come una luce che non si spegne mai.
Una luce fragile che tante volte ha rischiato di venir coperta da un cumulo di affanni, di pene e di sofferenze e tuttavia continua a diffondere un chiarore benevolo Che cosa mantiene viva questa luce minacciata da tanti venti ostili?
È la forza della nostalgia, una nostalgia acuta, pungente, di una vita che reca il sapore e il gusto del tuo Vangelo, e con essa la possibilità di stupirsi come fa un bambino di fronte alle cose belle che gli accade di vivere.
È la fiamma del desiderio, un desiderio intenso, profondo, di incontrare te. Non nella forza di un potente, non nell’inflessibilità di un giudice, non nella sapienza di un dotto, ma in una debolezza sconcertante, nella fragilità di un bambino!

PREGHIERA DELL’AURORA
Anche noi, questa mattina, vogliamo vedere il segno che Dio offre a tutta l’umanità: un bambino, nato da poco, adagiato nella mangiatoia. Anche noi siamo pronti il Figlio di Dio che ci visita nella fragilità della nostra carne.
È la parola dell’angelo che ci ha fornito le indicazioni indispensabili: come potremmo altrimenti identificare in te, Gesù, l’Inviato, l’Atteso e rallegrarci della tua presenza? È la parola che ci indica la strada che conduce a te che sei la luce del mondo e ci induce ad accogliere con meraviglia e stupore il mistero d’amore che ci viene svelato.
Anche noi, come Maria, siamo invitati a non lasciar passare invano questa grazia, a custodire ogni cosa, ogni messaggio ed ogni evento, nel profondo del cuore, per cogliere il senso nascosto di ciò che ci è stato rivelato.
E anche noi, tornando a casa, diventeremo i tuoi messaggeri, diffondendo attorno a noila speranza che ci è stata regalata.

PREGHIERA DEL GIORNO
Sei tu, Gesù, la Parola che dissipa ogni equivoco e strappa le maschere che gli uomini hanno applicato all’immagine di Dio. Tu ci riveli i tratti del suo volto di Padre e ci fai conoscere il suo disegno di salvezza.
Sei tu, Gesù, la Vita offerta ad ogni uomo: non una vita qualsiasi, ma contrassegnata da una pienezza e da una bellezza che superano ogni attesa.
Sei tu, Gesù, la Luce che rischiara le profondità del nostro cuore e illumina le strade che portano alla felicità, una Luce più forte di qualsiasi tenebra, di ogni dubbio e di ogni inganno che minacciano il nostro cammino.
Ecco perché oggi vogliamo dirti tutta la nostra gratitudine: tu ci hai sottratti al potere umiliante della legge e ci hai manifestato grazia e misericordia, tu ci hai generato ad un’esistenza nuova,facendo di noi i tuoi figli.

455 - ACCOGLIERE DIO - 23 Dicembre 2012 –IVª Domenica di Avvento

(Michea5,1-4 Ebrei 10,5-10 Luca 1,39-45)

Accogliere Dio significa mettersi in cammino verso il compimento, mossi dalla pro­messa: «la gravidanza di Elisabetta è un invito per Maria a rin­tracciare il senso dell’agire di Dio». Il credente non è un ‘se­dentario’, ma uno che si mette per strada. Abbandona i luoghi conosciuti per lasciarsi condurre dalla parola del Signore, alla ricerca dei segni che egli offre. È attraverso di essi, infatti, che è possibile decifrare la storia. Non è casuale che la storia della salvezza ci conduca per le strade del mondo. La strada di Abra­mo che abbandona il suo clan e si fida della promessa di Dio. La strada di Mosè che torna in Egitto dopo l’esperienza del roveto ardente per liberare il suo popolo dalla schiavitù. La strada di Israele verso la libertà e la terra che Dio gli donerà. La strada di Elia, il profeta stanco e scoraggiato, che cammina quaranta gior­ni e quaranta notti verso l’Oreb, il luogo dell’appuntamento. Il credente è un viandante, un pellegrino, mosso dalla sete di Dio. Mettersi in cammino in fretta, senza indugio: questa fretta non è dettata dalla cu­riosità, ma dal desiderio di entrare in quel progetto che è stato appena rivelato a Maria. Il credente è ‘determinato’, deciso nel vincolare la sua vita al disegno di Dio. L’orizzonte del suo per­corso è stato radicalmente cambiato dall’intervento di Dio, che ha fatto irruzione nella sua storia. In modo imprevisto e con un annuncio sorprendente. Domandando una disponibilità a tutta prova, ma anche offrendo un segno. Ed è proprio questo segno che Maria si precipita a riconoscere di persona, per essere con­fermata nella sua decisione di accettare senza riserve il piano di Dio.
Accogliere Dio significa aprirsi all’incontro tra creature toccate dalla grazia, trasfor­mate nella loro esistenza: è un incontro di gioia quello che av­viene tra Elisabetta e Maria, una gioia che irraggia da queste due donne, così diverse tra loro, eppure accomunate da un’e­sperienza di grazia, dall’intervento inaspettato di Dio nella lvita. E in effetti la sorgente della gioia, che traspare dalle parole e dai gesti, è proprio lui, Dio. Egli sta operando meraviglie: la donna sterile, già avanti negli anni, è ormai prossima al parto; la vergine ha appena concepito e porta in grembo il Messia, il Figlio stesso di Dio. Tutto questo è straordinariamente grande e queste due creature, illuminate dallo Spirito, ne sono coscienti. In questo incontro ognuno interviene a suo modo: c’è il grido di Elisabetta, mossa dallo Spirito; la danza del Battista nel grem­bo di sua madre; il cantico di Maria che condensa la gratitudine di tutti i poveri che lungo i secoli hanno beneficiato dell’amore sorprendente di Dio. Elisabetta dichiara, proprio perché «piena di Spirito Santo», ciò che sta accadendo in Maria ed identifica in che cosa consista la sua grandezza: «Beata colei che ha cre­duto nell’adempimento delle parole del Signore». Non si tratta solo di un riconoscimento che corrisponde ad una ‘conoscenza’, a qualcosa che coinvolge la mente ed il cuore. È con tutto il suo essere che questa donna ‘vibra’ perché il suo bimbo, dentro di lei, «esulta di gioia». Maria, quando apre la bocca, manifesta ciò di cui è ricolmo il suo cuore. E sgorgano le parole della gratitu­dine e della meraviglia. Parole sue, anche se appartengono ad una tradizione di ricerca e di attesa, di preghiera e di contem­plazione che viene da più lontano e in cui è totalmente immersa. Sono espressioni di fede che testimoniano la certezza che Dio prende a cuore la sorte dei suoi figli e rivela la sua preferenza per i poveri e per gli abbandonati. Non è un Dio ‘neutrale’, che sta ad osservare alla finestra: egli si schiera perché vuole cam­biare il corso della storia. Il suo amore ha generato, proprio per questo, un progetto di salvezza che riguarda tutti gli uomini.
Dio è entrato nella storia di queste due donne: basta assistere, con gli occhi di Luca, al loro incontro, per rallegrarsi di ciò che sta avvenendo. Dio opera e coloro che lo accolgono, con fede e disponibilità, partecipano ad un’avventura che trasforma dal profondo la loro esistenza. Sì, è veramente nuovo il loro rap­porto con lui. La loro vita non è più quella di prima. Ma sono nuove anche le relazioni che nascono con quelli che incontrano, relazioni che trasudano consolazione e speranza. Come sarebbe bello che anche i nostri incontri, nella vita quotidiana, diventas­sero simili a questo! Come sarebbe bello se, invece di cedere al bisogno irrefrenabile della chiacchiera, parola leggera che si perde nel vento, noi avessimo l’audacia di riconoscere ognuno quello che Dio sta facendo nella nostra vita e ce lo comunicassi­mo per raddoppiare la nostra gioia e la nostra speranza! Come sarebbe bello se, nel linguaggio semplice e piano di ogni giorno, noi dessimo voce alla gratitudine di un popolo che vede i segni di Dio nella sua storia!
Saremo capaci anche noi, a Natale, di dar vita ad incontri di questo genere? La festa che celebriamo, la consapevolezza che Dio è entrato nella nostra storia, metterà sulle nostre bocche espressioni di gioia e sapremo rallegrarci di ciò che egli opera in coloro che ci vivono accanto?

PREGHIERA­
Benedetta è Maria, la madre tua, Gesù. Benedetta per la sua fede: ha accolto la proposta di Dio che veniva a sconvolgere la sua esistenza, i suoi progetti, i suoi disegni sul futuro. Si è fidata totalmente di lui e si è detta pronta a fare la sua volontà.
Benedetta per la sua prontezza nel venire a vedere il segno che le è stato offerto: Elisabetta, la donna anziana e per giunta sterile, sta per dare alla luce un figlio, è già al sesto mese.
Benedetta per la sua generosità nell’accorrere in aiuto alla sua parente ormai prossima al parto: la “serva del Signore” non si nega alle umili incombenze e ai piccoli servizi che alleviano tanti disagi.
Ma benedetta soprattutto Maria perché porta in grembo te, Gesù, il dono più grande che Dio fa agli uomini. Benedetta perché è l’Arca della Nuova Alleanza, davanti alla quale il Battista danza di gioia, di esultanza nel grembo di sua madre, lui che ti annuncerà agli uomini.

lunedì 24 dicembre 2012

454 - RALLEGRATEVI, IL SIGNORE È VICINO -16 Dicembre 2012 –IIIª Domenica di Avvento

(Sofonia 3,14-17  Filippesi 4,4-7  Luca 3,10-18)

La vera gioia nella vita di un credente nasce dal conoscere la vicinanza di Dio. Questa qualità interiore della autentica gioia cristiana è legata per l’apostolo Paolo alla luce di Dio che penetra nella nostra vita. Questa è l’energia che ci può trasformare dal di dentro. Quando ci apriamo a questa energia facciamo l’esperienza della conversione, cioè di una ‘svolta’, di un cambiamento di rotta. Il Vangelo fa accadere in chi lo ascolta un cambiamento di men­talità e di orizzonti. Non ci viene chiesto di compiere azioni eroiche, di fare cose grandi, ma di convertirci, cioè di passare da una situazione in cui si è centrati sul proprio egoismo ad una si­tuazione nella quale ci si apre a Dio che ci raggiunge attraverso Gesù, alla vita fraterna, al servizio degli altri. Tutto questo non trova la sua origine nei nostri sforzi ma nell’accogliere la salvez­za offerta da Dio, quindi nel dare fiducia a Dio, nell’aprirgli vo­lentieri il cuore e lo spirito. La fede, allora, trova il suo marchio di garanzia in questa di­sponibilità al cambiamento, considerato non come un obbligo pesante e duro, ma come la gioiosa possibilità di compiere cose nuove, di uscire dai binari del ‘vecchio’ e dello ‘scontato’, per inoltrarsi in sentieri nuovi, sui quali il Cristo ci precede.
Da dove partire? Da una richiesta precisa: «Che cosa dob­biamo fare?». Una domanda semplice, concreta, che rivela la disponibilità a cambiare, la voglia di impegnarsi, il desiderio di prendere sul serio l’annuncio del profeta. Non è cosa da poco questa domanda.
È un punto di arrivo, un solido punto di arrivo. È il segno che il cuore, il centro dell’esistenza, è rimasto veramente colpito. Non in modo epidermico, superficiale. Non da una commozio­ne di breve durata. Non da un interesse generico per una nobile idea. È nel profondo che sta accadendo qualcosa. La parola che viene da Dio e che il profeta ha trasmesso, ha toccato veramen­te le persone che l’hanno udita. Ed ora esse vogliono fare qual­cosa per mostrare che è avvenuto in loro qualcosa di nuovo.
È un punto di partenza questa domanda: una finestra spalan­cata sul futuro, su uno stile nuovo di vita, su punti di riferimento che non sono più quelli di prima. È la volontà decisa di cambia­re, anche se cambiare non è facile. Sarebbe molto più comodo lasciarsi andare agli atteggiamenti e alle scelte di sempre, ma non è più possibile. Quella parola ha provocato troppo trambu­sto, ha riacceso le speranze, ha spazzato via timori e paure portandoci alla fede.
La fede non è una relazione attra­verso la quale ci si ripromette di ottenere qualcosa da Dio, in cambio delle nostre prestazioni cultuali e morali. Non è una sor­ta di velata transazione commerciale. E non è neppure la ricerca di ottenere un consenso, un’approvazione, una consolazione da parte di un Dio che ratifica, ad occhi chiusi, senza alcun diritto di critica, le scelte e le decisioni che abbiamo già prese. Non è nemmeno una richiesta di sostegno, di aiuto che parte da una situazione di bisogno, quando non si è in grado di far fronte alle proprie difficoltà.

La fede ci fa entrare in un movimento esattamente contrario. Come ci ha insegnato Gesù, affidandoci la preghiera del Padre nostro, si è pronti a fare la volontà di Dio e dunque a cambiare direzione, atteggiamenti e comportamenti. Così avviene che da­vanti ad ogni persona si aprano strade praticabili di giustizia e di amore.

 Il cammino della fede mette in luce due dinamismi:

• uno dal basso: «Non è vero che non ci sia niente da fare, l’uo­mo, pur in condizioni di difficoltà e di crisi, può sempre agire nel senso di un cambiamento in positivo e a portata di ma­no»;

• uno dall’alto: è il dono dello Spirito al Messia e a tutti gli uo­mini che entreranno a far parte del Regno, quel progetto che imprime alla storia una dinamica totalmente nuova.

PREGHIERA
 
È questa domanda, Gesù, il segno evidente che si è disposti a cambiare vita, a convertirsi, a deporre decisioni e comportamenti che ci erano abituali: «Che cosa dobbiamo fare?».
Ed è attraverso la voce del Battista che tu oggi ci conduci sulle strade che portano a celebrare il tuo Natale.
Sono i percorsi della solidarietà: scopriamo che quanto abbiamo più del necessario è di coloro che mancano di beni indispensabili, di cibo, di vestito, di casa …
Sono le vie della giustizia e della legalità: scegliamo di essere cittadini onesti, che pagano le tasse e fanno la loro parte senza sotterfugi, che onorano con impegno le mansioni del loro lavoro.
Sono i sentieri della non violenza, lungo i quali si cammina disarmati e senza difese, rinunciando ad approfittare del proprio sapere, del proprio ruolo, della propria ricchezza per assoggettare il debole di turno, per infierire sull’emigrato, per sfruttare l’ingenuo.

sabato 8 dicembre 2012

453 - UN DIO CHE ENTRA NELLA STORIA - 09 Dicembre 2012 –IIª Domenica di Avvento

(Baruc 5,1-9 Filippesi 1,4-6.8-11 Luca 3,1-6)
In questa seconda domeni­ca di Avvento Luca ci strappa alla regione dei sogni e delle illusioni e ci fa stare con i piedi ben piantati per terra. Ci disegna uno scenario che non è dei più accattivanti: il dominio imposto con la forza, la sete di potere che spinge a di­vidersi le regioni della terra con successioni non sempre facili, il potere religioso che vuole avere la sua parte.
Luca ci offre delle coordinate storiche e lo fa senz’altro per darci la possibilità di situare quanto accade, ma «se, nei primi tre versetti, ad occupare il palcoscenico sono otto personaggi della storia e un vasto impero della terra, negli ultimi tre l’even­to narrato coinvolge ogni uomo e si diffonde su tutte le strade del mondo per arrivare fino a noi». In questo modo i discepoli di Gesù vengono condotti a non lasciarsi impressionare dall’apparenza, dallo sfavillio che ac­compagna il potente di turno. È importante, infatti una vera ‘in­telligenza’ degli avvenimenti, che consiste nel cogliere l’essen­ziale. «Il vero remo che muove la barca della storia e che guida l’umanità, è la parola di Dio». «Il vero fatto degno di nota sta al centro del palcoscenico e vede all’opera l’agire divino. La storia degli uomini e dei potenti umani tace, la storia della salvezza ha, invece, delle cose da raccontare, apre la bocca dei suoi interpreti e fa sentire liete notizie». Così Luca ci allontana dalla confusione terribile che, proprio in questo tempo di preparazione al Natale, emerge con forza scon­certante e di cui, proprio i bambini, offrono un riscontro imme­diato. Confondere Gesù con Babbo Natale non è una cosa di poco conto. Se un personaggio storico viene amalgamato ad una creatura fantasiosa, frutto dell’invenzione degli uomini, prima o poi ne subisce la stessa sorte: quella di essere abbandonato tra i reperti dell’infanzia, ormai inutili quando si è cresciuti. Più sottile ancora la tentazione, a cui sono soggetti maggior­mente gli adulti, di far coincidere la festa del Natale con una vaga atmosfera di pace e di armonia, che viene a colmare un bi­sogno sempre più consistente ai nostri tempi. La ‘magia’ del Na­tale è dunque qualcosa da costruire con un buon pranzo e con i regali, con il panettone soffice e lo spumante doc. Per un giorno, almeno, uomini e donne, astraendo dalla storia, si sentono buoni perché mettono tra parentesi i conflitti e le divisioni, le ingiusti­zie e gli scandali. Ma è questo il Natale del Signore Gesù? Ed è questo l’obiet­tivo della fede? Farci evadere dalla storia per non avvertirne gli scandali e i contrasti, per non vederne le lacrime ed il sangue, il dolore e la violenza? Il grido che viene affidato a Giovanni Battista deve desta­re ogni uomo e chiamarlo ad accogliere risolutamente il ‘vange­lo’ che lo raggiunge. Se Dio offre salvezza, nessuno può lasciar­lo passare invano. Ecco perché raddrizzare e sgombrare ogni percorso che potrebbe bloccarlo. Ognuno è rinviato, a questo punto, alla sua storia personale, all’incontro con Cristo che ha cambiato la sua vita e le ha dato un senso, una direzione, un traguardo.

PREGHIERA 
L’antica parola del profeta non si è persa nelle nebbie della storia, non si è smarrita nei meandri delle complesse vicende umane. Venuta da Dio, essa mantiene intatta tutta la sua forza, la sua efficacia e sta per giungere a compimento. Tu, il Figlio di Dio, hai assunto la carne di un uomo e la tua missione sta per cominciare.
Ecco perché il Battista riceve una parola da gridare alta e forte, senza paura, per allertare gli animi, per ridestare le coscienze, per smuovere i cuori sulla via della conversione.
Attraverso di te, Gesù, Dio visita il suo popolo: una grazia inimmaginabile, un dono stupendo da non rifiutare, da non lasciar passare invano. In gioco è la salvezza, una salvezza offerta a tutti a patto che la accolgano e volgano la loro esistenza in modo deciso verso l’Inviato di Dio.
Ecco perché è il tempo della determinazione: ostacoli e impedimenti devono essere tolti di mezzo, dislivelli e burroni domandano di essere colmati: nulla deve impedirci di incontrarti.

452 - IL SÌ DI DIO … IL SÌ DI MARIA - 08 Dicembre 2012 – Immacolata Concezione di Maria

(Genesi 3,9-15.20  Efesini 1,3-6.11-12  Luca 1,26-38)
Ci siamo mai chiesti perché, ad ogni Avvento, noi siamo invi­tati a compiere questa sosta festiva, celebrando l’Immacolata Concezione di Maria? Io credo che non si tratti di una proposta casuale. Nel bel mezzo di quell’avventura che è l’Avvento, a di­stanza di due settimane dal Natale, la Chiesa vuole ridestare la nostra speranza proponendoci quest’icona di grazia. C’è una buona notizia, che trasforma l’ombra del peccato in una proiezione di luce e apre alla speranza. L’uomo, segnato dal peccato, non è abbandonato a se stesso: Dio si impegna, in prima persona, a sconfiggere il male. Le parole del credente costituiscono un inno di gioia che celebra il trion­fo dell’amore e della fedeltà di Dio, che non si lascia disarmare dall’ingratitudine dell’uomo.
La promessa antica si compie in Maria. L’ombra di Dio la ri­copre e la avvolge. Nulla è lasciato al caso. Dio l’ha preparata e custodita per annunciarle che sarà la Madre del Messia. Intro­dotta nei piani di Dio, la Vergine accetta che la sua vita sia tra­sformata dall’azione dello Spirito. Ogni credente sperimenta un’esistenza nuova: la grazia e la santità di Dio trasfigurano le sue scelte e i suoi comportamenti. Nulla è più come prima.
Il Signore ha compiuto meraviglie: la verità di fede proposta all’intera Chiesa è così ufficialmente proclamata e riconosciuta: «La beatissima Vergine Maria dal primo istante del suo concepimento fu preservata immune da qualsiasi macchia di peccato originale per grazia e privilegio singolare di Dio onnipotente e in considerazione dei meriti di Gesù Cristo salvatore del genere umano».
Nel percorso dell’Avvento la solennità dell’Immacolata Con­cezione non segna un’interruzione, una sorta di diversivo. Al contrario: Maria è un’icona vivente della fede, è la discepola che accoglie l’annuncio di gioia che cambia la sua vita, è colei che ascolta con disponibilità e offre una risposta che impegna tutta la sua esistenza.
A partire da quel momento essa non le appartiene più. Non è un capitale da investire per la propria riuscita, ma un dono messo nelle mani di Dio perché egli ne disponga secondo la sua volontà. Non è un bene destinato alla propria felicità, ma ad un progetto più grande che comporta la salvezza di tutti gli uomini. È questa l’obbedienza della fede. Nasce dall’ascolto, ma si compie nel «fare la volontà di Dio», nella semplicità e nell’u­miltà. Maria è icona del credente E del discepolo. L’espe­rienza della fede è quel ‘sì’ che Dio si attende da ognuno di noi. Ed è lo slancio del credente che si mette nelle mani del suo Dio.
PREGHIERA
Tu l’hai preparata, o Dio, a diventare la madre del tuo Figlio e l’hai sottratta al potere di quel peccato d’origine a cui siamo strappati per la morte e risurrezione del tuo Figlio.
In lei, Maria, tu ci manifesti la forza e la determinazione del tuo amore: perché tu non hai lasciato nulla al caso, pur di realizzare il tuo disegno di salvezza. In lei, Maria, tu ci riveli cosa accade quando la tua grazia non trova resistenza e viene pienamente assecondata dalla libera volontà di una creatura. In lei, Maria, tu ci sorprendi con la sua disponibilità e la sua fiducia a tutta prova, perché mette la sua vita nelle tue mani, senza chiedere di poter capire fino in fondo le conseguenze della sua scelta.
Attraverso di lei, Maria, tu ci doni Gesù, il tuo stesso Figlio, venuto a prendere la carne di un uomo per condividere in tutto la nostra esistenza, fuorché nel peccato. Attraverso di lei, Maria, tu realizzi le antiche promesse e dimostri di essere tenacemente attaccato alle tue creature, per le quali prepari un avvenire di gioia. Con lei, Maria, l’Immacolata, tu ridesti la nostra speranza e apri i nostri cuori alle meraviglie del tuo Spirito.

sabato 1 dicembre 2012

451 - FAMMI CONOSCERE, SIGNORE, LE TUE VIE - 02 Dicembre 2012 – Iª Domenica di Avvento

(Geremia 33,14-16 1ªTessalonicesi 3,12-4,2 Luca 21,25-28.34-36)

L’orizzonte della speranza caratterizza il tempo liturgico dell’Avvento. Essa è generata dall’attesa messianica di Colui che viene per salvarci. E non c’è dubbio che il nostro tempo abbia bisogno di questi atteggiamenti profondi, poiché tempo di incertezza e di disorientamento.
L’Avvento cristiano, però, ci parla anche di vigilanza, ossia di attenzione ai segni e di discernimento dei segni che possiamo cogliere all’interno della nostra storia: Dio infatti, anche oggi, ci parla attraverso le vicende della nostra storia. Ma l’interpretazione dei segni che ven­gono da Dio, il loro discernimento, richiede disponibilità all’ascolto e consapevolezza della propria insufficienza: restare chiusi nei nostri interessi particolari e negli intrecci egoistici di cui spesso sono fatte le nostre relazioni significa ritrovarci incapaci di cogliere la gratuità che ci viene donata.
Di domenica in domenica le celebrazioni liturgiche riattualizzano per i cristiani la memoria di quanto Dio ha fatto e continua a fare per l’umanità e invitano a unire preghiera e condotta di vita, perché Dio possa, attraverso la collaborazione umana, realizzare il suo progetto di pace, giustizia e riconciliazione.
Dio è «colui che viene» in continuazione nel nostro mondo, nella sua storia e nelle nostre esistenza: egli ci mostra il suo agire e chiede di lasciarci trasformare nel nostro agire. Le Scritture sacre ci offrono dei modelli: i profeti, Giovanni Battista, Maria. Essi possono aiutarci, con il loro modo di agire, ad affrontare le nostre difficoltà con la fede. Fammi conoscere, Signore, le tue vie: così la liturgia ci invita a invocare, in questa prima domenica di Avvento. E in questo modo ci spinge a vivere la tensione che contraddistingue la nostra fede, fatta al tempo stesso di memoria e speranza, di vissuti e di attesa della salvezza. Trasformare questa invocazione in una coerente condotta di vita è il compito che ci viene affidato. La fede diventa allora sincera e completa fiducia in Dio e collaborazione al suo progetto: seguire le sue vie è ciò che rende ‘giusta’ davanti a Dio la nostra esistenza quotidiana.

PREGHIERA - Se questo mondo crolla non ci piangeremo addosso, Gesù. Sappiamo che sulle sue macerie fioriranno i cieli nuovi e la terra nuova che tu ci hai annunciato e desideriamo entrare in quel giorno che non avrà tramonto. Del resto come possiamo ignorare tutto ciò che oggi procura dolori e disagi inauditi a tanti uomini e a tante donne? La sofferenza dei piccoli, la fame di intere popolazioni, lo sfruttamento sistematico dei deboli e dei poveri bussano quotidianamente alla porta della nostra coscienza e ci inducono a non dormire sonni troppo tranquilli, ci spronano a rimboccarci le maniche per diminuire gli scandali, provocati dalla durezza del nostro cuore. Se questo mondo finisce dobbiamo essere pronti per quel gran giorno, Gesù. Ecco perché tu ci inviti a vegliare senza addormentarci, a rimanere desti e pronti per non essere trovati impreparati. Ecco perché tu ci chiedi di esaminare attentamente gesti e parole, scelte e decisioni in attesa del tuo ritorno nella gloria.