giovedì 30 settembre 2010

65 - Alla scuola della sapienza ... impariamo a crescere in famiglia!

IL CONTADINO E I BARATTI (seconda parte)

Giunti che furono alla fattoria, l'amico si nascose dietro l'uscio e stette a sentire.
«Eccoti di ritorno, sia lodato Iddio! » disse la donna. « Come hai passato la giornata? Sei stato al mercato?»
«No, faceva troppo caldo. Per via ho incontrato un tale che portava un porco al mercato, e gli ho dato in cambio la mucca».
«Ma che buona idea! Così avremo del buon prosciutto per quest'inverno ... »
«Ma non l'ho portato fin qui. Strada facendo, ho cambiato parere. Ho visto una bella capretta e l’ho presa in cambio del maiale».
«L'ho sempre detto che sei un uomo saggio! Ci darà latte e formaggio, e forse un caprettino ... Andiamo a metterla nella stalla».
«Ma poi ho dato la capra in cambio di un'oca ...»
«Tu pensi sempre alle cose che possono farmi piacere! Prenderemo le piume per il nostro copriletto, e poi mangeremo l'oca!»
«Ma poi ho barattato l'oca con un gallo ...»
«Un gallo! Questa sì, che é una buona idea! Ci servirà da svegliarino per alzarci alla mattina!»
«Neppure il gallo ho portato. Ti dirò: verso sera mi é venuta una fame da lupo, sono entrato in una osteria, e ho mangiato e bevuto talmente che ho dovuto dare il gallo per pagare la cena ... »
«Dio sia lodato! Così staremo a letto fin che ci piace, e dormiremo tranquilli senza che il gallo ci svegli. A me importa solo, lo sai, di saperti contento » .
... La scommessa era vinta, e il compare sborso i venti scudi, più che bastanti per una mucca.
HANS C. ANDERSEN

Le riflessioni che avete fatto sono simili a questa? Ci sta nel vostro immaginario la capacità di questa donna di leggere sempre bene e rivolta come attenzione a lei qualsiasi scelta faccia il marito?...se anche non vincesse i venti scudi sono due persone felici perché ognuno cerca la felicità dell’altro!!!...e questo è un tesoro inestimabile ed inesauribile per il quale la coppia che ce l’ha vive un eterna “luna di miele”! La meta sembra lontana ma se facciamo un passo al giorno la raggiungiamo!

sabato 25 settembre 2010

64 - XXVI DOMENICA – LA MORTE PERMETTE UNA LUCE DIVERSA SULLA VITA - 26 SETTEMBRE 2010

LA PAROLA DOMENICALE LETTA IN FAMIGLIA
( Amos 6.1.4-7 1° Timoteo 6,11-16 Luca 16,19-31 )

La vita del ricco epulone e del povero Lazzaro con la morte cambia totalmente.
Nella luce del Vangelo la morte non è solo una forza che travolge, ma è anche un’occasione perché essa sia l’ultimo gesto della vita. Un gesto di offerta, ultimo dei gesti di offerta, per i quali la vita non è segnata dalla disperazione che chiude in un destino, ma incontra un’apertura nella possibilità di amore e di grazia, per cui le piaghe da fonte di dolore diventano sorgenti di energie. E’ la forma feriale di risurrezione. E’ il dono di speranza che permette di non cedere alla disperazione che conduce all’eutanasia.
Questo porta a cogliere tutti i ‘più’ della vita, anzi a costruirli con la serena ironia della maturità della fede, che sa non solo accettare e pazientare, ma anche sfruttare i ‘meno’ della vita.
Questo discorso apre anche la luce sul giudizio, che ordinariamente viene visto come sentenza, mentre è “l’attuazione definitiva della storia”. Il darsi del giudizio significa che la storia è sotto il progetto, le disposizioni di Dio. E’ il giudizio di Dio che avviene sempre, ogni giorno, ad ogni biforcarsi della strada. Teilhard de Chardin ricorda che ad ogni bivio avviene un dramma: davanti alle creature sta o la via per evolversi, abbandonando quello che si è stati fino ad allora, o rifiutare il di più, il nuovo, rimanendo quello che si è stato fino ad allora (che risulta essere un meno a fronte del più offerto). Il giudizio avviene ogni momento nel quale la libertà risponde (è l’atto della responsabilità). Il peccato allora più che fare il male è “preferire di rimanere nelle nostre cose, lasciando le cose di Dio a Dio! Così avviene il giudizio e la determinazione della vita, per cui il giudizio finale, personale ed universale, è come una presa d’atto di Dio di ciò che abbiamo deciso di essere, più che una sentenza su ciò che abbiamo fatto.
Il senso del giudizio pertanto non è uno spauracchio, ma un incentivo a quel di più che Dio vuole per noi, ma anche a quel di più che ogni persona desidera, perché in se stessa ogni creatura è desiderio di infinito, desiderio di Dio.

In famiglia serve pazienza e mitezza
In famiglia il lavoro di entrambi i genitori e le molteplici attività scolastiche ed extrascolastiche dei ragazzi tolgono spesso spazio all’incontro tra i componenti. Quando i rapporti intrafamiliari vengono gestiti in modo rivendicativo, o come momento di scarico delle tensioni accumulate nella giornata e nella settimana, non vi è più la possibilità di pensare alla famiglia come chiesa domestica, luogo in cui riconosciamo e viviamo l’amore e la delicatezza di Dio Padre. Pazienza e mitezza, al contrario, offrono il vero volto di Dio rivelatosi in Gesù Cristo, paziente e mite Buon Pastore.
Teniamo sempre presente che nella vita la parola paziente e mite di una persona, che si fa compagno di viaggio pronto a portare anche i pesi dell’altro, ha valenza ben superiore degli interventi sporadici attuati come risposta alle emergenze.
La comprensione che la nostra vita è nelle mani di Dio e l’individuazione che l’obiettivo del nostro vivere è essere nella comunione con il Signore ci offre nuove possibilità di vita: ci rende più disposti alla condivisione dei beni materiali e spirituali; ci rende pazienti e miti con le persone della nostra famiglia e con quelle che incontriamo ogni giorno nel nostro vivere; ci permette di crescere nella vita cristiana modellata secondo fede, speranza e carità.

mercoledì 22 settembre 2010

63 - Alla scuola della sapienza ... impariamo a crescere in famiglia!

IL CONTADINO E I BARATTI (prima parte)
C'era una volta un vecchio contadino chiamato Barbagrigia, che viveva in una fattoria insieme alla moglie. Questa non era una moglie come tutte le altre: infatti, aveva una particolarità tutta sua: era sempre contenta di ciò che il marito faceva.
Un giorno gli disse: «Abbiamo due mucche, ce n'é una di troppo per noi, che siamo vecchi oramai. Che ne diresti di andare a venderne una al mercato? »
Il marito approvò, e si avviò verso il mercato con la sua mucca. Ma la strada era lunga, e il sole scottava. Così, quando vide passare un contadino che portava al mercato un grasso e tondo maiale, gli venne in mente che avrebbe potuto barattarlo con la sua mucca. Avrebbe risparmiato la strada fino al mercato. «Vuoi scambiare il tuo porco con la mia mucca? » gli chiese. L'altro accettò di buon grado, e Barbagrigia si rimise in cammino.
Ma il maiale era stanco anche lui, e non ci fu verso di farlo camminare, neppure a forza di calci e spintoni. In quel mentre, ecco passare un altro contadino che menava al mercato una vispa capretta. « Ah, questa almeno non si farà tirare », penso il brav'uomo, esausto dalla lotta con il maiale. E barattò il suino con la capretta.
Ma le capre, si sa, sono capricciose e bizzarre. Quella cominciò a puntare le corna, a saltellare qua e là, lasciando il poveretto senza fiato. Per fortuna, s'imbatté in un contadino carico di una bella oca bianca. «Me la daresti in cambio di questa capra? » Detto fatto; e Barbagrigia si mise l'oca sotto il braccio.
Quella però non voleva saperne di stare in quella posizione: sbatteva le ali, agitava le zampe, menava beccate a destra e sinistra. Tanto che alla prima fattoria, Barbagrigia la barattò con un gallo.
Quello aveva le zampe legate e lo si poteva portare senza inconvenienti, salvo il suo «chicchirichì» che forava i timpani. A Barbagrigia non parve vero di venderlo per uno scudo in una locanda dove entrò per ristorarsi un po'. Lo scudo bastò giusto giusto per un buon pasto innaffiato di birra.
«Ed ora, come oserai presentarti a tua moglie?», domandò un compare quando ebbe inteso la storia di tutti quei baratti. «Oh, sarà contentissima», rispose Barbagrigia. «Vieni e vedrai».
«Che cosa scommetti?» «Quello che vuoi».
«Venti scudi?» «Vada per venti scudi ».

Chi vincerà la scommessa? Come reagirà la moglie davanti a tutti questi baratti?....annotate bene le vostre riflessioni che confronteremo la settimana prossima con la seconda parte del racconto.

sabato 18 settembre 2010

62 - XXV DOMENICA – SERVIRE A DIO O A MAMMONA? - 19 SETTEMBRE 2010

LA PAROLA DOMENICALE LETTA IN FAMIGLIA
L’amore di Dio … in famiglia! ( Amos 8,4-7 1° Timoteo 2,1-8 Luca 16,1-13 )

L’insegnamento sulla ricchezza di Gesù è molto chiaro: i beni sono un ostacolo insuperabile per il Regno; i ricchi, che non investono i loro beni nel grande fiume dell’Amore, non entreranno nel Regno. Dio ed il denaro si oppongono frontalmente come due padroni tra i quali è necessario scegliere: “Nessun servo può servire a due padroni!”. Ossia dovete scegliere tra il Dio dell’amore e il dio del denaro, che Gesù chiama ‘disonesto’ e che personifica in un potere assoluto opposto al suo – un potere che fa parte del regno delle tenebre.
Nella parabola dell’amministratore astuto Gesù ci dà un ulteriore insegnamento. Proprio quella ‘ricchezza di ingiustizia’, che spesso è frutto di iniquità, di sotterfugi e compromessi con la propria coscienza, causa di divisioni, invidie e conflitti anche in seno alle famiglie, può diventare strumento capace di dilatare gli spazi dell’amore e dell’amicizia. Rinunciare agli averi per darli in elemosina non è solo una condizione per seguire il Signore, ma costituisce pure la vera ‘astuzia spirituale’ che apre l’accesso ai tesori del Regno: “Perché, quando questa verrà a mancare, i poveri vi accolgano nelle dimore eterne”.
Il Signore ci invita a preparare il nostro avvenire e a darGli conto della gestione con il dono dei nostri beni ai poveri mediante la condivisione. La ricchezza non è maledetta in se stessa. E’ un servizio ed un dono ai fratelli che il Signore ci dona. Ma la ricchezza può essere un rischio permanente. Una volta che la sete della ricchezza ci afferra non ci molla più. Tende di per sé a sottometterci e ad assorbire tutto il nostro interesse. Così, a poco a poco, Dio finisce per diventare secondario, o peggio, finisce per diventare un avversario pericoloso che bisogna assolutamente eliminare dalla nostra vita. Al contrario quanto più Dio diventa il nostro solo amore, l’unico sole della vita, il tutto del proprio cuore, tanto più si affievolisce l’amore alla ricchezza, fino a scomparire del tutto, come in S. Francesco, per il quale Dio diventa l’unico tesoro da condividere con i fratelli. O, come diceva lui stesso, il suo ‘forziere celeste’.

Dall’amore di Dio nasce l’amore al prossimo, che è prima di tutto la propria famiglia, e l’amore del prossimo alimenta l’amore di Dio. Chi trascura di amare Dio, non può amare il prossimo; e invece progrediamo nel più autentico amore di Dio se prima veniamo nutriti nel grembo del suo amore mediante l’amore verso il prossimo. Poiché l’amore di Dio genera l’amore del prossimo, il Signore che per mezzo della legge avrebbe detto: “Ama il tuo prossimo”, prima disse: “Ama il Signore tuo Dio”; e cioè, prima nel terreno del nostro cuore deve mette radice il suo amore perché questo poi germogli attraverso i rami dell’amore fraterno.
E che a sua volta l’amore di Dio sia alimentato dall’amore del prossimo, lo afferma Giovanni, il quale ammonisce: “Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede”. L’amore divino nasce sì per mezzo del timore, ma crescendo si tramuta in affetto.

61 - Una settimana con il capolavoro Figlio prodigo di Rembrandt

Ottavo giorno: Vivere il dipinto

Che io sia il figlio più giovane o il figlio maggiore, l’unico desiderio del Padre è di portarmi a casa. “Il padre ama ogni figlio a dà ad ognuno la libertà di essere ciò che vuole, ma non può dar loro la libertà che non si sentiranno di assumere o che non comprenderanno adeguatamente. Il padre sembra rendersi conto, al di là dei costumi della società in cui vive, del bisogno dei propri figli di essere se stessi. Ma egli sa anche che hanno bisogno del suo amore e di una “casa”. Come si concluderà la storia dipende da loro. Il fatto che la parabola non abbia una finale garantisce che l’amore del padre non dipende da una conclusione appropriata del racconto. L’amore del padre dipende solo da lui e fa esclusivamente parte della sua scelta. Come dice Shakespeare in uno dei suoi sonetti: “L’amore non è amore se muta quando trova mutamenti”.
La gioia per il drammatico ritorno del figlio più giovane non significa assolutamente che il figlio maggiore fosse meno amato, meno apprezzato, meno favorito. Il padre non stabilisce confronti tra i due figli. Li ama entrambi di un amore totale ed esprime quell’amore in sintonia con i loro itinerari individuali. Li conosce entrambi intimamente. E’ consapevole delle loro peculiari qualità e difetti. Vede con amore la passione del figlio minore, anche quando non è regolata dall’obbedienza. Con lo stesso amore vede l’obbedienza del figlio maggiore, anche quando non è vivificata dalla passione. Il padre risponde ad entrambi rispettando la loro personalità. Il ritorno del figlio più giovane lo porta a sollecitare festeggiamenti gioiosi. Il ritorno del figlio maggiore lo induce ad estendere l’invito ad una piena partecipazione a quella gioia.
Dio mi spinge a raggiungere la sua casa, a entrare nella sua luce e a scoprire che lì, in Lui, tutte le persone sono amate in modo unico e totale. Nella sua luce posso vedere il mio vicino come mio fratello, come colui che appartiene a Dio quanto appartengo io. Ma fuori della casa di Dio, fratelli e sorelle, mariti e mogli, innamorati e amici diventano rivali e persino nemici; ognuno continuamente afflitto da gelosie, sospetti e risentimenti.
Sono in grado di far crescere il figlio più giovane e il figlio maggiore in me fino alla maturità del padre misericordioso? Il lungo viaggio mi ha condotto dal figlio minore inginocchiato e scarmigliato, al cuore indurito del figlio primogenito, fino al padre in piedi e ricurvo; dal luogo in cui si è benedetti, all’oscurità dell’egoismo chiusa ad ogni benedizione, al luogo in cui si benedice….. Quando guardo le mie mani ormai invecchiate, capisco che mi sono state date per tendersi verso tutti quelli che soffrono, per posarsi sulle spalle di tutti quelli che vengono e per offrire la benedizione che emerge dall’immensità dell’amore misericordioso di Dio.

(Queste riflessioni sono tolte dal libro di Henri J.M. Nouwen
L’abbraccio benedicente - Editrice Queriniana)

60 - Una settimana con il capolavoro Figlio prodigo di Rembrandt

Domenica: Diventare il padre

Sin dall’inizio ero preparato ad accettare che non solo il figlio minore, ma anche il figlio maggiore, mi avrebbero rivelato un aspetto importante della mia vita. Per lungo tempo il padre è rimasto “l’altro”, colui che mi avrebbe ricevuto, perdonato, offerto la sua casa e dato pace e gioia. Il padre era il rifugio cui tornare, la meta del mio viaggio, il luogo del riposo finale. Solo gradualmente e spesso piuttosto dolorosamente sono arrivato a capire che il mio viaggio spirituale non sarebbe mai stato completo finché il padre fosse rimasto, per così dire, un estraneo.
Mi stupisco se penso a tutto il tempo che mi ci è voluto per porre il padre al centro della mia attenzione. E’ stato così facile invece identificarsi con i due figli. La loro ritrosia esteriore ed interiore è così comprensibile e così profondamente umana che l’identificazione avviene quasi spontaneamente. Ma perché prestare tanta attenzione ai figli quando è il padre ad essere al centro e quando è con il padre che mi devo identificare?
Forse l’affermazione più radicale che Gesù abbia mai fatto è questa: “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro”(Luca 6,36). La misericordia di Dio viene descritta da Gesù non solo per mostrarmi quanto il Padre sia pronto ad avere compassione di me o a perdonare i miei peccati e offrirmi una vita nuova e la felicità, ma per invitarmi a diventare come Lui e a mostrare la stessa compassione agli altri come Lui la mostra a me.
Osservando il padre, nel dipinto di Rembrandt, riesco ad individuare tre vie che portano ad una vera paternità di misericordia: il dolore, il perdono e la generosità.
Il dolore mi chiede di consentire che i peccati del mondo, i miei compresi, strazino il mio cuore e mi facciano versare lacrime, molte lacrime, per essi. Non c’è compassione senza lacrime. Il dolore mi consente di vedere al di là del mio muro e di capire l’immensa sofferenza che deriva dalla rovina dell’uomo. Apre il mio cuore ad una solidarietà autentica con tutte le persone del mondo intero.
Il perdono è la via per superare questo muro e accogliere gli altri nel mio cuore senza aspettarmi nulla in cambio. Mi chiede di superare quella parte ferita del mio cuore che si sente offesa e maltrattata e che vuole “mantenere il controllo” e porre un po’ di condizioni tra me e colui che mi si chiede di perdonare. Solo quando ricordo di essere il figlio prediletto, posso accogliere gratuitamente quelli che vogliono tornare a casa con la stessa misericordia con cui il Padre accogli me.
La generosità: Dio non offre soltanto di più di quanto ci si possa ragionevolmente aspettare da chi è stato offeso, ma si dà completamente, senza riserve. La parabola ci presenta un Dio la cui bontà, il cui amore e perdono, la cui sollecitudine, gioia e misericordia sono senza confini. Proprio come il Padre dà tutto se stesso ai propri figli, così devo dare tutto me stesso ai miei fratelli e sorelle.

(Queste riflessioni sono tolte dal libro di Henri J.M. Nouwen
L’abbraccio benedicente - Editrice Queriniana)

59 - Una settimana con il capolavoro Figlio prodigo di Rembrandt

Sabato: Il mio essere figlio maggiore

Da quando un amico mi ha fatto notare che potrei essere molto più simile al fratello maggiore che non a quello più giovane, ho osservato questo “uomo alla destra” con più attenzione e ho visto molte cose nuove e anche dure da accettare. Mi è difficile ammettere che questo uomo amaro, risentito e sdegnato, da un punto di vista spirituale possa essermi più vicino del sensuale fratello più giovane. Tuttavia più penso al figlio maggiore e più mi ci riconosco.
Lo smarrimento del figlio più giovane è evidente, facile da comprendere e compatire. Ha fatto cattivo uso del denaro, del tempo, degli amici e del suo stesso corpo. Lo smarrimento del figlio maggiore, invece, è molto più difficile da identificare. Dopo tutto faceva le cose per bene. Era obbediente, ligio al dovere, rispettoso della legge e gran lavoratore. La gente lo rispettava, lo ammirava, lo elogiava e probabilmente lo considerava un figlio modello. All’esterno era irreprensibile. Ma, di fronte alla gioia del padre per il ritorno del fratello, una forza oscura erompe in lui e ribolle in superficie. Improvvisamente emerge una persona risentita, orgogliosa, cattiva ed egoista, una persona rimasta nascosta nel subconscio, anche se si era sempre fatta più forte e operante nel corso degli anni.
Guardando in profondità dentro di me e poi intorno a me la vita degli altri, mi chiedo cosa sia più dannoso, la lussuria o il risentimento? C’è tanto risentimento tra i “giusti” e i “retti”. C’è tanta facilità a giudicare, condannare ed esistono tanti pregiudizi tra i “santi”. C’è tanta rabbia repressa tra le persone preoccupate di evitare il peccato. Lo smarrimento del “santo” pieno di risentimento è così difficile da individuare proprio perché è strettamente unito al suo desiderio di essere buono e virtuoso. Io so, dall’esperienza della mia vita, con quanto zelo ho cercato di essere buono, ben accetto, amabile e di buon esempio. Ma nonostante questo, sono subentrati una severità e un fervore moralistico che mi hanno reso sempre più difficile sentirmi a casa nella casa di mio Padre. Sono diventato meno libero, meno spontaneo, meno allegro, e gli altri hanno finito per vedermi sempre più come una persona piuttosto “pesante”.
A differenza delle fiabe, la parabola non si chiude con un lieto fine. Ci lascia invece faccia a faccia con una delle scelte spirituali più difficili della vita: fidarsi o non fidarsi dell’amore di Dio che tutto perdona. Soltanto io posso fare questa scelta.
Dipingendo non soltanto il figlio più giovane tra le braccia del padre, ma anche il figlio maggiore Rembrandt dà anche a quest’ultimo la possibilità di scegliere o non scegliere l’amore che gli viene offerto.

(Queste riflessioni sono tolte dal libro di Henri J.M. Nouwen
L’abbraccio benedicente - Editrice Queriniana)

venerdì 17 settembre 2010

58 - Una settimana con il capolavoro Figlio prodigo di Rembrandt


Venerdì: Il figlio maggiore

Ora passiamo al lato destro del quadro dove ci sono i volti di coloro che circondano il “ritorno”. Sono enigmatici, a dir poco, specialmente quello dell’uomo alto che sta alla destra del dipinto. Sì, in esso c’è bellezza, gloria, salvezza …ma ci sono anche gli occhi critici di coloro che guardano senza sentirsi coinvolti.
Non ho mai dubitato, nemmeno per un momento, che l’uomo in piedi alla destra della pedana su cui il padre abbraccia il figlio che ha fatto ritorno, fosse il figlio maggiore. E’ l’osservatore principale che guarda la scena ma se ne sta rigidamente sulle sue. Guarda il padre, ma non con gioia. Non si protende in avanti né sorride o esprime il suo benvenuto. Sta semplicemente lì, a lato della pedana, evidentemente non desideroso di farsi coinvolgere.
E’ vero che il “ritorno” è l’evento dominante del dipinto; non è comunque situato al centro fisico della tela. Ha luogo sul lato sinistro del quadro, mentre il fratello maggiore, alto ed impassibile, domina il lato destro. C’è un ampio spazio che separa il padre da questo figlio, uno spazio dove si crea una tensione che esige una soluzione.
Il modo in cui il figlio maggiore è stato dipinto da Rembrandt lo mostra molto simile al padre. Entrambi hanno la barba ed indossano ampi mantelli rossi sulle spalle. Questi elementi esterni suggeriscono come figlio e padre abbiano molto in comune e questa comunanza è sottolineata dalla luce sul figlio maggiore che in modo molto diretto collega il suo al volto luminoso del padre.
Ma che differenza penosa tra i due! Il padre si piega sul figlio che è tornato. Il figlio maggiore sta in piedi irrigidito, posizione accentuata dal lungo bastone che dalla mano arriva sino a terra. Il mantello del padre è ampio e accogliente; quello del figlio cade giù rigido e uniforme lungo il corpo. Le mani del padre sono stese e toccano colui che ritorna in un gesto di benedizione; quelle del figlio maggiore sono strette insieme e tenute vicino al petto. C’è luce su entrambi i volti, ma la luce che emana dal volto del padre fluisce per tutto il corpo – specialmente le mani – e riverbera sul figlio più giovane un grande alone di calore luminoso; mentre la luce del volto del figlio maggiore è fredda e circoscritta. La sua figura rimane nell’oscutità e le sue mani congiunte restano nell’ombra.
Nella storia ci si può immaginare che il figlio maggiore sia fuori al buio e non voglia entrare nella casa illuminata, piena di allegri rumori. Ma Rembrandt non dipinge né la casa né i campi. Ritrae tutto con la luce e l’oscurità. L’abbraccio del padre, peino di luce, è la casa di Dio. Tutta la musica e le danze sono lì. Il figlio maggiore rimane al di fuori del cerchio di questo amore, rifiutandosi di entrarvi. La luce sul suo volto fa capire che anche lui è chiamato alla luce, ma non può essere forzato.

(Queste riflessioni sono tolte dal libro di Henri J.M. Nouwen
L’abbraccio benedicente - Editrice Queriniana)

giovedì 16 settembre 2010

57 - Una settimana con il capolavoro Figlio prodigo di Rembrandt

Giovedì: Il mio essere figlio più giovane

Andarsene da casa è molto più di un evento storico legato al tempo e al luogo. E’ la negazione della realtà spirituale che appartengo a Dio in ogni parte del mio essere, che Dio mi tiene al sicuro in un abbraccio eterno, che sono veramente scolpito nelle palme delle mani di Dio e nascosto alla loro ombra. Andarsene da casa significa ignorare la verità che Dio mi ha “formato nel segreto, intessuto nella profondità della terra,e tessuto nel seno di mia madre”. Andarsene da casa è partire come se ancora non avessi una casa e dovessi cercare in lungo ed in largo per trovarne una.
Esistono molte voci, voci forti, piene di promesse e seduzioni. Queste voci dicono: “Esci e dimostra di valere qualcosa”. Pressoché da quando ho avuto le orecchie per sentire, ho udito quelle voci, e da allora esse sono state sempre con me. Nonostante le mie intenzioni, spesso mi trovo a sognare ad occhi aperti sul come diventare ricco, potente e famoso….. Tutti questi giochi mentali mi rivelano la fragilità della mia fede nel fatto di essere il prediletto in cui Dio si è compiaciuto. Ho così paura di non piacere, di essere biasimato, messo da parte, trascurato, ignorato, perseguitato ed ucciso che mi trovo a sviluppare continue strategie per difendermi ed assicurarmi, perciò, l’amore di cui penso aver bisogno e meritare. E così facendo mi allontano dalla casa di mio padre e scelgo di dimorare in un “paese lontano”. Sono il figlio prodigo ogni volta che cerco l’amore incondizionato dove non può essere trovato.
Osservando di nuovo la raffigurazione del ritorno del figlio più giovane fatta da Rembrandt, ora riesco a vedere che ciò che vi si descrive è molto di più di un semplice gesto compassionevole verso un figlio ribelle. Il grande evento che mi si para davanti è la fine della grande ribellione. La ribellione di Adamo e di tutti i suoi discendenti è perdonata e la benedizione originale, attraverso cui Adamo ricevette la vita eterna, è ripristinata. Ora mi sembra che quelle mani siano sempre state stese – anche quando non vi erano spalle su cui posarsi. Dio non ha mai ritirato le sue braccia, non ha mai rifiutato la sua benedizione, non ha mai smesso di considerare suo figlio come il prediletto. Ma il padre non poteva costringere il figlio a rimanere a casa. Non poteva imporre con la forza il suo amore al prediletto. Doveva lasciarlo andare in libertà, anche se sapeva il dolore che ciò avrebbe causato sia al figlio che a se stesso. E’ stato l’amore a impedirgli di trattenere il figlio a casa a tutti i costi. E’ stato l’amore a consentirgli di lasciare che il figlio vivesse la sua vita, anche a rischio di perderlo.
Qui si svela il mistero della mia esistenza. Sono amato a tal punto che mi si lascia libero di andarmene da casa. La benedizione c’è fin dall’inizio. L’ho lasciata e persisto a lasciarla. Ma il Padre continua a cercarmi sempre con le braccia tese per accogliermi di nuovo e sussurrarmi ancora all’orecchio: “Tu sei il mio figlio prediletto, l’amato, in te mi sono compiaciuto”.
(Queste riflessioni sono tolte dal libro di Henri J.M. Nouwen
L’abbraccio benedicente - Editrice Queriniana)

mercoledì 15 settembre 2010

56 - Una settimana con il capolavoro Figlio prodigo di Rembrandt

Mercoledì: Il figlio più giovane

Ogni volta che guardo il figlio prodigo che si inginocchia davanti al padre e affonda il viso contro il suo petto, non posso che scorgere in lui l’artista, un tempo così sicuro di sé e venerato, giunto alla dolorosa consapevolezza che tutta la gloria da lui attinta non è che vana gloria. Invece dei ricchi indumenti della partenza, ora indossa soltanto una lacera sottoveste che copre il suo corpo emaciato, e i sandali, coi quali ha tanto camminato, sono ormai consunti e inservibili.
Il dipinto di Rembrandt non rivela nessun movimento esterno…è un dipinto di assoluta immobilità. Il fatto che il padre tocchi il figlio è una benedizione perenne, il figlio che riposa sul petto del padre è una pace eterna. “Il momento dell’accoglienza e del perdono nell’immobilità della sua composizione dura all’infinito. Il movimento del padre e del figlio parla di qualcosa che non passa ma dura per sempre”. “Il gruppo padre e figlio esternamente è quasi immobile, ma all’interno è estremamente dinamico …la storia si occupa non dell’amore umano di un padre terreno … ciò che si intende ed è qui rappresentato sono l’amore e la misericordia divini nella loro forza di trasformare la morte in vita”.
Il giovane abbracciato e benedetto dal padre è un uomo povero, molto povero. Ha abbandonato la propria casa con tanto orgoglio e denaro, deciso a vivere la sua vita lontano dal padre e dalla famiglia. Ritorna con niente: il denaro, la salute, l’onore, il rispetto di sé, la reputazione … ogni cosa è stata sperperata. Il figlio inginocchiato non ha nessun mantello. La tunica consunta, marrone chiaro, copre appena il suo corpo esausto e sfinito dal quale è scomparsa ogni forza. Le piante dei piedi raccontano la storia di un viaggio lungo ed umiliante. Il piede sinistro, sfilato dal sandalo logoro, è segnato da cicatrici. Il piede destro, solo in parte coperto da un sandalo scalcagnato, parla anch’esso di sofferenza e miseria. E’ un uomo spoglio di tutto …eccetto di una cosa, la spada. L’unico segno di dignità che gli rimane è la piccola spada che gli pende dal fianco – l’emblema della sua nobiltà. Pur in mezzo alla degradazione, non ha perso del tutto la consapevolezza di essere ancora il figlio di suo padre. Diversamente avrebbe venduto la spada di grande valore, simbolo della sua condizione di figlio. La spada è lì a mostrare che, quantunque sia tornato atteggiandosi come un mendicante e un proscritto, non ha dimenticato di essere ancora il figlio del proprio padre. E’ stata questa condizione di figlio ricordata e soppesata a persuaderlo finalmente a tornare a casa.

(Queste riflessioni sono tolte dal libro di Henri J.M. Nouwen
L’abbraccio benedicente - Editrice Queriniana)

martedì 14 settembre 2010

55 - Una settimana con il capolavoro Figlio prodigo di Rembrandt

Martedì: Il padre misericordioso

Osservando le fattezze con cui è ritratto il padre ho compreso all’improvviso, in modo tutto nuovo, il significato della tenerezza, della misericordia e del perdono. Raramente, se mai ciò sia avvenuto, l’immenso amore misericordioso di Dio è stato espresso in maniera così intensa. Ogni dettaglio della figura del padre – l’espressione del volto, il suo atteggiamento, i colori dell’abbigliamento e, soprattutto, la gestualità delle mani – parla dell’amore divino per l’umanità che è esistito dall’inizio e che sempre esisterà.
Ciò che dà al ritratto del padre una forza così irresistibile è il fatto che ciò che vi è di più divino venga espresso con ciò che vi è di più umano. Vedo un uomo anziano mezzo cieco, con baffi e barba bipartita, vestito con indumenti ricamati in oro e con un mantello rosso scuro, che posa le sue mani, grandi e calme, sulle spalle del figlio che ritorna. Tutto questo e ben definito, concreto e descrivibile.Però vedo anche una infinita misericordia, un amore senza riserve, un perdono eterno - realtà divine – che emanano da un Padre che è il creatore dell’universo. Qui, sia l’umano che il divino, il fragile ed il potente, il vecchio e l’eternamente giovane, sono pienamente espressi.
Particolarmente significativo è il fatto che Rembrandt scelga un uomo anziano quasi cieco per comunicare l’amore di Dio. Egli riconosce il proprio figlio non con gli occhi del corpo, ma con l’occhio interiore del cuore. Sembra che le mani che toccano le spalle del figlio siano gli strumenti dell’occhio interiore del padre. Il padre quasi cieco vede un intero orizzonte. La sua è una vista eterna che spazia su tutta l’umanità. E’ una vista che comprende lo smarrimento di donne e uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, che capisce con compassione immensa la sofferenza di coloro che hanno scelto di andarsene da casa. Quanto avrebbe voluto trattenerli con la sua autorità paterna e tenerli vicini a sé perché non si facessero del male.
Ma il suo amore è troppo grande per comportarsi così. Non può forzare, costringere, spingere o trattenere. Offre la libertà di rifiutare o ricambiare tale amore. Proprio l’immensità dell’amore divino costituisce la fonte della sofferenza divina. Dio, creatore del cielo e della terra, ha scelto di essere, prima di tutto e soprattutto, un Padre.
Come Padre, vuole che i suoi figli siano liberi, liberi di amare. Tale libertà include la possibilità che lascino la loro casa, se ne vadano in un paese lontano e perdano ogni cosa. Il cuore del Padre conosce tutto il dolore che questa scelta comporterà, ma il suo amore non gli consente di prevenirlo.
Come Padre l’unica autorità che rivendica per sé è l’autorità della compassione. Essa deriva dal consentire che i peccati dei figli feriscano il suo cuore.

(Queste riflessioni sono tolte dal libro di Henri J.M. Nouwen
L’abbraccio benedicente - Editrice Queriniana)

lunedì 13 settembre 2010

54 - Una settimana con il capolavoro Figlio prodigo di Rembrandt


Lunedì: Le mani della misericordia

Al centro del quadro ci sono le mani del padre. Esse sono molto diverse tra loro. La mano sinistra, posata sulla schiena del figlio, è forte e muscolosa. Le dita sono aperte e coprono gran parte della spalla destra del figlio prodigo. Possiamo intuire una certa pressione, specialmente del pollice. Quella mano sembra non soltanto toccare, ma anche, con la sua forza, sorreggere. Anche se la mano sinistra del padre si posa sul figlio con una certa delicatezza, è una mano che stringe con energia.
Come è diversa la mano destra! Essa non sorregge né afferra: E’ una mano raffinata, delicata e molto tenera. Le dita sono ravvicinate e hanno un aspetto elegante. La mano è posata dolcemente sulla spalla del figlio. Vuole accarezzare, calmare,offrire conforto e consolazione. E’ una mano di madre.
Appena mi sono reso conto della differenza tra le due mani del padre, mi si è dischiuso un nuovo mondo di significati. Il padre non è semplicemente un padre ma anche una madre. Lui sorregge, lei accarezza. Lui rafforza e lei consola. E’ dunque Dio, nel quale sono pienamente presenti l’esser-padre e l’esser-madre, la paternità e la maternità.
La mano femminile e carezzevole del padre è in corrispondenza con il piede nudo e ferito del figlio, mentre la forte mano maschile è in corrispondenza con il piede che calza il sandalo. Una mano protegge la parte vulnerabile del figlio, mentre l’altra rinvigorisce la sua forza ed il suo desiderio di migliorare la propria vita.

(Questa e le seguenti riflessioni sono tolte dal libro di Henri J.M. Nouwen L’abbraccio benedicente - Editrice Queriniana)

domenica 12 settembre 2010

53 - XXIV DOMENICA – L’ESPERIENZA DEL PERDONO DI DIO - 12 SETTEMBRE 2010

LA PAROLA DOMENICALE LETTA IN FAMIGLIA
La pace dipende dalla misericordia ( Esodo 32,7-11.13-14 1° Timoteo 1,12-17 Luca 15,1-32 )

Il Vangelo di questa domenica racconta tre bellissime parabole sulla misericordia di Dio.
Prima di tutto vogliamo conoscere che cos’era la misericordia al tempo di Gesù!
Quando un uomo aveva contratto molti debiti…se non poteva pagare…veniva venduto lui e tutta la sua famiglia per saldare una parte dei debiti. Se un parente o un amico interveniva e copriva tutti i debiti…questa cifra che doveva sborsare per salvare l’amico dalla schiavitù era chiamata misericordia.
La misericordia era una grande cifra di denaro data per salvare una persona e la sua famiglia dalla schiavitù…era quindi una testimonianza concreta di un amore vero, grandissimo, gratuito, generoso, solidale….
L’amore di Dio è veramente misericordioso perché in Gesù ha pagato tutto il debito contratto dall’umanità con il peccato di Adamo ed Eva e da ciascuno di noi con i suoi peccati personali.
La parabola della pecorella smarrita ci svela come la misericordia di Dio sia personale. Non ama solo i 99 che sono bravi e buoni…ma cerca chi fa di testa sua e per questo si perde nella vita …e trovatolo…se lo mette sulle spalle …lo accarezza …gioisce con lui e per lui …lo porta a casa tutto contento e felice anche se gli è costata molta fatica …meglio…la vita di suo Figlio Gesù!
Nella parabola della moneta d’oro perduta Dio è buono e misericordioso non solo perché perdona il peccatore che gli chiede scusa ma soprattutto perché con molto impegno cerca chi si è perduto finchè non lo trova!
La parabola del padre misericordioso rivela Dio Padre che va verso i propri figli. Quello più giovane lo sogna, guarda da lontano oltre l’orizzonte. Scruta le strade su cui il figlio potrebbe trovare la via del ritorno. Appena lo scorge, quando ancora è confuso con l’orizzonte lontano, ha un sussulto di gioia. Non resta in casa ad attenderlo, ma gli corre incontro, lo abbraccia e lo bacia. Sente le parole che il figlio gli dice, ma il suo cuore è altrove. Ordina di rivestirlo con l’abito più bello e fa preparare una grande festa per celebrare il suo ritorno. La stessa cosa la fa per il primogenito, fisicamente più vicino ma con il cuore molto lontano da lui…il risultato è ben diverso!
Questo è il nostro Dio….
Questo è il Dio che Gesù ci ha fatto conoscere…
Questo è il Dio che il Vangelo annuncia in ogni pagina…
Questo è il Dio che noi chiamiamo Padre…
Questo è il Dio che ama più di una Madre…

La misericordia è indispensabile nella vita familiare:
° il marito deve portare gli sbagli della moglie e la moglie gli sbagli del marito;
° i genitori devono portare il peso dei figli ed i figli il peso dei genitori;
° insieme condividiamo le difficoltà del vivere in famiglia;
° ci sono momenti in cui è chiesto più all’uno, altri in cui deve dare il meglio l’altro… ed i tempi
non sono determinati dal calendario né dall’orologio… ma alla fine della vita ciascuno si
accorgerà di aver portato il 50% del peso;
° beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia!

domenica 5 settembre 2010

52 - XXIII DOMENICA – SCELTA DI FEDE SCELTA RADICALE - 05 SETTEMBRE 2010

LA PAROLA DOMENICALE LETTA IN FAMIGLIA
Educare all’autonomia e alla dedizione ( Sapienza 9,13-19 Filemone 9-10.12-17 Luca 14,25-33 )

“L’atto di fede in Gesù si realizza e diventa concreto afferrando la realtà dell’uomo in tutte le sue dimensioni, da quella corporea a quella sociale e storica. L’adesione alla sua persona che si vive nella nuova comunità, ha esigenze radicali e comporta rotture e il sacrificio di realtà e valori tali che la rinuncia ad essi o è un atto di disperazione o rassegnazione nei confronti del senso della resistenza, oppure il dischiudere l’ordine terreno alla realtà di Dio che viene dall’alto come grazia” (Karl Rahner).
Se nel Vangelo Gesù moltiplica gli appelli alla rinuncia, se invita a portare la propria croce e a seguirlo, non è per far evadere l’uomo dal mondo, ma piuttosto per promuovere l’assunzione e la fedeltà alla condizione umana fino in fondo.
Mentre l’uomo peccatore tenta di realizzare la felicità cercando di evitare tutto ciò che fa soffrire e tenta di mettere tra parentesi la morte, puntando unicamente su ciò che può offrire la vita presente, il cristiano è invitato dalla fede a guardare in faccia questa vita col massimo realismo. Attraverso la sofferenza ed anche la morte egli dà il suo apporto insostituibile alla riuscita della avventura umana. Egli sa che la morte è la via della vita. Ma un tale progetto riesce soltanto nel seguire Gesù sotto l’influsso del suo Spirito.
La garanzia del discepolo è quindi di andare da Gesù senza avere niente. La vera sapienza consiste nel non portare pesi che ci impediscono la marcia dietro a Gesù. Positivamente, si tratta di portare un solo peso: la croce di Gesù. E il peso della croce è il peso del suo amore. Non si tratta di fare calcoli, di misurare il numero delle pietre per la costruzione della casa…l’intenzione del Signore non è questa. Essere discepoli significa non preferire nient’altro all’infuori dell’amore di Gesù. Preferire solo e sempre il Signore, ossia sceglierlo di nuovo ogni giorno e offrirgli tutta la nostra vita. Il dono della sapienza, che è sempre da chiedere al Signore, ci permette di darci per intero, con libertà e in maniera trasparente a questo amore. Colui che è avvinto da
questo amore non ha più paura di niente perchè l’amore vince ogni timore.

L’educazione alla fede, specie nei giovani, deve tener conto …dell’autonomia per cui si è sé stessi, la quale include l’accettazione di sé stesso, l’accettazione degli altri , l’accettazione del senso dell’esistenza ….della dedizione che dice capacità di stringere legami con le persone in modo disinteressato, nel rispetto sia del loro valore che della propria dignità. Se non si forma una personalità autonoma nelle relazioni con se stesso, col prossimo e con Dio attraverso l’esperienza, si rischia di compromettere la crescita nella fede.
Educazione alla fede è educazione integrale; parte dal rifiuto del puro apprendimento mnemonico, della cultura libresca, e giunge ad inserire il giovane all’interno della comunità come luogo di esperienza dell’incontro con Dio.
Ma poiché la fede è primariamente dedizione personale, è risposta ad un amore che si manifesta a noi, l’educazione alla dedizione anche umana diventa importante perché abilita a dedicarci a Dio. La famiglia è il luogo ideale per una educazione alla fede. L’amore e la dedizione tra papà e mamma, il donare tutte le proprie energie ai figli diventa possibilità di comprendere l’amore di Dio per noi e stimolo a rispondere concretamente a tale aiuto.