venerdì 31 dicembre 2010

120 - VIVERE IL NATALE - 31 dicembre 2010

La pedagogia del tempo
La Vergine dell’ascolto, della preghiera e della memoria diventa l’icona dell’atteggiamento del cristiano di fronte al mistero del tempo. Quando Maria dà alla luce Gesù, il tempo raggiunge la sua pienezza, svela il suo principio. Custodire la coscienza di quell’inizio è fondamentale per garantire la vera misura della dignità dell’uomo e per sapersi stupire di se stessi. Il fluire degli anni fa pensare alla mèta cui il tempo è orientato e ci fa chiedere se siamo persone capaci di speranza o semplicemente rassegnate perché destinate al nulla eterno. Il Figlio di Dio, nato nel tempo, riesce a trascenderlo e a rispondere al desiderio di un destino non più incrinato dalla precarietà attuale e dalla morte.
Se il finito presente è tutto, allora i sogni non hanno lo sguardo lungo del presente e la morale diventa un’opzione soggettiva. La frenesia e il cinismo sono gli ingredienti di questa impostazione di vita, ripetitiva e nevrotica perché basata solo sul consumo. Tutte le richieste più recenti parlano della bassa percentuale di speranza e apertura al futuro da parte dei giovani e adulti, segnati dalle “passioni tristi” (scoraggiamento e sfiducia, passività e resa). Palestrati ma poveri di spirito, insicuri e senza il coraggio di scelte forti e durature. Il tempo appare come solo un contenitore vuoto, da riempire di giorni che rotolano l’uno sull’altro.
In una società che ricorre a maghi e cartomanti, a esperti di oroscopi e medium, la Chiesa invita ad “aguzzare” lo sguardo per registrare le voci e le esperienze che, nonostante tutto, anticipano i segni di una rinascita”. Va cercata l’unità di vita, la sintesi tra azione e contemplazione, la fedeltà a Dio nella frantumazione del tempo, l’impegno senza affanno, l’abbandono al Signore nel quotidiano, la speranza nelle piccole speranze umane. Dio non solo dona il tempo, ma egli stesso è entrato nella storia per aprirla all’eterno e farla diventare storia di alleanza. Per Gesù a governare il mondo e l’uomo non sono gli elementi del cosmo o le leggi della materia, ma un Dio personale, che ha trasformato dal di dentro la vita e che ora accompagna noi, pellegrini. Tempo e amore si richiamano a vicenda. L’eternità non viene dopo il tempo, ma è un’altra dimensione della realtà attuale. Per i santi le realtà prive di valore eterno sono un nulla.
Come i pastori, occorre mettersi in viaggio anche nel buio della notte, cogliendo il futuro “dentro al presente” e affrontando la vita con questa certezza. E’ il vino nuovo, da mettere in otri nuovi. Alla presenza del Signore e col suo aiuto, il futuro non spaventa più. Anzi, i pastori diffondono le sorprese della fede e le ragioni della speranza con entusiasmo, “glorificando e lodando Dio”.

giovedì 30 dicembre 2010

119 - VIVERE IL NATALE - 30 dicembre 2010

Insieme, al servizio di Dio
Giuseppe significa “colui che aggiunge”. Egli aggiunge la sua fede a quella di Maria, trasformata da una maternità straordinaria; aggiunge se stesso, accettando di essere “secondo padre” di quel Figlio concepito e nato in modo prodigioso, e lo iscrive a suo nome nell’anagrafe, lo accompagna nella crescita e gli insegna il proprio mestiere.
La fede ha a che fare con la vita e con l’esperienza elementare di ogni persona: una donna incinta, un parto, un neonato, le leggi di uno stato, il lavoro di un padre. Perché “alla famiglia si ricollega la genealogia di ogni uomo” (Giovanni Paolo II). L’incarnazione di Gesù richiede la Santa Famiglia, i cui membri vivono rapporti profondamente radicati in Dio, con il collante indistruttibile del “sì” a Dio.
Maria e Giuseppe avvertono la sproporzione davanti al mistero del Figlio (si pensi al pellegrinaggio al tempio, quanto Gesù ha dodici anni). Anche l’amore va vissuto in una prospettiva di conversione continua.
Giuseppe è dedito al destino di Gesù, a lui affidato. Gli ordini ricevuti dall’angelo mirano solo al bene del Bambino. Non un cenno alle difficoltà per il padre: la perdita del lavoro, il trasferimento in Egitto e l’incertezza del ritorno, la tenuta del rapporto sponsale. L’amore al disegno di Dio sull’altro genera una nuova parentela (Marco 3,32-35: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?” e Giovanni 19,26-27: “Donna, ecco il tuo figlio”). L’amore gratuito, capace di affermare il bene e il destino dell’altro, è la sostanza del rapporto quotidiano nella vita familiare. L’opposto della cultura odierna, che punta alla “propria” realizzazione e concepisce la fedeltà e il servizio come l’anti-amore. Dopo anni di eclisse in cui si è cercato di cancellare la figura paterna in nome di un malinteso desiderio di libertà e autonomia, il ruolo del padre sta ricuperando autorevolezza, vedendosi riconoscere il giusto rilievo: né padrone né “mammo”.

mercoledì 29 dicembre 2010

118 - VIVERE IL NATALE - 29 dicembre 2010

Oltre il sentimentalismo
Il cristianesimo non è solo una dottrina o una conoscenza, ma una storia vissuta. E’ nella trama talvolta intricata e oscura dell’esistenza quotidiana che si è chiamati a riconoscere Dio come Colui che ci accompagna e si rivela nella storia. La fede non è evasione, fuga intimistica o spiritualistica, ma è incarnazione, fedeltà al tempo, alla terra, all’umanità. Nessun disprezzo per le realtà create, materiali, corporee è consentito al credente. Il Natale di Gesù avviene nella storia per “salvare” il tempo aprendolo all’Eterno, perché questa Notte e tutte le notti siano chiare come il giorno. L’evangelizzazione esige un annuncio capace di incarnarsi in tutto il tessuto socio-culturale-religioso della comunità cristiana.
Ogni eucaristia è il “vero presepe” che rende Cristo contemporaneo ad ognuno. Nel sacramento Cristo si fa visibile e tangibile per un incontro che cambia la vita, come un giorno è avvenuto per i pastori, i Magi e i discepoli. La “carne di Cristo” è luogo di salvezza e di unità fra i discepoli di Cristo. Attorno alla Parola fatta pane si raccoglie il popolo di Dio per vivere con fedeltà la gioia del Mistero celebrato. E’ la sfida di Nietzsche: “Canti migliori dovrebbero cantarmi, perché io impari a credere al loro Redentore: più ardenti dovrebbero sembrarmi i suoi discepoli”.
Uno dei tratti dell’odierna cultura è il “consumo”, strettamente connesso all’appiattimento sul presente e sull’immediato. Si consumano non solo sostanze che sembrano coprire un vuoto, ma anche esperienze e relazioni. Il Natale è il rapporto definitivo di Dio con l’umanità, è il suo “abitare in mezzo”: l’opposto della comparsa e dell’avventura o della logica della “data di scadenza”, che si vanno diffondendo e che rendono sempre più fragile il senso di appartenenza reciproca. Il Natale educa all’attenzione all’altro, al dono di sé e alla condivisione.

martedì 28 dicembre 2010

117 - VIVERE IL NATALE - 28 dicembre 2010 – I Santi Innocenti

Ritrovare il centro
Il paradosso del Natale: all’accoglienza della vita corrisponde il rifiuto. Inizialmente Giuseppe pensa di licenziare in segreto Maria; ambedue non trovano posto a Betlemme e, di riflesso, vengono rifiutati da Erode, che cerca di uccidere Gesù. La fuga in Egitto e la strage degli “innocenti” è l’alto prezzo da pagare. C’è un mistero di accoglienza e di rifiuto, già annunciato nel Prologo di Giovanni: entra nel mondo il Verbo della vita e cominciano i problemi per chi si apre a Lui. E’ così per Maria e Giuseppe, per i primi discepoli e per tutti gli autentici testimoni del Vangelo, Cristo stesso vive questa costante: salva il mondo attraverso il rifiuto, l’amore vince passando attraverso la croce. Satana, per dividere e far del male, mira al punto più debole dell’umanità. Da sempre, le maggiori vittime del male sono i bambini. Nell’antichità non erano considerati neppure esseri umani, venivano sacrificati agli dèi per fermare le malattie e vincere i nemici.
Oggi, tempo di scienza e tecnologia, la carne della propria carne la si uccide legalmente nel ventre delle madri; altrove si uccidono le figlie femmine o si vendono gli organi dei piccoli; in altre parti si lasciano i bambini nella miseria e nell’ignoranza o si armano, si violentano. Nel ricco occidente si organizzano tour sessuali, le cui maggiori vittime sono proprio i piccoli. Ma c’è qualcosa di ancora più grave. Nei paesi ricchi è l’anima dei bambini ad essere assediata. Da una parte vengono trattati come principi a cui non si può dire un “no”; dall’altra si toglie loro l’infanzia facendone degli adulti in miniatura. Questo, nello sfascio di tante famiglie.
I genitori presentano un sovrainvestimento di attenzione ai figli, un “puerocentrismo narcisistico”, per cui essi mettono al centro il bambino e lo investono di proprie aspettative, fino all’eccesso. Il rischio è che il “bambino-sovrano” governi la famiglia, la quale invece si regge su una relazione di coppia.
Il comune riferimento a Dio (preghiera, appartenenza alla comunità, servizio) impedisce che la relazione di coppia tra Giuseppe e Maria collassi in quella genitoriale, mentre le due relazioni sono interdipendenti, ma tra loro distinte. Va ritrovato il giusto equilibrio dinamico tra la dimensione sponsale e quella genitoriale. Il figlio sta diventando il fondamento della famiglia, mentre dovrebbe essere la coppia a fondarla.
Il rischio è che l’educazione non sia più un “e-ducere”, cioè portare a sé, verso le proprie aspettative e i propri bisogni nei confronti dei figli. Manca la giusta distanza nell’educazione e nel rapporto coi figli, per considerarli come altro da sé e non a propria immagine. Per uscire dall’autoreferenzialità e dal ripiegamento, dalla solitudine e dall’isolamento va favorita la rete di incontro e di confronto tra le famiglie e avviata un’alleanza educativa fondamentale. La fede di Giuseppe e Maria diventa anche il criterio educativo, in controtendenza. Oggi, infatti, i genitori vogliono sapere che cosa fanno e dove vanno i figli in ogni momento e, dall’altra, permettono loro qualsiasi cosa.

lunedì 27 dicembre 2010

116 - VIVERE IL NATALE - 27 dicembre 2010

Rinascere … è possibile!
Se Dio si è fatto Bambino, la nostra storia quotidiana diventa il luogo della salvezza. Se l’umanamente impossibile è accaduto (la nascita da una Vergine e, soprattutto, la nascita di un uomo-Dio), allora ciascuno può e deve dire: “Io oggi rinasco, ricomincio, perché l’incontro col Salvatore mi rigenera a vita nuova”. C’è una lingua che tutto unisce: quella dell’amore. La lingua insegnataci da Dio che, per amore, si è fatto uno di noi e ce la insegna con la sua umiltà di essere un Bambino, dipendente dal nostro amore. Questa lingua renderà migliore la nostra città e il nostro mondo. Lasciarsi plasmare da Gesù Bambino significa imparare l’umiltà e cioè la vera grandezza, rinunciare alla violenza ed usare solo le armi della verità e dell’amore. Dio in Gesù si dà tutto, a Natale come sulla Croce. Si tratta di donare non qualcosa ma se stessi, senza la paura di perdere qualcosa. Nulla è più luminoso dello splendore semplice e potente del dono di sé. Dio è povero, perché non può tenere nulla per sé: così esige l’Amore.
Il Natale celebra la nascita di Gesù, ma anche la nascita dell’uomo. E’ la scoperta di quanto valga ogni persona. Ormai non si può far soffrire o lasciar soffrire una persona, senza colpire direttamente il Figlio di Dio. Ogni uomo è mio fratello e in ogni persona si riflette il volto di quel Primo Fratello.
Come annotava Madre Teresa di Calcutta, è Natale ogni volta che si favorisce la vita e si permette al Signore di rinascere per donarlo agli altri. Natale è celebrato un giorno per viverlo ogni giorno: si ha sempre bisogno dell’esempio e dell’insegnamento del Festeggiato, Gesù.
Gesù è la luce di Dio e dell’uomo. Sono tante le tenebre che ci avvolgono: quelle personali, cioè i lati oscuri della nostra persona e vita, che rendono faticoso il cammino; le tenebre di ordine più sociale (crisi economica ed occupazionale, crisi educativa e politica, le litigiosità e conflittualità); le tenebre di una cultura e la speranza in un futuro eterno. Il Natale svela un mondo chiuso e buio, ma Dio trova sempre una fessura per far filtrare la luce di Betlemme. Accogliendo la sua luce, si può uscire dalla chiusura dei nostri egoismi ed interessi e cominciare a ricostruire.

venerdì 24 dicembre 2010

115 - FESTA DELLA SANTA FAMIGLIA - 26 DICEMBRE 2010

LA PAROLA DOMENICALE LETTA IN FAMIGLIA
Alla scuola della famiglia di Nazareth
(Siracide 3,3-7.14-17 Colossesi 3,12-21 Matteo 2,13-15.19-23)

C’è un contrasto fra Nazareth, piccolo borgo dove Gesù trascorre la maggior parte della sua vita e la missione universale di Gesù. Lo stile di Dio è fare grandi cose per la via del nascondimento e dall’apparente inutilità. Memorabile l’omelia di Paolo VI a Nazareth nel 1964: “La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziato a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo… Qui impariamo il metodo che ci permetterà di conoscere chi è il Cristo. Qui scopriamo il bisogno di osservare il quadro del suo soggiorno in mezzo a noi, cioè i luoghi, i tempi, i costumi, il linguaggio, i sacri riti, tutto insomma ciò di cui Gesù si servì per manifestarsi al mondo… Quanto ardentemente desidereremo di ricominciare, vicino a Maria, ad apprendere la vera scienza della vita e la superiore sapienza delle verità divine!... Nazaret ci ricordi cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro ed inviolabile; ci faccia vedere com’è dolce ed insostituibile l’educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell’ordine sociale”.
Anche la Santa Famiglia non è esente da crisi e incomprensioni. La famiglia è un mondo complesso: sposi in difficoltà, genitori impegnati nell’educazione dei figli, coppie nel disagio, figli proiettati in una società in vorticoso cambiamento, vedovi/e, malati, nonni con una maggiore robustezza di valori e di progetti di fronte alla “crisi della famiglia”. Nessuna idealizzazione semplicistica della famiglia.
Pur con i suoi problemi, la famiglia è una “risorsa” al suo interno e nell’animazione degli ambiti del vissuto quotidiano: vita affettiva, lavoro e festa, fragilità umana, tradizione e cittadinanza.
La vita familiare verifica la maturità di ognuno e la sanità delle relazioni. Per questo Giovanni Paolo II affermava: “Il futuro dell’umanità passa attraverso la famiglia”. La famiglia è il luogo in cui si uniscono e si sviluppano in armonia la differenza fra le generazioni e quella tra i sessi. La famiglia è un fattore di progresso, ha un grande valore economico nella formazione del capitale umano e sociale. In una società che si va facendo “liquida”, la famiglia è il primo fattore di solidità in senso morale ed economico.
La Parola di Dio pone le basi della famiglia e del superamento delle difficoltà: amore, bontà, misericordia, rispetto vicendevole, sopportazione, perdono, ricerca della volontà di Dio, esistenza guidata dal Vangelo, preghiera. Per crescere armonicamente le persone chiedono relazioni “calde e significative”, ricche di vicinanza, lealtà e fiducia. Uno degli elementi della crisi odierna è che si pone molta attenzione non sulle relazioni, ma sugli affetti ridotti a semplici emozioni. L’amore autentico, invece, non è “stare bene”, ma “volere bene” all’altro e volere il bene dell’altro.

114 - ALLORA BUON NATALE A TUTTI …

Buon Natale alle Famiglie,
ritrovino la pace e la gioia del vivere insieme.
Buon Natale agli Ammalati,
sentano Gesù dentro la loro sofferenza.
Buon Natale a Chi lavora per la pace,
coraggio, ancora una volta gli angeli cantano che è venuta dal Cielo la Pace.
Buon Natale ai Bambini e alle Bambine,
Gesù si è fatto Bambino per dirvi che è bello essere bambino.
Buon Natale ai Ragazzi e ai Giovani,
siete fatti per l’Infinito e l’Infinito si è fatto Presenza per lasciarsi abbracciare.
Buon Natale ai Genitori,
chiedete a Maria e Giuseppe il coraggio di essere educatori, a loro che hanno educato il Figlio di Dio.
Buon Natale ai Nonni.
come Gioacchino ed Anna, sappiate attingere dall’esperienza della vostra vita i tesori veri ed eterni da donare, goccia dopo goccia, ai vostri nipoti.
Buon Natale a Chi è triste e solo,
l’Emmanuele, il Dio con noi, è qui per dirti, che ti ha voluto Lui e non c’è nulla di più inebriante che imparare a donare un sorriso a te stesso ed agli altri.
Buon Natale a Chi cerca di fare il bene e non sempre ci riesce,
tentare e ritentare è il verbo che caratterizza la vita dell’uomo, della donna, del cristiano… Gesù è anche nel desiderio del bene.
Buon Natale ai Poveri di tutto il mondo,
beati voi perché Gesù è prima di tutto vostro… per favore datene un po’ anche a noi che tanto Lo desideriamo.
Buon Natale ai Vescovi, ai Preti e ai Religiosi,
siate come la mangiatoia che accoglie Gesù con umiltà e Lo dona a tutti, senza nessuna eccezione, nella verità della vita.
Buon Natale alle Monache e alle Suore,
siate gli Angeli del nostro tempo che annunziano senza stancarsi a tutti gli uomini e a tutte le donne “Oggi vi è nato il Salvatore!”.
Buon Natale a Chi non crede,
se pensi a quanti regali ti fa Dio, guarda solo ai giorni di festa in cui riposi e sei pagato (in un anno sono 7 senza contare le 52 domeniche), merita almeno il tuo rispetto e il tuo grazie.
Buon Natale a Chi va a Messa solo la Notte di Natale,
Gesù ti dia una benedizione speciale che valga tutto un anno … fino al prossimo appuntamento che sarà di nuovo Natale.
Buon Natale a Chi crede e vive il dono della Fede,
gli angeli ti annunziano una grande gioia: “E’ nato Gesù”, il quale porta questa bella e buona notizia “Dio ti ama ed è sempre accanto a te!”.

113 - NATALE DEL SIGNORE – IL SEGNO DEL BAMBINO - 25 DICEMBRE 2010

LA PAROLA LETTA IN FAMIGLIA
Natale dice famiglia
(Isaia 9,1-6 Ebrei 1,1-6 Luca 2,1-20 )

L’umiltà del Dio Bambino, nell’odierna cultura del travaglio, diventa una domanda di semplicità e di essenzialità. Va semplificata la vita, superando la mentalità consumista e sicurezze divenute abitudinarie, stili affettivi ambigui e spesso menzogneri, e la tentazione di essere perfetti con la totale padronanza di sé, delle cose e del creato. Il Natale conferma che “vivere come se Dio ci fosse” è molto più ragionevole del “vivere come se Dio non ci fosse”. Nel Figlio fatto persona è dato il senso della vita, la via sicura per la quale camminare. Il Natale è la buona notizia di una compagnia amante, del Dio-con-noi, che non viene mai meno.
Il segno offerto ai pastori e a noi non è un miracolo emozionante. Dio si fa piccolo, diventa Bambino, si lascia toccare e chiede il nostro amore. Si vorrebbe un segno inconfutabile del potere di Dio e della sua grandezza. Ma l’opera di Dio invita alla fede e all’amore. Egli possiede il potere ed è la Bontà. Colui che è il Tutto, abbassandosi fino a diventare come uno di noi, stabilisce per noi il segno reale, che è la via a Lui e questo è l’umanità del Verbo. L’amore del Dio Uni-Trino si rivela nel sacramento dell’umanità di Gesù Cristo. La gloria di Dio accecherebbe l’uomo. Ecco perché Dio si offre nel segno, al fine di pro-porsi e non im-porsi alla libertà dell’uomo, limitata e ferita.
Il Natale invita a sostare davanti a Gesù, poiché “solo lo stupore conosce”. La nascita di Gesù non è una favola per bambini, ma la risposta di Dio al dramma dell’umanità in cerca della vera pace. Solo prendendo coscienza in modo attento e appassionato di noi stessi possiamo riconoscere, ammirare, ringraziare e vivere Cristo. Senza questa premessa, anche quello di Gesù diviene un puro nome. Oggi il mistero del Natale viene negato sia quando viene proposto un umanesimo solo orizzontale che tende a fare senza Cristo, sia ritenendo che Dio sia un ostacolo alla libertà e responsabilità umana. La storia insegna che l’uomo, quanto più si allontana da Dio vero, tanto meno guadagna in libertà e non diventa umano. Anzi, genera una società più ansiosa, conflittuale e litigiosa.
C’è ancora tanto bisogno di “Natale”!

martedì 21 dicembre 2010

111 - Verso Natale con i protagonisti – quinto incontro – INTERVISTA A MARIA

Maria, noi sappiamo già tante cose su di te, ma preferiamo che sia tu stessa a riassumerci la tua esistenza…
Sono una ragazza di Nazareth, un piccolo villaggio della Galilea, che non ha mai fatto parlare di sé. Sono ancora molto giovane ma, come si usa al mio tempo, sono già la promessa sposa di Giuseppe, un artigiano del mio villaggio. La mia vita non ha avuto nulla di straordinario, degno di nota… fino al giorno in cui Dio, alla ricerca di una madre per il suo Figlio, ha guardato proprio a me. Mi ha mandato l’angelo Gabriele per propormi un ruolo importante. Quando ho manifestato tutta la mia meraviglia, mi è stato chiesto semplicemente di fidarmi di Dio: lo Spirito avrebbe operato in me.
Cosa potevo rispondere? Per me era una gioia grande e un onore entrare in un piano di salvezza predisposto da Dio per la felicità degli uomini. E dunque ho detto che mi consideravo la “serva del Signore”, pronta a realizzare ogni sua parola. E’ stato allora che ho avvertito che dentro il mio grembo era sbocciata una nuova vita, una vita che era un dono di Dio e che domandava di essere custodita teneramente fino al giorno della sua nascita.

Tutto questo non ha sconvolto un bel po’ la tua esistenza?
Certo, le cose non stavano più come prima. Indovinando che stavo per diventare mamma, la gente non faceva a meno di malignare e di formulare giudizi nei miei confronti. E anche Giusppe – dal momento che non eravamo ancora sposati, e quindi non vivevamo insieme – era molto perplesso e pensieroso.

Nonostante tutto, però, dopo aver ricevuto l’annuncio dell’angelo, hai affrontato un lungo viaggio…
Sì, era come fosse stato lo stesso Gabriele a invitarmi a compierlo. Proprio per tranquillizzarmi mi aveva fornito un segno prezioso. Dio non indietreggia mai davanti ad alcuna difficoltà. Tanto è vero che Elisabetta, già anziana e ritenuta sterile, stava per dare alla luce un bambino, Giovanni il Battista. Ecco perché mi sono precipitato dalla mia parente: per vedere il segno che il Signore mi offriva, per lodarlo insieme a lei per la sua bontà.

Com’è andato l’incontro con Elisabetta?
Non poteva che essere un momento di grande gioia. Ci pensi? Io e lei, così diverse, eravamo testimoni dirette di quello che Dio stava operando nella storia. I bambini che portavamo in grembo sarebbero stati protagonisti del suo progetto d’amore. Giovanni, il figlio di Elisabetta, non poteva che essere un “dono di Dio”: avrebbero annunciato che Dio visitava il suo popolo e preparato la strada a Gesù. Gesù portava un nome che indicava la sua stessa missione. “Dio salva”, Dio strappa al potere del male e offre una vita nuova.

Maria, che cosa consigli a noi, che vogliamo vivere bene il Natale?
Se volete entrare anche voi nel piano di Dio, non vi resta che aprire il libro che contiene la sua Parola ed essere pronti a metterla in pratica. A partire da quel momento Egli vi ricolma della sua gioia, unita, naturalmente, anche a difficoltà e sofferenze.
(Roberto Laurita – Servizio della Parola n. 423 – Editrice Queriniana)

110 - Verso Natale con i protagonisti – quarto incontro – INTERVISTA A GIUSEPPE

Giuseppe, noi sappiamo che a te non piace tanto parlare. Però vorremmo che tu ci dicessi chi sei e che cosa fai… insomma che ti facessi conoscere.
Sono un giovane di Nazaret e di mestiere faccio il falegname e il carpentiere. Il mio lavoro consiste nel riparare gli oggetti di lavoro: vanghe, zappe, aratri… Costruisco qualche mobile molto semplice come panche e tavoli. E poi dispongo le strutture di legno che servono per fare una casa: le impalcature su cui salgono i muratori, le travi che servono per la copertura…
Sono originario di Betlemme, la città in cui è nato il grande re Davide e appartengo anch’io alla sua discendenza. E’ grazie a me che, con la nascita di Gesù, si sono realizzate le promesse di Dio riguardo al Messia che sarebbe stato un membro della famiglia di Davide.

Come mai tu, che sei originario di Betlemme, che si trova in Giudea, sei finito a Nazaret, che è in Galilea?
I tempi in cui sono vissuto non erano facili. E bisognava correre dietro al lavoro. Ecco perché sono arrivato a Nazareth. Vicino al villaggio si stava costruendo una grande città e c’era possibilità di lavoro per tanti artigiani come me. E poi a Nazareth ho trovato Maria e ho deciso di sposarla, di fare assieme a lei una famiglia tutta mia.

C’è stato, però, un momento in cui stavi per rompere il fidanzamento?
Sì, è stato quando mi sono accorto che Maria stava aspettando un bambino. Noi eravamo fidanzati, ma non ci eravamo ancora sposati e io sapevo bene che quello non poteva essere mio figlio. La nostra legge prevedeva che io convocassi gli anziani e ripudiassi Maria pubblicamente, rompendo il fidanzamento. Ma io non volevo esporla ai giudizi cattivi della gente e l’avrei fatto, ma segretamente, senza fare chiasso perché in ogni caso le volevo bene.

Giusppe, chi e che cosa ti ha fatto cambiare idea?
Dio mi ha mandato in sogno un suo angelo, che mi ha detto che quanto era accaduto rientrava nei piani di Dio. E mi ha invitato a prendere in sposa Maria e a riconoscere Gesù come figlio mio, cioè a fargli da padre…

E tu, che cosa hai fatto a questo punto?
Ho seguito le indicazioni di Dio perché ero convinto che sarebbe stata la cosa più giusta da fare. Così, agli occhi di tutti sono diventato suo padre davanti alla legge ebraica e davanti a tutto il villaggio. E gli ho dato il nome che mi era stato suggerito da Dio: “Gesù”, cioè “Dio salva”. Quella, infatti era la sua missione: salvare gli uomini.

Giuseppe, non è stata quella, però l’unica volta in cui ti sei fidato di Dio…
No, l’ho fatto tutte le volte che mi è stato richiesto: quando si è trattato di fuggire da Betlemme perché Gesù non venisse ucciso dai soldati di Erode e poi quando, morto Erode, si è trattato di tornare in Palestina… A fidarsi di Dio, credimi, non ci si sbaglia mai. L’Altissimo, infatti, ci chiede di collaborare al suo progetto di amore, di fare la nostra parte.
(Roberto Laurita – Servizio della Parola n. 423 – Editrice Queriniana)

109 - Verso Natale con i protagonisti – terzo incontro – INTERVISTA ALL’ANGELO GABRIELE

Gabriele, è vero che tu sei un angelo? E sei proprio come ti raffigurano?
Vedete, gli artisti hanno dipinto noi angeli ricorrendo alla loro fantasia: mi hanno messo le ali, una lunga tunica, dei capelli lunghi… Ma tutto questo non è l’essenziale.
Quello che conta veramente è che sono il messaggero di Dio, il suo “postino”. Dio ci affida la sua parola e ci domanda di raggiungere i destinatari dei suoi annunci, uomini e donne che diventano i protagonisti della storia della salvezza.

Perché, allora, ti mettono le ali?
Semplice: per dimostrare che posso coprire qualsiasi distanza e arrivare in qualsiasi luogo, senza problemi. Del resto non pensi che Dio posso avvicinare, in ogni momento, ogni sua creatura? E mi disegnano un corpo, una faccia, dei capelli perché hanno capito che non sono una creatura strana, che fa paura. Anzi, quello che dico porta stupore, ma anche una grande gioia.

Qual era il paese in cui viveva Maria?
Era un piccolo villaggio della Galilea, abitato da pastori, contadini, artigiani. Non era per niente famoso: un oscuro paesino che non aveva mai fatto parlare di sé.

Non è piuttosto strano che Dio scelga in un posto così un personaggio decisivo per la storia della salvezza?
Le strade di Dio non sono quelle degli uomini: gli uomini cercano le persone ricche, potenti, famose. Dio si serve dei poveri, dei semplici, dei deboli per realizzare i suoi grandi progetti.

Angelo Gabriele, qual è il messaggio che hai portato a Maria? Potresti dircelo in poche parole?
Certo! Dio ha deciso che il suo Figlio diventerà un essere umano come noi. Maria è la donna che egli ha scelto come madre per Gesù. Dio può fare ogni cosa, ma cerca la collaborazione degli esseri umani. Per questo chiede a Maria se accetta un ruolo così determinante: dare alla luce Gesù, crescerlo e prepararlo alla sua missione.

Come ha reagito Maria di fronte a una proposta del genere?
Si è rivelata un’autentica donna di fede: che ascolta, vuol capire, ma poi in ogni caso si fida di Dio, disposta a fare la sua volontà.
(Roberto Laurita – Servizio della Parola n. 423 – Editrice Queriniana)

108 - Verso Natale con i protagonisti – secondo incontro - INTERVISTA AD ELISABETTA

Elisabetta, sappiamo già che sei la moglie del sacerdote Zaccaria e la mamma di Giovanni il Battista. Che cosa hai provato quando ti sei accorta che stavi per diventare mamma?
Mi dispiace, ma credo che non possiate capire l’immensa gioia che ha colmato il mio cuore, dopo tanta tristezza e tanto dolore. Io e mio marito avevamo desiderato per tanto tempo di avere un figlio; ci volevamo bene, il nostro affetto era solido e forte. Ma alla nostra felicità mancava un figlio. E io, che amavo tanto i bambini, mi ero ormai rassegnata a non averne. Eravamo due vecchi sposi e la nostra casa non avrebbe mai sentito il pianto e il riso, le grida e le parole di un bambino…

E invece?
E invece Dio mi ha fatto una sorpresa meravigliosa: mi ha fatto diventare mamma! E’ stata una cosa così grande che nei primi mesi avevo quasi vergogna a farmi vedere. Mi tenevo nascosta, stavo in casa, evitavo la gente per non scorgere negli occhi della gente lo stupore per quello che mi stava accadendo.

Ma anche qualcuno che abitava distante da te è venuto a saperlo…
Sì, Maria di Nazareth, mia parente. E a dirglielo è stato addirittura un angelo. Lo ha fatto per confermare la sua fiducia in Dio: niente è impossibile a Dio se anche Elisabetta, alla sua età, può avere un figlio.

E Maria, dopo che lo ha saputo, che cosa ha fatto?
Oh, questo non me lo sarei proprio aspettato; ha affrontato un lungo viaggio per venire a trovarmi. Pensa, più di cento chilometri, molti giorni di cammino… Anch’io, però, avevo intuito qualcosa di quello che era avvenuto a lei. Me lo aveva suggerito misteriosamente lo Spirito. Anche lei attendeva un bambino e sarebbe stato il Messia, l’Inviato di Dio, Colui che Israele attendeva da tanto tempo.

Elisabetta, raccontaci il momento in cui vi siete incontrate.
E’ stato straordinario: tutte e due sapevamo che in noi stava accadendo qualcosa di grande. Ed era Dio stesso che agiva in noi. Non ho potuto fare a meno di dire a Maria l’onore che mi faceva entrando nella mia casa perché portava nel suo grembo il Signore, il Figlio di Dio. E le ho detto che era veramente beata perché, a differenza di Zaccaria, aveva creduto senza esitare alle parole dell’angelo.

Tu hai avvertito qualcosa dentro di te?
Sì, anche Giovanni, che mi portavo dentro, si è agitato, come se volesse salutare Gesù. Un po’ come il grande Davide che si era messo a danzare davanti all’arca dell’alleanza che entrava in Gerusalemme.
(Roberto Laurita – Servizio della Parola n. 423 – Editrice Queriniana)

107 - Verso Natale con i protagonisti – primo incontro - INTERVISTA A ZACCARIA

Zaccaria, noi vogliamo conoscerti meglio. Perché sei diventato sacerdote?
E’ semplice: lo era mio padre, mio nonno e anche il mio bisnonno… Appartengo a una famiglia che si trasmette questo compito di padre in figlio.

Ma cosa fanno i sacerdoti del tuo tempo.
Abbiamo un ruolo importante e lo svolgiamo nel grande tempio di Gerusalemme: accogliamo i pellegrini, celebriamo le liturgie, compiamo i sacrifici di animali in onere del nostro Dio. In effetti il tempio è la “casa di Dio” e noi ci sentiamo sempre alla sua presenza.

Allora tu vivi tutto l’anno nel tempio?
No, ci vado cinque settimane all’anno. In occasione delle tre grandi feste religiose del nostro popolo e nelle due settimane che ogni gruppo svolge a turno. Per il resto del tempo vivo con mia moglie Elisabetta, in un paese non molto distante da Gerusalemme. Per guadagnarmi da vivere ho un lavoro come tutti.

E’ proprio nel tempio che ti è accaduto qualcosa di grande?
Sì, stavo finendo l’offerta dell’incenso nella zona più sacra che si chiama il “Santo”, quando mi è apparso un angelo del Signore. Ero sorpreso, sbalordito, non sapevo cosa dire. L’angelo del Signore mi ha trasmesso un messaggio da parte di Dio. Mi ha detto che l’Altissimo aveva ascoltato le preghiere di Elisabetta e mie e che avremmo avuto un figlio. Ma come poteva accadere una cosa simile? Io e mia moglie siamo già anziani e poi Elisabetta non può avere bambini…

E l’angelo come ha reagito ?
Mi ha detto che sarei rimasto muto finchè la parola che avevo ricevuto non si fosse realizzata. Non avevo creduto alla parola di Dio e ora nessuna parola sarebbe uscita dalla mia bocca fino alla nascita di mio figlio.

La gente si è accorta di qualcosa?
Sai, la gente era fuori del “Santo” e si preoccupava perché non mi vedeva uscire. Poi, quando mi hanno fatto domande e io ho risposto a gesti, hanno capito che mi era accaduto qualcosa di meraviglioso.

Zaccaria, noi ora ti lasciamo: tu ci insegni che dobbiamo sempre fidarci di Dio perché a lui nulla è impossibile.
Sì, è quello che ho imparato anch’io. Il suo amore è grande e sorprendente, è meraviglioso. Quando Dio fa un progetto, si impegna a realizzarlo: niente e nessuno possono fermarlo.
(Roberto Laurita – Servizio della Parola n. 423 – Editrice Queriniana)

sabato 18 dicembre 2010

106 - AVVENTO IV – L’ESEMPLARITA’ DI GIUSEPPE - 19 DICEMBRE 2010 - Avvento in famiglia… quarta tappa

LA PAROLA DOMENICALE LETTA IN FAMIGLIA
(Isaia 7, 10-14 Romani 1, 1-7 Matteo 1, 18-24)

Credere ai sogni
Nell’era della tecnica, non è facile credere che i sogni sono spesso più veri della nostra ragione, che il linguaggio del cuore è più saggio dell’imposizione delle regole rigide e che le immagini custodite nel nostro intimo sono più divine di tutto ciò che può essere misurato. Il valore simbolico del sogno esprime la scommessa della fede, che è docilità e abbandono a Dio, al di là di ogni pretesa di essere noi gli unici protagonisti della nostra vita. Dio non manca di donare intuizioni e chiarimenti per il discernimento, illuminazione interiore e ricordi, esempi positivi e aspirazioni per portare a compimento la sua volontà.
Il culmine della maturità si vede nel sì a Dio: non come creduloneria o semplificazione, ma robusta capacità di giudicare la fede come corrispondente a ciò che il cuore desidera. La ragione, lasciata a se stesso, conduce all’opinione, che può prendere la forma di una resistenza (ogni circostanza fa problema) o della gnosi (la presunzione di una conoscenza totale che annulla il Mistero). E il desiderio, separato dalla ragione, genera come reazione, rabbia, depressione, malinconia, eccitazione. Il problema è cercare la propria gioia solo nel Signore, senza compromessi o ambiguità, credendo che Egli è capace di realizzare la nostra vita in modo molto più grande e bello di quel che avremmo potuto pensare. In questa unità dell’io, non calcolata né pretesa, sta la possibilità della soddisfazione.
Ogni segno che Dio pone sul nostro cammino e che noi accogliamo da Lui è un progresso nel nostro atto di fede in Lui, che dona sempre quel tanto di luce per fare i primi passi. Nella storia della fede ogni dubbio non è chiarito, ma illuminato e appoggiato sulla fedeltà di Dio, che realizza sempre le sue promesse, sebbene non nei modi e nei tempi da noi previsti.

Avvento in famiglia… quarta tappa
Giuseppe educa ad essere “giusti”, cioè a fidarsi di Dio, a non giudicare secondo le apparenze, a non perseguire la smania nell’apparire e dello stupire a tutti i costi, a coltivare il desiderio di Dio in un mondo disincantato e cinico, a mettersi da parte per lasciare spazio al suo inaudito progetto di incarnazione, a preferire Maria al sospetto e alla calunnia e ad anteporre l’amore alla generazione. La libertà tocca il suo vertice quando diventa amore. Giuseppe non chiede un segno dal cielo, non protesta, non accampa diritti verso il Signore, non intende stancare la pazienza di Dio, ma cerca di amare di più. E’ proprio nei momenti difficili che l’amore vero, paradossalmente, emerge. Il silenzio e la preghiera aiutano a svegliarsi dall’assopimento tipico dei momenti di stanchezza e di difficoltà e a reagire con un supplemento di amore ai rapporti che si vivono quotidianamente. Giuseppe è tutt’altro che un Narciso che vede solo se stesso, incapace di accorgersi che specchiarsi per vedersi significa non capirsi e che guardando in basso ci si preclude la possibilità di guardare chi sta sopra di sé. La superbia è un peso che schiaccia.
La vita non è un museo, ma un laboratorio di progettazione del futuro. Le grandi scelte non si improvvisano, ma si preparano con i “sì” e i “no” di ogni giorno.

giovedì 16 dicembre 2010

104 - Alla scuola della sapienza… impariamo a crescere in famiglia.

Il valore dei segni.
Riprendiamo la nostra riflessione sul Vangelo di Matteo (11, 2-11) che abbiamo letto domenica.
Gesù non risponde alla domanda degli inviati di Giovanni, ma li invita ad andare a riferire al Battista ciò che vedono, Gesù ridice le parole di Isaia, quando questi aveva parlato del Messia.
· “I ciechi vedono”. Gesù dà fiducia alle perone affrante o disperate. Egli desidera che gli uomini guardino avanti, non in basso.
· “I paralitici camminano”. Il Messia libera quanti sono bloccati per aver delegato la propria vita nelle mani altrui e li mette in condizione di procedere con le proprie forze.
· “I lebbrosi sono mondati”. Le persone che hanno sensi di colpa, che si sentono non accettate e inguardabili, si vedono improvvisamente pure e buone e non temono più il confronto con gli altri.
· “I sordi odono”. Le orecchie soffocate da messaggi fatui e distraesti imparano a gustare la voce di Dio, il richiamo dell’essenziale e la bellezza del dialogo.
· “I morti risuscitano”: la vita trionfa sulla morte, che pareva definitiva. Chi pone a fondamento della propria vita Dio-Amore, si sente ripetere nel profondo: “Tu non morirai mai”.
· “Ai poveri è predicata la buona notizia”: i veri protagonisti della nuova storia, inaugurata da Cristo, sono i poveri di cuore, che diventano capaci di confondere i potenti.
La risposta di Gesù ai discepoli del Battista ripropone il “metodo cristiano”: la fede produce un cambiamento in grado di toccare la radice dell’io, che si esprime innanzitutto nel modo di guardare il reale. Il discernimento delle cose del cielo passa attraverso l’atteggiamento che si assume di fronte alle cose terrene. Quanto più una persona vive la fede nella presenza di Cristo nella Chiesa, tanto più lo stupore dei segni di Dio scatta anche nella situazione più nascosta e normale. Gesù ha denunciato con rammarico la gente che riesce a riconoscere i segni del tempo (nuvole e scirocco) e non riconosce i segni dell’azione di Dio (Lc 12, 54-56). Non perché ne sia incapace, ma perché non è disponibile a farlo, in quanto bloccata dal pregiudizio o dalla distrazione.
Gesù quindi non ci dà risposte preconfezionate e questa è la grande novità della Sua presenza. Gesù non è un’idea, ma una vita nuova da sperimentare. Per sua natura, la fede non è evidente, perché Dio non è il risultato di un ragionamento scientifico. Non è Dio che deve dimostrare qualcosa, siamo noi che dobbiamo aprirci a Lui e cambiare.

sabato 11 dicembre 2010

103 - AVVENTO III – GESU’ UNA RISPOSTA SEMPRE NUOVA - 12 DICEMBRE 2010 – Avvento in famiglia… terza tappa

LA PAROLA DOMENICALE LETTA IN FAMIGLIA
(Isaia 35, 1-6.8.10 Genesi 5, 7-10 Matteo 11, 2-11)

Tutta la storia è un grande Avvento che porta con sé le domande dell’uomo, e Gesù è sempre la risposta.
Gesù “sorprende” sempre e tutti, non rientra mai negli schemi preconfezionati. Anche Giovanni Battista pensava che il Messia avrebbe dovuto incutere timore con più forza, tagliare alla radice gli alberi infruttuosi e con ventilabro separare i buoni dai cattivi…
Gesù invece, sembra agire in modo del tutto diverso. Il Nazareno chiama sì alla conversione, ma con una modalità nuova rispetto allo stile del Precursore. Non si vede nulla né si sente nulla sulla bocca di Gesù a proposito di scuri, di fuoco e di trebbiature. Egli parla piuttosto di alberi infruttuosi che vanno zappati e concimati, e paragona il Regno di Dio ad un seme in crescita. Si vendica dei cattivi trasformandoli in buoni.
Chi è aperto al reale capisce o perlomeno ascolta. Se la realtà è “segno” che rimanda l’uomo a qualcosa d’altro, allora l’educazione alla libertà è educazione alla responsabilità, termine quest’ultimo che deriva da “rispondere”. La vera questione è se si vuole essere gente “sistemata” oppure se vuole partecipare alla nuova avventura della fede. Occorre promuovere un’educazione all’attenzione e all’accettazione. Chi segue quello che il Signore fa accadere davanti a noi, fiorisce; chi non si lascia generare da quanto accade, marcisce. Beati quelli che hanno “fame e sete” e maledetti quanti non si aspettano più niente di veramente nuovo o autentico, rifugiandosi dietro i “ma, se, forse, però” ecc...
Cristo è la vera risposta alle domande dell’uomo ed è sempre più di quanto ognuno osi sperare. Ma la proposta di Gesù risulta sconvolgente per tanti: egli verrà ucciso perché non corrispondente all’immagine di Dio che i capi avevano in testa. Ecco perché ha detto: “Beato chi non si scandalizza di me”!

Avvento in famiglia… terza tappa
Un’infinita serie di pubblicità presenta l’individuo libero da ogni limite (ad esempio, “Tu senza confini”). Presi da tale illusione, si fatica ad accettare le proprie debolezze, limiti e fragilità. Molti studiosi mettono l’accento sulla fatica dei ragazzi ad accettare le frustrazioni dell’attesa e del rinvio: “Life is now”, la vita è adesso, ripete ossessivamente una nota pubblicità. Si crea quindi un’abitudine ad una soddisfazione immediata che contrasta con la pazienza e gli sforzi che il viaggio della vita richiede. Noi non vorremmo avere limiti e, quando li avvertiamo, li vorremmo superare con un balzo. L’agricoltore ben conosce lo stile del seme, che muore per portare frutto. L’agricoltore bene addestrato nella virtù della pazienza, attende per mesi la gemma che spunta al tepore della primavera, la spiga che biondeggia al sole cocente. Noi invece, spesso, pretendiamo che le cose e la vita stessa vibrino durante il breve attimo del nostro possesso. Non accettiamo l’impegno dell’attesa perseverante, dell’impegno costante. Occorre educare mente e cuore a superare il “tutto e subito”, in ogni ambito del vivere, compresa la vita affettiva. Le nostre fragilità possono diventare cifre positive, a patto di accettare la fatica di percorrere gradualmente il sentiero della vita con apertura di mente e di cuore.

mercoledì 8 dicembre 2010

102 - IMMACOLATO CONCEPIMENTO DI MARIA - 8 DICEMBRE 2010 – Con la Madonna verso Natale

LA PAROLA LETTA IN FAMIGLIA
(Genesi 3,9-15.20 Efesini 1,3-611-12 Luca 1,26-38)

Oggi la Parola ci invita a celebrare il mistero di grazia, una grazia che supera ogni misura, che ha preservato Maria di Nazareth da ogni ombra di peccato, perché scelta per essere la madre del Salvatore. Maria riceve una sorte di nome nuovo, verrà chiamata “la piena di grazia”. E l’invito a gioire a lei rivolto, è motivato da questo fatto: “Il Signore è con te”. Così si era presentato Dio a Mosè: “Io sono colui che sono con te!” (Esodo 3,14). In tal modo Maria è inserita nella storia di una speranza e di un attesa: che Dio sia stabilmente con noi. E tale attesa sarà portata a compimento proprio dal figlio di Maria, l’Emmanuele, “Dio con noi”.
Nel vangelo di Luca Gesù è la promessa di Dio compiuta a nostro vantaggio. Maria, dichiarandosi la “serva del Signore”, entra nella lunga schiera di servi del Signore che hanno offerto la loro collaborazione perché si realizzi il suo progetto di salvezza. La risposta di Maria è l’accettazione di una missione. Così diventa per noi modello della fede quale disponibilità incondizionata a farsi servitore del mistero di Dio nella storia. Le chiamate di Dio sono sempre in vista di un incarico per il bene di tutti, ma ancor prima sono una lieta notizia, un “rallegrati”. Dio non imbroglia mai nessuno. La gloria di Dio è sempre abbinata alla gioia di chi crede e si pone al servizio di Dio. Pierre Teilhard de Chardin definisce Maria “perla del cosmo”, perché orienta il mondo verso Cristo. L’essere preservata dal peccato non rappresenta un limite, ma anzi polarizza e catalizza l’evoluzione di tutta l’umanitá verso Dio. Maria è un punto luminoso, che invece di paralizzare le forze dell’umano, le aumenta e le realizza. In lei si apprende a superare la mediocrità quotidiana per diventare “santi e immacolati nell’amore”. Il cristiano non puó essere indifferente ai vari generi di inquinamento, che portano ad un abbruttimento generale e ad un degrado relazionale. C’è un’ecologia spirituale, oltre che ambientale; c’è urgenza di tendere a quell’Eden, che proprio il peccato ha allontanato, e di riaffermare che per tutti l’inizio della vita è un dono di Dio e va rispettato in quanto tale.

Riflesso della Bellezza
Come cristiani è tempo di tornare ad apprezzare il bello e ad educare al senso dello stupore. In Maria infatti si contempla “il riflesso della Bellezza che salva il mondo: la Bellezza di Dio che risplende sul volto di Cristo. In Maria questa Bellezza è totalmente pura, umile, libera da ogni superbia e presunzione” (Papa Benedetto XVI). Guardando a Maria, donna “riuscita” e raggiante della bellezza dell’amore, l’uomo non puó accontentarsi delle speranze terrene: avverte l’esigenza di tendere ad un’umanitá che viva in pienezza ogni relazione con Dio, con gli altri e con le cose. Dio vuol fare della vita umana il teatro di una storia di grazia e di bellezza e coinvolge tutti e ciascuno.

sabato 4 dicembre 2010

101 - AVVENTO II – Verso il Natale seguendo la Parola - 5 DICEMBRE 2010 – Avvento in famiglia… seconda tappa

LA PAROLA DOMENICALE LETTA IN FAMIGLIA
(Isaia 11, 1-10 Romani 15, 4-9 Matteo 3, 1-12)

La fede è un rapporto personale con Dio che in Cristo si è pienamente rivelato. Sia Isaia che Giovanni Battista sono solo una voce: Gesù è la Parola. Sant’Ambrogio invitava a ricordarsi che “la lettura della Sacra Scrittura dev’essere accompagnata dalla preghiera, perché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l’uomo. Poiché parliamo con Lui quando preghiamo e Lo ascoltiamo quando leggiamo gli oracoli divini”. Giovanni il Battista immerge nell’acqua, Gesù immerge direttamente in Dio Spirito Santo Consolatore e Difensore.
Occorre anzitutto dare il tempo all’ascolto della Parola, donata per aiutarci a perseverare, per consolarci e tenere viva la nostra speranza. La Parola è come il fuoco che illumina, scalda il cuore, distrugge il male. Essa, come una scure, taglia i comportamenti non appropriati e come l’acqua purifica i nostri pensieri. Immergersi nella Parola è l’unico modo per rendere trasparenti e fecondi i propri progetti di vita.
Con Cristo Parola, che si prende totalmente a cuore l’umanità di ognuno, è possibile cambiare la vita; questo dipende da ciascuno, non primariamente dagli altri o da condizione esterne. Convertirsi non è un obbligo, ma un dono: significa essere immersi dalla grazia nell’opportunità di essere davvero se stessi, felici. Nel nostro intimo l’uomo vecchio convive ancora con l’uomo nuovo, il miscredente convive con il cristiano, per cui c’è sempre un rischio di vivere un cristianesimo “decorativo”, che incide poco sulle scelte di vita. Le modalità con cui il Signore ci risveglia sono sempre imprevedibili ed inedite, non hanno mai il volto che vorremmo noi, figli di una mentalità calcolatrice. L’essere destati è sempre un disturbo e una fatica ma anche un aiuto e una liberazione.

Avvento in famiglia… seconda tappa
Dopo la memoria e l’attesa in questa seconda tappa del nostro avvento in famiglia parliamo di accoglienza reciproca e della gloria di Dio. “Accoglietevi perciò gli uni e gli altri come anche il Cristo accolse voi, per la gloria di Dio” (Romani 15, 7).
La vita di coppia con il crescere degli anni ha bisogno di un’accoglienza sincera, fattiva e coinvolgente. Più s’invecchia e più emergono i difetti. E’ possibile però trasformarli in luogo d’incontro e di comunione dove al centro ci deve essere sempre il bene della famiglia e il bene dell’altro/a. La pratica di questa accoglienza attinge dalla preghiera un nutrimento per la vita ordinaria, che dà solidità, perseveranza nella speranza, accettazione dei propri e degli altrui limiti. Dobbiamo sempre guardare a Cristo e metterci alla sua scuola per imparare a vivere da figli di Dio che costruiscono il Regno dei cieli e tutto fanno per la gloria del loro Padre. Gesù ha reso bella e affascinante la sua vita cercando e realizzando sempre la volontà di Suo Padre. Diventa un bene allora per tutta la famiglia sentire la presenza di Dio e cercare la sua gloria.

mercoledì 1 dicembre 2010

100 - LA FAMIGLIA OGGI

Nella nostra epoca travagliata, occorre più che mai distogliere gli occhi dal giornale quotidiano per alzarli verso quel giornale eterno le cui lettere sono le stelle, il cui contenuto é l'amore, e il cui redattore é Dio.

99 - NON LESINIAMO SUL DONO

Alla scuola della sapienza … impariamo a crescere in famiglia!

Ero andato mendicando di uscio in uscio lungo il sentiero del villaggio, quando in lontananza mi apparve il Tuo aureo cocchio, simile a un sogno meraviglioso.
Mi domandai: Chi sarà mai questo Re di tutti i re?
Crebbero le mie speranze, e pensai che i giorni tristi sarebbero ormai finiti; stetti ad attendere che l’elemosina mi fosse data senza doverla chiedere, e che le ricchezze venissero sparse ovunque nella polvere.
Il cocchio mi si fermò accanto; il Tuo sguardo cadde su di me, e Tu scendesti con un sorriso. Sentivo che era giunto alfine il momento supremo della mia vita.
Ma Tu, ad un tratto, mi stendesti la mano destra dicendomi: “Che cos’hai da dirmi?”
Ah! Quale gesto veramente regale fu quello di stendere la Tua palma per chiedere l’elemosina ad un povero! Esitante e confuso, trassi lentamente dalla mia bisaccia un acino di grano e Te lo porsi.
Ma quale non fu la mia sorpresa quando, sul finire del giorno, vuotai a terra la mia bisaccia e trovai nell’esiguo mucchietto di acini, un granellino d’oro!
Piansi amaramente per non aver avuto cuore di darti tutto quello che possedevo…
(RAVINDRANATH TAGORE)

Chi ha speso, ha consumato; chi ha raccolto, ha perduto; ma chi ha dato, ha messo in salvo per sempre i suoi tesori.
(lNAYAT KHAN)

Il vero altruismo è più della capacita di essere pietosi: è la capacita di simpatizzare.
(MARTIN LUTHER KING)

Mettetevi sempre al posto del vostro prossimo, e mettete il prossimo al vostro posto; così giudicherete bene. Comprando, immaginate d'essere chi vende, e vendendo, d'essere chi compra: così comprerete e venderete equamente ...
(SAN FRANCESCO DI SALES)

sabato 27 novembre 2010

98 - AVVENTO I – VIGILATE - 28 NOVEMBRE 2010 – Avvento in famiglia…

LA PAROLA DOMENICALE LETTA IN FAMIGLIA
(Isaia 2, 1-5 Romani 13, 11-14a Matteo 24, 37-44)

L’Avvento non è tempo di tristezza, ma di gioia, questo tempo liturgico invita a celebrare l’attesa di Cristo, alimenta la speranza in colui che Dio manda a salvare l’umanità. E’ il “Messia, il “Cristo”, viene a noi sempre nel mistero. Viene a noi nel mistero della carne, ossia nel mistero della storia. Viene a noi nel mistero dell’eucarestia: qui i cristiani possono riconoscere, personalmente e come comunità, il Signore che viene nella loro vita, che pianta la sua tenda in mezzo a noi, e che ci educa, di domenica in domenica, ad un atteggiamento di accoglienza.
La speranza produce gioia: i Padri della Chiesa parlavano di una “sobria ebrietas”, una serena e pacata esultanza per la certezza che Egli viene e che non possiamo accoglierLo nelle nostre case. Senza questo apprendimento ad accogliere coLui che viene, non è possibile celebrare cristianamente il Natale. E’ questo che rende concreta la nostra speranza e attenta e vigilante la nostra attesa. Ma siamo anche consapevoli che l’incontro con coLui che viene nella nostra vita, incontro che salva, comporta anche un “giudizio” sulla storia e sulle nostre singole vite. Un giudizio che non può essere rimandato alla sua, e definitiva, “seconda venuta”. Il giudizio sulla vita, alla luce della sua presenza e della sua parola, è adesso e chiede conversione.
In questa prima domenica la fiducia di Dio “che viene” ci introduce nel tempo di Avvento e contraddistingue la nostra preghiera. La speranza fa vivere. Gesù scuote i discepoli, impedisce che il loro amore si raffreddi, non esita a ricorrere ad immagini severe, che comunicano un senso di urgenza e richiamano all’attenzione la coscienza di chi ascolta. L’Avvento liturgico, mentre celebra questa attesa della venuta di Gesù, alimenta la nostra tensione di credenti verso l’incontro definitivo con Lui, dando unità e senso ai molti frammenti di cui si compone le nostra vita.

Avvento in famiglia…
L’Avvento celebra la venuta di Gesù nel tempo e nella storia degli uomini per portare a loro la salvezza e prepara la seconda venuta di nostro Signore.
Memoria e attesa stanno a fondamento della vita familiare: ricordare la nascita del proprio amore, la sua celebrazione e consacrazione definitiva, il suo percorso nei vari anni di matrimonio, l’arrivo dei figli… E’ occasione per dire grazie all’altro/a ed insieme ringraziare Dio del dono della fedeltà.
Da qui si parte per guardare avanti, per dare colore e calore agli anni che verranno, per vedere di meglio individuare la rotta che ci porta ad apprezzare il mistero della vita donata di nostra moglie o di nostro marito, per costruire insieme la pace familiare, per superare uniti eventuali difficoltà ed ostacoli.
Come è certo che il Signore viene tra noi (“Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome lì sono Io in mezzo a loro” Matteo 18, 20), come è certo che dopo ogni tramonto viene un’alba nuova… così è certo che là dove c’è preghiera, memoria, attesa, impegno d’amore, accoglienza, desiderio di bene… la famiglia vive!

mercoledì 24 novembre 2010

97 - Una settimana per SENTIRSI AMATI

Ottavo giorno: Vivere come Amati
In quanto scelti, benedetti, spezzati e dati, siamo chiamati a vivere le nostre vite con profonda, intima gioia e pace…
Ma che dire del nostro desiderio di fare carriera, della nostra speranza di avere successo e fama e del nostro sogno di farci un nome? Sono da disprezzare? Queste aspirazioni sono in contrasto con la vita spirituale?
Qualcuno potrebbe rispondere di sì a queste domande e consigliarti di lasciare il ritmo frenetico della grande città e cercare un ambiente dove puoi perseguire la vita spirituale senza restrizioni. Ma non credo che sia la tua strada. Non credo che il tuo posto sia in monastero, o in una comunità come “L’Arche” dove vivo io, o nella solitudine della campagna. Vorrei anche dirti che la città, con le sue sfide, non è un luogo così cattivo per te, la tua famiglia e i tuoi amici. C’è stimolo, eccitazione, movimento moltissime cose da vedere, sentire, gustare e gioire. Il mondo è malvagio solo quando diventi il suo schiavo. La grande lotta da affrontare non è lasciare il mondo, rifiutare le tue ambizioni e aspirazioni, o disprezzare il denaro, il prestigio o il successo, ma rivendicare la tua verità spirituale e vivere nel mondo come qualcuno che non gli appartiene. E’ eccitante vincere una gara, è interessante incontrare persone influenti, dà ispirazione ascoltare un concerto, vedere un film, visitare una nuova mostra. E che c’è di sbagliato nell’avere buoni amici, buon cibo e bei vestiti?
Credo profondamente che tutte le buone cose che il nostro mondo ha da offrire sono per la tua gioia. Ma puoi gioirne veramente solo quando puoi esserne riconoscente perché affermano la verità che tu sei l’Amato di Dio. Questa verità ti renderà libero di accogliere con gratitudine la bellezza della natura e della cultura, come segno del tuo “essere Amato”. Questa verità ti permetterà di ricevere i doni che la società ti offre e di celebrare la vita. Ma ti permetterà anche di allontanarti da tutto ciò che ti distrae, ti confonde e mette a repentaglio la vita dello Spirito dentro di te.
Il mistero insondabile di Dio è che Dio è un Innamorato che vuole essere amato. Colui che ci ha creato sta aspettando la nostra risposta all’amore che ci ha dato la vita. Dio non dice solamente: “Tu sei il mio Amato”, Dio chiede anche: “Mi ami?” e ci dà innumerevoli possibilità per dire “sì” alla nostra verità interiore. La vita spirituale, così compresa, cambia radicalmente ogni cosa. L’essere nati e cresciuti, l’avere lasciato la casa e cercato una professione, l’essere lodato e l’essere rifiutato, il camminare e il riposare, il pregare e il giocare, l’ammalarsi e l’essere guarito – sì, il vivere e il morire – diventano tutte espressioni della domanda divina: “Mi ami?” e in ogni momento del viaggio c’e’ sempre la possibilità di dire di “sì” e la possibilità di dire “no”.
Quello che però desidero dire è che quando la totalità della nostra vita quotidiana è vissuta “dall’Alto”, in virtù del fatto che siamo gli Amati mandati nel mondo, allora chiunque incontriamo e qualsiasi cosa ci accada diventa una opportunità unica di scegliere per la vita, la quale non può essere soggiogata dalla morte. Così, sia la gioia che la sofferenza diventano parte del cammino verso la nostra realizzazione spirituale.
Dove ci porta questo? Io penso che ci riporti al “posto” da dove veniamo, il “posto” di Dio. Siamo stati mandati su questa terra, per un breve periodo, per dire – attraverso le gioie e i dolori del tempo a nostra disposizione – il grande “sì” all’amore che ci è stato dato e, così facendo, tornare a Colui che ci ha mandato con quel “sì” scolpito nei nostri cuori. La nostra morte può essere il momento del ritorno solo se la nostra intera vita è stata un viaggio di ritorno verso Colui dal quale noi veniamo e che ci ha chiamati Amati. Penso che questa che viviamo sia come una missione nel tempo, una missione veramente stimolante ed anche eccitante, soprattutto perché Colui che mi ha inviato in missione sta aspettando il mio ritorno a casa perchè gli racconti la storia di ciò che ho imparato.
Mi chiedi se ho paura di morire? Ne ho ogni volta che mi lascio sedurre dalle rumorose voci del mio mondo che mi dicono che la mia “piccola vita” è tutto ciò che ho e mi consigliano di tenermi stretto a lei con tutte le mie forze. Ma quando lascio che queste voci tornino sullo sfondo della mia vita e ascolto la piccola voce tenera che mi chiama Amato, so che non ho nulla da temere e che morire è il più grande atto d’amore. Atto che mi porta nell’eterno abbraccio del mio Dio il cui amore è per sempre.
(Le riflessioni sono tolte dal libro SENTIRSI AMATI di Henri J.M. Nouwen – Editrice Queriniana)

96 - Una settimana per SENTIRSI AMATI

Settimo giorno: Per diventare l’Amato … essere Dato
Il quarto aspetto della vita dell’Amato è essere dato. Per me, personalmente, questo significa che solo come persone che sono date possiamo, comprendere appieno il nostro essere scelti, benedetti e spezzati. Nel “dare” diventa chiaro che siamo scelti, benedetti e spezzati non semplicemente per noi stessi, ma perché tutto ciò che noi viviamo trovi il suo significato finale nel suo essere vissuto per gli altri.
Tutti conosciamo per esperienza la gioia che deriva dall’essere capaci di fare qualcosa per un’altra persona: “Tu hai fatto molto per me, e io ti sarò grato per sempre per quello che mi hai dato”. Parte della mia gratitudine è, tuttavia, il risultato di vederti così felice nel darmi tanto.
Che stupendo mistero è questo! La nostra più grande realizzazione sta nel dare noi stessi agli altri. Sebbene spesso sembri che la gente dia solo per ricevere, credo che, al di la’ di qualsiasi nostro desiderio di essere apprezzati, premiati e riconosciuti, ci sia il puro e semplice desiderio di dare. La nostra umanità arriva alla sua espressione piu’ alta nell’atto di dare. Diventiamo gente stupenda quando diamo … qualsiasi sia la cosa data: un sorriso, una stretta di mano, un bacio, un abbraccio, una parola d’amore, un regalo, una parte della nostra vita… tutta la nostra vita!
E’ triste vedere che, nel nostro mondo altamente competitivo e avido, abbiamo perso il contatto con la gioia del dare. Spesso viviamo come se la nostra felicità dipendesse dall’avere. Ma non conosco nessuno che è veramente felice per ciò che ha. La vera gioia, la felicità, l’intima pace provengono dal dare noi stessi agli altri. Una vita felice è una vita per gli altri. Questa verità, però, di solito viene scoperta quando ci confrontiamo in profondità con il nostro “essere spezzati”.
Pranzare insieme non è forse la più bella espressione del nostro desiderio di essere dati l’uno all’altro, condividendo la realtà del nostro “essere spezzati”? La tavola, il cibo, le bevande, le parole, i racconti: non è forse il modo piu’ intimo con cui esprimiamo non solo il desiderio di dare le nostre vite l’un l’altro, ma anche di farlo realmente? Mi piace molto l’espressione “spezzare il pane insieme” perché lo spezzare e il donare sono allora chiaramente una identica cosa. Quando mangiamo insieme, siamo tutti vulnerabili. Intorno al tavolo non possiamo indossare armi di nessun tipo. Mangiare dallo stesso pane e bere dalla stessa coppa ci chiama a vivere nell’unione e nella pace. Questo diventa molto evidente quando c’è un conflitto. Allora, mangiare e bere insieme può diventare un fatto veramente minaccioso, allora il momento del pasto può diventare il più terribile della giornata. Conosciamo tutti quei penosi momenti di silenzio durante il pranzo. Momenti che contrastano desolatamente con l’intimità del mangiare e del bere insieme e in cui la distanza tra i commensali può essere insopportabile. D’altro canto, i pasti veramente gioiosi e sereni insieme agli altri, fanno parte dei più grandi momenti belli della vita.
Come Amati, la nostra più grande realizzazione sta nel divenire pane per il mondo. Questa è la più intima espressione del nostro più profondo desiderio di dare noi stessi agli altri. Come può attuarsi tutto questo?
Innanzi tutto, la vita in sé è il più grande dono da offrire – cosa che noi costantemente dimentichiamo. Quando pensiamo al nostro darci agli altri, quello che ci viene subito alla mente, sono i nostri talenti unici: quelle capacità di fare cose speciali! E’ utile fare una distinzione tra talenti e doni. I nostri doni sono più importanti dei nostri talenti. Possiamo avere solo pochi talenti, ma abbiamo molti doni. I nostri doni sono i molti modi coi quali esprimiamo la nostra umanità. Sono parte di ciò che siamo: amicizia, bontà, pazienza, gioia, pace, perdono, gentilezza, amore, speranza, fiducia… Questi sono i veri doni da offrire agli altri.
In secondo luogo, siamo chiamati a dare noi stessi non solo nella vita, ma anche nella morte. Come gli Amati figli di Dio, siamo chiamati a fare della nostra morte il più grande dono. Poiché è vero che siamo spezzati, così come è vero che siamo dati, allora l’atto culminante del nostro “essere spezzati”, cioè la morte, deve diventare lo strumento del nostro ultimo dono di noi stessi. Per gli Amati figli e figlie di Dio, la morte è il passaggio nella totale esperienza di essere gli Amati. Per coloro che sanno di essere scelti, benedetti, spezzati e dati, la morte è il modo per diventare puro dono.
La fecondità della nostra piccola vita, una volta riconosciuta e vissuta come la vita di colui che è l’Amato, va oltre qualunque cosa si possa immaginare. Uno dei più grandi atti di fede è credere che i pochi anni che viviamo su questa terra sono come un piccolo seme piantato in un suolo molto fertile. Perché questo seme porti frutto, deve morire. Noi spesso vediamo o sentiamo solo l’aspetto finale della morte, ma il raccolto sarà abbondante anche se noi non se siamo i mietitori.
Quanto sarebbe diversa la nostra vita se fossimo veramente capaci di credere che essa si moltiplica donandola! Quanto diversa sarebbe la nostra vita se noi potessimo soltanto credere che ogni piccolo atto di fedeltà, ogni gesto d’amore, ogni parola di perdono, ogni piccolo scampolo di gioia e di pace … si moltiplicheranno per quante persone li ricevono e che, anche allora, ce ne sarà in abbondanza!
(Le riflessioni sono tolte dal libro SENTIRSI AMATI di Henri J.M. Nouwen – Editrice Queriniana)

95 - Una settimana per SENTIRSI AMATI

Sesto giorno: Per diventare l’Amato … essere Spezzato
L’“essere spezzati” è una esperienza davvero nostra. Di nessun altro. E’ tanto unica quanto il nostro “essere scelti” e il nostro “essere benedetti”. Il modo in cui siamo spezzati è una espressione della nostra individualità, tanto quanto il modo in cui siano scelti e benedetti. Sì, come coloro che sono Amati, anche se può suonare spaventoso, siamo chiamati a rivendicare il nostro unico “essere spezzati”.
Devo provare adesso ad avvicinarmi un po’ di più a questa nostra esperienza. Come ho appena detto, è un’esperienza del tutto personale e nella società in cui tu ed io viviamo, l’“essere spezzati” è generalmente una esperienza intima – è lo spezzarsi del cuore. Sebbene molti soffrano per invalidità fisica o psichica e sebbene ci sia molta povertà e molte persone siano senza tetto e soffrano per non poter soddisfare i loro bisogni primari, la sofferenza della quale io sono di giorno in giorno più consapevole, è la sofferenza del cuore spezzato. Vedo sempre di più l’immensa sofferenza provocata da relazioni spezzate, tra mariti e mogli, genitori e figli, innamorati, amici e colleghi. Nel mondo occidentale, la sofferenza che sembra essere la più dolorosa, è quella del sentirsi rifiutati, ignorati, disprezzati e lasciati soli. Nella mia comunità, ci sono molti uomini e donne gravemente handicappati, ma la più grande sorgente di sofferenza non è l’handicap in quanto tale, ma la sensazione di essere inutili, indegni, incompresi e non amati. E’ molto più facile accettare l’incapacità a parlare, camminare o nutrirsi da soli, che accettare l’incapacità ad avere un valore speciale per un’altra persona. Noi esseri umani possiamo soffrire immense privazioni con grande forza, ma quando sentiamo di non avere più qualcosa da offrire agli altri, abbandoniamo presto la nostra presa sulla vita.
Come possiamo rispondere a questa fragilità? La prima risposta alla nostra fragilità è allora affrontarla direttamente e favorirla. Questo può sembrare del tutto innaturale. La nostra prima, più spontanea risposta alla sofferenza è quella di evitarla, tenerla a distanza, ignorarla, aggirarla o negarla. La sofferenza, sia fisica, che mentale o emotiva è quasi sempre sperimentata come una sgradita intrusione nelle nostre vite, qualcosa che non dovrebbe esserci. E’ difficile, se non impossibile, vedere qualcosa di positivo nella sofferenza; deve essere allontanata a tutti i costi. Se questo è l’istintivo atteggiamento verso la nostra fragilità, non c’è da stupirsi se favorirla può sembrare a prima vista masochistico. Tuttavia, la mia personale esperienza di sofferenza mi ha insegnato che il primo passo verso la salute non è un passo lontano dal dolore, ma un passo verso il dolore. Quando infatti il nostro “essere spezzati” è proprio come una intima parte del nostro essere, così come il nostro “essere scelti” e il nostro “essere benedetti”, dobbiamo aver l’ardire di domare la nostra paura e di familiarizzare con essa. Sì, dobbiamo trovare il coraggio di abbracciare il nostro “essere spezzati”, fare del nostro più temuto nemico un amico e rivendicarlo come un compagno intimo. Sono convinto che spesso la guarigione è difficile perché non vogliamo conoscere il dolore. Quando, nella nostra sofferenza, abbiamo bisogno di guida, deve essere innanzi tutto una guida che ci conduca più vicino al nostro dolore, e ci faccia capire che non dobbiamo evitarlo, ma che possiamo favorirlo.
La seconda risposta al nostro “essere spezzati” è di porlo sotto la benedizione. Per me porre il nostro “essere spezzati” sotto benedizione è una condizione a priori per favorirlo. Infatti, se è così spaventoso da affrontare è perché lo viviamo sotto la maledizione. Vivere il nostro “essere spezzati” sotto la maledizione significa che sperimentiamo il dolore come una conferma dei sentimenti negativi che abbiamo verso noi stessi. E’ come dire: “Ho sempre sospettato di essere inutile e indegno e adesso ne sono sicuro a causa di ciò che mi sta succedendo”. C’è sempre in noi qualcosa che ricerca una spiegazione per ciò che accade nelle nostre vite e, se abbiamo già ceduto alla tentazione di un rifiuto di noi stessi, allora ogni forma di sventura tende ad acuirlo.
La grande chiamata spirituale degli Amati figli di Dio sta nell’allontanare il loro “essere spezzati” dall’ombra della maledizione e di metterlo sotto la luce della benedizione. Non è così facile come può sembrare. Attorno a noi i poteri dell’oscurità sono forti e il nostro mondo trova più facile manipolare le persone che rifiutano se stesse, che quelle che si accettano. Ma quando restiamo attentamente all’ascolto della voce che ci chiama Amati, vivere con il nostro “essere spezzati” diventa possibile, non come una conferma della nostra paura di essere indegni, ma come una opportunità di purificare e approfondire la benedizione che è su di noi. Il dolore fisico, mentale o emotivo che vive sotto la benedizione è sperimentato in modo radicalmente diverso dal dolore fisico, mentale o emotivo che vive sotto la maledizione. Anche un piccolo fardello, se percepito come un segno della nostra indegnità, può condurci ad una profonda depressione, e anche al suicidio. Invece anche i fardelli pesanti e grandi diventano leggeri e facili da portare quando sono vissuti nella luce della benedizione. Quello che sembrava insopportabile diventa una sfida. Quello che sembrava un motivo di depressione diventa una sorgente di purificazione. Quello che sembra una punizione, diventa una garbata correzione. Quello che sembrava un rifiuto, diventa un modo per una più profonda comunione.
Così il grande compito diventa quello di consentire alla benedizione di raggiungerci nel nostro “essere spezzati”.
(Le riflessioni sono tolte dal libro SENTIRSI AMATI di Henri J.M. Nouwen – Editrice Queriniana)

94 - Una settimana per SENTIRSI AMATI

Quinto giorno: Per diventare l’Amato …essere Benedetto
Come Amati Figli di Dio, noi siamo benedetti. Cosa intendo con la parola “benedire”. In latino benedire è “benedicere” che letteralmente significa: parlare (dicere) bene (bene) cioè “dire cose buone” di qualcuno. Questo mi dice qualcosa. Ho bisogno di sentire che si dicano cose buone di me, e so quanto tu abbia lo stesso bisogno. Al giorno d’oggi diciamo spesso: “Dobbiamo rassicurarci l’uno l’altro”. Senza sicurezza è difficile vivere bene. Dare a qualcuno una benedizione è la più significativa sicurezza che possiamo offrire. E’ più che una parola di lode o di apprezzamento, è piu’ che indicare i talenti o le buone azioni di qualcuno; e’ più che porre qualcuno in luce. Dare una benedizione è confermare, dire “sì” al fatto che una persona è Amata. Una benedizione tocca la primigenia bontà dell’altro e dà vita al suo “essere Amato”.
Non molto tempo fa, nella mia comunità per persone disabili, ho avuto una autentica esperienza personale del potere di una vera benedizione. Poco tempo prima che ciò accadesse, avevo iniziato una funzione in una delle nostre cappelle. Janet, una handicappata della nostra comunità, mi disse: “Henri, mi puoi benedire?”. Io risposi alla sua richiesta in maniera automatica tracciando con il pollice il segno della croce sulla sua fronte. Invece di essere grata, lei protestò con veemenza: “No! Questa non funziona. Voglio una vera benedizione!” Mi resi subito conto di come avevo risposto in modo formalistico alla sua richiesta e dissi: “Oh, scusami… ti darò una vera benedizione quando saremo tutti insieme per la funzione religiosa”. Lei mi fece un cenno con un sorriso e io compresi che mi si richiedeva qualcosa di speciale. Dopo la funzione, quando circa una ventina di persone erano sedute in cerchio sul pavimento, io dissi: “Janet mi ha chiesto di darle una benedizione speciale. Lei sente di averne bisogno adesso”. Mentre stavo dicendo questo, non sapevo cosa Janet volesse veramente. Ma Janet non mi lasciò a lungo nel dubbio. Appena dissi: “Janet mi ha chiesto di darle una benedizione speciale”, lei si alzò e venne verso di me. Io indossavo un lungo abito bianco con ampie maniche che coprivano sia le mani che le braccia. Spontaneamente Janet mi cinse tra le sue braccia e pose la testa contro il mio petto. Senza pensare, la coprii con le mie maniche al punto da farla quasi sparire tra le pieghe del mio abito. Mentre ci tenevamo l’un l’altra io dissi: “Janet, voglio che tu sappia che sei l’Amata figlia di Dio. Sei preziosa agli occhi di Dio. Il tuo bel sorriso, la tua gentilezza verso gli altri della comunità e tutte le cose buone che fai, ci mostrano che bella creatura tu sei. So che in questi giorni ti senti un po’ giù e che c’è della tristezza nel tuo cuore, ma voglio ricordarti chi sei: sei una persona speciale, sei profondamente amata da Dio e da tutte le persone che sono qui con te”.
Appena dissi queste parole, Janet alzò la testa e mi guardò; il suo largo sorriso mi mostrò che aveva veramente sentito e ricevuto la benedizione. Quando Janet tornò al suo posto, un’altra donna handicappata alzò la mano e disse: “Anch’io voglio una benedizione”. Si alzò e, prima che mi rendessi conto, mise il suo viso contro il mio petto. Dopo che io le dissi parole di benedizione, molti altri handicappati vennero, esprimendo lo stesso desiderio di essere benedetti. Ma il momento più toccante si verificò quando uno degli assistenti, un giovane di ventiquattro anni, alzò la mano e disse: “E io?” “Certo”, risposi. “Vieni”. Lui venne e, quando ci trovammo di fronte, lo abbracciai e dissi: “John, è così bello che tu sia qui. Tu sei l’Amato figlio di Dio. La tua presenza è una gioia per tutti noi. Quando le cose sono difficili e la vita è pesante, ricordati sempre che tu sei Amato di un amore infinito”. Pronunciate queste parole, egli mi guardò con le lacrime agli occhi e disse: “Grazie, grazie molte!”.
Quella sera compresi l’importanza della benedizione e dell’essere benedetto e l’ho intesa come il vero segno che contraddistingue l’Amato. Le benedizioni che diamo gli uni agli altri sono espressioni della benedizione che riposa su di noi da tutta l’eternità. E’ la più profonda conferma del nostro vero io…
Lascia che ti dia due suggerimenti per rivendicare il tuo “essere benedetto”. Prima di tutto la preghiera. Per me, personalmente, la preghiera diventa sempre piu’ un modo di ascoltare la benedizione. Ho letto e ho scritto molto sulla preghiera, ma quando mi ritiro in un luogo appartato per pregare, capisco che, sebbene io abbia la tendenza a dire molte cose a Dio, il vero “lavoro” della preghiera è di farsi silenziosa e ascoltare la voce che dice cose buone di me. Questo può suonare come una sorta di auto indulgenza, ma in pratica è una disciplina dura.
Il mio secondo suggerimento per sostenere il tuo “essere benedetto”, è quello di coltivare la presenza. Con questo intendo dire di porgere attenzione alle benedizioni che giorno dopo giorno, anno dopo anno, ti arrivano. Questa attenta presenza può permetterci di vedere quante benedizioni riceviamo: la benedizione del povero che ci ferma per strada, la benedizione delle gemme degli alberi e dei fiori freschi che ci parlano di una nuova vita, la benedizione della musica, della pittura, della scultura e dell’architettura, ma soprattutto le benedizioni che ci vengono attraverso parole di gratitudine, incoraggiamento, affetto e amore. Queste molte benedizioni non hanno bisogno di essere inventate. Sono qui, ci circondano da ogni parte, ma dobbiamo essere presenti e riceverle. Esse non si impongono a noi. Sono il dolce ricordo della bella, forte, ma nascosta voce di colui che ci chiama per nome e dice cose buone di noi.
(Le riflessioni sono tolte dal libro SENTIRSI AMATI di Henri J.M. Nouwen – Editrice Queriniana)

93 - Una settimana per SENTIRSI AMATI


Quarto giorno: Per diventare l’Amato … essere Scelto
Per diventare gli Amati, dobbiamo, prima di tutto, rivendicare di essere scelti. Inizialmente questo può sembrare molto strano, eppure, essere scelti è essenziale per divenire gli Amati.
Quando so che sono scelto, so che sono stato visto come una persona speciale. Qualcuno mi ha notato nella mia unicità e ha espresso il desiderio di conoscermi, di avvicinarsi di più a me, di amarmi. Quando ti scrivo che, come Amati, siamo coloro che sono scelti da Dio, intendo dire che siamo stati visti da Dio, da tutta l’eternità, e che Egli ci ha visti come esseri unici, speciali, preziosi. E’ molto difficile esprimere bene la profondità del significato che la parola “scelto” ha per me, ma spero che sarai in grado di ascoltarmi dal tuo intimo. Da tutta l’eternità, prima ancora che tu nascessi e diventassi parte della storia, tu esistevi nel cuore di Dio. Assai prima che i tuoi genitori ti desiderassero e che i tuoi amici riconoscessero i tuoi doni, o i tuoi insegnanti, colleghi e datori di lavoro ti incoraggiassero, tu eri già “scelto”. Gli occhi dell’Amore ti hanno visto come una realtà preziosa, di infinita bellezza e di eterno valore. Quando l’amore sceglie, sceglie con una perfetta sensibilità per l’unica bellezza di colui che e’ scelto e sceglie senza che nessun altro si senta escluso.
Questa è la grande gioia dell’essere scelti: la scoperta che anche gli altri sono stati scelti. Nella casa di Dio ci sono molte mansioni. C’è un posto per tutti – un posto unico, speciale. Una volta che crediamo profondamente di essere preziosi agli occhi di Dio, diventiamo capaci di riconoscere la preziosità degli altri e il loro posto unico nel cuore di Dio.
Ti supplico, non cedere “il tuo essere scelto” al mondo. Osa sostenerla come se fossa tua, anche se è continuamente incompresa. Devi persistere nella verità che sei “quello scelto”. Questa verità è la base fondamentale su cui puoi costruire una vita come Amato. Quando perdi contatto con il tuo “essere scelto”, ti esponi alla tentazione di rifiutare te stesso, e questa tentazione mina la possibilità di ogni crescita come Amato.
Come possiamo prendere contatto con la realtà del nostro “essere scelti”, quando siamo circondati dal rifiuto? In primo luogo, devi continuare a smascherare il mondo e vederlo com’è: una realtà che manipola, che opprime, affamata di potere e alla fine distruttiva.
Secondariamente, devi continuare a cercare persone e luoghi dove la tua verità è detta, e dove ti si ricorda la tua più profonda identità, cioè l’esser scelto.
In terzo luogo, devi celebrare il tuo “essere scelto” costantemente. Questo significa dire “grazie” a Dio per avere scelto te, e dire “grazie” a tutti coloro che ti ricordano che sei scelto. La gratitudine è il modo più fecondo per approfondire la tua consapevolezza che non sei un “incidente”, ma una scelta divina.
(Le riflessioni sono tolte dal libro SENTIRSI AMATI di Henri J.M. Nouwen – Editrice Queriniana)

92 - Una settimana per SENTIRSI AMATI

Terzo giorno: Diventare l’Amato
Dal momento in cui rivendichiamo la verità di essere gli Amati, noi affrontiamo la chiamata di diventare ciò che siamo. Diventare gli Amati: ecco il viaggio spirituale che dobbiamo compiere. Le parole di Sant’Agostino: “La mia anima è inquieta, finché non riposa in Te, mio Dio” definiscono bene questo viaggio. So che il fatto di essere alla costante ricerca di Dio, in continua tensione per scoprire la pienezza dell’Amore, con il desiderio struggente di arrivare alla completa Verità, mi dice che ho già assaporato qualcosa di Dio, dell’Amore e della Verità. Posso cercare solo qualcosa che, in qualche modo, ho già trovato. Come posso cercar la bellezza e la verità, senza che la bellezza e la verità siano, nel profondo del mio cuore, a me già note? Sembra che tutti noi, esseri umani, abbiamo un profondo, intimo ricordo del paradiso che abbiamo perduto. Forse è più appropriata la parola “innocenza”, che la parola “paradiso”. Eravamo innocenti prima di cominciare a sentirci colpevoli; eravamo nella luce prima di entrare nell’oscurità; eravamo a casa prima di iniziare a cercare una casa. Nella profondità dei recessi delle nostri menti e dei nostri cuori dimora nascosto il tesoro che noi cerchiamo. Sappiamo che è prezioso, e sappiamo che contiene il dono che più desideriamo: una vita più forte della morte.
Se è vero che non siamo solamente gli Amati, ma dobbiamo anche diventare gli Amati: se è vero che non solo siamo i figli di Dio, ma dobbiamo anche diventare fratelli e sorelle… se tutto questo è vero, come possiamo allora, afferrare appieno questo processo del divenire? Se la vita spirituale non è semplicemente un modo di essere, ma anche un modo di divenire, qual è allora, la natura di questo divenire?
Diventare gli Amati significa lasciare che la verità dell’“essere Amati” si incarni in ogni cosa che pensiamo, diciamo o facciamo. Ciò comporta un lungo e doloroso processo di appropriazione o, meglio, di incarnazione. Finché “essere l’Amato” è poco più di un bel pensiero o di una idea sublime, sospesa sulla mia vita per impedirmi di diventare depresso, niente cambia veramente. Ciò che è richiesto, è diventare l’Amato nella banale vita di ogni giorno e, a poco a poco, colmare il vuoto che esiste tra ciò che io so di essere e le innumerevoli specifiche realtà della vita quotidiana. Diventare l’Amato significa calare nella ordinarietà di ciò che io sono e di ciò che penso, dico e faccio ora dopo ora, la verità che mi è stata rivelata dall’Alto.
Per identificare i movimenti dello Spirito nella nostra vita, ho trovato utile ricorrere a quattro parole: scelto, benedetto, spezzato e dato. Queste parole riassumono la mia vita di essere umano, perché in ogni momento della mia vita, da qualche parte, in qualche modo, l’essere scelto, il benedire, lo spezzare, il dare, sono eventi che accadono.
(Le riflessioni sono tolte dal libro SENTIRSI AMATI di Henri J.M. Nouwen – Editrice Queriniana)

91 - Una settimana per SENTIRSI AMATI

Secondo giorno: Tu sei il mio Amato
Quella voce dolce e gentile che mi chiama l’Amato è venuta a me in innumerevoli modi. I miei genitori, gli amici, gli insegnanti, gli studenti e i molti estranei che ho incrociato nel mio cammino, mi hanno fatto sentire quella voce in toni differenti. Sono stato benvoluto, con tenerezza e gentilezza, da molte persone. Mi hanno insegnato e sono stato istruito con molta pazienza e perseveranza. Sono stato incoraggiato a perseverare quando ero pronto a lasciar perdere, e sono stato stimolato a riprovare quando ho fallito. Sono stato ricompensato e elogiato per il mio successo… però, in un certo qual modo, tutti questi segni d’amore non sono stati sufficienti a convincermi che ero l’Amato. Sotto l’apparente salda fiducia in me stesso, c’era sempre la stessa domanda: “Se tutti quelli che mi coprono di tanta attenzione, potessero vedere e conoscere la parte più intima di me stesso, mi amerebbero ancora?”. Questa tormentosa domanda era radicata nella mia intima oscurità, continuando a perseguitarmi e a farmi fuggire da dove quella tranquilla voce, che mi chiamava l’“Amato”, poteva essere ascoltata.
Noi siamo gli Amati. Siamo intimamente amati, assai prima che i nostri genitori, insegnanti, coniuge, figli e amici ci abbiano amati. Questa è la verità della nostra vita. Questa e’ la verità enunciata dalla voce che dice: “Tu sei il mio Amato”.
Ascoltando con grande, interiore attenzione quella voce, sento nell’intimo parole che dicono: “Ti ho chiamato per nome fin dal principio. Tu sei mio e io sono tuo. Tu sei il mio Amato, in te mi sono compiaciuto. Ti ho modellato nella profondità della terra e ti ho formato nel grembo di tua madre. Ti ho scolpito nei palmi delle mie mani e ti ho nascosto all’ombra del mio abbraccio. Ti guardo con infinita tenerezza e ho cura di te con una sollecitudine più profonda che quella di una madre per il suo bambino. Ho contato ogni capello del tuo capo e ti ho guidato ad ogni passo. Ovunque tu vada, io vengo con te, e ovunque tu riposi, io veglio su te. Ti darò del cibo che soddisfera’ ogni tua fame e bevande che estingueranno ogni tua sete. Non nasconderò il mio viso da te. Tu sai che io sono tuo come io so che tu sei mio. Tu mi appartieni. Io sono tuo padre, tua madre, tuo fratello, tua sorella, il tuo amante e il tuo sposo… Sì, persino il tuo bambino… ovunque tu sia, io ci sarò. Niente mai ci separerà. Noi siamo uno”.
Ogni volta che ascolti con attenzione quella voce che ti chiama l’Amato, scoprirai in te il desiderio di riascoltarla più a lungo e più profondamente. E’ come scoprire una sorgente nel deserto. Quando si sente il terreno umido, si vuol scavare più a fondo.
(Le riflessioni sono tolte dal libro SENTIRSI AMATI di Henri J.M. Nouwen – Editrice Queriniana)

90 - Una settimana per SENTIRSI AMATI

Primo giorno: Essere l’Amato
Nel corso di quest’ultimo anno, la parola speciale, che io cercavo, si è fatta lentamente strada dal profondo del mio cuore. La parola è “Amato”. Sono sicuro che questa parola mi è stata data per amore di molte persone. Come cristiano, ho scoperto per la prima volta questa parola nella storia del battesimo di Gesù di Nazareth. Non appena Gesù uscì dall’acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba. E sentì una voce dal cielo. “Tu sei mio Figlio, l’Amato, in te mi sono compiaciuto”.
Il piu’ grande dono che la mia amicizia possa farti è il dono di riconoscere il tuo stato di “essere amato”. Posso farti questo dono solo per quanto l’ho preteso per me stesso. Non è questa l’amicizia: darci l’uno all’altro il dono del nostro “essere amati”? Sì, è questa voce, la voce che parla dall’alto e da dentro i nostri cuori, che sussurra dolcemente o dichiara con forza: “Tu sei il mio Amato, in te mi sono compiaciuto”. Non è certamente facile ascoltare quella voce in un mondo pieno di altre voci che gridano: “Tu non sei buono, sei brutto; sei indegno; sei da disprezzare, non sei nessuno – e non puoi dimostrare il contrario”. Queste voci negative sono così forti e così insistenti che è facile credere loro. Questa è la grande trappola. E’ la trappola del rifiuto di noi stessi.
Il rifiuto di se stessi è il più grande nemico della vita spirituale perché contraddice la voce sacra che ci chiama gli “Amati”. Essere l’Amato esprime la verità centrale della nostra esistenza.
Quella voce è sempre stata lì, ma a quanto pare, io desideravo di più ascoltare le altre voci, voci forti, che dicevano: “Dimostra che sei degno di qualcosa; fai qualcosa di significativo, spettacolare o potente, e allora potrai guadagnare l’amore che desideri”. Nel frattempo, la voce dolce e gentile che parla nel silenzio e nella solitudine del mio cuore rimaneva inascoltata o, perlomeno, non era convincente.
(Le riflessioni sono tolte dal libro SENTIRSI AMATI di Henri J.M. Nouwen – Editrice Queriniana)