sabato 25 giugno 2011

248 - GESÙ PANE DI VITA - 26 Giugno 2011 – Festa del Corpo e del Sangue Del Signore - (Deuteronomio 8,2-3.14-16 1ªCorinti 10,16-17 Giovanni 6,51-58)

Israele ha imparato nel deserto ad affrontare la prova che genera umiltà e la ricerca di ciò che davvero nutre e disseta l’uomo. «Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere … ti ha fatto provare la fame …». Abbiamo fame e sete e spesso vaghiamo nella vita come in un deserto. Abbiamo un grande desiderio di vita ma non riusciamo a saziarlo. Abbiamo fame e sete di infinito. Il rischio è che ci nutriamo di cose non nutrienti. La nostra continua ricerca di cose effimere proclama, in realtà, il nostro desiderio di qualcosa di grande.
«L’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore». L’antico Israele cercava di riempire di senso la vita del credente nutrendola con l’osservanza della Legge. I precetti di Dio gli tracciavano la strada dentro il deserto della vita. La Legge era la
vera ‘manna’ per i sapienti ebrei. Così la vita si saziava del sapore della parola di Dio, una parola da ‘masticare’ e ‘digerire’ esistenzialmente, così la vita non era vuota di senso e di orizzonti.
«Non dimenticare il Signore tuo Dio, che ti ha fatto uscire dall’Egitto…». L’osservanza della Legge è risposta nella vita al Signore della storia. Israele diventa il popolo di Dio, perché Dio suscita eventi e persone che lo fanno esistere. Gli eventi della sua storia interpretati alla luce della fede nutrono la vita del popolo di Dio.
«La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda». Ora c’è un evento decisivo che può riempire di senso e di sazietà la nostra vita: la vicenda di Gesù di Nazareth, il corpo e il sangue della sua vita da uomo. Vivendo, amando, morendo come lui…. Nutrendo la nostra vita di lui, della nostra adesione a lui, delle sue stesse scelte esistenziali, saziando la vita di lui e dissetandola in lui potremo avere un futuro.
«Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna». Lo stimolo della fame e della sete ci avvertono che la vita si sta scaricando, che rischiamo di non arrivare a domani e di esaurire i nostri giorni. Si mangia non per la fame del presente,
ma per continuare a vivere anche domani. Mangiare e bere è una scommessa, una promessa, una garanzia di futuro. Israele camminava nel deserto, nutrito di manna, per poter vedere il compimento delle promesse: la terra che Dio aveva dato ad Abramo. Il cristiano si nutre di Cristo perché la sua vita diventa ‘sazia’, ‘piena’, ‘sovrabbondante’, tanto debordante da diventare vita eterna, vita che non può esaurirsi nell’al-di-qua. Chi ‘mangia’Cristo, pane di Dio, vivrà in eterno, dice Giovanni. Una vita vissuta riempiendola di Cristo apre a un futuro di speranza.
«Prendete, mangiate… Prendete, bevete… Beati gli invitati alla cena dell’Agnello». Accogliamo ancora una volta l’invito e veniamo a saziarci al Corpo di Cristo, a dissetarci al suo Sangue. Mangiamo insieme il Pane della vita e beviamo insieme al calice della salvezza perché, nutriti di Cristo, anche la nostra vita si trasformi in lui.

Preghiera - Quello che tu ci chiedi, Signore Gesù, è decisamente semplice: mangiare la tua carne,bere il tuo sangue per aver parte alla tua vita. Non ci domandi di compiere viaggi estenuanti e pericolosi, né di cercarti per vie impervie.
C’è una tavola che tu prepari per noi, di domenica in domenica. È ad essa che siamo invitati: come dei poveri che ben conoscono la loro fame e il bisogno di un cibo che li nutra veramente; come dei figli che sanno di non meritarsi il dono di Dio ma contano sulla bontà del Padre che ti ha mandato a liberarci e a salvarci; come dei fratelli che scoprono tutti i buoni motivi esistenti per comprendersi e accogliersi, per sostenersi e perdonarsi.
Quello che tu ci chiedi, Signore Gesù, è decisamente semplice: mangiare un pane che ci trasforma e ci fa diventare più simili a te; bere ad un calice per anticipare quella festa che segnerà il nostro approdo, quando ogni male e anche la morte saranno definitivamente sconfitti

247 - DIO SI RIVELA … Per una pausa spirituale a metà della XII settimana

Se c’è, chi è Dio e che volto ha? Questo interrogativo se lo pongono uomini e donne di tutti i tempi. La Bibbia risponde descrivendolo all’opera: è un Dio geloso che salva il popolo che si è scelto (prima lettura); un Dio amorevole che si rende visibile nella vicenda umana del suo Figlio, Gesù (vangelo). Non è un Dio che se ne sta immobile sulle nuvole, lontano da noi. Il Dio di Abramo, di Mosè, di Gesù, di Paolo è un Dio che agisce, che ‘salva’. Allora, se si vuole rispondere alla domanda: «Chi è Dio?», occorre costruire la risposta sulla stessa lunghezza d’onda, non si può fare appello alle idee chiare e distinte: la risposta andrà trovata attraverso la nostra storia personale, attraverso un itinerario esistenziale.
Cercare Dio là dove si fa trovare: nelle relazioni che ha costruito dentro, non nonostante, la storia. Ci vuole l’umiltà di cercare le sue orme dentro un popolo. Come Mosè. Anche se quel popolo è peccatore e ha cercato di farsi un’immagine più accessibile di Dio nel vitello d’oro. Occorre cercare l’identità di Dio dentro la comunità credente, forse proprio là dove pecca, per vedere le meraviglie che fa un amore che riconcilia. Come lo vede Paolo, che dopo aver richiamato la comunità dei Corinzi a una vita coerente col vangelo, riesce comunque a vedere in essa e ad augurare ad essa la grazia, l’amore e la comunione della Trinità.
Un po’ alla volta si fa più chiaro nella storia della salvezza il mistero di Dio, mentre si fa anche sempre più chiaro il mistero dell’uomo, dalla creazione attraverso Gesù fino alla nuova creazione negli ultimi tempi. Un Dio che si rivela come unica origine
di tutto ciò che ci è dato e siamo, un Dio che si rivela nel sospingerci a tornare a lui, l’unico nel quale possiamo ritrovare la pienezza di noi stessi. E più l’uomo sarà capace di accettare, conoscere e vivere la sua più vera umanità, più vivrà lo stesso
dinamismo divino e più comprenderà il mistero delle divine persone.
Il Dio unico e uno, riconosciuto tale dalle grandi religioni monoteiste, non è un Dio di solitudine, ma è comunione perché si è rivelato come relazione. Egli è Padre della sua creazione ed è il creatore perché c’è il creato; è il Dio d’Israele perché l’ha amato e salvato, ma anche perché Israele l’ha scelto come suo Dio fedele nella propria infedeltà. La vera identità di Dio si esprime nel suo voler e poter donarsi, nella sua volontà di alleanza e di redenzione.
Cercare Dio là dove si fa trovare: in Gesù, il Figlio. Forse occorre l’umiltà di cercare Dio nella vita, nelle opere, nei detti e nel modo di amare e morire di un uomo, Gesù, che si può capire solo se lo si àncora in Dio e se lo si riconosce venuto da Dio.
Il vangelo di Giovanni, più degli altri, ci dà accesso ai segreti dell’interiorità di Dio. Gesù ci dice che è Padre, perché lo «sente» come la sua origine e se ne sente «Figlio». Egli svela il Padre che l’ha inviato e annuncia lo Spirito che lo accompagna nel suo agire e perfezionerà il suo annuncio nel tempo della sua «assenza»: «Dunque, lo sguardo di fede, richiesto da Dio Padre al mondo per essere salvato, è di sostare sull’evento storico di Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio, che egli ha mandato, ha dato (vv.16 e 17 di Gv 3), ha consegnato (parédōken: cfr. Rm 8,32)».
Disegnare nella storia l’immagine del Dio vero. Se Dio è in se stesso «relazione» che salda l’unità, allora di relazioni vivono il mondo e l’uomo. La Trinità/Unità ha scritto la sua orma nella storia. È allora possibile vedere il volto di Dio nelle molteplici relazioni che fanno la nostra vita, è allora possibile disegnare/mostrare il volto di Dio nelle relazioni sanate dalle fede e dalla grazia di Cristo. Fossero anche solo di un momento.
L’Unità/Trinità di Dio può diventare leggibile nelle mille forme dell’amore e realizza il suo modello anche al di fuori della comunità di fede. Dove nascono relazioni autentiche, dove l’uomo le cerca e le invoca, là dove c’è solidarietà, là dove si riscatta la divisione con la riconciliazione, là c’è l’orma della Trinità che invoca l’Uno.

domenica 19 giugno 2011

246 - DIO È COMUNITÀ D’AMORE - 19 Giugno 2011 – Festa della Santissima Trinità - (Esodo 34,4b-6.8-9 2ªCorinti 13,11-13 Giovanni 3,16-18)

L’autocomunicazione di Dio come Padre nel Figlio, il quale ci riempie dello Spirito, è propria della fede cristiana: è un’autorivelazione di Dio come comunità di amore che si apre all’umanità, per renderla partecipe della stessa «vita divina»: diventiamo così eredi di una «vita eterna». L’amore di Dio ci riconcilia con lui e tra di noi, è la fonte e il senso anche del nostro amare.
Dio stesso viene all’uomo, gli si manifesta “Signore” ma pieno di bontà e di misericordia, ricco di grazia e di fedeltà. Nell’esuberanza del suo amore per l’umanità, manifestato nel dare il suo Figlio unico per salvarlo, il Dio dell’amore e della pace riversa sugli uomini la sua grazia in Cristo e li chiama alla comunione con sé nello Spirito Santo. La Comunità Trinitaria è veramente il valore ultimo e supremo, il solo vero fine ultimo dell’uomo; poiché Dio, e Dio soltanto, è la pienezza di ogni perfezione. La Comunità Trinitaria è veramente mistero, realtà indicibilmente più grande di ogni comprensione umana. Dio non cesserà mai di stupire l’uomo, e nessun uomo entrerà mai nella terra di Dio se non sarà disposto a lasciarsi sradicare, come Abramo, dai confini della sua limitatezza e dall’angustia delle sue sicurezze. La preghiera non deve ridurre Dio ai limiti dell’uomo, ma dilatare l’uomo agli orizzonti di Dio. Il silenzio che il Padre sembra opporre in tanti casi alle richieste umane, nasce dall’autenticità della sua paternità, dalla sua fermezza nel non accondiscendere alla meschinità dei progetti umani per poter sostituire ad essi progetti ben più grandi, nati dal suo amore. La Comunità Trinitaria è il vero futuro dell’uomo, la sola che possa assicurare all’uomo un progetto di vita senza limiti perché capace di superare anche la morte. Dice efficacemente Sant’Agostino: “Dio è tanto inesauribile che quando è trovato è ancora tutto da trovare”. Ciò significa che il dinamismo e la creatività umana trovano in lui un orizzonte senza confini e quindi un futuro totale.
Nella nostra esistenza quotidiana, a volte grigia, a volte tragica, a volte molto complicata, nella quale dobbiamo badare a cento cose che ci urgono da ogni parte, la luce di Dio è l’amore. Verso questa luce dobbiamo orientarci se non vogliamo fallire il vero scopo della nostra esistenza. Noi vorremmo tanto poter dire: “Ecco Dio; Dio è così …”. Ma non è possibile. Dio stesso esce dai quadri e dalle icone e si nasconde in colui che ha bisogno di noi e dice: “Eccomi qua!”. Si nasconde nei piccoli della terra e dice: “Cercatemi qui!”. Chi vuol vivere con Dio non si trova davanti ad una conclusione, ma sempre davanti ad un inizio, nuovo come ogni nuovo giorno.
Preghiera - Sei tu, Signore Gesù, che ci hai rivelato il mistero di Dio, di un Dio che si fa vicino tanto da assumere la nostra carne mortale per condividere in tutto e per tutto la nostra condizione umana.
Sei tu, Signore Gesù, che ci hai manifestato l’amore di Dio, di un Dio che ha compassione delle nostre infermità, dei nostri smarrimenti, di un Dio che viene a liberare, a guarire, a salvare, a strappare dalle mani della morte.
Sei tu, Signore Gesù, che ci hai fatti entrare nella comunione con Dio: con il sacrificio della croce tu sigilli un’alleanza nuova, con il tuo sangue tu rigeneri a vita nuova ogni uomo e ogni donna che accoglie su di sé la tua misericordia.
Sei tu, Signore Gesù, che dopo la tua risurrezione ci hai trasmesso il dono dello Spirito perché ognuno di noi si lasci condurre con una saggezza ed una forza nuova sulla strada da te aperta.
Attraverso di te, Signore Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, noi possiamo vivere in comunione con il Padre e lo Spirito Santo ed essere partecipi della vita stessa di Dio.

sabato 18 giugno 2011

245 - PENTECOSTE – IL SOFFIO DI VITA - 18 Giugno 2011 – Sabato di Pentecoste

Spesso ci viene raccomandato di custodire il fiato per respirare o per restare arbitri della situazione; perdere il respiro è segno di morte o perdita del dominio di sé. Dio non pone attenzione al suo soffio di vita, lo spende nelle sue creature fin dall’inizio della creazione; Gesù, poi, soffia sui discepoli per donare il suo Spirito. La Chiesa diventa, allora, la nuova creazione, animata dallo Spirito; tutto quello che lei andrà proclamando e facendo respira del soffio di Dio in quanto è animato dallo Spirito di Dio.
Ogni cristiano è invitato ad esprimere questo duplice movimento della vita: cercare il soffio di vita nella preghiera, nell’ascolto della Parola, nell’aiuto dei fratelli per poter spandere sul mondo il soffio di Dio che è soffio d’amore.
Il fuoco era sinonimo di famiglia. Il camino era lo spazio che conteneva il fuoco, necessario per accendere la lampada a olio. La liturgia l’ha ritenuto sorgente di calore e di luce, che si propaga dovunque lambisca le persone.
Nella Veglia pasquale la benedizione del fuoco ingloba una lode alla luce, chiedendo al Signore di accendere in noi il desiderio del cielo. L’azione dello Spirito Santo, nella liturgia di Pentecoste, è essa pure rappresentata dal fuoco, a motivo della sua capacità coinvolgente e per il fatto che, propagandosi, avvolge ogni cosa. È questo il Battesimo in Spirito Santo e fuoco.
Il dono dello Spirito Santo serve a rianimare un corpo che boccheggia, Gesù risorto pratica questo gesto salvante venendo in aiuto degli Apostoli. Questi si trovano in una situazione difficile, erano avvinghiati dalla paura. Erano storditi dalla tomba vuota e tutto si era fermato là a causa del macigno ribaltato. Ma il Risorto fa irruzione in mezzo a loro e soffia con forza il dono pasquale dello Spirito di Dio. Questo Spirito è un soffio creatore che risuscita e rianima quanti ne vengono coinvolti; e l’effetto è immediato. I testimoni del Risorto escono dalla tomba della loro reclusione paurosa e contagiano, con il soffio nuovo dello Spirito, le persone che incontrano. Questo soffio nuovo dello Spirito è giunto fino a noi. È ancora così forte da essere capace di ridimensionare le nostre alchimie pastorali e di riaccendere l’ottimismo necessario per rendere efficace, credibile e attuale la Parola che salva.
Sequenza allo Spirito Santo
Vieni Santo Spirito, / manda a noi dal cielo / un raggio della tua luce.
Vieni Padre dei poveri, / vieni datore dei doni, / vieni luce dei cuori.
Consolatore perfetto, / ospite dolce dell’anima, / dolcissimo sollievo.
Nella fatica, riposo, / nella calura, riparo, / nel pianto, conforto.
O luce beatissima, / invadi nell’intimo / il cuore dei tuoi fedeli.
Senza la tua forza, / nulla è nell’uomo, / nulla senza colpa.
Lava ciò che è sòrdido, / bagna ciò che è arido, / sana ciò che sanguina.
Piega ciò che è rigido, / scalda ciò che è gelido, / drizza ciò ch’è sviato.
Dona ai tuoi fedeli / che solo in Te confidano / i tuoi santi doni.
Dona virtù e premio, / dona morte santa, / dona gioia eterna: Amen! Alleluia!

244 - PENTECOSTE – I DONI PER LA COMUNITÀ - 17 Giugno 2011 – Venerdì di Pentecoste

Anzitutto i doni dello Spirito Santo vanno considerati in relazione al mistero di Dio, come Padre, Figlio e Spirito Santo. Così i carismi (=doni) sono tali perché collegati allo Spirito Santo, che è il dono di Dio per eccellenza; sono chiamati ‘ministeri’, cioè ‘servizi’, in quanto hanno a che fare con Cristo, che è il diacono/ministro di Dio; sono definiti ‘attività’ in relazione a Dio, la cui attività creatrice è a fondamento di tutto. In definitiva, nei dono spirituali i credenti devono saper riconoscere la molteplice azione del Dio trinitario per introdurre gli uomini nella comunione con sé, comunione al cui servizio sta la comunità cristiana.
L’altro criterio è quello espresso in 1ªCorinti 12,7 ed è cioè quello dell’edificazione della comunità, del concorrere di ogni dono spirituale al bene comune: “A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune”. La totalità dei carismi non è mai appannaggio del singolo, ma del corpo della comunità. Essi sono poi caratterizzati dalla molteplicità, dalla diversità, per cui l’individuo ne possiede solo alcuni. D’altra parte è importante notare che Paolo parla di una manifestazione particolare dello Spirito Santo data a ciascuno, proprio per ribadire come nessuno, nella comunità dei battezzati, sia totalmente privo dei doni dello Spirito Santo.
In considerazione della finalità di essi, Paolo sosta poi sul mistero della comunità come un corpo solo. La metafora del corpo e delle membra è una splendida illustrazione dell’unità ecclesiale cui devono concorrere le pluralità e la diversità dei doni spirituali, anzi, la realtà della comunità è addirittura quella di essere misteriosamente il Cristo stesso, rispetto al quale i credenti rappresentano la molteplicità delle membra di un solo corpo.
L’Apostolo passa subito alla motivazione di questa realtà cristologica. Parte dall’esperienza comune a tutti i membri della comunità: il loro battesimo. Ebbene, nel loro battesimo è all’opera l’unico Spirito Santo che sta all’origine e promuove l’azione dei vari carismi che Dio accorda liberamente a ciascuno, secondo il suo volere.
Esperienza dello Spirito Santo è dunque esperienza di unità: “Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito” (1ªCorinti 12,13). Si può vedere un’evocazione non solo del battesimo (nominato in modo esplicito), ma anche dell’eucarestia. Ebbene, l’indicazione di Paolo è chiara: i momenti strutturanti l’esperienza comunitaria sono in vista dell’edificazione della comunità medesima, e perciò anche i carismi non possono non concorrere a questa finalità. Si tratta di realizzare, tramite lo Spirito, una comunione profonda, in cui le barriere sono abolite e le distinzioni non sono separazioni, ma fattori per un’unità più alta. Ciò non è in potere dell’uomo, ma dello Spirito Santo, che è appunto principio di comunione.
Sequenza allo Spirito Santo
Vieni Santo Spirito, / manda a noi dal cielo / un raggio della tua luce.
Vieni Padre dei poveri, / vieni datore dei doni, / vieni luce dei cuori.
Consolatore perfetto, / ospite dolce dell’anima, / dolcissimo sollievo.
Nella fatica, riposo, / nella calura, riparo, / nel pianto, conforto.
O luce beatissima, / invadi nell’intimo / il cuore dei tuoi fedeli.
Senza la tua forza, / nulla è nell’uomo, / nulla senza colpa.
Lava ciò che è sòrdido, / bagna ciò che è arido, / sana ciò che sanguina.
Piega ciò che è rigido, / scalda ciò che è gelido, / drizza ciò ch’è sviato.
Dona ai tuoi fedeli / che solo in Te confidano / i tuoi santi doni.
Dona virtù e premio, / dona morte santa, / dona gioia eterna: Amen! Alleluia!

243 - PENTECOSTE – GESÙ SOFFIÒ SU DI LORO - 16 Giugno 2011 – Giovedì di Pentecoste

L’essere mandati nel mondo allo stesso modo di Gesù comporta un’abilitazione che superi i limiti di cui i discepoli hanno fatto già dolorosamente esperienza: è necessario il dono dello Spirito Santo! Ebbene, Gesù non si limita ad affidare ai suoi la missione, ma li riveste di quella forza che li renderà capaci di affrontare il compito ricevuto. Pertanto comunica loro il dono dello Spirito Santo alitando su di loro o, meglio ancora, soffiando dentro di loro. Propriamente, il verbo ‘soffiare’ non è associato qui ad un complemento oggetto esplicito, ma è usato in modo assoluto. Si può dire che Gesù, in questo momento, fa un tutt’uno con il suo soffio. Inoltre il termine evoca il racconto della creazione dell’uomo, quando Dio soffia nelle nerici della sua creatura per renderla un essere vivente (cfr Genesi 2,7). Questo alitare di Gesù dentro i suoi discepoli rimanda anche alle promesse profetiche, per cui lo Spirito Santo, quale vento/soffio di Dio, è all’opera nella nuova creazione, che ha al centro la trasformazione dei cuori.
Possiamo dire, allora, che questo soffio di Gesù è un atto di trasformazione, di ri-creazione dei discepoli, che da peccatori, da uomini pavidi, diventano persone che, sapendosi perdonate, assumono l’impegno della testimonianza senza paure. Sempre nei discorsi di addio, Gesù ha parlato della necessità dell’invio dello Spirito Santo, come suo testimone, a rendere possibile la testimonianza da parte degli stessi discepoli (Giovanni 15,26-27: “Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.”).
Questo gesto del soffio, da parte del Risorto, resterebbe però non del tutto chiaro se non fosse accompagnato dalle parole che lo chiariscono, e queste parole dicono appunto del dono dello Spirito, che essi devono accogliere: “Ricevete lo Spirito Santo”. Il dono interpella la libertà; allo stesso modo lo Spirito Santo non è conquista umana, non è il frutto di meriti morali o religiosi, ma è accoglienza libera dell’iniziativa divina, così come suggerisce appunto il verbo ‘ricevere’ (lambànō). Questa comunicazione dello Spirito va colta in unità con l’atto finale della vita di Gesù, quando, donando tutto se stesso, comunica lo Spirito: “Chinato il capo, consegnò lo spirito” (Giovanni 19,30).
L’invio di missione, con l’annuncio autorevole del perdono, è strettamente collegato al dono dello Spirito Santo. Quando Gesù si era rivolto ai giudei, si era definito come “colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo” (Giovanni 10,36) e nella preghiera sacerdotale aveva chiesto al Padre di santificare nella verità i suoi discepoli, per il fatto che essi erano inviati nel mondo (“Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo” Giovanni 17,17-18). Questa santificazione o consacrazione è ora attuata concretamente attraverso il dono dello Spirito Santo, ed è lo Spirito Santo che rende possibile il compimento della missione dei discepoli nel mondo. È lo Spirito Santo che, consacrandoli, attesta loro il perdono di Dio, che supera il loro precedente abbandono del Maestro e li fa portatori dell’annuncio del perdono. Non si tratterà solo di parole che essi dovranno pronunciare, ma della comunicazione di una realtà misteriosa ma effettiva, per cui chi accoglierà la loro parola sarà rivestito del perdono di Dio, proprio perché le loro parole diventeranno come quelle del loro Signore: spirito e vita.
Lo Spirito Santo, in quanto principio di nuova creazione, implica necessariamente il dono della remissione dei peccati, così come è esplicitamente asserito nella seconda parte di Giovanni 20,23: “A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati …”. È la prima e l’unica volta che il quarto vangelo parla del perdono dei peccati, ma in ciò si riconosce il compimento della parola del Battista proferita quando Gesù entra in scena la prima volta e viene presentato quale Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo (cfr Giovanni 1,29). L’Agnello toglie il peccato del mondo offrendo se stesso fino alla morte e donando così il suo Spirito Santo!
Sequenza allo Spirito Santo
Vieni Santo Spirito, / manda a noi dal cielo / un raggio della tua luce.
Vieni Padre dei poveri, / vieni datore dei doni, / vieni luce dei cuori.
Consolatore perfetto, / ospite dolce dell’anima, / dolcissimo sollievo.
Nella fatica, riposo, / nella calura, riparo, / nel pianto, conforto.
O luce beatissima, / invadi nell’intimo / il cuore dei tuoi fedeli.
Senza la tua forza, / nulla è nell’uomo, / nulla senza colpa.
Lava ciò che è sòrdido, / bagna ciò che è arido, / sana ciò che sanguina.
Piega ciò che è rigido, / scalda ciò che è gelido, / drizza ciò ch’è sviato.
Dona ai tuoi fedeli / che solo in Te confidano / i tuoi santi doni.
Dona virtù e premio, / dona morte santa, / dona gioia eterna: Amen! Alleluia!

242 - PENTECOSTE – PARLAVANO IN LINGUE - 15 Giugno 2011 – Mercoledì di Pentecoste

Il culmine dell’evento di Pentecoste non è però la descrizione della discesa dello Spirito Santo, bensì il frutto da essa suscitato e cioè la testimonianza pubblica data da coloro che sono stati ricolmati di Spirito Santo. L’espressione “parlare in altre lingue” è oggetto di discussione da parte dell’esegesi; ma quello che è essenziale è annotare come il messaggio portato da costoro raggiunga gli uditori e trasformi i cuori dei presenti, i quali odono il racconto delle grandi opere di Dio ascoltandolo ognuno nella propria lingua. Più che discutere sulla modalità di questo prodigio di audizione, va colto il messaggio essenziale: l’evangelo può essere comunicato in tutte le lingue, cioè può tradursi in ogni cultura, raggiungere e trasformare ogni situazione umana. Non è un’unità realizzata annullando la diversità, ma una comunione che accoglie la diversità e la fa lavorare per l’unità. Tante lingue, ma un unico messaggio: l’amore di Dio ha ottenuto la sua vittoria piena e irreversibile nella Pasqua di Cristo, ed è questa vittoria che costituisce la risposta al dramma della torre di Babele, in cui gli uomini sembrano irrimediabilmente dividersi e non comprendersi più. Si spiega così l’insistenza di Luca nel presentare la varietà dei presenti che ascoltano le parole degli apostoli. Essi provengono dalle regioni più disparate, ma sono ora raccolti in unità, non tanto perché si trovano tutti nella medesima città di Gerusalemme, ma perché ognuno riesce a capire quanto gli viene detto e può così venire raggiunto dall’annuncio evangelico. In definitiva, nella Pentecoste vengono date dallo Spirito Santo le facoltà per un intelligenza del piano di Dio (ascolto) e per una comunicazione autentica di quanto si è ricevuto (parlare nelle varie lingue). Grazie a questo dono, si superano le distanze e le barriere e si realizza una comunione che fa della Pentecoste la vera anti-Babele.
Sequenza allo Spirito Santo
Vieni Santo Spirito, / manda a noi dal cielo / un raggio della tua luce.
Vieni Padre dei poveri, / vieni datore dei doni, / vieni luce dei cuori.
Consolatore perfetto, / ospite dolce dell’anima, / dolcissimo sollievo.
Nella fatica, riposo, / nella calura, riparo, / nel pianto, conforto.
O luce beatissima, / invadi nell’intimo / il cuore dei tuoi fedeli.
Senza la tua forza, / nulla è nell’uomo, / nulla senza colpa.
Lava ciò che è sòrdido, / bagna ciò che è arido, / sana ciò che sanguina.
Piega ciò che è rigido, / scalda ciò che è gelido, / drizza ciò ch’è sviato.
Dona ai tuoi fedeli / che solo in Te confidano / i tuoi santi doni.
Dona virtù e premio, / dona morte santa, / dona gioia eterna: Amen! Alleluia!

241 - PENTECOSTE - METAFORE DELLO SPIRITO SANTO - 14 Giugno 2011 – Martedì di Pentecoste

Gli eventi della Pentecoste sono descritti secondo un duplice registro di fenomeni: quelli di carattere uditivo e quelli di carattere visivo. Per i primi si ha un fragore dovuto al vento fortissimo, e successivamente il parlare in lingue. Per il fragore è suggestivo annotare come il termine greco sia il medesimo utilizzato nel racconto del Sinai per indicare il suono della tromba, il cui volume è sempre più crescente (Esodo 19,16). L’evocazione è ricca di significati: lo Spirito Santo che irrompe sui presenti e che poi li riempie ha a che fare con la Nuova Alleanza, è potenza creatrice e rinnovatrice (cfr. Genesi 1,1; Giovanni 3,8ss). Il registro uditivo ha il suo vertice in Atti 2,6 dove il rumore è detto letteralmente ‘voce’. La gente accorre perché ha sentito non solo un forte fragore, ma come una voce che la chiama e la raccoglie per ascoltare il racconto delle grandi opere di Dio, che hanno trovato il loro compimento in Cristo.
Il paradigma dei fenomeni visivi si esplica nell’apparire delle “lingue come di fuoco” e nel loro dinamismo, per cui si dividono e si posano su ciascuno dei presenti. Per Luca si tratta di un ‘apparire’, cioè di un manifestarsi visivo di qualcosa che di per sé è invisibile. C’è sempre una distanza tra il piano del ‘vedere’ e quello misterioso della realtà che si manifesta: ecco perché Luca precisa che le lingue erano ‘come di …’, e non semplicemente ‘fuoco’. Lo Spirito è davvero l’invisibilità e l’ineffabilità di Dio che si fanno vicine all’uomo, rendendo in qualche modo visibile ed udibile il mistero, senza annullare la distanza. La metafora del fuoco è ricchissima. Essa indica per un verso il giudizio divino, che qui raggiunge, trasforma, purifica i discepoli di Gesù, fino a farli diventare testimoni davanti a tutto il mondo. Il simbolo del fuoco e poi strettamente collegato al tema dell’amore, della passione: così lo Spirito, scendendo sui discepoli, ne infiamma i cuori e li rende assolutamente appassionati, per la causa di Gesù e del vangelo. Inoltre il simbolo del fuoco è, nella Bibbia, talora associato anche alla parola verso la testimonianza e la proclamazione delle opere di Dio. Infine va annotato che il quadro dipinto da Luca mostra un unico fuoco nell’atto del dividersi in tante lingue che si posano sul capo dei presenti. Si sottolinea così l’unità della sorgente, ma anche il fatto che lo Spirito Santo non è dono transitorio, ma stabile e pieno nella persona del credente, proprio come nel Primo Testamento si attendeva per i tempi messianici.
Sequenza allo Spirito Santo
Vieni Santo Spirito, / manda a noi dal cielo / un raggio della tua luce.
Vieni Padre dei poveri, / vieni datore dei doni, / vieni luce dei cuori.
Consolatore perfetto, / ospite dolce dell’anima, / dolcissimo sollievo.
Nella fatica, riposo, / nella calura, riparo, / nel pianto, conforto.
O luce beatissima, / invadi nell’intimo / il cuore dei tuoi fedeli.
Senza la tua forza, / nulla è nell’uomo, / nulla senza colpa.
Lava ciò che è sòrdido, / bagna ciò che è arido, / sana ciò che sanguina.
Piega ciò che è rigido, / scalda ciò che è gelido, / drizza ciò ch’è sviato.
Dona ai tuoi fedeli / che solo in Te confidano / i tuoi santi doni.
Dona virtù e premio, / dona morte santa, / dona gioia eterna: Amen! Alleluia!

240 - LA PENTECOSTE CRISTIANA -13 Giugno 2011 – Lunedì di Pentecoste

Quando Luca scrive il racconto della Pentecoste fa una sorta di percorso a ritroso: a partire dall’esperienza attuale della vita comunitaria, come il luogo in cui si realizza il discepolato verso il Signore Gesù, fino alle cause che la fondano, alla radice. Ebbene, la comunità cristiana non nasce da una comunanza di simpatie, di idee, di progetti, ma da un’iniziativa ‘altra’, da un dono che la precede, dall’attività creatrice di Dio che si realizza appunto attraverso il suo Spirito. È in questa ricerca del fondamento che si situa dunque il racconto della Pentecoste cristiana. La ‘Pentecoste cristiana’ suppone una continuità e insieme un tratto di novità rispetto alla Pentecoste giudaica. Questa è presentata, nella Bibbia, come la festa delle Settimane, appunto perché si celebrava sette settimane dopo la Pasqua, come momento conclusivo dei lavori di raccolta e di mietitura delle messi. In questa prospettiva la Pentecoste è una festa agricola, ed è in sostanza la festa del pane, frutto dell’impegno umano e dono di Dio. È il ringraziamento a Dio, a cui il popolo offre, come primizia, due pani lievitati. Progressivamente però la festa di Pentecoste (tale è la traduzione greca del termine ebraico indicante le settimane) diventa la celebrazione del dono della Legge, in quanto, con una piccola variazione linguistica, il termine ‘settimane’ / shabu’ ôt diventa shebu’ ôt, ossia ‘giuramenti’. È un libro apocrifo (Libro dei Giubilei cap.6) che ci informa come durante questa festa venissero rinnovate le grandi alleanze, quella cosmica con Noè, quella patriarcale con Abramo e i patriarchi, e quella al Sinai con il popolo d’Israele, alleanza nel cui contesto viene donata la Tôrāh. Ecco perché all’epoca di Gesù e della Chiesa delle origini, Pentecoste è diventata il giorno in cui si festeggia il dono della Legge. Ebbene, Luca situa il racconto del dono dello Spirito esplicitamente nel contesto di tale festa giudaica (“Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste” Atti 2,1), mostrando che quanto avviene per la comunità dei discepoli è davvero il compimento del senso di tale festa. È compimento non tanto nel senso banale che il giorno sta per finire (in quanto manca molto al tramonto, essendo soltanto mattino), ma nel senso teologico, perché qui viene dato il nuovo e non più trascendibile dono ai discepoli raccolti in preghiera: il dono dello Spirito, quale frutto della morte e risurrezione del Signore. Non è qui il caso di opporre il dono della Legge al dono dello Spirito, ma di evidenziare come sia quest’ultimo a dare piena verità di Legge, come racconto della rivelazione di Dio e come istruzione per il cammino.
Sequenza allo Spirito Santo
Vieni Santo Spirito, / manda a noi dal cielo / un raggio della tua luce.
Vieni Padre dei poveri, / vieni datore dei doni, / vieni luce dei cuori.
Consolatore perfetto, / ospite dolce dell’anima, / dolcissimo sollievo.
Nella fatica, riposo, / nella calura, riparo, / nel pianto, conforto.
O luce beatissima, / invadi nell’intimo / il cuore dei tuoi fedeli.
Senza la tua forza, / nulla è nell’uomo, / nulla senza colpa.
Lava ciò che è sòrdido, / bagna ciò che è arido, / sana ciò che sanguina.
Piega ciò che è rigido, / scalda ciò che è gelido, / drizza ciò ch’è sviato.
Dona ai tuoi fedeli / che solo in Te confidano / i tuoi santi doni.
Dona virtù e premio, / dona morte santa, / dona gioia eterna: Amen! Alleluia!

sabato 11 giugno 2011

239 - VIENI SPIRITO SANTO SU TUTTI NOI - 12 Giugno 2011 – Festa di Pentecoste - (Atti 2,1-11 1ªCorinti 12,3b-7.12-13 Giovanni 20,19-23)

Promesso da Gesù, lo Spirito Santo viene donato come guida e anima della Chiesa e della vita dei cristiani. Lo Spirito di Gesù apre i cuori all’accoglienza del suo messaggio, aiuta a fare nostro lo stile di Gesù e a renderlo trasparente con uno stile di vita corrispondente. Lo Spirito Santo stimola la Chiesa ad aprire le sue porte a tutti, ad abbandonare sentimenti di paura per annunciare al mondo il progetto di Dio sull’umanità. La Chiesa, guidata dallo Spirito Santo, può essere anche oggi anima della storia, non nel senso di un esercizio di potere, ma quale mediatrice dello shalom, la pace annunciata dai profeti e promessa da Gesù: una umanizzazione della terra, una riconciliazione tra i popoli, un’armonia con il creato, fino a che Dio sia tutto in tutto.
Nel Vangelo Giovanni descrive come il mistero della Pasqua di Gesù trovi il suo compimento proprio nel dono dello Spirito. Conseguenza di questo dono sono la ‘pace’ e la ‘missione’. Il Risorto torna a dare la fiducia ai suoi, nonostante la loro debolezza: alita su di loro, quasi a comunicare un cammino, al cui centro sta la missione per portare a tutti il perdono riconciliante. Questo cammino è segnato fin dall’inizio da un comprendersi di tanti che parlano lingue diverse: il simbolo con cui la prima lettura descrive la presenza divina che crea comunione tra i diversi, unità nella pluralità. È delineata l’immagine della Chiesa: una comunità di diversi, al servizio dell’unità dell’umanità. La seconda lettura ricorda però che tale unità trova il suo fondamento solamente nell’unicità dello Spirito che è stato donato: parla infatti della diversità dei doni e dei misteri, ma di un solo Dio che opera in tutti.
Nel vangelo di Giovanni il tema della pace ha un’importanza straordinaria ed è, nei discorsi di addio, associato strettamente alla dipartita di Gesù e all’invio dello Spirito. Anche in questa occasione appaiono collegati i tre aspetti: la pace, la morte-risurrezione di Gesù (nell’ostensione che egli fa delle proprie mani e del costato), e il dono dello Spirito. La pace, in un primo significato elementare, definisce un’assenza di conflitto e di violenza e, al contrario, la presenza di una calma grande e di una profonda tranquillità. Ebbene, nel vangelo di Giovanni tutta la storia di Cristo è raccontata come lo sviluppo di un tremendo conflitto con i capi del popolo, conflitto che sfocia nella sua morte di croce. Paradossalmente, chi pronuncia la sentenza capitale sull’innocente Gesù è Pilato, quale incarnazione dell’autorità romana, che dovrebbero preservare la pax romana. In questo conflitto sono coinvolti anche i discepoli, e la sua gravità è tale da gettarli nel turbamento, nello sconforto; è un turbamento che perdura tuttora, come si evidenzia dal loro segreto rinchiudersi per timore dei giudei. La pace che il Risorto offre loro non è come la pax romana, e cioè l’assenza del conflitto ottenuta con la soppressione dell’avversario, con l’annientamento del nemico. Piuttosto essa ha a che fare con il dono escatologico, anticipa il nuovo mondo in cui il Risorto è entrato. È quanto Gesù ha già detto ai suoi discepoli, allorché promette l’invio dello Spirito, associato proprio al dono della pace: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbiate timore” (Giovanni 14,27). Nella conclusione del discorso di addio, Gesù ha nuovamente parlato di pace: “Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33). Non è un dono magico, che estrania dal mondo! Infatti la pace data da Gesù e che i discepoli vivranno in lui non annullerà la loro difficile situazione nel mondo, ma permetterà loro di affrontare tutti gli ostacoli e l’odio degli avversari senza soccombere. In un certo senso dovranno partecipare anch’essi alla passione di Gesù per sperimentare la vittoria.
Preghiera - Vieni, Spirito Santo, vieni come un vento impetuoso che scuote le nostre comunità e porta l’aria fresca del Vangelo. Spazza via le nostre paure e fa circolare una fiducia nuova nella tua azione in mezzo a noi.
Vieni, Spirito Santo, vieni come un fuoco che brucia ogni zavorra inutile che trattiene i nostri passi sulle vie del Regno, vieni come una fiamma che accende i nostri cuori di amore e di speranza.
Vieni, Spirito Santo, vieni come alito di vita che percorre le nostre città e diffonde il sapore dell’accoglienza e della fraternità, della solidarietà e della tenerezza.
Vieni, Spirito Santo, vieni come un lievito di pace che fa scomparire antichi rancori e fa crescere la riconciliazione, il perdono e la misericordia.
Vieni, Spirito Santo, vieni come un olio profumato che consacra i corpi e le anime e trasmette una forza nuova, vieni a renderci testimoni del Signore crocifisso e risorto, annunciatori della Buona Notizia.
Sequenza allo Spirito Santo
Vieni Santo Spirito, / manda a noi dal cielo / un raggio della tua luce.
Vieni Padre dei poveri, / vieni datore dei doni, / vieni luce dei cuori.
Consolatore perfetto, / ospite dolce dell’anima, / dolcissimo sollievo.
Nella fatica, riposo, / nella calura, riparo, / nel pianto, conforto.
O luce beatissima, / invadi nell’intimo / il cuore dei tuoi fedeli.
Senza la tua forza, / nulla è nell’uomo, / nulla senza colpa.
Lava ciò che è sòrdido, / bagna ciò che è arido, / sana ciò che sanguina.
Piega ciò che è rigido, / scalda ciò che è gelido, / drizza ciò ch’è sviato.
Dona ai tuoi fedeli / che solo in Te confidano / i tuoi santi doni.
Dona virtù e premio, / dona morte santa, / dona gioia eterna: Amen! Alleluia!

238 - LA RISURREZIONE DI GESÙ NEL VANGELO DI MARCO - 11 Giugno 2011 – Sabato 7ª sett. di Pasqua

Continua un breve commento alle parole chiave usate da Marco per annunciare la risurrezione di Gesù.
Uscite fuggirono dal sepolcro - Davanti alla buona notizia, le prime reazioni delle donne, in questo simili a tutti gli uomini, sono di resistenza, disobbedienza e fuga invece che di sequela.
Infatti le aveva prese tremore e terrore - Sono prese da uno spavento “tremendo” che scuote loro le ossa e le fa uscire di sé. Invece della fede c’è la paura, segno d’incredulità (cfr. Marco 4,40).
E non dissero niente a nessuno - Non vogliono essere prese per pazze e visionarie (cfr. Luca 24,11). Invece dell’annuncio c’è il silenzio. Prima di giungere alla fede, devono emergere tutte le razioni negative del nostro cuore davanti al kerygma. È troppo grande per noi ciò che Dio dona!
Temevano - Si ribadisce la paura. Ma l’annuncio caduto nello stagno della nostra incredulità, ha sconvolto tutto. Chi ha letto fin qui il vangelo, si trova ad un bivio: ascoltare le proprie paure ed andarsene, ormai per sempre inquietato da una possibile buona notizia, oppure ascoltare il desiderio che essa gli ha posto nel cuore? Questo è come pietrificato. Ma la Parola è un seme. Deposto nel terriccio di una crepa, cresce e rompe la roccia.
Infatti - Il vangelo di Marco termina con questa parola con cui non si può concludere. La particella gar (=infatti) non può stare in chiusura, tanto meno di un libro! L’annuncio rimane sospeso. S’è diffuso nell’aria e non può più essere chiuso. Il vangelo infatti rimane ormai aperto per sempre, anche per chi lo getta via. E non finisce qui, ma rimanda al principio, per finire nell’orecchio e nel cuore di chi l’ascolta, fin che la sua paura diventa fiducia, la sua fuga sequela e il suo silenzio ricordo/racconto per altri. Infatti è il vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio (cfr Marco1,1). Il Risorto, oltre che annunciato, è l’annunciatore dell’annuncio (cfr 1,14). Qui ogni uomo lo incontra, potenza di Dio e salvezza per chiunque crede (cfr Romani 1,16).
Marco 16,9-20 – Questo finale, pur essendo canonico e facente parte della Bibbia, non è di Marco. “È un’autentica reliquia della prima generazione cristiana”(Swete), che contiene un riassunto delle apparizioni del Risorto ed una sintesi della teologia dell’annuncio. Le parole, che non sono di Marco, riflettono però bene la sua ottica kergmatica.
Vigilia di Pentecoste – Per prepararci alla grande festa di domani è bene recitare più volte personalmente ma, se possibile, in famiglia la sequenza allo Spirito Santo.
Vieni Santo Spirito, / manda a noi dal cielo / un raggio della tua luce.
Vieni Padre dei poveri, / vieni datore dei doni, / vieni luce dei cuori.
Consolatore perfetto, / ospite dolce dell’anima, / dolcissimo sollievo.
Nella fatica, riposo, / nella calura, riparo, / nel pianto, conforto.
O luce beatissima, / invadi nell’intimo / il cuore dei tuoi fedeli.
Senza la tua forza, / nulla è nell’uomo, / nulla senza colpa.
Lava ciò che è sòrdido, / bagna ciò che è arido, / sana ciò che sanguina.
Piega ciò che è rigido, / scalda ciò che è gelido, / drizza ciò ch’è sviato.
Dona ai tuoi fedeli / che solo in Te confidano / i tuoi santi doni.
Dona virtù e premio, / dona morte santa, / dona gioia eterna: Amen! Alleluia!

237 - LA RISURREZIONE DI GESÙ NEL VANGELO DI MARCO - 10 Giugno 2011 – Venerdì 7ª sett. di Pasqua

Un breve commento alle parole chiave usate da Marco per annunciare la risurrezione di Gesù.
Passato il sabato - Il sabato, fine di ogni fatica, è passato. I cristiani festeggiano il giorno dopo, che è l’inizio della settimana. Viviamo ormai oltre il settimo, nell’ottavo giorno che è festa senza fine. Da quando Dio si è riposato nella tomba dell’uomo, l’uomo ha raggiunto il riposo di Dio.
Comprarono aromi - Questi aromi sono inutili come tutte le cose che si comprano e vendono. Il nardo odoroso fu invece donato al Vivente (cfr. Marco14,3ss). Non c’è lezzo di morte da coprire, ma profumo di vita che si effonde.
Cercate - Uno trova ciò che cerca; cerca ciò che desidera; e desidera ciò che gli manca, e di cui non può fare senza.
Gesù il Nazareno, il Crocifisso. È risorto - Sono le parole del kérygma, che proclama la buona notizia: Gesù di Nazaret, di cui tutto il vangelo è ricordo e racconto, quello che finì sulla croce, proprio lui in persona è risorto! E’ la parola fondamentale della fede cristiana, incredibile a tutti. Noi conosciamo una vita per la morte; qui c’è una morte per la vita. È importante ogni parola di questo annuncio: il Risorto è l’uomo Gesù, il carpentiere di Nazaret, la sua carne crocifissa. Tutta la debolezza umana è inscindibile dalla gloria che io cerco.
Non è qui - È importante venire al sepolcro, e vedere che egli non è qui. Qui dovrebbe essere, dove ognuno attende di finire e dove finisce ogni attesa. Ma la promessa di Dio smentisce la nostra certezza più certa. Questo “non è qui” è una constatazione oggettiva della risurrezione, anche se in senso negativo. È infatti un’assenza inspiegabile. Se fosse spiegabile, sarebbe l’ultimo imbroglio, il peggiore (cfr. Matteo 27,64). Inoltre, se il corpo fosse nel sepolcro, la morte non sarebbe vinta, e non ci sarebbe il vangelo di salvezza. Ci sarebbe solo una dottrina su come vivere e morire piamente. Ma questo non cambia la realtà!
Vi precede nella Galilea - La Galilea è dove inizia la predicazione di Gesù, e a luogo il primo incontro coi discepoli. Il lettore, se vuole fare la stessa esperienza, è rinviato lì, a riascoltarlo con loro. Le apparizioni del Risorto furono sia a Gerusalemme che in Galilea. Marco non ne racconta appositamente nessuna; annuncia solo quelle in Galilea, per farci andare lì.
Li lo vedrete, come vi ha detto (cfr Marco 14,28). Anch’io, se riprendo il racconto dal principio, mi ritrovo in Galilea. Se qui ascolto ciò che lui dice, lo incontro nel vangelo, che è Gesù Cristo Figlio di Dio (1,1), che annuncia se stesso (1,14), proclamando la fine del tempo e la venuta del Regno che opera ciò che promette (cfr. 1Tessalonicesi 2,13). E mi metto a seguirlo. Ogni passo del racconto diventa allora un incontro salvifico con lui, che dice e fa per me quanto è narrato. Per la potenza del suo Spirito mi ritrovo progressivamente trasfigurato. Ero tenebra, egoismo, tristezza, inquietudine, impazienza, malevolenza, cattiveria, asprezza e schiavitù. Ora divento luce, amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, libertà (Cfr. Galati 5,22). Vivo una vita da figlio nel Figlio, risorto nel Risorto.

236 - LA RISURREZIONE DI GESÙ NEL VANGELO DI MARCO - 09 Giugno 2011 – Giovedì 7ª sett. di Pasqua

La seconda parte del vangelo di Marco diventa poi tutta un confronto tra la Parola fatta Pane e la nostra vita nelle sue diverse relazioni con noi stessi, con gli altri, con le cose e con Dio.
Giunti alla fine del vangelo, siamo sempre di nuovo rimandati all’inizio, in un movimento concentrico a spirale, in modo che ogni volta cresciamo sempre di più, fino alla statura piena di Cristo (cfr. Efesini 4,13), quando Dio sarà tutto in tutti (cfr. 1 Corinti 15,28). Ma già fin d’ora, al centro della nostra vita come a metà del vangelo, c’è una esperienza di trasfigurazione, che procede di pari passo con l’accettazione della croce.
Ogni rilettura del vangelo non è una semplice ripetizione per non dimenticarlo. Ogni volta ci riporta al “principio” (1,1), e ne usciamo più simili a lui, invitati a tornare sempre allo stesso principio.
Volendo distinguere i vari livelli successivi di lettura – l’uno conduce all’altro ed è da esso incluso – potremmo parlare di un primo che porta dal precatecumenato al catecumenato, di un secondo che porta dal catecumenato al battesimo, e di un terzo infine che è proprio del battezzato, chiamato a un progresso senza fine nella conoscenza e nella sequela del suo Signore. La sorgente non dà mai la stessa acqua: una vita che si ferma, è morta.
Il precatecumeno comincia a conoscere la storia di Gesù. Essa, facendogli balenare la promessa di Dio, libera in lui i desideri profondi per cui è fatto. È il primo incontro con il Risorto, che con la sua parola apre il cuore (cfr. Atti 16,14). Il finale gli propone di riprendere dall’inizio, credendo che lui compie quanto dice. Allora si scatenano tutte le resistenze contrarie alle speranze concepite. A lui scegliere se ripiegare con paura nel silenzio e nella fuga, come anche le donne in un primo tempo, o tentare il rischio, chiedendo la fede. Chi accetta il salto, esce dalla folla. Cessa di essere semplice spettatore e diventa parte interessata, coattore con Gesù di ogni scena. Diventa catecumeno.
Il catecumeno crede alla Parola e ritorna in Galilea, lasciandosi coinvolgere da ciò che il Signore dice con autorità. Sperimenta allora di essere sempre l’altra persona per la quale lui dice o fa qualcosa: è il discepolo chiamato che segue, l’indemoniato che è liberato, la suocera che è guarita, il lebbroso che è mondato, ecc. in questa ripetizione è importante la preghiera, in cui chiedo con fede che quanto è raccontato avvenga anche a me. Incontro così il Signore risorto nelle sue parole e nelle sue azioni, che mi trasformano perché possa seguirlo fino alla croce e contemplarlo come mio Salvatore e Signore. Allora scopro che la mia paura è diventata fiducia, la mia fuga sequela e il mio silenzio urgenza d’annuncio. Sono quindi pronto al battesimo: affido la mia vita e la mia morte a lui che è morto per me ed è risorto, ed entro nella Chiesa, la comunità dei fratelli che vivono la vita nuova.
Il battezzato desidera seguire sempre più da vicino il suo Signore, per essere con lui (cfr Marco 3,14) ed essere mandato ad annunciarlo (cfr, Marco 6,6ss), percorrendo il suo stesso cammino dalla croce alla gloria (cfr. Marco 8,34ss.). Mentre la prima tappa, che è per tutti, porta il curioso al catecumenato, e la seconda porta il catecumenato al battesimo, questa terza, più tipicamente ecclesiale, non porta altrove. E tuttavia non resta mai conclusa. Anche qui il finale rimanda daccapo, in un crescendo di amorosa conoscenza. Ogni rilettura è un nuovo tocco di Cristo che mi illumina ulteriormente. “Vedi forse qualcosa?”, domanda Gesù al cieco di Betsaida. La mia vista è sempre inadeguata a ciò che c’è da vedere: più è pulita, più contempla e riceve Gloria, in un moto di desiderio e sazietà senza fine.
Gesù è il Crocifisso risorto, presente nella Parola, che mi invita ad accogliere e sperimentare il suo amore per me, per seguirlo e a mia volta annunciarlo.
Il discepolo, entrato nel sepolcro, lo trova vuoto di morte e pieno dell’annuncio di vita. Come le donne, reagisce dapprima con paura (=incredulità), fuga e silenzio. È invitato a superare questa, per sperimentare il potere della Parola, che cambia la paura in fede, la fuga in sequela e il silenzio in annuncio. È l’esistenza del battezzato che, commorto e consepolto con Cristo, conrisorge con lui a una vita nuova, quella di figlio di Dio e fratello degli uomini, uguale a Gesù. Se a una prima lettura il vangelo è un introduzione alla sua morte-risurrezione, a una seconda ne diventa lo svolgimento in noi.

235 - LA RISURREZIONE DI GESÙ NEL VANGELO DI MARCO - 08 Giugno 2011 – Mercoledì 7ª sett. di Pasqua

La risurrezione di Gesù non è una semplice rianimazione di cadavere, come nel caso della figlia di Giaro che torna a vivere una vita “mortale”. È partecipazione del corpo alla sua gloria di Figlio, primizia di tutti noi che saremo per sempre con lui, nostra vita ormai nascosta in Dio (cfr. 1 Ts 4,17; Fil 1,21; Col 3,3).
La risurrezione non è deducibile da nessuna premessa né producibile da nessuna pretesa umana. Prima che gli altri (cfr. At 17,18-32; 26,24!), risulta incredibile ai discepoli stessi. Sia loro che noi possiamo dedurla solo dalla promessa di Dio e attenderla dalla comunione con lui. La conoscenza delle Scritture e della sua potenza (12,24) è per tutti la via d’accesso alla fede nel Risorto. I primi l’hanno anche visto, per testimoniarlo a noi che veniamo dopo. Ma pure chi l’ha visto, lo riconosce come noi attraverso la luce della Parola e la forza del Pane.
La risurrezione di Gesù – e la nostra futura – è corporea, come lo fu anche la sua morte! La prova ne è il sepolcro vuoto, riportato da tutti quattro i vangeli. Paolo tenta di spiegarci con quale corpo risorgeranno i morti. Non sarà più mortale, ma trasformato a immagine dell’uomo celeste, come quello di Gesù risorto (cfr. 1Cor 15,35 ss).
Il sepolcro vuoto smentisce l’ultima attesa dell’uomo. Infrange la sola certezza assoluta ponendogli un enigma insolubile. L’unica spiegazione è l’annuncio del Risorto, l’unica verifica è l’incontro personale con Lui, offerto a chiunque accoglie con fede la Parola.
Marco non narra le apparizioni. Pur conoscendole, termina il vangelo con un “infatti” (greco: gár), lasciandolo chiaramente in sospeso. Invece di concludere, lo apre con l’invito a tornare in Galilea, luogo in cui comincia il racconto.
Il finale quindi rimanda all’inizio, dove Gesù annuncia che il tempo è finito e il regno di Dio è qui per chi si volge a lui e si mette a seguirlo (cfr Marco1,14 s). Non resta che verificarlo. Chi è disponibile, esperimenta il primo incontro col Risorto: la sua Parola ha la forza di dargli animo, per affidarsi a lui e seguirlo (cfr Marco1,16-20). Poi lo libera dal male e gli dà la capacità di servire (1,21-31); monda la sua vita dalla lebbra e la purifica dalla morte; gli perdona i peccati e lo fa camminare; gli fa aprire la mano per ricevere il dono, ecc. (cfr Marco 1,45-3,6). Ogni miracolo raccontato è ciò che la parola potente del Signore risorto opera in noi, adesso come allora. Essa infatti è un seme che ha il potere di generarci figli di Dio, trasformando tratto dopo tratto la nostra esistenza.
A metà vangelo, chi accetta “la Parola” e l’invito a seguirlo, lo “vede” trasfigurato (cfr Marco8,31-9,9). La trasfigurazione in Marco sostituisce i racconti della risurrezione. Il discepolo, guarito passo dopo passo, vede il volto del Figlio nel proprio di fratello, e sperimenta la sua potenza di risorto nella propria vita rinnovata.
La trasfigurazione rivela non solo la divinità di Gesù, ma anche la gloria che lui dà a noi. Chi ha conosciuto e creduto all’amore di un Dio crocifisso, abbandona in lui la propria vita e la propria morte, e diventa un uomo nuovo, passato dalla notte al giorno. È la piena illuminazione battesimale, alla quale Marco vuol portare il suo lettore.

234 - LA RISURREZIONE DI GESÙ NEL VANGELO DI MARCO - 07 Giugno 2011 – Martedì 7ª sett. di Pasqua

“Gesù il Nazareno, il Crocifisso, è risorto”. E’ il grido pasquale di vittoria sulla morte, che dal sepolcro risuona per il mondo intero. L’annuncio incredibile del Crocifisso risorto è il principio del “vangelo” di Gesù Cristo Figlio di Dio (Marco1,1). Le donne sono le prime ad ascoltarlo e a ricevere la missione di raccontarlo.
La prova negativa è l’assenza indebita del suo corpo là dove dovrebbe essere presente: “Non è qui, ecco il luogo dove era deposto!”. Il sepolcro è vuoto. Allora come adesso, chiunque può costatarlo.
La prova positiva è la promessa ricevuta dalle donne e trasmessa agli apostoli, che giunge fino a noi: “Vi precede nella Galilea; lì lo vedrete, come vi ha detto” (Marco 16,7).
I quattro evangelisti si diversificano molto in questa parte finale. Vogliono infatti portare il lettore all’incontro col Risorto. E questo avviene secondo livelli diversi, corrispondenti alle diverse tappe del cammino di fede in cui ciascuno si ritrova. Marco, vangelo del catecumeno, vuol portare alla fede nella potenza della Parola. In essa incontriamo il Signore vivo e operante in mezzo a noi, in modo che gli affidiamo la nostra vita nel Battesimo e, introdotti nella stanza superiore, mangiamo con lui. Comunque tutti concordano nel fatto che la Parola e il Pane sono il luogo del riconoscimento pieno di colui che sempre accompagna la sua Chiesa nel cammino, come i due discepoli di Emmaus (cfr. Luca 24.q13-35)
Non è la fede principio della risurrezione, bensì la risurrezione principio della fede: “Se Cristo non è risorto, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la nostra fede” (1 Cor 15,14.17), ribadisce Paolo. La gioia del Risorto è la forza del nostro cammino; ci mette alla sua sequela, vivendo e morendo con lui, per aver parte alla sua stessa vita oltre la morte (cfr. Filippesi 3,10).

233 - LA RISURREZIONE DI GESÙ NEL VANGELO DI MARCO - 06 Giugno 2011 – Lunedì 7ª sett. di Pasqua

“Passato il sabato, Maria Maddalena e Maria madre di Giacomo e Salome comprarono aromi per venire a ungerlo. E molto presto il primo dei sabati, vengono al sepolcro, sorto già il sole. E dicevano tra loro: Chi ci rotolerà via la pietra della porta del sepolcro? E, guardando su, osservano che è stata rotolata via la pietra: era infatti grande assai. Ed entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto alla destra, avvolto in veste bianca; e si spaventarono. Ora egli dice loro: “Non spaventatevi, Gesù cercate, il Nazareno, il Crocifisso, E’ risorto, non è qui! Ecco il luogo dove lo posero. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: Vi precede nella Galilea; lì lo vedrete, come vi ha detto”. E uscite dal sepolcro; infatti le aveva prese tremore e terrore. E non dissero niente a nessuno; temevano infatti”(Marco 16,1-8).
L’attenzione narrativa di Marco nel narrare la risurrezione di Gesù è rivolta al dato concreto e agli elementi esistenziali. Alcune notazioni pratiche introducono la scena: le donne, dopo il vespro, cioè passato il sabato, hanno comprato gli aromi per “imbalsamare” il corpo di Gesù (il che equivale a completare l’unzione funebre). Esse si mettono in cammino, con il cuore preoccupato per la grande pietra che copre il sepolcro (v.3). Ma la tomba stranamente aperta, crea un clima di sorpresa accresciuto dalla presenza inattesa di “un giovane” dalla veste candida, che pare lì proprio ad attendere le donne all’interno del sepolcro …
L’annunzio che egli porge alle donne spaventate aiuta a identificarlo, giacché “il giovane” conosce la loro paura e porge quella parola di incoraggiamento sempre ricorrente nelle manifestazioni soprannaturali della Bibbia (v.6a). Egli conosce pure l’intenzione delle tre miròfore. Infine rivela quanto altrimenti risulterebbe incomprensibile: Gesù Nazareno, il Crocifisso, è risorto (v.6).
E’ la forma più concisa e primitiva del kérygma. Segue la prova della tomba vuota e l’invio con una missione per i discepoli, tra i quali spicca la figura di Pietro: le donne, nel riferire l’accaduto, dovranno ricordare loro l’appuntamento dato da Gesù nell’Ultima cena (cfr. Marco 14,28). Gesù, richiamandosi alla profezia di Zaccaria, si era allora presentato come il vero pastore. Ora egli, risorto dai morti (cfr. Ebrei 13,20), cammina davanti al suo gregge (cfr. Giovanni 10,4). Il percorso del vangelo di Marco è diretto non solo a testimoniare Cristo, ma anche a ‘provocare’ gli ascoltatori, noi.
Siamo chiamati come le donne a cercare Gesù e a lasciarci sorprendere dall’annunzio della sua risurrezione, accogliendoLo nella fede.

sabato 4 giugno 2011

232 - ASCENSIONE DEL SIGNORE IN CIELO - 05 Giugno 2011 – Settima domenica di Pasqua - (Atti 1,1-11 Efesini 1,17-23 Matteo 28,16-20)

L’ascensione di Gesù invita a riflettere sulla sua nuova forma di presenza: termina la missione terrena di Gesù e inizia la sua presenza sacramentale, nel mistero della Chiesa. L’ascensione non si offre a speculazioni. Essa rappresenta, alla luce della fede, la risposta alla nostra speranza. Dio si è manifestato in Gesù, ora tocca a noi seguirlo. È un chiaro richiamo al presente, nel quale occorre che noi abbiamo la capacità di assumerci le nostre responsabilità. Noi viviamo alla sua presenza, nell’attesa del suo ritorno: “ Uomini di (oggi) … questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo!”. Il Vangelo ci garantisce che Gesù sarà presente, con noi, fino alla fine del mondo. Il compito a noi affidato è di proclamare il suo messaggio a tutti i popoli. L’orizzonte del vangelo è ora l’umanità intera. La fede cristiana non è passiva, ma è cammino di missione nel e per il mondo intero. Luca ha posto il racconto dell’ascensione di Gesù alla fine del suo vangelo e all’inizio degli Atti degli Apostoli. La prima lettura ci propone oggi proprio questo inizio, con la promessa dello Spirito Santo. Sotto la sua guida i cristiani potranno annunciare Gesù fino ai confini della terra.
Ma il compito missionario della comunità non è disgiunto dalla promessa della misteriosa, ma efficace assistenza del Risorto verso i suoi. Essa non sarà saltuaria, ma incessante, così che i discepoli potranno contare in ogni momento sulla presenza invisibile, ma vera e potente, del loro Signore che non li lascerà mai soli e realizzerà per loro quella promessa che aveva accompagnato la nascita di Gesù, ossia la venuta nella storia umana di Emanuele, il “Dio con noi”. Ogni timore dei discepoli è più che motivato se essi considerano le proprie debolezze, esitazioni e paure, ma deve essere fugato, perché Gesù è sempre con i suoi: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (v.20). Matteo vuole sottolineare che non solo questo mondo avrà una fine, una consumazione che coinciderà con la venuta gloriosa del Figlio dell’uomo (Mt 24,3), ma che questo tempo di attesa è comunque già ricolmo della presenza divina, che si attua attraverso il Risorto. ancora una volta appare chiaro come l’ascensione di Gesù al cielo – ossia la sua continuazione come Signore dell’universo – non comporti un’assenza, ma una modalità diversa di presenza. Se Israele ha riconosciuto come centro della propria esperienza di fede la presenza della Shekināh divina, ossia della dimora di Dio in mezzo al suo popolo, il discepolo di Gesù afferma che tale presenza si realizza nel Risorto, che è là dovunque due o tre siano uniti nel suo Nome (cfr. Matteo 18,20): e dove è il Cristo, vi è necessariamente anche il Padre che ascolta sempre la preghiera dei suoi figli riuniti nel nome del Figlio!
Preghiera - Tu ascendi al cielo, Gesù, ma non per abbandonarci alle nostre difficoltà, alle nostre prove, alle nostre fatiche, alle nostre oscurità. Tu entri nella gloria per essere maggiormente vicino ad ognuno di noi, a tutti quelli che ti cercano con un cuore sincero, a quanti desiderano ascoltare e mettere in pratica la tua parola, a quanti ne fanno la bussola sicura della loro esistenza.
Ora tu puoi raggiungere ogni uomo e ogni donna di tutti i tempi e di tutte le epoche, di ogni lingua e di ogni cultura. Non c’è più nessun limite al potere del tuo amore, non c’è più nessun ostacolo che possa costituire un impedimento insuperabile fra te e l’umanità.
A ciascuno di noi, tuttavia, tu chiedi di fare la sua parte. Tu affidi a noi la Buona Notizia, il Vangelo della liberazione, della misericordia e della grazia. Tu metti nelle nostre mani un lavacro di rigenerazione, che trasforma ogni creatura in un figlio, in una figlia di Dio.

venerdì 3 giugno 2011

231 - LA RISURREZIONE DI GESU’ E LA MISSIONE DELLA CHIESA - 04 Giugno 2011 – Sabato 6ª sett. di Pasqua

Terminiamo la nostra riflessione su Luca 24,35-48. Dopo il riconoscimento, seguono la promessa agli Apostoli e la missione loro affidata. In pochi versetti Luca condensa tutta una serie di indicazioni di grande valore teologico. In primo luogo Gesù ricorda ai discepoli che la loro testimonianza di fede ha due radici, tra loro integrate. Essi dovranno riferirsi sia all’esperienza personale della loro vita con Gesù fino a quest’ultimo incontro (“Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi” v.44), sia alle Scritture date da Israele, in quanto sono profezia del mistero di Cristo e aiutano a comprendere il significato della sua persona, centro profondo di esse. La prima fonte della testimonianza è allora l’esperienza apostolica e per questo all’inizio degli Atti degli Apostoli, quando si tratterà di integrare agli Undici una persona che sostituisca Giuda il traditore, si richiederà che costui abbia avuto una comunità di vita con Gesù, dal battesimo di Giovanni fino alla sua risurrezione (Atti 1,21-22). Per quanto riguarda la Scrittura, Luca accumula una serie di precisazioni per indicare la totalità: Legge – Profeti – Salmi. Nella formulazione è riconoscibile la tripartizione del canone ebraico; i Salmi prendono qui il posto degli Scritti, e questo è tanto più comprensibile in quanto la Chiesa delle origini ha attinto in misura estremamente abbondante ai Salmi, sia per la sua vita liturgica, sia per annunciare il mistero di Gesù come compimento delle Scritture. Luca annota che Gesù “aprì loro la mente per comprendere le Scritture” (v.45). E’ l’intelligenza delle Scritture che, come chiariscono i vv. 46-47, sa cogliere il centro di esse nel mistero pasquale di Cristo; inoltre riconosce che la finalità è di aiutare il cammino di conversione del credente. Ebbene, qui Luca pone sulla bocca di Gesù la medesima finalità, e cioè capire che il mistero di Cristo quale centro delle Scritture deve essere predicato a tutti i popoli per “la conversione e il perdono dei peccati”. Si apprezza qui lo stretto nesso tra la conversione e la remissione dei peccati, come appare anche da At 5,30-31 e viene ribadito il legame di questo perdono con il mistero pasquale di Gesù. Vi è continuità tra l’intervento divino che si manifesta nella morte di Gesù e nella sua risurrezione dai morti e l’azione divina che ridesta i cuori, li spinge su un cammino di conversione per il perdono dei peccati. Il perdono è gloria del Crocifisso, anticipo della risurrezione finale, segno di quella, già avvenuta, di Gesù (convergenza e collegamento tra Luca 24,47-48 ed Atti 1,8ss); la missione degli apostoli è dunque un essere sospinti dalla forza del perdono per offrire a tutti un perdono senza limiti! L’annuncio evangelico è l’annuncio della vita (Atti 11,18: “Dunque anche ai pagani Dio ha concesso che si convertano perché abbiano la vita!”) e la vita è riconciliazione con l’autore della vita.
“Cominciando da Gerusalemme”- Gerusalemme è stato il punto di arrivo della vita di Gesù: da lì partirà l’annuncio per tutto il mondo, si espanderà il Vangelo per tutte le genti. È questo il tema che guida il racconto degli Atti degli Apostoli, detto sovente anche “il Vangelo della Chiesa”. Gesù non si limita ad affidare agli apostoli questa missione rivolta alle genti, ma sorreggerà il mandato con una promessa: l’invio dello Spirito Santo. Lo Spirito è qui chiamato il ‘promesso’, in quanto promesso dal Padre, come attestano le antiche Scritture, allorché attendono un’effusione sovrabbondante dello Spirito per i tempi messianici. E indubbiamente la comunità primitiva non comprenderà subito il significato di una missione universale e le sue conseguenze concrete: saranno necessarie varie rivelazioni ed incitamenti ripetuti da parte dello Spirito perché questa volontà venga finalmente accettata e realizzata.
“Di questo voi siete testimoni”- La funzione testimoniale degli Undici viene qui ufficialmente riconosciuta ed è basata appunto sull’esperienza di vita con Gesù e sull’aver ricevuto la rivelazione pasquale.

230 - GESÙ RISORTO APPARE AGLI APOSTOLI - 03 Giugno 2011 – Venerdì 6ª sett. di Pasqua

La narrazione degli incontri con il Risorto, offertaci da Luca mostra la prevalenza del cosiddetto schema ‘gerosomilitano’, in quanto il teatro delle apparizioni del Risorto è appunto la città di Gerusalemme e i suoi dintorni. Inoltre il racconto non ha intenti puramente descrittivi ed apologetici per difendere la realtà della risurrezione, la sua effettività, ma riflette anche una serie di preoccupazioni più teologiche, volte a mostrare come la Chiesa possa incontrare il mistero del Risorto e lasciarsi intimamente trasportare. Orientamento apologetico e orientamento teologico comunque non si oppongono, ma si integrano tra di loro. È quanto si riscontra nella pericope (Luca 24,35-48), dove da una parte l’interesse è certamente rivolto all’affermazione della realtà della risurrezione come pertinente la stessa corporeità di Gesù, e dall’altra si insiste sui frutti di tale risurrezione per la vita dell’umanità (esperienza del perdono).
“Mentre essi parlavano”- La prima parte del brano si connette, con una certa difficoltà, al precedente racconto dei discepoli di Emmaus. L’apparizione agli apostoli è introdotta dalla seguente osservazione: “Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro” (v.36). Gli apostoli ed i discepoli di Emmaus stanno scambiandosi reciprocamente la testimonianza sulla risurrezione di Gesù. Ebbene Luca vuole suggerirci un aggancio tra le parole dei discepoli su Gesù e la sua apparizione, quasi a dire che il Risorto è presente veramente quando si dà testimonianza di lui. Gesù non ‘appare’, ma “sta in mezzo a loro”. Questo particolare sottolinea che Gesù è al centro della comunità dei discepoli che ‘narrano’ di lui, che gli rendono testimonianza. Molti manoscritti portano anche la frase dell’augurio della pace, rivolto da Gesù ai discepoli: “Pace a voi”. La pace di cui Gesù fa dono, è in qualche modo la sintesi di tutti i beni che Dio dà all’uomo, è libertà dal male ed è presenza della benedizione divina. Il terzo evangelista, pur correndo il rischio di alcune contraddizioni con il racconto precedente, che si chiudeva con la confessione di fede dei discepoli (“Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone”v.34), riprende il motivo della nascita della fede pasquale. I discepoli vengono presentati all’inizio come “sconvolti e pieni di paura”, cioè incapaci di accogliere la pace che Gesù accorda loro e soprattutto di credere che la visione che essi hanno non sia uno spettro, il ‘fantasma’ di un trapassato o uno spirito disincantato. Certamente il testo di Luca è polemico contro quelle concezioni della risurrezione di Gesù che la riducono ad una certa forma di sopravvivenza oltre la morte, come le anime dei trapassati, e non riconoscono invece che la potenza di Dio ha agito pienamente e integralmente nella persona di Gesù. L’umanità del Nazareno è davvero è realmente toccata dalla potenza della risurrezione. Per questo, il Risorto invita i discepoli a guardare e a toccare “le sue mani e i suoi piedi”. Proprio questo invito a toccare le mani e i piedi non è però da leggersi semplicemente come un’apologia della realtà della risurrezione corporea. Gesù si fa riconoscere non tanto per mezzo del volto, ma per mezzo di quelle mani e di quei piedi che portano i segni della crocifissione! Siamo propensi a leggere questo particolare in sintonia con il racconto di Giovanni: la risurrezione riguarda colui che è stato crocifisso, rende vivo ed eterno il dono della vita offerta fino alla morte in croce, morte significata appunto dalle ferite ai piedi e alle mani. L’importanza apologetica dell’intero brano va di pari passo con la preoccupazione teologica, il che significa non solo affermare la continuità tra il Gesù storico e il Cristo risorto, tra il corpo ‘terreno’ di Gesù e il corpo ‘spirituale’ della risurrezione, ma significa affermare pure che l’umanità di Gesù è ‘sorgente perenne’ di salvezza, è segno che Dio si è veramente fatto vicino all’uomo. Così i discepoli, attraverso l’ascolto delle parole del Risorto, passano dallo spavento alla gioia. Luca, con un tratto di quella finezza psicologica che lo contraddistingue, rivela che la gioia era tanto grande da renderli esitanti, sospesi tra certezza e dubbio: “ Poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore…“ (v.41). Gesù prende allora l’iniziativa nei confronti dei discepoli, per portarli ad un pieno riconoscimento della sua risurrezione. Chiede “qualcosa da mangiare”. Gli viene offerto del pesce. Se il senso originario del gesto di Gesù è di accettare il cibo e di mangiarlo agli occhi dei discepoli per escludere ogni dubbio sulla realtà fisica della risurrezione, questo però non esclude che si possa cercare una portata simbolica nel motivo del ‘pesce’. In Luca il tema del pesce ricorre in vari contesti: nella chiamata di Pietro con la pesca miracolosa (5,6), nella moltiplicazione dei pani (9,13ss.), nella pericope sulla preghiera fiduciosa rivolta al Padre (11,11), e nel presente brano. Come si vede tutti i vari testi riguardano la relazione del discepolo e dell’umanità (folla) con Gesù o con il Padre. Ebbene, questo ‘mangiare pesce’ da parte del Risorto evidenzia come egli intenda ristabilire la relazione con i suoi, riallacciare la comunione con loro.

229 - È RISORTO! - 02 Giugno 2011 – Giovedì 6ª sett. di Pasqua

“Perché cercate il Vivente con i morti?”- Dio non è dei morti, ma dei viventi; poiché tutti vivono per lui (20,38). La sua promessa, veramente più grande di ogni fama (Salmo 138,2), si oppone alla nostra attesa come la vita alla morte. Solo la sua parola è in grado di portare la nostra ricerca a chiarire l’enigma del sepolcro vuoto e a sperimentare il Vivente. Infatti ci libera dalla nostra fissazione di morte e ci indirizza verso dove non osiamo sperare. Toglie dai nostri occhi il drappo nero che ci impedisce di vedere il suo dono. L’annuncio dichiara l’errore delle nostre ricerche: quali sono le nostre ricerche sbagliate?
“Non è qui”- Il sepolcro è vuoto. Come i discepoli di allora, ancora noi oggi possiamo andarlo a visitare. E troviamo la stessa assenza. Il Vivente è passato di qui ma non è qui. Tuttavia solo chi cerca qui sa che è da cercare altrove. Non tra i morti, bensì tra i vivi, al cui cammino si accompagna. Ogni ricerca umana finisce in questo: “Non è qui”. Il sepolcro vuoto, smentita di Dio a ogni nostra attesa, volge la nostra mente in una direzione nuova e sorprendente. Il ventre della madre terra si è svuotato, ha generato la vita nuova.
“È risorto!”- E’ l’annuncio pasquale che, spiegando perché non è qui, rivela il dono di Dio. La morte di Gesù ha svuotato il sepolcro: “La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria?” (1ªCorinti 15,54s). Anche noi, come i discepoli, incontriamo il Signore attraverso questo annuncio, tanto incredibile per noi quanto per loro. Le modalità dell’esperienza di fede sono uguali per tutti. L’unica differenza tra noi e quelli che furono “testimoni oculari” (1,2) è che il loro incontro fu anche un “vedere” (vv. 34.39ss), mentre il nostro è solo un “riconoscerlo” (vv31.35).
“Ricordate come vi parlò”- Il “ricordo” delle parole di Gesù è il principio di ogni incontro con lui. Il racconto del Vangelo strutturato attorno al “memoriale” eucaristico, è questa “anamnesi”, trasmessa fino a noi, di ciò che lui ha fatto e insegnato (At 1,1). È la luce sia per vederlo che per riconoscerlo come risorto. Ricordare significa custodire nel cuore la Parola, come Maria (2,19.51). L’uomo è ciò che ricorda: vive la parola che gli sta a cuore.
“Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno”- Questo versetto è il nocciolo del kerygma evangelico, la sintesi di tutto quanto Gesù ha fatto e detto.
“E si ricordarono delle sue parole”. Si ribadisce l’importanza del ricordo di Gesù. Per questo Luca ci ha scritto il suo Vangelo.
“Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria di Giacomo e le altre”-Questi nomi sono le firme dei testimoni. Notiamo che sono tutte donne. Nella cultura ebraica non erano abilitate a testimoniare. Ma “Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato”(1ªCorinti 1,38), perché ha fatto della pietra scartata una testata d’angolo (cfr Luca 20,17=Salmo118,22).
“Parvero loro come deliranti”- L’annuncio di pasqua è assurdo per tutti. Ancora prima che a quelli di Atene (Cfr Atti 17,32), sembrano vuote parole agli apostoli stessi. Anche Festo griderà a Paolo che annunciava il Cristo risorto: “Sei pazzo, Paolo; la troppa scienza ti ha dato al cervello”(Atti 26,24). L’aporia delle donne al sepolcro è inevitabile per tutti.
“E non credevano loro”- L’incredulità è un passaggio d’obbligo ed il verbo all’imperfetto indica che è persistente.
“Pietro, levatosi, corse al sepolcro”- Anche Pietro fa lo stesso cammino delle donne. Dopo di lui seguiranno schiere innumerevoli di pellegrini. Tutti costateranno la medesima realtà: “Non è qui!”. Il sepolcro vuoto azzera per tutti e per sempre ogni sicurezza di morte e mette davanti a quel mistero che solo l’annuncio può rivelare.
“Curvatosi, vide le sole bende”-Nel sepolcro non c’è più la spoglia del morto, ma le spoglie della morte. Sono il segno del trionfo su colei che trionfava su tutti. Finalmente la vincitrice è vinta.
“Se ne tornò presso di sé”- Il luogo di riconoscimento del Vivente non è il sepolcro, bensì la casa, dove Lui stesso spezza la sua parola ed il suo pane per tutti i fratelli.
“Meravigliandosi di ciò che era accaduto”- L’incredulità deve aprirsi alla meraviglia, per non chiudersi al dono di “colui che in tutto ha il potere di fare molto di più di quanto possiamo domandare o pensare”(Efesini 3,20).

228 - DAVANTI ALLA TOMBA VUOTA - 01 Giugno 2011 – Mercoledì 6ª sett. di Pasqua

Cerchiamo di comprendere meglio alcune frasi dell’inizio del capitolo 24 di Luca.
“Il primo dei sabati”- È l’inizio della settimana, il primo giorno dopo il sabato. Il Vangelo di Luca ci presenta sette sabati (4,16.31; 6,1.6; 13,10; 14,1 ; 23,54). Ora siamo oltre il settimo sabato e oltre il settimo giorno. Siamo nell’ottavo giorno, festa e riposo di Dio nell’uomo e dell’uomo in Dio. È il giorno nuovo, l’oggi senza tramonto, il cui sole è il Signore risorto.
“Vennero al sepolcro”- Le donne ritornano al sepolcro, fine del cammino di ogni uomo. Unica sua certa attesa è la certa fine di ogni sua attesa.
“Portando gli aromi”- La morte è la signora di tutti. L’uomo non può che renderle omaggio. Mosso dall’ansia di vita, ha come vigile sentinella la paura della morte. Ogni sua attività, in ultima analisi, non fa che aromatizzare il fetore: un tentativo di esorcismo, utile almeno ad attenuare il ricordo pungente. Ma nel Vangelo i profumi non servono per coprire la puzza. Sono espressione di amore, gioia dell’incontro con lo Sposo (cf. 7,26-50).
“Trovarono la pietra rotolata via”- Il sepolcro è la bocca della morte che divora tutti e si chiude su tutti. Ma la pietra, sigillo infrangibile del suo dominio – nessuno può romperlo! – è rotolata via. Questa è la prima scoperta del mattino di Pasqua. Anche se molto grande (Mc 16,4), tanto è grande da rinchiudere tutti gli uomini e ogni loro speranza, è rotolata via per sempre! Anche l’ultima attesa dell’uomo è delusa da quel Dio che vuol mostrare il suo dono incredibile. L’ultima a morire non è la speranza, che muore subito, ma la certezza della morte, che costituisce la principale difficoltà a riconoscere il Risorto.
“Entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù”- Il sepolcro vuoto è un dato di fatto fondamentale. Non è creazione, bensì condizione della fede pasquale. Le donne non trovano il corpo.
“Erano perplesse per questo”- Si anticipa l’“aporia”, davanti alla quale si troveranno tutti gli uomini alla fine della storia (21,25). Il mistero della morte che si tramuta in vita spiazza ogni possibile ragionamento. Il sepolcro vuoto di Gesù uccide la certezza più certa dell’uomo. Come mai la morte è spogliata della sua spoglia? Il fatto non ha riscontro in nessuna esperienza precedente; non trova spiegazione alcuna.
2ecco due uomini”- Qui si inserisce l’annuncio, che solo è in grado di far comprendere ciò che è accaduto. Questi due uomini, chiamati in seguito angeli (=annunciatori, v.23), sono rivestiti di luce sfolgorante come il Cristo trasfigurato (9,29). Dichiarando alle donne il significato di questa sua assenza, continuano l’azione dell’arcangelo Gabriele (=forza di Dio) che troviamo all’inizio del vangelo di Luca: annunciano l’azione “impossibile” di Dio, che mantiene la sua promessa.
“Esse erano impaurite”- Ê il timore di chi avverte la presenza straordinaria, comune a tutte le manifestazioni di Dio.

227 - LA RISURREZIONE DI GESU’ NEL VANGELO DI LUCA - 31 Maggio 2011 – Martedì 6ª sett. di Pasqua

Come gli altri racconti del Vangelo, a maggior ragione questi della risurrezione non sono il semplice resoconto di fatti accaduti una volta per sempre. Una volta per sempre si è svuotato il sepolcro e Gesù è risorto con il suo corpo glorioso. Ma ogni racconto intende mostrarci come noi ancora oggi possiamo incontrarlo. Tra le sue varie manifestazioni, avvenute a Gerusalemme e in Galilea, gli evangelisti scelgono quelle che ritengono più adatte ad aiutare la loro comunità a questo scopo, seguendo la loro particolare ottica catechetica. In tutte le narrazioni è costante la scoperta del sepolcro vuoto, l’annuncio della risurrezione, l’incredulità, l’incontro con il Risorto non riconosciuto, il riconoscimento attraverso il ricordo (Parola ed Eucarestia!) e un cambiamento gioioso e sconvolgente nella consapevolezza di una vita nuova in unione con lui. Luca insiste particolarmente sulla corporeità della risurrezione, perché l’ambito culturale al quale si rivolge la ritiene impossibile o anche disdicevole. Il capitolo è racchiuso tra due assenze corporee: il corpo del Signore si assenta dall’abisso nella risurrezione e dalla terra nell’ascensione. È un moto dal sepolcro al cielo, dalla morte alla vita. Nel tempo che intercorre tra l’uscita dagli inferi e il ritorno al Padre, Gesù, parlando e mangiando con loro ha confortato e introdotto i discepoli nei misteri del Regno che si sono realizzati in lui: ha spiegato le Scritture e ha mostrato la propria vita come loro via, in cui camminare nella forza del suo Spirito. Al centro c’è l’incontro di Gesù con i discepoli di Emmaus che abbiamo già meditato. Nella parola e nel pane Cleopa e l’amico Lo “riconoscono” e si accomunano all’esperienza di coloro dai quali “fu visto”. Giardiniere per la Maddalena nel giardino, pescatore per i suoi discepoli sul lago, Gesù si fa viandante per quanti sono ancora per via. Per i due discepoli di Emmaus l’incontro con Gesù cambia il senso del loro cammino senza speranza e li fa correre verso Gerusalemme. In questo brano (Luca 24,1-12) c’è la duplice costatazione del sepolcro vuoto – delle donne e di Pietro – e il duplice annuncio che proclama il Risorto – degli angeli alle donne e di queste ai discepoli. Il dubbio e l’incredulità sono il luogo dove le nostre attese di morte si scontrano con l’annuncio della vita nuova : “ Perché cercate il Vivente con i morti? Non è qui. È risorto”(v.5). la consapevolezza di morte deve giungere a confrontarsi con il sepolcro vuoto. Qui l’uomo perde l’unica sua certezza indubitabile e si trova davanti a un’aporia, dalla quale può uscire solo attraverso l’annuncio e il ricordo delle parole del Signore che culminano nel banchetto. In questo far memoria di lui incontriamo il Vivente. La comunione con lui ci trasforma: viviamo del suo stesso Spirito con abbondante frutto di “amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Galati 5,22). Già ora simili a lui, attendiamo la piena manifestazione del dono ricevuto, quando alla fine “lo vedremo così come Egli è” (1ªGiovanni 3,2).
Preghiera a Maria – “Te beata, perché hai creduto nell’adempimento delle parole del Signore!”. Così ha proclamato Elisabetta, illuminata dalla Spirito, mentre accoglieva la visita della cugina, riconoscendola, per la carità premurosa, madre del Signore. Vergine Maria, anch’io ti proclamo beata e chiedo la tua intercessione: che io possa, per te, riconoscere negli eventi di ogni giorno Colui che ha visitato e redento il suo popolo; che io possa portarlo ai fratelli e raggiungere con loro una più intensa comunione d’amore; che io possa magnificare la sua misericordia e cantare la gioia della vita e la salvezza.

226 - LA RISURREZIONE DI GESU’ E LA NOSTRA - 30 Maggio 2011 – Lunedì 6ª sett. di Pasqua

Abbiamo già commentato la seconda parte del capitolo 24 del vangelo di Luca riguardante l’incontro di Gesù risorto con i due discepoli di Emmaus (nn. 205-210). In questa settimana mediteremo sulla prima parte e sulla conclusione del capitolo. Apriamo le nostre riflessioni con una breve meditazione sulla nostra risurrezione.
“Finché c’è vita, c’è speranza” dice un proverbio. L’uomo naturalmente pensa che la morte ponga fine a ogni speranza. La risurrezione non può che suscitare incredulità o ilarità (cfr At 17,32; 26,24). Ai sadducei, che non la ritenevano possibile, Gesù aveva detto: “Non siete voi forse in errore, dal momento che non conoscete le Scritture né la potenza di Dio?” (Mc 12,24). Indeducibile da qualsiasi premessa umana, essa è rivelata a chi conosce la promessa e la potenza di Dio. È la realizzazione piena della sua salvezza. Amante della vita, Dio, non vuole la morte. Ha creato l’uomo per l’immortalità, la cui radice è la conoscenza della sua potenza (Sapienza 11,26; 1,13.23; 15,3). In Gesù ce l’ha manifestata totalmente, mostrandoci come in lui tutta la creazione, insieme con noi, è destinata alla risurrezione, espressione piena della nostra verità di figli di Dio (Romani 8,19-23). Per questo non siamo “come gli altri che non hanno speranza” (1ªTessalonicesi 4,13) oltre la morte. Se “abbiamo avuto speranza in Cristo solo in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini” (1ªCorinti 15,19). “Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato. Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede” (1ªCor 15,13s). Con la nostra risurrezione, sta o cade quella di Cristo e il senso stesso di tutta la fede cristiana. La fede infatti è esperienza del Cristo risorto. La nostra vita, pur non ignorando nessuna delle tribolazioni comuni a tutti, è illuminata dalla gioia pasquale; e trova nell’incontro con il Signore glorificato la forza per camminare fin dove lui già ci attende. La nostra risurrezione sarà corporea, come la sua. Non si tratta però di rianimazione di cadavere: un ritorno alla vita di prima. È creazione nuova, passaggio a un’altra vita. Il nostro corpo sarà animato dallo stesso Spirito di Dio e parteciperà della sua vita. Infatti “si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso; si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale” (1ªCorinti 15,42ss). Questa vita nuova, superiore a ogni conoscenza umana, consiste nell’essere con Gesù, il Figlio unito al Padre nell’unico amore: “Saremo sempre con il Signore” (1ªTessalonicesi 4,17). Saremo con colui che è venuto a stare con noi fin sulla croce per poterci dire: “Oggi sarai con me in paradiso”(Luca 23,43).
Preghiera a Maria – Per un mirabile disegno della Provvidenza divina, tu, Vergine Maria, hai generato l’autore della nostra salvezza. In lui, la tua intercessione sempre ci accompagna e procura i beni del Cielo, come a Cana ha procurato agli sposi il vino della gioia. In particolare ti prendi cura di chi lotta, soffre e spera, così come una madre premurosa assiste ciascuno dei suoi figli. Con fiducia dunque, ancora ti preghiamo così: “Sotto la tua protezione, cerchiamo rifugio, santa madre di Dio. Non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, ma liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta” (antica antifona mariana).