“Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo …” (Giovanni 20,26). La scena è come la precedente, anche nel particolare delle porte chiuse. Qui però non si annota più che è per timore dei giudei, ma piuttosto perché questa situazione di chiusura è come la materializzazione dell’indisponibilità di Tommaso a credere. Ecco allora Gesù venire; il verbo, in greco, è al presente e suggerisce l’identità del Risorto, di cui si può dire che è ‘colui che viene’, in quanto in lui si realizza quel ‘venire’ di Dio che è uno dei temi centrali del discorso teologico del Primo Testamento. Al venire corrisponde poi il suo ‘stare in mezzo’ ai discepoli; è uno ‘stare’ che dice l’essenza profonda della comunità cristiana, come una comunione raccolta attorno a lui, centro e punto fermo. Il Risorto viene in mezzo a loro come portatore di pace. Viene per sua iniziativa e non come risultato della preghiera dei discepoli; è un venire che compie la promessa formulata nel primo discorso di addio (Giovanni 14,18). D’altra parte il Risorto non è il Gesù terrestre e redivivo, ma è colui che è andato al Padre, e perciò può donare ai suoi discepoli la pace. Questa non è un semplice augurio, un auspicio, ma è il frutto della sua morte e risurrezione, un dono reale che trasforma i discepoli e consente loro di superare ogni turbamento. Da tutto ciò sembrerebbe escluso Tommaso, e invece per lui il Risorto ha un’attenzione speciale, perché si mostra disponibile ad accettare le condizioni poste dal discepolo, cui non basta dire una cosa perché altri la dicono. Costui ha insistito sulle mani, sul costato, sulle ferite inflitte al corpo di Gesù. Ebbene, Gesù libera la richiesta del discepolo da tutto ciò che di inadeguato contiene, e cioè il tratto dell’incredulità, per mantenere invece ferma quell’istanza di non banalizzare la sua morte, togliendo consistenza alla concretezza di un corpo piagato, straziato, ucciso. Gesù condivide con Tommaso il fatto che la morte è il ‘caso serio’, e perciò lo invita a mettere le sue mani nei segni dei chiodi e nel costato. D’altra parte lo mette in guardia di fronte alla china pericolosa sui cui Tommaso è avviato, e cioè quella dell’incredulità. Ecco allora l’esortazione a non divenire incredulo, ma ad essere credente (v. 27). Sono proprio queste parole che distolgono Tommaso dall’incredulità e lo mettono sulla via della fede. Non è asserito con ciò che Tommaso sia incredulo o un credente (preferiamo leggere i due termini àpistos e pistós non come aggettivi, ma come sostantivi). Questa alternativa è proposta dall’evangelista, attraverso la figura di Tommaso, alla comunità dei credenti e ad ogni singolo membro, perché si tratta di decidere da quale parte si vuole stare: con il Crocifisso o contro; dalla parte della fede o dell’incredulità.
Preghiera a Maria – Sei tu, Maria, la vergine sapiente che “si è scelta la parte migliore” (Luca 10, 42). Sei tu la maestra di verità che ha meditato, confrontandoli, i misteri di Dio. Sei tu colei che ha generato Cristo, sapienza del Padre, riconosciuto e adorato dai sapienti della terra. Con te prego il Signore: “Donami, o Dio, la sapienza del cuore; donami di conoscerti e conoscere me stesso alla tua luce; donami di far maturare quella creatura nuova, secondo lo Spirito, che geme e attende di essere liberata per il tuo servizio e la tua gloria. Amen”.
Preghiera a Maria – Sei tu, Maria, la vergine sapiente che “si è scelta la parte migliore” (Luca 10, 42). Sei tu la maestra di verità che ha meditato, confrontandoli, i misteri di Dio. Sei tu colei che ha generato Cristo, sapienza del Padre, riconosciuto e adorato dai sapienti della terra. Con te prego il Signore: “Donami, o Dio, la sapienza del cuore; donami di conoscerti e conoscere me stesso alla tua luce; donami di far maturare quella creatura nuova, secondo lo Spirito, che geme e attende di essere liberata per il tuo servizio e la tua gloria. Amen”.
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