mercoledì 18 maggio 2011

214 - GESU’, PIETRO E LE PECORELLE - 18 Maggio 2011 – Mercoledì 4ª sett. di Pasqua

La triplice ripetizione della domanda rivolta a Pietro da parte del Signore (Cfr. Giovanni 21,15-19) richiama chiaramente il triplice rinnegamento di Pietro. La comunione è stata già ristabilita con il dono sacrificale che Gesù ha fatto di se stesso sulla croce e che è stato simbolizzato dal pasto, ma è necessario richiamare la particolare funzione che Pietro svolgerà nella storia della salvezza, per un dono d’amore del tutto particolare da parte del suo Signore. Pietro è chiamato a rappresentare il buon pastore che dona la vita per le sue pecorelle, come già si era presentato Gesù in Giovanni 10. Il gioco dei verbi che indicano l’amore di Gesù e di Pietro, e che viene reso nella nuova traduzione CEI con la differenza tra il verbo ‘amare’ e la locuzione ‘voler bene’, suggerisce un gioco complesso di relazioni. In realtà bisognerebbe tener conto che qui i soggetti in gioco non sono due, Gesù e Pietro, ma tre: Gesù, Pietro e le pecorelle. Il verbo philéō, che esprime una sfumatura legata alla tenerezza nelle relazioni umane, mostra la grande umiltà di Pietro, che si ritiene incapace dell’amore totalmente fontale e gratuito del Signore, l’amore agapico. Pietro ama con l’amore tenero dell’amico, che sa che il suo amore non nasce in una totale gratuità, ma come risposta all’amore di Gesù nei suoi confronti. Ma a Gesù questo basta: infatti già questo permette a Pietro di cogliere nelle pecorelle il riflesso dell’amore del Signore e così amarle a sua volta e pascerle con l’amore tipico dell’amico dello sposo, che non possiede la sposa, ma gioisce alla voce dello sposo. Pietro sa allora che il fondamento del suo amore nei confronti di Gesù e del gregge non è lui stesso, perché l’amore non scaturisce da lui. Questa è la fondamentale conversione di Pietro, chiamato a non reggersi più sulle sue forze. Nello stesso tempo egli è sicuro, egli sa che quel fondamento si trova nel Risorto. Egli è entrato nel pensiero e nel cuore del Risorto così che può affermare qualcosa che rivela una comunione inaudita: egli è certo che il Signore sa che lui lo ama. Questo è il vero superamento di ogni sentimentalismo religioso: il suo amore per Cristo non si basa su una qualche consapevolezza di un sentimento interiore, ma va molto al di là, fino a penetrare nel pensiero stesso di Cristo. “Gesù sa che io lo amo, e questa è la garanzia più forte per me del fatto che davvero io lo amo!”: queste sono le parole che avrebbe potuto pronunciare Pietro, se lo avessimo interrogato sul senso della sua conversione dopo la tremenda disillusione culminata nel tradimento. Questo vangelo rivela qualcosa che per un pastore è sempre difficile affermare, perché riguarda da vicino la sua stessa identità. Il prete è inserito in un circuito di affetti il cui pieno e la cui fonte è la persona del Signore. Egli impara ad amare dentro l’amore del Signore per le sue pecore: è tale amore che diviene generatore di nuove relazioni.
Preghiera a Maria - Ave, salus infirmorum! Ti preghiamo: guarda tutti i malati che sperano nel tuo aiuto, tutti coloro che, nei tuoi santuari, ti chiedono grazia, tutti gli infermi che non ti conoscono, ma dei quali sei ugualmente madre. Tu hai portato con fortezza il dolore, in comunione con Cristo, tuo figlio, servo sofferente di JHWH. In lui sei passata vittoriosa attraverso sofferenza e morte. Ti chiediamo di intercedere per la guarigione di tutte le malattie che affliggono l’umanità e di far splendere il tuo esempio di adesione totale al volere divino. La tua vicinanza materna può schiudere al senso del dolore e noi, come te, possiamo essere solleciti e premurosi verso chi è nel bisogno e nella prova.

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