Il quarto vangelo (18,1-19,42) si distingue dai sinottici per originalità di schema e sensibilità di contenuto. Sebbene nel racconto della Passione mostri una grande affinità con gli altri scritti evangelici, sono comunque presenti tratti particolari che motivano la trattazione a parte del quarto vangelo. In modo sintetico elenchiamo le principali differenze, distinguendo omissioni e aggiunte.
Giovanni, confrontato con i sinottici, omette:
· Il racconto dell’agonia nel Getsemani;
· Il bacio di Giuda;
· Il processo giudaico davanti al Sinedrio;
· Gli oltraggi in casa del sommo sacerdote e gli scherni sotto la croce;
· Le tenebre al momento della morte.
Il quarto vangelo, peraltro, è il solo a ricordare:
· L’impressione di maestà che Gesù offre a coloro che lo arrestano;
· L’interrogatorio di Anna a Gesù sulla sua dottrina;
· L’ampio interesse per il processo romano davanti a Pilato con le scene dell’Ecce homo e dell’Ecce rex vester;
· La discussione a proposito del cartello sulla croce;
· L’interpretazione della divisione delle vesti secondo il Salmo 22;
· La presenza della madre e del discepolo prediletto sotto la croce;
· Il riferimento all’agnello pasquale e il colpo di lancia che fece uscire dal costato sangue e acqua.
In generale possiamo dire che Giovanni non insiste sui tratti tragici e umilianti, perché vede tutto immerso nella luce del compimento della storia della salvezza.
La documentazione diventa più facile e convincente quando si passa in rassegna una breve sequenza degli avvenimenti. Rispettando le unità di luogo, il racconto offre cinque scene che ora facciamo scorrere davanti a noi nel loro dinamismo essenziale.
Prima scena: Gesù e i suoi avversari (18,1-11) - All’inizio sono presentati i personaggi: Gesù e i suoi discepoli da una parte, Giuda con le guardie dall’altra. La nobile sovranità di Gesù e la sua padronanza sugli eventi si coglie in quel “Sono io”. Le parole hanno una tale potenza che i suoi nemici e le forze avversarie indietreggiano e cadono a terra: “Proprio nel momento in cui ci si aspetterebbe che la vittima disarmata crolli, Giovanni descrive Gesù nel pieno controllo della situazione” (D. Senior). Il “ Sono io” è ripetuto con insistenza e riveste particolare valore teologico: siamo in presenza della manifestazione del nome di Dio (cfr. Esodo 3,6.14). Colui che è cercato per essere messo a morte, è in realtà colui che guida la storia e determina il destino umano.
Seconda scena: Gesù davanti ad Anna (18,12-27) - L’importanza di questo episodio sta nelle dichiarazioni di Gesù davanti all’anziano sommo sacerdote, non più in carica, ma ancora molto influente. Con Anna viene subito citato Caifa, il sommo sacerdote in carica, quello che aveva suggerito in 11,50 che l’eliminazione di un solo uomo sarebbe stata di giovamento a tutti i Giudei. Con questo ricordo la storia si innesta alla teologia. Con delicatezza, pur senza sconti alla verità storica, l’evangelista presenta pure il contrasto tra Pietro e Gesù. Pietro era potuto entrare per la mediazione dell’“altro discepolo”, conosciuto nell’ambiente. Mentre costui è pacificamente qualificato come discepolo di Gesù, Pietro non accetta tale identità, ovviamente per paura di spiacevoli conseguenze. Si nota il contrasto fra l’interrogatorio di Pietro che rinnega il Maestro e quello di Gesù che manifesta apertamente la sua identità, anche se ciò gli può costare caro. Gesù dice di aver parlato e il verbo ‘parlare’ esprime bene l’attività rivelatrice di Gesù (cfr. 12,40-50). Lo schiaffo del servo è come la risposta del giudaismo e del mondo a questo insegnamento.
Terza scena: Gesù davanti a Pilato (18,28-19,16) - Questa parte si articola in sette quadri, tanti sono i movimenti di entrata e di uscita di Pilato. Nel primo colloquio con Pilato Gesù spiega il vero significato della sua regalità. Egli, il vero testimone della rivelazione messianica, cioè della “verità” che è lui stesso (cfr. 14,6), è “re” di coloro che ascoltano la sua parola. Pilato non ne afferra il senso, ed è però convinto della non colpevolezza di Gesù, sicché tenta di liberarlo. La incoronazione di spine sta al centro della sezione ed è posta in relazione con la regalità di Gesù: Giovanni non parla di sputi, di colpi sulla testa, di genuflessioni canzonatorie dei soldati; riferisce però degli schiaffi, interpretati come rifiuto violento della regalità da parte degli uomini. Poi viene la scena dell’“Ecce homo” che prepara quella finale dell’“Ecce rex vester”. Ora, un particolare serve alla teologia dell’evangelista: Gesù è condotto davanti al popolo con le insegne regali (corona di spine e mantello purpureo) e a lui non sono restituite, come dicono i sinottici, le sue vesti (cfr. Mt 27,31). Quindi Gesù continua ad indossare il mantello regale. È come dire che continua ad essere re. Segue un altro colloquio di Gesù con Pilato che tenta di salvarlo presentandolo alla folla come re, ma Gesù è respinto con un “ via, via!”. Il processo si conclude e Pilato consegna Gesù ai Giudei per la crocefissione.
Quarta scena: la croce di Gesù (19,17-37) - Un cartello con la condanna scritta in tre lingue (latino, greco, ebraico) proclama la regalità di Gesù di fronte al mondo. Nel racconto della Passione ben dodici volte è usato il titolo di ‘re’ e tre volte il termine ‘regno’. Se consideriamo che Matteo usa spesso ‘regno’ durante il ministero ma una sola volta nella Passione, comprendiamo che Giovanni con l’uso abbondante qualifica la Passione come epifania del Cristo-Re. Inoltre, la tunica non divisa simboleggia l’unità della Chiesa, realizzata dalla morte di Gesù, come aveva profetizzato Caifa (Cfr.11,52). Proprio di Giovanni è la scena di Maria e del discepolo prediletto sotto la croce. A loro Gesù rivolge toccanti parole che mettono in luce l’intenso valore ecclesiale della loro presenza. Dopo questo, Gesù pronuncia il “consummatum est”, espressione conclusiva del totale compimento della volontà del Padre. Gesù aveva annunciato solennemente ai discepoli in 4,34 che la totale accoglienza della volontà del Padre costituiva il suo programma di vita. Ora, nel momento di concludere l’esistenza terrena, dichiara solennemente che tale volontà è stata eseguita perfettamente e con pieno amore. La morte giunge a suggellare una vita d’amore. Nessuna sorpresa o novità per il lettore attento che già conosce l’interpretazione data da Gesù spesso alla morte: essa è intesa come un atto d’amore, un dono di vita per l’altro, un amore gratuito che si spinge fino alle frontiere dell’inimmaginabile(Cfr.15,13). “Trasformando tanto profondamente il significato della croce in segno di amore trionfale, il Vangelo di Giovanni capta il paradosso intrinseco alla rivelazione cristiana e dischiude il mistero senza fine dell’amore di Dio per il mondo” (D. Senior). L’ultimo quadro di questa scena è solo di Giovanni. A Gesù non sono state spezzate le gambe e tale fatto è collegato, grazie alla citazione biblica, al rituale dell’agnello pasquale (Cfr. Esodo 12,46). Gesù muore come agnello pasquale della nuova alleanza. Troviamo ancora un prezioso particolare che denota la sensibilità giovannea, che ben si coniuga con la lettura veterotestamentaria. Ora il riferimento è al profeta Zaccaria che aveva parlato di una fontana zampillante per gli abitanti di Gerusalemme (Zc 13,1), di uno spirito di grazia e consolazione e di uno sguardo a colui che hanno trafitto (Zc 12,10). Dal costato trafitto sgorga la vita dello spirito (Cfr. 7,38s.): la salvezza viene da Gesù crocifisso.
Quinta scena: la sepoltura (19,38-41) - La scena ci porta nuovamente in un giardino: questa volta è quello della sepoltura e non dell’arresto. L’evangelista anche sul finale presenta aspetti di regalità. Sono presenti o si danno da fare uomini di notevole importanza sociale, come Giuseppe di Arimatea e Nicodemo. Gesù è sepolto come i grandi uomini di questo mondo, da persona autorevole e con grande sfarzo: per lui si impiegano i profumi senza risparmio. Non a caso Giovanni registra la quantità di aromi impiegati, “circa cento libbre” (tradotto nelle nostre misure, si tratta di circa 32 Kg e la quantità è ben cento volte quella del profumo di Maria come viene raccontato in 12,3): sembrerebbe eccessiva, uno spreco, se non fosse per la somma dignità del defunto. La quantità serve appunto a indicare quanto fosse importante quel cadavere crocifisso. L’ultimo atto consiste nel deporre Gesù in un sepolcro nuovo, che Giovanni precisa essere vicino al luogo della sepoltura, perché ormai stava per finire la preparazione della festa e, al tramonto, iniziava ufficialmente la pasqua. Gli uomini hanno concluso ufficialmente la loro azione. Ora tocca a Dio orientare diversamente il corso degli eventi.
Giovanni, confrontato con i sinottici, omette:
· Il racconto dell’agonia nel Getsemani;
· Il bacio di Giuda;
· Il processo giudaico davanti al Sinedrio;
· Gli oltraggi in casa del sommo sacerdote e gli scherni sotto la croce;
· Le tenebre al momento della morte.
Il quarto vangelo, peraltro, è il solo a ricordare:
· L’impressione di maestà che Gesù offre a coloro che lo arrestano;
· L’interrogatorio di Anna a Gesù sulla sua dottrina;
· L’ampio interesse per il processo romano davanti a Pilato con le scene dell’Ecce homo e dell’Ecce rex vester;
· La discussione a proposito del cartello sulla croce;
· L’interpretazione della divisione delle vesti secondo il Salmo 22;
· La presenza della madre e del discepolo prediletto sotto la croce;
· Il riferimento all’agnello pasquale e il colpo di lancia che fece uscire dal costato sangue e acqua.
In generale possiamo dire che Giovanni non insiste sui tratti tragici e umilianti, perché vede tutto immerso nella luce del compimento della storia della salvezza.
La documentazione diventa più facile e convincente quando si passa in rassegna una breve sequenza degli avvenimenti. Rispettando le unità di luogo, il racconto offre cinque scene che ora facciamo scorrere davanti a noi nel loro dinamismo essenziale.
Prima scena: Gesù e i suoi avversari (18,1-11) - All’inizio sono presentati i personaggi: Gesù e i suoi discepoli da una parte, Giuda con le guardie dall’altra. La nobile sovranità di Gesù e la sua padronanza sugli eventi si coglie in quel “Sono io”. Le parole hanno una tale potenza che i suoi nemici e le forze avversarie indietreggiano e cadono a terra: “Proprio nel momento in cui ci si aspetterebbe che la vittima disarmata crolli, Giovanni descrive Gesù nel pieno controllo della situazione” (D. Senior). Il “ Sono io” è ripetuto con insistenza e riveste particolare valore teologico: siamo in presenza della manifestazione del nome di Dio (cfr. Esodo 3,6.14). Colui che è cercato per essere messo a morte, è in realtà colui che guida la storia e determina il destino umano.
Seconda scena: Gesù davanti ad Anna (18,12-27) - L’importanza di questo episodio sta nelle dichiarazioni di Gesù davanti all’anziano sommo sacerdote, non più in carica, ma ancora molto influente. Con Anna viene subito citato Caifa, il sommo sacerdote in carica, quello che aveva suggerito in 11,50 che l’eliminazione di un solo uomo sarebbe stata di giovamento a tutti i Giudei. Con questo ricordo la storia si innesta alla teologia. Con delicatezza, pur senza sconti alla verità storica, l’evangelista presenta pure il contrasto tra Pietro e Gesù. Pietro era potuto entrare per la mediazione dell’“altro discepolo”, conosciuto nell’ambiente. Mentre costui è pacificamente qualificato come discepolo di Gesù, Pietro non accetta tale identità, ovviamente per paura di spiacevoli conseguenze. Si nota il contrasto fra l’interrogatorio di Pietro che rinnega il Maestro e quello di Gesù che manifesta apertamente la sua identità, anche se ciò gli può costare caro. Gesù dice di aver parlato e il verbo ‘parlare’ esprime bene l’attività rivelatrice di Gesù (cfr. 12,40-50). Lo schiaffo del servo è come la risposta del giudaismo e del mondo a questo insegnamento.
Terza scena: Gesù davanti a Pilato (18,28-19,16) - Questa parte si articola in sette quadri, tanti sono i movimenti di entrata e di uscita di Pilato. Nel primo colloquio con Pilato Gesù spiega il vero significato della sua regalità. Egli, il vero testimone della rivelazione messianica, cioè della “verità” che è lui stesso (cfr. 14,6), è “re” di coloro che ascoltano la sua parola. Pilato non ne afferra il senso, ed è però convinto della non colpevolezza di Gesù, sicché tenta di liberarlo. La incoronazione di spine sta al centro della sezione ed è posta in relazione con la regalità di Gesù: Giovanni non parla di sputi, di colpi sulla testa, di genuflessioni canzonatorie dei soldati; riferisce però degli schiaffi, interpretati come rifiuto violento della regalità da parte degli uomini. Poi viene la scena dell’“Ecce homo” che prepara quella finale dell’“Ecce rex vester”. Ora, un particolare serve alla teologia dell’evangelista: Gesù è condotto davanti al popolo con le insegne regali (corona di spine e mantello purpureo) e a lui non sono restituite, come dicono i sinottici, le sue vesti (cfr. Mt 27,31). Quindi Gesù continua ad indossare il mantello regale. È come dire che continua ad essere re. Segue un altro colloquio di Gesù con Pilato che tenta di salvarlo presentandolo alla folla come re, ma Gesù è respinto con un “ via, via!”. Il processo si conclude e Pilato consegna Gesù ai Giudei per la crocefissione.
Quarta scena: la croce di Gesù (19,17-37) - Un cartello con la condanna scritta in tre lingue (latino, greco, ebraico) proclama la regalità di Gesù di fronte al mondo. Nel racconto della Passione ben dodici volte è usato il titolo di ‘re’ e tre volte il termine ‘regno’. Se consideriamo che Matteo usa spesso ‘regno’ durante il ministero ma una sola volta nella Passione, comprendiamo che Giovanni con l’uso abbondante qualifica la Passione come epifania del Cristo-Re. Inoltre, la tunica non divisa simboleggia l’unità della Chiesa, realizzata dalla morte di Gesù, come aveva profetizzato Caifa (Cfr.11,52). Proprio di Giovanni è la scena di Maria e del discepolo prediletto sotto la croce. A loro Gesù rivolge toccanti parole che mettono in luce l’intenso valore ecclesiale della loro presenza. Dopo questo, Gesù pronuncia il “consummatum est”, espressione conclusiva del totale compimento della volontà del Padre. Gesù aveva annunciato solennemente ai discepoli in 4,34 che la totale accoglienza della volontà del Padre costituiva il suo programma di vita. Ora, nel momento di concludere l’esistenza terrena, dichiara solennemente che tale volontà è stata eseguita perfettamente e con pieno amore. La morte giunge a suggellare una vita d’amore. Nessuna sorpresa o novità per il lettore attento che già conosce l’interpretazione data da Gesù spesso alla morte: essa è intesa come un atto d’amore, un dono di vita per l’altro, un amore gratuito che si spinge fino alle frontiere dell’inimmaginabile(Cfr.15,13). “Trasformando tanto profondamente il significato della croce in segno di amore trionfale, il Vangelo di Giovanni capta il paradosso intrinseco alla rivelazione cristiana e dischiude il mistero senza fine dell’amore di Dio per il mondo” (D. Senior). L’ultimo quadro di questa scena è solo di Giovanni. A Gesù non sono state spezzate le gambe e tale fatto è collegato, grazie alla citazione biblica, al rituale dell’agnello pasquale (Cfr. Esodo 12,46). Gesù muore come agnello pasquale della nuova alleanza. Troviamo ancora un prezioso particolare che denota la sensibilità giovannea, che ben si coniuga con la lettura veterotestamentaria. Ora il riferimento è al profeta Zaccaria che aveva parlato di una fontana zampillante per gli abitanti di Gerusalemme (Zc 13,1), di uno spirito di grazia e consolazione e di uno sguardo a colui che hanno trafitto (Zc 12,10). Dal costato trafitto sgorga la vita dello spirito (Cfr. 7,38s.): la salvezza viene da Gesù crocifisso.
Quinta scena: la sepoltura (19,38-41) - La scena ci porta nuovamente in un giardino: questa volta è quello della sepoltura e non dell’arresto. L’evangelista anche sul finale presenta aspetti di regalità. Sono presenti o si danno da fare uomini di notevole importanza sociale, come Giuseppe di Arimatea e Nicodemo. Gesù è sepolto come i grandi uomini di questo mondo, da persona autorevole e con grande sfarzo: per lui si impiegano i profumi senza risparmio. Non a caso Giovanni registra la quantità di aromi impiegati, “circa cento libbre” (tradotto nelle nostre misure, si tratta di circa 32 Kg e la quantità è ben cento volte quella del profumo di Maria come viene raccontato in 12,3): sembrerebbe eccessiva, uno spreco, se non fosse per la somma dignità del defunto. La quantità serve appunto a indicare quanto fosse importante quel cadavere crocifisso. L’ultimo atto consiste nel deporre Gesù in un sepolcro nuovo, che Giovanni precisa essere vicino al luogo della sepoltura, perché ormai stava per finire la preparazione della festa e, al tramonto, iniziava ufficialmente la pasqua. Gli uomini hanno concluso ufficialmente la loro azione. Ora tocca a Dio orientare diversamente il corso degli eventi.
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