Premessa – Vogliamo vivere questa Settimana Santa lasciandoci accompagnare dai racconti della passione che troviamo nel Vangelo. Una lettura che ci aiuta a vivere in modo pieno la settimana più importante dell’anno liturgico.
I racconti appartengono al patrimonio della Chiesa ed è la Chiesa a presentarli. La fedeltà alla tradizione non impedisce l’originalità di ogni evangelista. Matteo e Marco sono molto simili, anche se non uguali perché ciascuno presenta elementi propri. Luca si distacca molto dai due precedenti e si avvicina di più a Giovanni, con il quale condivide non poche analogie.
La passione secondo Marco (14,1-15,47) - La Passione non arriva improvvisa. La natura particolare del ministero di Gesù l’ha preparata, quasi l’ha provocata. Durante la vita pubblica sono registrati due complotti, in Mc 3,6 e 11,18, e diverse manifestazioni di ostilità nei confronti del Maestro di Nazaret. Egli stesso non nasconde ai suoi ciò che l’attende e per ben tre volte preannuncia il suo destino (Cfr. 8,31-33; 9,30-32; 10,32-34). La sorte di Gesù non trova totalmente impreparata la comunità, perché al capitolo 13 l’evangelista ha mostrato dove conduce la sequela: alla sofferenza che può anche diventare martirio. I discepoli sono chiamati a percorrere con Gesù il cammino dalla Galilea a Gerusalemme: “Il tema del viaggio è utilizzato per dimostrare che la croce è al centro della cristologia di marco” (D. Senior). Rifiutare la croce equivale a non capire colui che ha voluto fare della croce il segno del suo amore per gli uomini, equivale a non provare per Gesù un affetto sincero. La sequela sarebbe seriamente compromessa. Proprio durante la Passione, Marco non indulge a una rappresentazione oleografica dei discepoli, offrendo di essi al contrario l’immagine di persone deboli e dai facili cedimenti. La preghiera sofferta di Gesù doveva servire come esempio da imitare (cfr. 14,32), ma non trova corrispondenza e i discepoli si addormentano. Gesù si rivolge a Pietro chiedendogli: “Simone, dormi?” (14,37), chiamandolo cioè con il nome che portava prima di essere invitato alla sequela. Sembra che l’evangelista, con questa particolare denominazione, voglia indicare che non vegliare con Cristo è indegno del vero discepolo. Con il suo vangelo Marco mette in guardia i seguaci di Gesù ricordando che la croce è momento di crisi. Pietro che arriva a rinnegare il Maestro (cfr. 14, 66 – 72) documenta la cronica fragilità del credente che potrà essere superata solo nella piena fiducia in Cristo.
Mentre il discepolo dimostra la propria fragilità, Gesù testimonia la sua dignità, definendosi il Figlio dell’uomo della tradizione apocalittica (cfr. Daniele 7,13s.) che si presenta nella pienezza della sua gloria. Egli esplicita quanto Marco aveva annunciato fin dall’inizio (cfr. Mc 1,1) e quanto il centurione proclamerà (cfr. 15,39) come rappresentante di tutti i credenti venuti dal paganesimo. La Passione è al tempo stesso la suprema rivelazione di Gesù e la prova decisiva per i discepoli. Sarà il momento della morte a rivelare la verità con due segni (cfr. 15, 38s): il velo del tempio si squarcia in due – cioè l’era antica si è conclusa – e il centurione pagano riconosce in Gesù il Figlio di Dio – cioè tutta l’umanità ha accesso ai benefici di quella morte. Questi due segni hanno in sé il valore di una conclusione e rivelano il paradossale rovesciamento. La morte di Gesù non è vista come punto di arrivo, bensì come punto di partenza: i due segni del tempio e del centurione ne rivelano la fecondità e la presentano come slancio vittorioso verso la risurrezione. Si fa accenno alle donne (cfr. 15,40s.) che saranno le stesse testimoni del mattino di risurrezione, creando così un collegamento intenzionale tra morte e risurrezione. Quest’ultima è preparata da alcuni gesti di bontà: Giuseppe di Arimatea si fa coraggio e richiede a Pilato il cadavere di Gesù; Pilato accondiscende a questa richiesta e “ donò il cadavere a Giuseppe” (15,45). Inoltre, due donne osservano dove Gesù è stato deposto, ovviamente con l’intenzione di ritornare appena possibile per onorare il cadavere. Con questi gesti di bontà si chiude un dramma di malvagità. Qualcosa di grande si sta preparando e l’amore, che mai muore, sarà in grado di trasformare anche la malvagità degli uomini in storia della salvezza.
La Passione di Gesù e perfino la sua morte non sono presentate come elementi negativi, come un imprevisto fallimento o come una tragica fatalità. Di conseguenza, la risurrezione non sarà un rimedio, ma l’una e l’altra, Passione e Risurrezione, sono due parti di un unico progetto che il Servo sofferente profetizzato da Isaia aveva abbozzato e che Gesù porterà a compimento. Così il mistero della persona di Gesù rivela la sua parte più profonda e il vangelo tocca il suo vertice.
I racconti appartengono al patrimonio della Chiesa ed è la Chiesa a presentarli. La fedeltà alla tradizione non impedisce l’originalità di ogni evangelista. Matteo e Marco sono molto simili, anche se non uguali perché ciascuno presenta elementi propri. Luca si distacca molto dai due precedenti e si avvicina di più a Giovanni, con il quale condivide non poche analogie.
La passione secondo Marco (14,1-15,47) - La Passione non arriva improvvisa. La natura particolare del ministero di Gesù l’ha preparata, quasi l’ha provocata. Durante la vita pubblica sono registrati due complotti, in Mc 3,6 e 11,18, e diverse manifestazioni di ostilità nei confronti del Maestro di Nazaret. Egli stesso non nasconde ai suoi ciò che l’attende e per ben tre volte preannuncia il suo destino (Cfr. 8,31-33; 9,30-32; 10,32-34). La sorte di Gesù non trova totalmente impreparata la comunità, perché al capitolo 13 l’evangelista ha mostrato dove conduce la sequela: alla sofferenza che può anche diventare martirio. I discepoli sono chiamati a percorrere con Gesù il cammino dalla Galilea a Gerusalemme: “Il tema del viaggio è utilizzato per dimostrare che la croce è al centro della cristologia di marco” (D. Senior). Rifiutare la croce equivale a non capire colui che ha voluto fare della croce il segno del suo amore per gli uomini, equivale a non provare per Gesù un affetto sincero. La sequela sarebbe seriamente compromessa. Proprio durante la Passione, Marco non indulge a una rappresentazione oleografica dei discepoli, offrendo di essi al contrario l’immagine di persone deboli e dai facili cedimenti. La preghiera sofferta di Gesù doveva servire come esempio da imitare (cfr. 14,32), ma non trova corrispondenza e i discepoli si addormentano. Gesù si rivolge a Pietro chiedendogli: “Simone, dormi?” (14,37), chiamandolo cioè con il nome che portava prima di essere invitato alla sequela. Sembra che l’evangelista, con questa particolare denominazione, voglia indicare che non vegliare con Cristo è indegno del vero discepolo. Con il suo vangelo Marco mette in guardia i seguaci di Gesù ricordando che la croce è momento di crisi. Pietro che arriva a rinnegare il Maestro (cfr. 14, 66 – 72) documenta la cronica fragilità del credente che potrà essere superata solo nella piena fiducia in Cristo.
Mentre il discepolo dimostra la propria fragilità, Gesù testimonia la sua dignità, definendosi il Figlio dell’uomo della tradizione apocalittica (cfr. Daniele 7,13s.) che si presenta nella pienezza della sua gloria. Egli esplicita quanto Marco aveva annunciato fin dall’inizio (cfr. Mc 1,1) e quanto il centurione proclamerà (cfr. 15,39) come rappresentante di tutti i credenti venuti dal paganesimo. La Passione è al tempo stesso la suprema rivelazione di Gesù e la prova decisiva per i discepoli. Sarà il momento della morte a rivelare la verità con due segni (cfr. 15, 38s): il velo del tempio si squarcia in due – cioè l’era antica si è conclusa – e il centurione pagano riconosce in Gesù il Figlio di Dio – cioè tutta l’umanità ha accesso ai benefici di quella morte. Questi due segni hanno in sé il valore di una conclusione e rivelano il paradossale rovesciamento. La morte di Gesù non è vista come punto di arrivo, bensì come punto di partenza: i due segni del tempio e del centurione ne rivelano la fecondità e la presentano come slancio vittorioso verso la risurrezione. Si fa accenno alle donne (cfr. 15,40s.) che saranno le stesse testimoni del mattino di risurrezione, creando così un collegamento intenzionale tra morte e risurrezione. Quest’ultima è preparata da alcuni gesti di bontà: Giuseppe di Arimatea si fa coraggio e richiede a Pilato il cadavere di Gesù; Pilato accondiscende a questa richiesta e “ donò il cadavere a Giuseppe” (15,45). Inoltre, due donne osservano dove Gesù è stato deposto, ovviamente con l’intenzione di ritornare appena possibile per onorare il cadavere. Con questi gesti di bontà si chiude un dramma di malvagità. Qualcosa di grande si sta preparando e l’amore, che mai muore, sarà in grado di trasformare anche la malvagità degli uomini in storia della salvezza.
La Passione di Gesù e perfino la sua morte non sono presentate come elementi negativi, come un imprevisto fallimento o come una tragica fatalità. Di conseguenza, la risurrezione non sarà un rimedio, ma l’una e l’altra, Passione e Risurrezione, sono due parti di un unico progetto che il Servo sofferente profetizzato da Isaia aveva abbozzato e che Gesù porterà a compimento. Così il mistero della persona di Gesù rivela la sua parte più profonda e il vangelo tocca il suo vertice.
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