martedì 5 aprile 2011

169 - UN CIECO GUARITO IN MEZZO AD ALTRI “CIECHI” - 05 Aprile 2011 – Martedì 4ª sett. Quaresima

Il processo fatto dal Sinedrio, il cui esito è l’espulsione dalla sinagoga del cieco guarito da Gesù, offre a Giovanni la possibilità di mostrare come la situazione di cecità sia in realtà la condizione spirituale dell’umanità quando non si apre all’Inviato di Dio, al Cristo. Paradossalmente potremmo dire che il cieco guarito è l’unico vedente in mezzo a tanti non vedenti! In definitiva i primi “ciechi” che Gesù cura sono proprio i suoi discepoli, che continuano a cercare colpevoli per il dolore e il male dell’uomo: “Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”. Essi non riescono a svestirsi della vecchia mentalità religiosa che fa di Dio un ragioniere universale, distribuente compensi e castighi. Non sono ancora in grado di vedere come Dio possa manifestare la sua gloria ed il suo amore anche nel limite dell’umano, e sia capace di volgere al bene anche il male. L’essere spettatori di quanto accade al cieco, del suo aprirsi alla luce e alla fede in Gesù, li porterà a capire che la più grande disgrazia dell’uomo è l’incredulità, un’immaginazione di se stessi come esseri infelici e soli. Sono in effetti i primi miracolati, perché Gesù regala loro uno sguardo nuovo sulla realtà: “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio”. La domanda dei discepoli su quale peccato e quale responsabilità morale ci fosse all’origine di tale infermità, trova dunque in Gesù una risposta ferma e decisa. Non si può collegare malattia, infermità, e colpa; anzi, spesso nel piano di Dio il dolore, la prova, la malattia possono diventare luoghi nei quali Egli mostra la Sua grazia e il Suo amore glorioso. E va aggiunto che Gesù regala ai discepoli una luce ulteriore sul mistero della Sua persona: “Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo”. (Giovanni 9,4-5). Egli è dunque come uno che lavora approfittando della luce del giorno, prima che le tenebre della notte impediscano ogni attività. Ebbene, egli è la luce di questo giorno, e la sua vita è un lavoro compiuto in tale periodo di luce, in obbedienza al Padre, per essere quella luce vera che, venendo nel mondo, illumina ogni uomo (cfr. Giovanni 1,9). In definitiva, i discepoli di Gesù sono dei ciechi che, ascoltando la sua parola, guariscono e vengono illuminati!Ma lo stuolo dei ciechi è destinato ad ampliarsi. Infatti è cieca anche la gente anonima che, incontrando il miracolato, rimane stupita ma incapace di emettere un proprio giudizio sulla vicenda, di rischiare un proprio atto di fede in Gesù. È figura di chi delega agli altri il compito di rispondere alle grandi questioni della vita e della fede per evitare di impegnarsi personalmente, di rischiare, di uscire finalmente dal mondo della chiacchiera, tutto basato sulle opinioni altrui. Tutta questa gente si accontenta di una prima indagine sul come il cieco nato, la cui identità è stata appurata, abbia acquistato la vista. Alla sua risposta, in cui egli afferma di avere in sostanza ricevuto una grazia, ma di non conoscere il mediatore, essi non reagiscono con una decisione di fede, ma si rivolgono appunto agli uomini di religione, scaricando su di loro il problema.

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