mercoledì 20 aprile 2011

183 - LA PASSIONE NEL VANGELO SECODNO MATTEO - 19 Aprile 2011 – Martedì Santo

Uno sguardo sommario a Matteo (26,1-27,66) permette di osservare un racconto ecclesiale e dottrinale presentato con uno stile chiaro. Egli evita le improvvisazioni, predilige le schematizzazioni, aiuta a capire i fatti con l’intelligenza che viene dalla fede della comunità. Ebreo che scrive a Ebrei, insiste molto sul compimento delle Sacre Scritture: in Gesù di Nazaret si realizzano tutte le profezie dedicate al Messia, al Servo sofferente, a colui insomma che la storia di Israele attendeva e che giustificava l’esistenza del popolo stesso. Abbozzando un rapido confronto con Marco, ritenuto la fonte principale di Matteo, si trovano queste principali differenze: innanzitutto Matteo abbrevia oppure omette quei passi di Marco che hanno valore esplicativo, adatti per i non Giudei; trova perciò inutile dire ai suoi lettori Giudei che gli azzimi erano “ quando si immolava la Pasqua” (Mc 14,12), oppure che “era la Parasceve, cioè la vigilia del sabato” (Mc 15,42). D’altro canto Matteo tende a completare la frase o a rendere più chiaro il testo marciano: “uno dei presenti, estratta la spada” di Mc 14,47 diventa: “uno di quelli che erano con Gesù, messa mano alla spada” in Mt 26,51, affinché il lettore sappia subito e chiaramente che un tentativo di reazione violenta è venuto dai discepoli. È ancora Matteo a mostrare una tendenza alla drammatizzazione degli avvenimenti: egli dice che Pietro “negò davanti a tutti” (Mt 26,70), anziché ricorrere al semplice “negò” di Mc 14,68, volendo così ricordare che il suo rinnegamento è stato pubblico, proprio come pubblica era stata la sua attestazione di fedeltà incondizionata, la sua presunta superiorità su tutti gli altri (cfr. Mt 26,33). Alcuni allungamenti ed esplicitazioni in Matteo servono a precisare e a orientare meglio il lettore, come l’introduzione a tutto il racconto della Passione (cfr. Mt 26,1 s.); grazie a essa, si assicura un legame tra ciò che precede e ciò che avverrà. È come un titolo che contiene in embrione quanto si svilupperà. Alcune piccole note aiutano a chiarificare il testo o a individuare meglio le persone, come il caso di Giuda designato esplicitamente “traditore” (26,25). Matteo conosce il prezzo del tradimento fissato in “trenta monete d’argento” (26,15), elemento che ritornerà per ben sette volte per mostrare l’iniquità del processo da parte dei Giudei e la realizzazione del piano di Dio che porta a compimento le profezie (cfr. 27,3-10). Ancora da Matteo e solo da lui sappiamo della morte di Giuda (cfr. 27,5) e del sogno della moglie di Pilato (cfr. 27,19). Di quest’ultimo particolare non è difficile scorgere l’intento dottrinale: una pagana intercede per il Giusto, mentre il suo popolo reclama la morte di Gesù. Pure il particolare della lavanda delle mani di Pilato, espressione della volontà di declinare ogni responsabilità e la conseguente assunzione di ogni responsabilità da parte del popolo, è reperibile solo nel primo vangelo (cfr. 27,24s.). Caratteristica peculiare, anche se non esclusiva, di Matteo è quella di mostrare il compimento delle profezie. Per dare qualche esempio: Mt 26,3s. ha un riferimento al Salmo 31,14; Mt 26,15 cita Zaccaria 11,12; più genericamente Mt 26,56 attesta: “Tutto questo è avvenuto perché si adempissero le Scritture dei profeti”. Decisamente più importanti sono quelle aggiunte, rispetto al testo di Marco, che hanno valore di sottolineatura cristologica: Matteo ricorda a più riprese la filiazione divina di Gesù (cfr. Mt 27,40. 43.54) che Marco riserva solo per la rivelazione finale (cfr. Mc 15,39). Le parole di Gesù riportate in Mt 26,52-54 mostrano la sua piena adesione al piano di Dio, sono una giustificazione della non violenza e mettono in luce l’autorità che egli rivendica per la sua missione. È ancora il solo Matteo a rendere solenne la morte di Gesù con una serie di miracoli che le conferiscono una portata cosmica (cfr. Mt 27,51-53). Matteo, infine, aggiunge il brano delle guardie e della diceria sul cadavere (cfr. 27, 62-66). È sorprendente questa posizione degli avversari che, incapaci di accogliere la prorompente novità della risurrezione, parlano di trafugamento del cadavere da parte dei discepoli. Così, per via negativa, diventano testimoni dei fatti.
Grazie all’apporto peculiare di Matteo, il racconto già ricco di Marco diventa più chiaro, completo e con una nota più ecclesiale. Scrive I. Zedde: “ Il discepolo sa già per la fede che Gesù è il compimento di Israele, da esso rigettato, e che Israele si sostituisce. La Chiesa è il nuovo Israele, perché in Gesù e nella Chiesa c’è la morte e la risurrezione dello stesso Israele”.

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