lunedì 11 aprile 2011

175 - L’AMICO MALATO - 11 Aprile 2011 – Lunedì 5ª sett. Quaresima

Premessa - Con il capitolo 11 si è ormai prossimi alla conclusione della prima parte del vangelo di Giovanni, cioè del cosiddetto ‘libro dei segni’. La risurrezione di Lazzaro è l’ultimo e il vertice di questi segni, perché porta alla confessione di fede in Gesù come vita e risurrezione. L’importanza che Giovanni accorda a questo segno della resurrezione di Lazzaro è inoltre evidente perché sarebbe la causa scatenante della decisione del Sinedrio di eliminare fisicamente Gesù ( Giovanni 11, 53: “Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo”). Anche il modo di narrare sottolinea l’importanza che l’evangelista accorda a questo miracolo; infatti la narrazione ha un andamento diverso, in quanto negli altri casi il miracolo viene raccontato e poi interpretato. Qui invece vi è un intreccio continuo di narrazione e interpretazione. L’attesa del miracolo di Gesù comincia con la notificazione della malattia di Lazzaro fin dall’inizio e si conclude soltanto verso la fine del capitolo, con il ritorno di Lazzaro alla vita. Per quanto poi riguarda il ‘tempo’ in cui è collocato questo segno, si è nell’intervallo tra la festa della Dedicazione (cfr. Giovanni 10,22) e la Pasqua giudaica, che nel vangelo di Giovanni non viene per così dire celebrata, in quanto è Gesù il compimento della Pasqua. Ora, in occasione della festa della Dedicazione, egli si è presentato come il ‘Buon Pastore’ che dà la vita per le pecore e non permette che esse siano rapite dalla sua mano, perché gli sono state affidate dal Padre (cfr. Giovanni 10,29). Il segno che compirà ora non fa che evidenziare come nessun nemico possa strappare i suoi dalla sua mano, neppure la morte. Nella risurrezione di Lazzaro si mostra la fedeltà del Padre manifestata in Gesù. L’amico malato. “ Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato” (v.1). Del beneficiario del miracolo viene subito detto il nome, contrariamente a quello che avviene negli altri racconti. Forse è per richiamare il significato: ‘Lazzaro=Dio aiuta’. In tal modo noi dobbiamo sapere che il protagonista fondamentale del racconto è Dio che si rivela in Gesù, e non il personaggio di Lazzaro, che è soltanto passivo e beneficiario dell’iniziativa divina verso di lui. In secondo luogo si ricorda la località di residenza di Lazzaro, Betania. Se all’inizio del vangelo appariva una località di nome Betania, situata al di là del Giordano e con il significato probabile di ‘casa della testimonianza’, qui il significato è piuttosto quello di ‘casa del dolore’, un dolore che però verrà dissolto dall’intervento di Gesù. La casa di Betania è poi la casa della fraternità e della sorellanza. Su questo tipo di relazione l’evangelista insiste volutamente, perché questa casa/famiglia apparirà poi come una figura della comunità cristiana, in particolare nell’episodio dell’unzione di Gesù da parte di Maria (cfr. Giovanni 12,1ss.). A questa unzione Giovanni accorda poi un significato speciale, come manifestazione dell’amore per Gesù, che diventa cura della fraternità all’interno della comunità. Con un procedimento singolare, prima ancora che tale unzione sia avvenuta, l’evangelista ne parla come di un evento già dato (“Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli” v. 2). Si creerà così un contrasto tra il buon profumo dell’unguento, simbolo dell’amore, e il fetore della morte, che sembrerebbe irresistibilmente vittorioso, eppure vincerà il buon profumo dell’amore e della vita! Ordunque, le sorelle di Lazzaro fanno giungere a Gesù la notizia della malattia di costui, mettendo però in rilievo la relazione di amicizia esistente con Lazzaro: “ Colui che tu ami è malato”. Il verbo utilizzato è philéō, che indica un amore di amicizia; questo amore, però, nel quarto vangelo non è inferiore all’agàpē, ma è quella forma di agape che giunge a dare la vita per l’amico (cfr. Giovanni 15,13). Anche qui si può cogliere, oltre che un’indicazione preziosa circa le relazioni intensamente umane che Gesù ha vissuto nella propria vita terrena, anche un’allusione teologica alla fonte ultima, da cui scaturisce il segno della risurrezione di Lazzaro: il dono che Gesù fa della propria vita, per i propri amici! Propriamente, le sorelle non chiedono nulla, non sollecitano un intervento, ma ricordano solo la relazione di amicizia che lega Gesù a Lazzaro. Si rimane così in attesa della reazione di Gesù. Dapprima egli segnala che quella malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio; questo non significa che Dio si manifesti nell’insufficienza dell’umano, nel dolore, nella malattia grave, ma che Egli sa trasformare anche queste situazioni in luogo della sua presenza, in occasioni per far sperimentare il suo amore, che libera e che salva. Sconcertante è invece l’agire di Gesù, che si trattiene per altri due giorni nel luogo dove si trova. Potrebbe essere inteso come indifferenza, non partecipazione alla situazione di dolore che colpisce quella famiglia, e per questo l’evangelista precisa subito che Gesù, invece, “amava Marta e sua sorella e Lazzaro” (v. 5). In questo tardare di Gesù nell’andare da Lazzaro si crea per noi un effetto di suspence ma, nel contempo, ci viene offerto un messaggio: i tempi di Dio non sono quelli degli uomini, e il suo modo di amare non sempre è immediatamente comprensibile, perché non risponde ai bisogni e ai desideri secondo le aspettative umane.

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