Alla richiesta della Samaritana di darle dell’acqua viva, Gesù sembra replicare sviando il discorso e chiedendo alla donna di ritornare al pozzo con il proprio marito. È come se Gesù volesse sospendere momentaneamente il dialogo per poterlo aggiornare in modi e tempi nuovi. Comunque egli mostra di aver colto le allusioni della donna al piano della relazione affettiva, coniugale; e proprio su questo registro simbolico egli pone la nuova richiesta, di fronte alla quale la donna si mostra reticente. Ma Gesù smaschera subito tale reticenza, rivelando così la sua superiore conoscenza: “Hai detto bene: ‘Io non ho marito’. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero”. Questa parola di Gesù potrebbe essere un invito rivolto alla donna perché consegni tutto il passato e si apra ad una nuova vita. Ma, più probabilmente, questa parola lo rivela come colui che è in grado di discernere i cuori. Così, proprio da questo riconoscersi conosciuta (e perciò amata) fin nel profondo, la Samaritana troverà la ragione per credere in Gesù e confessare pubblicamente la propria fede (Giovanni 4,29.39). D’altra parte la tormentata vicenda matrimoniale della donna può alludere anche alla condizione dei Samaritani, con la loro problematica vicenda religiosa (almeno secondo l’ottica giudaica). La reazione immediata della donna è anzitutto una constatazione a proposito di Gesù, sotto forma di una risposta alla domanda: chi è colui che parla con lei?“Signore, vedo che sei un profeta!”. Il profeta è colui che conosce in profondità, conosce i cuori al di là delle apparenze. In tal modo la Samaritana ha fatto un grande progresso rispetto all’identità di Gesù. Infatti ora comincia a riconoscere il legame del suo interlocutore con Dio, ed è per questo che ella avanza la questione che non è una digressione rispetto al tema del dialogo, ma il suo vertice, in quanto riguarda la vera natura di Dio e del culto a Lui dovuto. L’argomento è ciò che separa giudei e samaritani, e ovviamente la donna lo affronta dalla prospettiva dei samaritani: “I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare”. La questione è di estrema serietà, poiché riguarda la vera religione. Ed è qui che la risposta di Gesù appare estremamente solenne, come risulta dall’evocativo “donna”, preceduto da un formale imperativo: “Credimi, donna!”. Questo titolo di “donna”, che nel quarto vangelo è dato a lei, alla Madre di Gesù e alla Maddalena, viene usato per indicare la necessità di una trasformazione del rapporto, che dal suo piano naturale viene trasposto su quello della fede. Certo, tutte le figure femminili del vangelo sono sottoposte ad una trasformazione: la Madre di Gesù, che egli non ha interpellato mai come Madre ma come donna, diventa la personificazione della donna/madre di Sion; la Maddalena richiama la sposa del Cantico dei cantici che ricerca e ritrova l’amato senza “afferrarlo”. Anche Maria e Marta, per le quali però Gesù non usa l’appellativo di “donna”, devono trasformare il rapporto con il fratello restituito loro in termini diversi dall’attesa precedente. In definitiva, ognuna di queste donne è invitata ad accedere ad una dimensione della fede, e non è un caso che, a differenza dei sinottici, non siano mai donne guarite o perdonate, ma credenti o chiamate a diventarlo. Gesù accoglie pienamente la questione posta dalla Samaritana, affermando per un verso che l’elezione passa attraverso i giudei, a proposito dei quali asserisce che essi adorano Dio conoscendolo, a differenza dei samaritani. Nondimeno non chiede alla donna di farsi giudea. Ciò che ella deve fare è chiedersi chi sia davvero Dio, e come lo si possa incontrare. È la domanda essenziale per l’uomo, a cui Gesù risponde indicando la verità di Dio: Egli, facendosi quasi mendicante, è un Padre che cerca adoratori che lo adorino in spirito e verità. Adorare non è qui questione solo di prostrarsi e di pregare, ma di un mettersi sinceramente alla presenza di un Dio riconosciuto come Padre, grazie alla manifestazione che Egli fa di sé nella verità del Figlio, che è Via, Verità e Vita, e nella forza dello Spirito, che è lo Spirito di Verità. A queste parole di Gesù, che ribadiscono per un certo aspetto lo status religioso superiore rispetto ai samaritani (“voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo”), la donna mostra una reazione di orgoglio personale, con una punta di nazionalismo: anche lei sa che deve venire il Messia, il quale chiarirà ogni questione! Attende perciò anche lei il Ta’eb! E si capisce anche che ella invochi il Ta’eb come arbitro dirimente, in quanto Gesù si è appellato ad un principio superiore alla contrapposizione tra samaritani e giudei e cioè alla volontà del Padre di essere adorato in spirito e verità. Ma la differenza tra le posizioni di Gesù e della samaritana non è conciliabile su un punto: lei, come i suoi concittadini, attende per il futuro il Messia, mentre Gesù parla di un’ora che è già venuta, e coincide con il presente del loro incontro. È chiara, ancora una volta, l’allusione giovannea alla realtà profonda, autentica, di quest’ora: è l’ora della manifestazione dell’amore di Dio, che ama il mondo fino a dare il Figlio unigenito, lasciando che si offra fino alla morte! Forse la donna sta già sospettando che proprio Gesù sia il Messia atteso, e che il domani sperato sia già presente. E che questo sia l’orientamento profondo del suo animo lo si intuisce dalle parole di auto rivelazione con cui Gesù chiude il dialogo: “Sono io che parlo con te!”.
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