mercoledì 30 marzo 2011

161 - PRESSO UNA CITTA’ DI SAMARIA - 28 Marzo 2011 – Lunedì 3ª sett. Quaresima

Premessa - Il dialogo con la Samaritana è una delle pagine giovanee più celebri per la ricchezza dei temi, per la varietà delle prospettive, ed insieme per il chiaro risalto esistenziale del messaggio proposto. Da ciò deriva quella pluralità di letture che caratterizza la storia dell’interpretazione del testo: dalla prospettiva mistagogica a quella pneumatologia, cristologica, missionaria. È proprio l’uso del linguaggio profondamente simbolico che consente tale varietà di approcci, non opposti tra loro, ma anzi integrantisi e reciprocamente arricchentisi. Ciò che poi rende particolarmente suggestivo il testo del dialogo con la Samaritana è lo spessore del personaggio femminile – ben caratterizzato dal punto di vista narrativo e delineato con finezza psicologica – che condivide con Gesù il ruolo di protagonista fondamentale del racconto. Peraltro ciò è coerente con la consuetudine giovannea di dare rilevanza ai suoi personaggi femminili; infatti nel quarto vangelo le donne sono più numerose e più importanti che nei sinottici, con eccezione del vangelo lucano dell’infanzia. Esse sono protagoniste di numerosi dialoghi con Gesù. E tutte, senza esclusione, hanno un positivo atteggiamento verso Gesù, a differenza di diversi personaggi maschili. Data l’ampiezza e la ricchezza tematica della pericope, si impone necessariamente la scelta di alcuni aspetti, trascurandone altri. Lasceremo perciò in ombra il dialogo di Gesù con i discepoli (Giovanni 4,27–38), per soffermarci maggiormente su quello con la Samaritana e sull’incontro con i suoi concittadini. Presso un città di Samaria - Il racconto giovanneo è introdotto da una composizione di luogo e di tempo di forte valenza simbolica. Gesù sta trasferendosi dalla Giudea alla Galilea, e decide di non passare per la valle del Giordano, ma per la Samaria. Per l’evangelista tale scelta è dovuta ad una necessità non pratica, ma teologica, come lascia intuire il v. 4: “doveva passare per la Samaria”. In ciò l’evangelista vede prefigurata la missione ai samaritani, che si attuerà nel tempo post-pasquale. Dopo l’annotazione sulla presenza del pozzo di Giacobbe, presso Sicar, città della Samaria, l’attenzione si sposta proprio al fermarsi di Gesù presso il pozzo: “Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno” (v.6). Non è solo una fatica fisica, quella di Gesù, per la quale sarebbe spinto a fare una sosta e a sedersi; è una fatica ben più profonda, come appare al termine Kekopiakòs (stanco), che riappare più avanti in riferimento alla fatica missionaria del Lògos fatto carne, che deve venire nel mondo per la salvezza dell’uomo, passando poi da questo mondo al Padre attraverso la croce (cfr. Gv 13,1). Non a caso lo stesso verbo greco (kopiaō) riappare in questo stesso contesto dell’incontro con la Samritana per indicare la fatica-lavoro della semina, dalla quale nasce la nuova creazione, la messe degli ultimi tempi: “Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica” (v.38). Quanto avverrà qui nell’incontro con la Samaritana, non fa che anticipare il frutto della fatica di Cristo, il frutto della sua ora, cioè della sua passione e morte. Ecco perché l’evangelista segnala subito anche l’ora dell’incontro con questa donna di Samaria, anzi propone esplicitamente questo termine “ora”: “Era circa l’ora sesta”. L’identica annotazione temporale riguardante l’ora sesta (cioè mezzogiorno) riapparirà nella passione, nella scena in cui Gesù viene giudicato nel Lithóstrotos e si manifesta in modo paradossale tutto il fulgore della sua regalità. La piena luce del mezzogiorno che avvolge il dialogo con la Samaritana gli conferisce una tonalità pasquale, in contrasto con la fatica feriale del viaggio e della sosta obbligata. L’ora è quasi una promessa: questo incontro sarà per la donna un’esperienza di luce piena, nella quale potrà capire chi è Dio e come Egli si faccia incontro all’umanità assetata di Lui. Altra osservazione: ci aspetteremmo un più ovvio “sedette al pozzo” e invece appare l’imperfetto “sedeva”, ad indicare una postura costante, stabile, quasi a rendere Gesù un tutt’uno con il pozzo, perché – come apparirà nel proseguo del dialogo – egli si proporrà come eterna fonte di acqua viva, che disseta l’arsura dell’umanità. E infine si può notare l’enfasi posta sul tema del “pozzo” che appare immediatamente ricco di ascendenze anticotestamentarie e mediogiudaiche. Il pozzo offre acqua sorgiva anche là dove questa non sembra raggiungibile; è quindi una sorta di dono che rende possibile la vita anche là dove è minacciata. Da qui la facile transazione all’uso simbolico, metaforico del pozzo, ad indicare ciò che rende possibile il cammino dell’uomo, e cioè quella verità a cui egli si può dissetare per non venire meno. Da ciò si comprende come, nella Scrittura, il pozzo diventi simbolo dell’amore, della donna amata e, ancor più radicalmente, della sapienza divina e della Legge, in quanto doni del Signore che consentono la vita nella fede.

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