Un’intuizione si fa largo nel cuore della Samaritana: finora ha cercato di placare la sua sete con esperienze inconcludenti, deludenti. D’altra parte ha una difficoltà: come può, il suo misterioso interlocutore, peraltro privo di mezzi per attingere, darle da bere un’acqua migliore di quella del pozzo di Giacobbe, simboleggiante la Legge, la tradizione di fede del popolo? E così si avvicina alla questione davvero pertinente: quella dell’origine del dono di Gesù e della vera identità del donatore. La domanda sull’origine percorre l’intero vangelo di Giovanni, come pure la questione della sua identità, specie in rapporto ai grandi personaggi del Primo Testamento. Alla domanda, Gesù risponde (vv. 13-14) mettendo a confronto l’acqua materiale con quella che egli è in grado di offrire. Qui ormai il simbolismo dell’acqua viva si esplicita pienamente. E se Siracide 24,21 sembra affermare il continuo bisogno di quest’acqua, è per mettere in risalto che la Sapienza divina è buona e sempre desiderabile, mentre Gesù dichiara che quest’acqua toglierà la sete per sempre. Le due affermazioni non sono in contrasto, perché una dice l’appetibilità, l’altra l’efficacia, ma entrambe sottolineano che in tale bevanda si dà qualcosa che trascende le possibilità umane. Gesù ribadisce alla donna la sua promessa: la sua acqua disseterà per sempre, anzi colui che ne verrà dissetato diventerà capace a sua volta di dissetare altri. Diventerà lui stesso come una fonte, dalla quale scaturisce acqua in eterno, un’acqua capace di dare vita che non muore, vita definitiva. Certo, la fonte prima è senz’altro Gesù, poiché dalla sua persona e dal suo mistero pasquale scaturiscono tutti i benefici (Giovanni 7,37- 39). Ma il credente unito a Gesù partecipa anch’egli del medesimo dono della vita; e si noti che il fine verso cui tende il dinamismo intrinseco del dono di Gesù è appunto la vita definitiva! È un dinamismo che viene, per così dire, illustrato quasi sensibilmente dal verbo zampillare (hàllomai), metafora che rimanda al simbolismo del pozzo. A questo punto la Samaritana confessa il suo bisogno, la sua insoddisfazione: tutte le fonti alle quali essa ha attinto non sono state capaci di placare davvero la sua sete, compresa la sua stessa esperienza religiosa. Ne riconosce l’infruttuosità e la logorante fatica: “Signore, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua”.
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