mercoledì 23 marzo 2011

155 - LA REAZIONE DEI DISCEPOLI - 23 Marzo 2011 – Mercoledì 2ª sett. Quaresima

Di fronte alla scena della Trasfigurazione c’è davvero di che rimanere spaesati. I personaggi che compaiono accanto a Gesù sono scomparsi da tempo, eppure sono lì, vivi e presenti; lo stesso Gesù appare in una luce assolutamente nuova ed irresistibile. Lo spaesamento sembra renderli incapaci di reazioni, con l’eccezione di Pietro, che tenta appunto di reagire. Lo fa quasi con un grido di preghiera, come risulta dal vocativo “Signore!”, ma soprattutto esprime un desiderio di fissare il tempo, impedirne il trascorrere. Le capanne che vorrebbe erigere per i tre dovrebbero servire a dare definitività all’esperienza di cui è beneficiario. Matteo non fa alcun apprezzamento, né positivo, né negativo, sulla proposta di Pietro; da essa, comunque, traspare una chiara attesa di qualcosa di eterno, di pieno, di non più reversibile.
Si comprende certo come Pietro voglia fissare un’esperienza che sembra saturare il suo desiderio, e in questo la sua richiesta sia sensata. Non sensata, invece, è la modalità in cui egli vorrebbe accedere per tale saturazione: la visione, il possesso, invece dell’ascolto. Ed è qui che al registro della visione subentra appunto quello dell’audizione: “ Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra” (Matteo 17,5). E’ interessante che l’apparizione della nube luminosa interrompa la parola di Pietro, perché essa deve introdurre la parola della voce misteriosa di Colui che la nube rivela e insieme occulta. I racconti bibblici del Sinai collegano la nube luminosa (nube e fuoco …) alla manifestazione di un Dio che vuole comunicarsi al suo popolo, ma che nel contempo resta sempre “altro”, trascendente: “ Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra” (Deuteronomio 4,12). Per i discepoli si rende quindi necessaria una profonda trasformazione del loro desiderio, un passaggio dall’essere spettatori (estasiati, ma solo passivi) ad attori, nell’unica modalità possibile, e cioè quella dell’obbedienza.

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