Il linguaggio greco parla di “metamorfosi” ma non va certo interpretato secondo l’ottica culturale greca, per cui gli dei si tramutano in persone umane, in animali o piante, e similmente accade per gli uomini. Nulla di tutto ciò, ma piuttosto un’anticipazione di quella pienezza di umanità di cui sarà rivestito il Risorto.
Il passivo teologico “fu trasfigurato” rimarca come l’evento della trasfigurazione sia un atto d’amore di Dio, del Padre verso il Figlio. D’altra parte esso coinvolge anche i discepoli come spettatori o, meglio, come testimoni (“davanti a loro”). Matteo offre alcuni dettagli visivi, come quelle del mutamento del volto e delle vesti; la luce, paragonabile a quella del sole, è esattamente il simbolo contrario alla tenebra della morte, o al buio della lontananza da Dio. Ebbene, poco prima Gesù aveva parlato ai discepoli del suo destino di passione e di morte; ora, perché questo cammino sia percorso da lui e dai discepoli senza esitazione, ma in piena obbedienza, ecco questa scena di luce, che infonde coraggio, anticipando, sia pure per un attimo, il compimento. Gesù, che verrà rifiutato dagli uomini come il maledetto, è riconosciuto da Dio come il Figlio, come il Giusto. In tal senso è chiarificatrice l’espressione conclusiva della parabola della zizzagna e del buon grano: “Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro”( Mt 13,43). E quindi se la trasfigurazione è per un verso l’evento che coinvolge Gesù nella sua relazione con il Padre, per il tratto dell’apparire, del manifestarsi, riguarda i discepoli che devono essere rafforzati nella sequela, perché comprendano che Gesù è come l’apripista di una strada che passa attraverso la morte, ma giunge alla vita.
A rendere ancora più ricca la scena si aggiunge l’apparizione di Mosè e di Elia a Gesù trasfigurato. La loro comparsa è in relazione al fatto che essi rappresentano la Legge e i Profeti, in quanto protesi verso il compimento messianico. È questa la lettura cristiana delle Scritture, che anche Matteo fa propria, attraverso tutte le citazioni di compimento, ed esplicita nel discorso della montagna: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento”(Matteo 5,17).
A differenza di quanto scriverà Luca, Matteo non precisa il contenuto della conversazione dei due con Gesù; per lui basta segnalare il fatto di tale conversazione, ad indicare come Gesù sia il centro delle Scritture e come esse, quindi, parlino di lui.
Il passivo teologico “fu trasfigurato” rimarca come l’evento della trasfigurazione sia un atto d’amore di Dio, del Padre verso il Figlio. D’altra parte esso coinvolge anche i discepoli come spettatori o, meglio, come testimoni (“davanti a loro”). Matteo offre alcuni dettagli visivi, come quelle del mutamento del volto e delle vesti; la luce, paragonabile a quella del sole, è esattamente il simbolo contrario alla tenebra della morte, o al buio della lontananza da Dio. Ebbene, poco prima Gesù aveva parlato ai discepoli del suo destino di passione e di morte; ora, perché questo cammino sia percorso da lui e dai discepoli senza esitazione, ma in piena obbedienza, ecco questa scena di luce, che infonde coraggio, anticipando, sia pure per un attimo, il compimento. Gesù, che verrà rifiutato dagli uomini come il maledetto, è riconosciuto da Dio come il Figlio, come il Giusto. In tal senso è chiarificatrice l’espressione conclusiva della parabola della zizzagna e del buon grano: “Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro”( Mt 13,43). E quindi se la trasfigurazione è per un verso l’evento che coinvolge Gesù nella sua relazione con il Padre, per il tratto dell’apparire, del manifestarsi, riguarda i discepoli che devono essere rafforzati nella sequela, perché comprendano che Gesù è come l’apripista di una strada che passa attraverso la morte, ma giunge alla vita.
A rendere ancora più ricca la scena si aggiunge l’apparizione di Mosè e di Elia a Gesù trasfigurato. La loro comparsa è in relazione al fatto che essi rappresentano la Legge e i Profeti, in quanto protesi verso il compimento messianico. È questa la lettura cristiana delle Scritture, che anche Matteo fa propria, attraverso tutte le citazioni di compimento, ed esplicita nel discorso della montagna: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento”(Matteo 5,17).
A differenza di quanto scriverà Luca, Matteo non precisa il contenuto della conversazione dei due con Gesù; per lui basta segnalare il fatto di tale conversazione, ad indicare come Gesù sia il centro delle Scritture e come esse, quindi, parlino di lui.
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