La narrazione degli incontri con il Risorto, offertaci da Luca mostra la prevalenza del cosiddetto schema ‘gerosomilitano’, in quanto il teatro delle apparizioni del Risorto è appunto la città di Gerusalemme e i suoi dintorni. Inoltre il racconto non ha intenti puramente descrittivi ed apologetici per difendere la realtà della risurrezione, la sua effettività, ma riflette anche una serie di preoccupazioni più teologiche, volte a mostrare come la Chiesa possa incontrare il mistero del Risorto e lasciarsi intimamente trasportare. Orientamento apologetico e orientamento teologico comunque non si oppongono, ma si integrano tra di loro. È quanto si riscontra nella pericope (Luca 24,35-48), dove da una parte l’interesse è certamente rivolto all’affermazione della realtà della risurrezione come pertinente la stessa corporeità di Gesù, e dall’altra si insiste sui frutti di tale risurrezione per la vita dell’umanità (esperienza del perdono).
“Mentre essi parlavano”- La prima parte del brano si connette, con una certa difficoltà, al precedente racconto dei discepoli di Emmaus. L’apparizione agli apostoli è introdotta dalla seguente osservazione: “Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro” (v.36). Gli apostoli ed i discepoli di Emmaus stanno scambiandosi reciprocamente la testimonianza sulla risurrezione di Gesù. Ebbene Luca vuole suggerirci un aggancio tra le parole dei discepoli su Gesù e la sua apparizione, quasi a dire che il Risorto è presente veramente quando si dà testimonianza di lui. Gesù non ‘appare’, ma “sta in mezzo a loro”. Questo particolare sottolinea che Gesù è al centro della comunità dei discepoli che ‘narrano’ di lui, che gli rendono testimonianza. Molti manoscritti portano anche la frase dell’augurio della pace, rivolto da Gesù ai discepoli: “Pace a voi”. La pace di cui Gesù fa dono, è in qualche modo la sintesi di tutti i beni che Dio dà all’uomo, è libertà dal male ed è presenza della benedizione divina. Il terzo evangelista, pur correndo il rischio di alcune contraddizioni con il racconto precedente, che si chiudeva con la confessione di fede dei discepoli (“Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone”v.34), riprende il motivo della nascita della fede pasquale. I discepoli vengono presentati all’inizio come “sconvolti e pieni di paura”, cioè incapaci di accogliere la pace che Gesù accorda loro e soprattutto di credere che la visione che essi hanno non sia uno spettro, il ‘fantasma’ di un trapassato o uno spirito disincantato. Certamente il testo di Luca è polemico contro quelle concezioni della risurrezione di Gesù che la riducono ad una certa forma di sopravvivenza oltre la morte, come le anime dei trapassati, e non riconoscono invece che la potenza di Dio ha agito pienamente e integralmente nella persona di Gesù. L’umanità del Nazareno è davvero è realmente toccata dalla potenza della risurrezione. Per questo, il Risorto invita i discepoli a guardare e a toccare “le sue mani e i suoi piedi”. Proprio questo invito a toccare le mani e i piedi non è però da leggersi semplicemente come un’apologia della realtà della risurrezione corporea. Gesù si fa riconoscere non tanto per mezzo del volto, ma per mezzo di quelle mani e di quei piedi che portano i segni della crocifissione! Siamo propensi a leggere questo particolare in sintonia con il racconto di Giovanni: la risurrezione riguarda colui che è stato crocifisso, rende vivo ed eterno il dono della vita offerta fino alla morte in croce, morte significata appunto dalle ferite ai piedi e alle mani. L’importanza apologetica dell’intero brano va di pari passo con la preoccupazione teologica, il che significa non solo affermare la continuità tra il Gesù storico e il Cristo risorto, tra il corpo ‘terreno’ di Gesù e il corpo ‘spirituale’ della risurrezione, ma significa affermare pure che l’umanità di Gesù è ‘sorgente perenne’ di salvezza, è segno che Dio si è veramente fatto vicino all’uomo. Così i discepoli, attraverso l’ascolto delle parole del Risorto, passano dallo spavento alla gioia. Luca, con un tratto di quella finezza psicologica che lo contraddistingue, rivela che la gioia era tanto grande da renderli esitanti, sospesi tra certezza e dubbio: “ Poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore…“ (v.41). Gesù prende allora l’iniziativa nei confronti dei discepoli, per portarli ad un pieno riconoscimento della sua risurrezione. Chiede “qualcosa da mangiare”. Gli viene offerto del pesce. Se il senso originario del gesto di Gesù è di accettare il cibo e di mangiarlo agli occhi dei discepoli per escludere ogni dubbio sulla realtà fisica della risurrezione, questo però non esclude che si possa cercare una portata simbolica nel motivo del ‘pesce’. In Luca il tema del pesce ricorre in vari contesti: nella chiamata di Pietro con la pesca miracolosa (5,6), nella moltiplicazione dei pani (9,13ss.), nella pericope sulla preghiera fiduciosa rivolta al Padre (11,11), e nel presente brano. Come si vede tutti i vari testi riguardano la relazione del discepolo e dell’umanità (folla) con Gesù o con il Padre. Ebbene, questo ‘mangiare pesce’ da parte del Risorto evidenzia come egli intenda ristabilire la relazione con i suoi, riallacciare la comunione con loro.
“Mentre essi parlavano”- La prima parte del brano si connette, con una certa difficoltà, al precedente racconto dei discepoli di Emmaus. L’apparizione agli apostoli è introdotta dalla seguente osservazione: “Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro” (v.36). Gli apostoli ed i discepoli di Emmaus stanno scambiandosi reciprocamente la testimonianza sulla risurrezione di Gesù. Ebbene Luca vuole suggerirci un aggancio tra le parole dei discepoli su Gesù e la sua apparizione, quasi a dire che il Risorto è presente veramente quando si dà testimonianza di lui. Gesù non ‘appare’, ma “sta in mezzo a loro”. Questo particolare sottolinea che Gesù è al centro della comunità dei discepoli che ‘narrano’ di lui, che gli rendono testimonianza. Molti manoscritti portano anche la frase dell’augurio della pace, rivolto da Gesù ai discepoli: “Pace a voi”. La pace di cui Gesù fa dono, è in qualche modo la sintesi di tutti i beni che Dio dà all’uomo, è libertà dal male ed è presenza della benedizione divina. Il terzo evangelista, pur correndo il rischio di alcune contraddizioni con il racconto precedente, che si chiudeva con la confessione di fede dei discepoli (“Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone”v.34), riprende il motivo della nascita della fede pasquale. I discepoli vengono presentati all’inizio come “sconvolti e pieni di paura”, cioè incapaci di accogliere la pace che Gesù accorda loro e soprattutto di credere che la visione che essi hanno non sia uno spettro, il ‘fantasma’ di un trapassato o uno spirito disincantato. Certamente il testo di Luca è polemico contro quelle concezioni della risurrezione di Gesù che la riducono ad una certa forma di sopravvivenza oltre la morte, come le anime dei trapassati, e non riconoscono invece che la potenza di Dio ha agito pienamente e integralmente nella persona di Gesù. L’umanità del Nazareno è davvero è realmente toccata dalla potenza della risurrezione. Per questo, il Risorto invita i discepoli a guardare e a toccare “le sue mani e i suoi piedi”. Proprio questo invito a toccare le mani e i piedi non è però da leggersi semplicemente come un’apologia della realtà della risurrezione corporea. Gesù si fa riconoscere non tanto per mezzo del volto, ma per mezzo di quelle mani e di quei piedi che portano i segni della crocifissione! Siamo propensi a leggere questo particolare in sintonia con il racconto di Giovanni: la risurrezione riguarda colui che è stato crocifisso, rende vivo ed eterno il dono della vita offerta fino alla morte in croce, morte significata appunto dalle ferite ai piedi e alle mani. L’importanza apologetica dell’intero brano va di pari passo con la preoccupazione teologica, il che significa non solo affermare la continuità tra il Gesù storico e il Cristo risorto, tra il corpo ‘terreno’ di Gesù e il corpo ‘spirituale’ della risurrezione, ma significa affermare pure che l’umanità di Gesù è ‘sorgente perenne’ di salvezza, è segno che Dio si è veramente fatto vicino all’uomo. Così i discepoli, attraverso l’ascolto delle parole del Risorto, passano dallo spavento alla gioia. Luca, con un tratto di quella finezza psicologica che lo contraddistingue, rivela che la gioia era tanto grande da renderli esitanti, sospesi tra certezza e dubbio: “ Poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore…“ (v.41). Gesù prende allora l’iniziativa nei confronti dei discepoli, per portarli ad un pieno riconoscimento della sua risurrezione. Chiede “qualcosa da mangiare”. Gli viene offerto del pesce. Se il senso originario del gesto di Gesù è di accettare il cibo e di mangiarlo agli occhi dei discepoli per escludere ogni dubbio sulla realtà fisica della risurrezione, questo però non esclude che si possa cercare una portata simbolica nel motivo del ‘pesce’. In Luca il tema del pesce ricorre in vari contesti: nella chiamata di Pietro con la pesca miracolosa (5,6), nella moltiplicazione dei pani (9,13ss.), nella pericope sulla preghiera fiduciosa rivolta al Padre (11,11), e nel presente brano. Come si vede tutti i vari testi riguardano la relazione del discepolo e dell’umanità (folla) con Gesù o con il Padre. Ebbene, questo ‘mangiare pesce’ da parte del Risorto evidenzia come egli intenda ristabilire la relazione con i suoi, riallacciare la comunione con loro.
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