sabato 28 aprile 2012

381 - LA COMPRENSIONE DELLE SCRITTURE

Per una pausa spirituale durante la IIIª Settimana di Pasqua

Luca (24,35-48) presenta l’apparizione del Cristo risorto ai discepoli il giorno stesso di Pasqua. Questa scena segue immediatamente l’episodio dei discepoli di Emmaus che tornano velocemente a Gerusalemme con l’entusiasmo di chi ha fatto un grande incontro e brama comunicarlo ad altri; ma trovano che anche i discepoli in città sanno la grande notizia e sapientemente Luca mette sulle loro labbra un’antica formula di fede apostolica: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone» (v. 34). Essi raccontano quindi «ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane» (v. 35): in tal modo l’evangelista sottolinea ancora una volta i temi del cammino e del riconoscimento, che tanto gli stanno a cuore e che ora riprende con il nuovo racconto. Notiamo che l’espressione «spezzare il pane» (in greco: klásis tû ártu; reso in latino con: fractio panis) costituisce il termine tecnico più antico, adoperato dalla comunità cristiana per indicare la celebrazione eucaristica, e deriva dalla prassi giudaica di iniziare il pasto con tale gesto orante: riferito a Gesù, richiama certamente il gesto simbolico da lui compiuto nell’ultima Cena, alludendo alla propria vita «spezzata e data».

Come era capitato lungo la via per Emmaus (24,15), così ora si ripete nel cenacolo: mentre i discepoli stanno parlando delle loro esperienze, «egli stesso» (in greco c’è solo il pronome autós, senza il nome proprio Gesù) «stette in mezzo a loro» (v. 36). Come in Giovanni (cfr. Gv 20,19.26), anche Luca adopera un semplice verbo (éstē) per indicare la presenza di Gesù che, in piedi, si colloca al centro del gruppo; evita quindi ogni particolare di ‘apparizione’ miracolosa. Come in Giovanni (cfr. Gv 20,19.21.26), anche Luca riporta il saluto iniziale di Gesù nella forma «Pace a voi», con l’intento di dare al normale saluto giudaico un significato profondo, in quanto la ‘pace’ rappresenta l’evento messianico stesso e ai discepoli viene comunicato l’effetto dell’opera compiuta dal Messia nella sua Pasqua di morte e risurrezione.

Luca però, a differenza di Giovanni, aggiunge alcune importanti osservazioni sulla reazione dei discepoli, i quali «sconvolti e pieni di paura credevano di vedere un fantasma» (v. 37): in greco si adopera il termine «pnêuma», per indicare uno ‘spirito’, cioè una realtà incorporea. È chiaro che l’evangelista vuole insistere sulla realtà anche fisica del corpo del Cristo risorto: ciò che segue nel racconto ribadisce oltre ogni incertezza l’intenzione di affermare narrativamente che la risurrezione di Gesù è avvenuta nel «suo vero corpo».

Le parole di Gesù servono per chiarire al lettore la reazione dei discepoli: il loro turbamento è dovuto al fatto che sorgono dubbi nel cuore (v. 38). È tradotto con ‘dubbi’ il termine dialoghismós che evoca piuttosto ragionamenti e scambi verbali, per dire come il tanto parlare che di quell’evento avevano fatto non fosse sufficiente a comprenderlo e accettarlo (cfr. 24,17). Come in Giovanni (cfr. Gv 20,20), anche Luca sottolinea il riferimento alle mani e ai piedi del Risorto, in quanto sono le parti del corpo che recano i segni della condanna a morte, cioè ferite guarite, cicatrici che dicono il fatto della morte e il suo superamento. È importante, anzi fondamentale, l’identità del Crocifisso con il Risorto: la risurrezione infatti non è altro rispetto alla storica vicenda vissuta da Gesù, bensì la sua ripresa trasfigurata dalla potenza divina.

Il Risorto non è uno pnêuma, ma «ha carne e ossa», addirittura – dice Luca – prese una porzione di pesce arrostito e lo mangiò davanti a loro (vv. 42-43). Nel suo consueto tentativo di scusare gli apostoli, l’evangelista spiega che non credevano ancora perché erano troppo contenti, sembrava loro «troppo bello per essere vero!»: tale insistenza ha però la funzione di convincere il lettore, aiutandolo a superare i vari dubbi che l’annuncio della risurrezione poteva comportare, soprattutto in un ambiente di cultura ellenista. Inoltre per Luca è importante il fatto che gli apostoli abbiano mangiato con Gesù dopo la sua risurrezione dai morti (cfr. At 10,41): perciò in questo caso è detto che egli stesso mangiò con loro. Proprio da questa condivisione della mensa con il Risorto nacque per la comunità cristiana la prassi eucaristica, come reale – anche se sacramentale – continuazione dell’originale «mangiare con il Risorto».

Al vertice dell’incontro sta la parola di Gesù che spiega il senso di ciò che è avvenuto, richiamando le parole (hoi lógoi) che aveva già rivolto loro durante la vita terrena, ma che i discepoli non avevano ancora accolto e capito. Per la terza volta nei racconti del cap. 24 ritorna l’importante forma verbale «bisogna» (24,7.26.44), per sottolineare una necessità teologica: «Bisogna (dêi) che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Questa formula tripartita richiama il consueto modo giudaico di indicare la Bibbia, che offre la via percorribile per comprendere il significato di ciò che è capitato al Messia Gesù: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno» (v. 46). Una frase del genere non si trova in nessun testo biblico, tuttavia esprime la sintesi del messaggio teologico che si può ricavare dalla meditazione sull’Antico Testamento. Infatti il Messia Gesù, risorto dai morti, è considerato la chiave ermeneutica delle Scritture, ma al contempo sono i testi biblici che offrono preziosi chiarimenti per comprendere l’evento del Cristo. Luca stesso si è formato all’interno delle prime comunità cristiane attraverso lo studio delle Scritture, rilette nella prospettiva dell’annuncio apostolico.

Un ulteriore passaggio però è molto importante e l’evangelista lo evidenzia con cura, inserendo questa frase esplicativa fra i due discorsi di Gesù: «Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture» (v. 45). Solo la grazia e la potenza del Risorto possono ‘aprire’ la mente umana e permettere di capire in profondità la Bibbia, in quanto parola e progetto di Dio: è la continua presenza del Cristo in mezzo all’assemblea eucaristica dei discepoli che rivela loro lungo i secoli il senso delle Scritture. In forza di tale incontro e di tale comprensione, gli apostoli diventano «testimoni» (mártyres) di un evento che parte da Gerusalemme, ma riguarda tutta l’umanità, chiede cambiamento di mentalità (metánoia) e offre il perdono dei peccati.

L’intelligenza delle Scritture e la missione ci collegano di continuo a Gesù: così diventiamo, anche noi, annunciatori del suo perdono e della conversione, collaboratori della sua opera. È il Cristo stesso che ci apre la mente e che agisce in noi. Noi possiamo solo offrire mente, cuore e mani perché Gesù continui nel mondo la sua azione di salvezza.

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