Per una pausa spirituale durante la IIª Settimana di Pasqua
Nessun vangelo descrive l’evento della risurrezione, ma solo l’incontro con il Risorto e, prima di tutto, con i segni della assenza del corpo. È molto importante questa fedeltà ai dati della esperienza apostolica. Gli apostoli non hanno visto risorgere il Cristo, hanno visto la tomba vuota e hanno incontrato il Cristo dopo la Pasqua e di questo parlano. Mentre nella veglia del Sabato santo la liturgia propone il racconto della visita al sepolcro secondo i tre Sinottici, nella Messa del giorno di Pasqua viene proclamato lo stesso racconto secondo Giovanni (Gv 20,1-9).
Questo racconto fa parte della strutturazione più antica del Vangelo, è comune a tutti e quattro gli evangelisti e costituisce l’esperienza fondante della comunità pasquale: gli apostoli e i loro amici quel mattino, il giorno dopo il grande sabato di pasqua, vanno al sepolcro e lo trovano vuoto. Ciò che Giovanni dice in più rispetto ai sinottici è lo stato delle tele funebri all’interno del sepolcro. Analizziamo dunque questo testo, con l’intento di capire meglio che cosa videro i discepoli nella tomba vuota.
Un primo particolare giovanneo è il contrasto fra la luce e le tenebre. Maria di Magdala si reca alla tomba al mattino, eppure è ancora buio: l’indicazione del mattino è cronologica, mentre il buio è spirituale. Fuori è già spuntata la luce, ma dentro il cuore e la testa dei discepoli c’è ancora l’oscurità, cioè la non comprensione e l’assenza di fede.
Per questo, avendo visto la pietra rimossa dal sepolcro, Maria ha dedotto, secondo una logica puramente umana, che qualcuno abbia rubato il cadavere di Gesù: la prima spiegazione del fatto non è la risurrezione, ma è il furto della salma. Così il cuore della Maddalena è impazzito, la testa non ragiona più, corre disperatamente. Allarmati da questo annuncio, anche i due discepoli corrono al sepolcro.
Che cosa videro Simon Pietro e il discepolo che Gesù amava? Purtroppo, in questo caso, la precedente traduzione italiana non ci aiutava affatto a capire; la nuova versione ha portato alcuni miglioramenti significativi, anche se c’è bisogno ancora di qualche precisazione. La traduzione (CEI 1971) che parlava di «bende per terra» e di «sudario piegato in un luogo a parte» era proprio scorretta. Ho spesso chiesto a diverse persone che mi spiegassero come si immaginavano la scena del sepolcro vuoto in base a questa descrizione. E tutti concordavano nell’immaginarsi una simile scena: le bende, come strisce di stoffa, disordinatamente sparpagliate per il pavimento, mentre il sudario è pensato come un fazzoletto ben ripiegato e collocato da una parte. Una scena del genere non dice niente di preciso, al massimo una gran confusione.
La nuova versione (CEI 2008) migliora la resa, traducendo: «i teli posati là» e «il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte». Si potrebbe ancora migliorare e vi propongo questa traduzione: «Chinatosi, vide le tele giacenti, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le tele giacenti, e il sudario, che gli era stato posto attorno al capo, non giacente con le tele, ma arrotolato nello stesso posto» (20,5-7). Cerchiamodi capire meglio.
Giovanni è stato testimone alla morte e alla sepoltura di Gesù: ha potuto vedere come era stato collocato il suo corpo nel sepolcro. Nella prassi funeraria degli ebrei non esisteva niente di simile alle mummie egiziane; non si usavano strisce di stoffa, ma un grande lenzuolo che avvolgeva tutto il corpo, dopo che questo era stato spalmato di olio profumato; poi la stoffa del lenzuolo veniva fatta aderire al corpo con due o tre legacci, all’altezza del collo, della vita e dei piedi.
L’insieme di queste stoffe di lino è detto da Giovanni othónia; in latino è reso con linteámina e deve essere tradotto in modo generico con ‘tele’ (o ‘teli’). Quindi, per descrivere la posizione di queste tele Giovanni non fa riferimento al pavimento, ma usa il participio del verbo che vuol dire giacere (in greco kéimena): difatti il traduttore latino ha correttamente tradotto con «vidit linteamina posita». Perché l’evangelista insiste tanto nel descrivere questo particolare? Che cosa vuol dire con ciò? Evidenzia un contrasto: le tele non erano più su, ma erano andate giù! Dobbiamo immaginare che il lenzuolo sia rimasto intatto, i legacci chiusi, ma il tutto era afflosciato, le tele si erano sgonfiate, perché il corpo non c’era più. Sembrava quasi che ci fosse ancora, dato che tutto era perfettamente intatto.
Nessun vangelo descrive l’evento della risurrezione, ma solo l’incontro con il Risorto e, prima di tutto, con i segni della assenza del corpo. È molto importante questa fedeltà ai dati della esperienza apostolica. Gli apostoli non hanno visto risorgere il Cristo, hanno visto la tomba vuota e hanno incontrato il Cristo dopo la Pasqua e di questo parlano. Mentre nella veglia del Sabato santo la liturgia propone il racconto della visita al sepolcro secondo i tre Sinottici, nella Messa del giorno di Pasqua viene proclamato lo stesso racconto secondo Giovanni (Gv 20,1-9).
Questo racconto fa parte della strutturazione più antica del Vangelo, è comune a tutti e quattro gli evangelisti e costituisce l’esperienza fondante della comunità pasquale: gli apostoli e i loro amici quel mattino, il giorno dopo il grande sabato di pasqua, vanno al sepolcro e lo trovano vuoto. Ciò che Giovanni dice in più rispetto ai sinottici è lo stato delle tele funebri all’interno del sepolcro. Analizziamo dunque questo testo, con l’intento di capire meglio che cosa videro i discepoli nella tomba vuota.
Un primo particolare giovanneo è il contrasto fra la luce e le tenebre. Maria di Magdala si reca alla tomba al mattino, eppure è ancora buio: l’indicazione del mattino è cronologica, mentre il buio è spirituale. Fuori è già spuntata la luce, ma dentro il cuore e la testa dei discepoli c’è ancora l’oscurità, cioè la non comprensione e l’assenza di fede.
Per questo, avendo visto la pietra rimossa dal sepolcro, Maria ha dedotto, secondo una logica puramente umana, che qualcuno abbia rubato il cadavere di Gesù: la prima spiegazione del fatto non è la risurrezione, ma è il furto della salma. Così il cuore della Maddalena è impazzito, la testa non ragiona più, corre disperatamente. Allarmati da questo annuncio, anche i due discepoli corrono al sepolcro.
Che cosa videro Simon Pietro e il discepolo che Gesù amava? Purtroppo, in questo caso, la precedente traduzione italiana non ci aiutava affatto a capire; la nuova versione ha portato alcuni miglioramenti significativi, anche se c’è bisogno ancora di qualche precisazione. La traduzione (CEI 1971) che parlava di «bende per terra» e di «sudario piegato in un luogo a parte» era proprio scorretta. Ho spesso chiesto a diverse persone che mi spiegassero come si immaginavano la scena del sepolcro vuoto in base a questa descrizione. E tutti concordavano nell’immaginarsi una simile scena: le bende, come strisce di stoffa, disordinatamente sparpagliate per il pavimento, mentre il sudario è pensato come un fazzoletto ben ripiegato e collocato da una parte. Una scena del genere non dice niente di preciso, al massimo una gran confusione.
La nuova versione (CEI 2008) migliora la resa, traducendo: «i teli posati là» e «il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte». Si potrebbe ancora migliorare e vi propongo questa traduzione: «Chinatosi, vide le tele giacenti, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le tele giacenti, e il sudario, che gli era stato posto attorno al capo, non giacente con le tele, ma arrotolato nello stesso posto» (20,5-7). Cerchiamodi capire meglio.
Giovanni è stato testimone alla morte e alla sepoltura di Gesù: ha potuto vedere come era stato collocato il suo corpo nel sepolcro. Nella prassi funeraria degli ebrei non esisteva niente di simile alle mummie egiziane; non si usavano strisce di stoffa, ma un grande lenzuolo che avvolgeva tutto il corpo, dopo che questo era stato spalmato di olio profumato; poi la stoffa del lenzuolo veniva fatta aderire al corpo con due o tre legacci, all’altezza del collo, della vita e dei piedi.
L’insieme di queste stoffe di lino è detto da Giovanni othónia; in latino è reso con linteámina e deve essere tradotto in modo generico con ‘tele’ (o ‘teli’). Quindi, per descrivere la posizione di queste tele Giovanni non fa riferimento al pavimento, ma usa il participio del verbo che vuol dire giacere (in greco kéimena): difatti il traduttore latino ha correttamente tradotto con «vidit linteamina posita». Perché l’evangelista insiste tanto nel descrivere questo particolare? Che cosa vuol dire con ciò? Evidenzia un contrasto: le tele non erano più su, ma erano andate giù! Dobbiamo immaginare che il lenzuolo sia rimasto intatto, i legacci chiusi, ma il tutto era afflosciato, le tele si erano sgonfiate, perché il corpo non c’era più. Sembrava quasi che ci fosse ancora, dato che tutto era perfettamente intatto.
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