Per una pausa spirituale durante la Vª Settimana di Quaresima
Getsemani e trasfigurazione secondo Giovanni - Gesù conosce il grande effetto positivo della sua morte; eppure, in quanto uomo, ne teme anche la sofferenza. Infatti subito dopo l’evangelista Giovanni propone un frammento narrativo in cui riferisce l’angoscia che i sinottici mostrano in Gesù nel momento del Getsemani: «Adesso l’anima mia è turbata» (Gv 12,27). L’espressione sembra derivare da un salmo (cfr. Sal 6,3; 42,5.11) e con essa viene sinteticamente suggerito il travaglio della condizione umana del Cristo, che egli affrontò in modo coraggioso e deciso. Non chiese al Padre di essere salvato da quell’ora, dolorosa e decisiva; Giovanni insiste nel ribadire che Gesù è ben consapevole di essere giunto a quell’ora proprio per compiere il passo decisivo e perciò non si tira indietro. La sua preghiera contiene una formula giovannea, parallela a quella sinottica del Padre nostro: «Padre, glorifica il tuo nome» (Gv 12,28a); cioè: mostra chi sei, fa’ vedere la tua potenza divina, rivela il tuo amore di Padre proprio nella concreta e dolorosa vicenda che sto affrontando.
Possiamo così riconoscere in questi brevi accenni una versione giovannea di importanti testi sinottici: l’angosciata preghiera nel Getsemani, l’esempio della preghiera di Gesù al Padre, nonché l’evento della trasfigurazione, a cui pare accennare il fatto straordinario della voce che viene dal cielo a conferma dell’opzione scelta da Gesù. «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!» (Gv 12,28b): secondo il consueto vocabolario del quarto vangelo la rivelazione celeste di Dio Padre conferma che Gesù ha ragione e promette solennemente di mostrarlo con un intervento potente.
Questa voce dal cielo, pur essendo esclusiva del quarto vangelo, assomiglia molto nel messaggio che trasmette al racconto sinottico della trasfigurazione: il Padre fa conoscere, con un intervento mistico, la sua compiacenza nei confronti di Gesù e annuncia l’ingresso nella gloria divina come méta dell’oscuro viaggio della sofferenza. La folla ha percepito un fatto straordinario, ma non ha capito né parole né messaggio: l’evangelista, secondo il suo solito, propone alcune interpretazioni che circolavano fra la gente, per far capire ai suoi lettori l’errore di un giudizio superficiale ed esterno. Non è stato un tuono e nemmeno un angelo che gli ha parlato! La spiegazione giusta la sa l’evangelista, perché coincide con il punto di vista del Cristo stesso.
L’annuncio e l’interpretazione della croce - La conclusione stessa di Gesù interpreta quella voce dal cielo come finalizzata agli ascoltatori, ai quali mostra come nel mistero della croce si realizzi l’intronizzazione del vero re e contemporaneamente la sconfitta dell’impero demoniaco.
Riprendendo ciò che era stato detto a Nicodemo (cfr. Gv 3,14: l’abbiamo letto domenica scorsa!), Giovanni adopera una espressione ambigua per spiegare il senso autentico della croce di Cristo: «Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Come abbiamo già visto, il verbo innalzare o esaltare (in greco: hypsóō) ha due significati: può alludere alla salita al trono come vertice della carriera e massimo onore, ma può anche accennare alla morte in croce. Entrambi i significati sono corretti e devono essere integrati per comprendere l’evento culmine del Messia Gesù: egli infatti annuncia che il proprio destino sarà la croce (Gv 12,33), la quale però diventerà il suo trono, dal momento che l’innalzamento sulla croce coinciderà col raggiungimento della meta e con la realizzazione della propria missione. Se umanamente le due cose non possono stare assieme, invece nell’esperienza di Gesù i due eventi hanno coinciso. Egli è stato innalzato sul patibolo, ma in quel momento è asceso al trono ed ha assunto tutto il potere, perciò attira a sé tutto e tutti. La crocifissione coincide con l’intronizzazione del Re dell’universo e con il raduno degli eletti: «Regnavit a ligno Deus», come interpreta l’inno alla croce di Venanzio Fortunato.
Inoltre in tale evento si compie «il giudizio di questo mondo» (Gv 12,31). L’intronizzazione del Messia segna la sconfitta del potere demoniaco del male e della morte, personificato apocalitticamente nel «principe di questo mondo», l’arconte della struttura corrotta: non c’è posto per due re sul trono! Perciò la croce di Cristo, trono del vero re, con un’immagine apocalittica viene presentata come il momento e lo strumento che getta via dal potere le forze oscure.
Getsemani e trasfigurazione secondo Giovanni - Gesù conosce il grande effetto positivo della sua morte; eppure, in quanto uomo, ne teme anche la sofferenza. Infatti subito dopo l’evangelista Giovanni propone un frammento narrativo in cui riferisce l’angoscia che i sinottici mostrano in Gesù nel momento del Getsemani: «Adesso l’anima mia è turbata» (Gv 12,27). L’espressione sembra derivare da un salmo (cfr. Sal 6,3; 42,5.11) e con essa viene sinteticamente suggerito il travaglio della condizione umana del Cristo, che egli affrontò in modo coraggioso e deciso. Non chiese al Padre di essere salvato da quell’ora, dolorosa e decisiva; Giovanni insiste nel ribadire che Gesù è ben consapevole di essere giunto a quell’ora proprio per compiere il passo decisivo e perciò non si tira indietro. La sua preghiera contiene una formula giovannea, parallela a quella sinottica del Padre nostro: «Padre, glorifica il tuo nome» (Gv 12,28a); cioè: mostra chi sei, fa’ vedere la tua potenza divina, rivela il tuo amore di Padre proprio nella concreta e dolorosa vicenda che sto affrontando.
Possiamo così riconoscere in questi brevi accenni una versione giovannea di importanti testi sinottici: l’angosciata preghiera nel Getsemani, l’esempio della preghiera di Gesù al Padre, nonché l’evento della trasfigurazione, a cui pare accennare il fatto straordinario della voce che viene dal cielo a conferma dell’opzione scelta da Gesù. «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!» (Gv 12,28b): secondo il consueto vocabolario del quarto vangelo la rivelazione celeste di Dio Padre conferma che Gesù ha ragione e promette solennemente di mostrarlo con un intervento potente.
Questa voce dal cielo, pur essendo esclusiva del quarto vangelo, assomiglia molto nel messaggio che trasmette al racconto sinottico della trasfigurazione: il Padre fa conoscere, con un intervento mistico, la sua compiacenza nei confronti di Gesù e annuncia l’ingresso nella gloria divina come méta dell’oscuro viaggio della sofferenza. La folla ha percepito un fatto straordinario, ma non ha capito né parole né messaggio: l’evangelista, secondo il suo solito, propone alcune interpretazioni che circolavano fra la gente, per far capire ai suoi lettori l’errore di un giudizio superficiale ed esterno. Non è stato un tuono e nemmeno un angelo che gli ha parlato! La spiegazione giusta la sa l’evangelista, perché coincide con il punto di vista del Cristo stesso.
L’annuncio e l’interpretazione della croce - La conclusione stessa di Gesù interpreta quella voce dal cielo come finalizzata agli ascoltatori, ai quali mostra come nel mistero della croce si realizzi l’intronizzazione del vero re e contemporaneamente la sconfitta dell’impero demoniaco.
Riprendendo ciò che era stato detto a Nicodemo (cfr. Gv 3,14: l’abbiamo letto domenica scorsa!), Giovanni adopera una espressione ambigua per spiegare il senso autentico della croce di Cristo: «Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). Come abbiamo già visto, il verbo innalzare o esaltare (in greco: hypsóō) ha due significati: può alludere alla salita al trono come vertice della carriera e massimo onore, ma può anche accennare alla morte in croce. Entrambi i significati sono corretti e devono essere integrati per comprendere l’evento culmine del Messia Gesù: egli infatti annuncia che il proprio destino sarà la croce (Gv 12,33), la quale però diventerà il suo trono, dal momento che l’innalzamento sulla croce coinciderà col raggiungimento della meta e con la realizzazione della propria missione. Se umanamente le due cose non possono stare assieme, invece nell’esperienza di Gesù i due eventi hanno coinciso. Egli è stato innalzato sul patibolo, ma in quel momento è asceso al trono ed ha assunto tutto il potere, perciò attira a sé tutto e tutti. La crocifissione coincide con l’intronizzazione del Re dell’universo e con il raduno degli eletti: «Regnavit a ligno Deus», come interpreta l’inno alla croce di Venanzio Fortunato.
Inoltre in tale evento si compie «il giudizio di questo mondo» (Gv 12,31). L’intronizzazione del Messia segna la sconfitta del potere demoniaco del male e della morte, personificato apocalitticamente nel «principe di questo mondo», l’arconte della struttura corrotta: non c’è posto per due re sul trono! Perciò la croce di Cristo, trono del vero re, con un’immagine apocalittica viene presentata come il momento e lo strumento che getta via dal potere le forze oscure.
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