giovedì 15 marzo 2012

346 - LE DIECI PAROLE-DECALOGO-I DIECI COMANDAMENTI

Quarta giornata: IL DECALOGO E L’ALLEANZA

Nel contesto dell’alleanza, il decalogo è come una categoria di relazione interumana, adottata dalla teologia biblica per definire il popolo di Dio. In questo contesto il decalogo è la norma dalla quale il popolo di Dio si lascia guidare, l’alveo attraverso il quale esso risponde all’impegno di essere quello che è e di divenire quello che dev’essere. Il legame del decalogo col precedente racconto della teofania nel libro dell’Esodo è letteralmente artificioso, ma non è artificiale in quanto al senso. Esso, infatti, rappresenta il contenuto di quello che si è verificato nella comunicazione stabilita dalla teofania: sono le parole dell’alleanza che Israele deve osservare per essere un “popolo consacrato” e una “proprietà scelta”.
Nello schema dei patti interumani il decalogo corrisponde alle stipulazioni o alle clausole che regolano la relazione che si cerca di creare; e in questa stessa prospettiva si collocano tutti i successivi codici di leggi. Il decalogo è un sommario di dieci precetti assoluti, sicuramente il più antico fra i codici biblici. La sua origine risale certamente ai tempi di Mosè e quindi può essere chiamato giustamente decalogo mosaico. La sua forma originale era diversa dalle due che abbiamo nella Bibbia: certamente, in esso, tutti i precetti erano dati in una forma assai breve sul tipo di “Non uccidere”. Le due versioni conservate presentano divergenze appunto nelle spiegazioni e nelle motivazioni che, col tempo, furono unite ad alcuni precetti. Per le ampliazioni riguardo al sabato, sappiamo che la versione attuale è di redazione sacerdotale, poiché invoca come motivo e fondamento della sua osservanza il riposo di Dio secondo Genesi 2,1-3. L’altra versione, che si trova in Dt 5,6-21, è deuteronomica. Il decalogo non è chiamato legge, ma “parole”, che sono rivelazione di Dio e sua comunicazione con coloro che già lo conoscono. Il suo scopo è prolungare, perpetuare la relazione creata fin dall’inizio, che è la salvezza dalla schiavitù. Il prologo del decalogo spiega di che ordine sia la relazione: quella del salvatore con i salvati. La storia a cui si accenna, l’esodo, è anteriore al decalogo e a tutta la legge, e spiega come Dio indirizzi la sua parola ai salvati e tracci loro una via da percorrere.
Il decalogo contiene due ordini di precetti: quelli che definiscono il giusto atteggiamento davanti a Dio e quelli che regolano il comportamento col prossimo; ma questa dualità è solo convenzionale. I due ordini sono ugualmente perentori e formano un tutto indivisibile: non si osserva l’uno se non si osserva ugualmente anche l’altro. Nel primo ordine si esige che si riconosca come Dio l’unico che si è rivelato come salvatore; e questo esclude la divinizzazione di falsi assoluti e le rappresentazioni create del Dio trascendente. Quindi, proibisce l’uso vano del suo nome e comanda di ricordarlo nella festa come creatore e salvatore. Nel secondo ordine si esige l’onore e il rispetto per la persona, cominciando da quelle che sono più vicine fin dalla nascita, la famiglia, fino ad includere la grande famiglia umana. È proibito ogni danno alla persona e ai suoi beni anche con la sola intenzione.
La forma negativa, indizio dell’antichità del decalogo, sembra rendere troppo elementari i suoi precetti; ma essi, in realtà, impegnano tutta la persona, poiché più che atti esigono atteggiamenti. Tradotti in altro linguaggio dallo stesso popolo biblico, essi esigono l’amore a Dio e al prossimo come se stesso. Questi precetti si svilupperanno in codici prolissi, che cercheranno di abbracciare e regolare l’intera esistenza; ma tutti insieme non avranno parole sufficienti per esprimere quello che esige l’amore. Chi lo può soddisfare pienamente? Orbene, l’amore effettivo a Dio e al prossimo costituisce il popolo di Dio: è la legge dell’alleanza. Secondo il detto di Gesù, sono riassunti in questi precetti tutta la legge e i profeti.
La formulazione negativa, quindi, non è da biasimare, perché ha il pregio di essere più universale, meno limitante e più precisa. Però in mezzo ai precetti negativi, troviamo solo due comandi positivi: sono quelli centrali, che costituiscono un prezioso legame fra il primo e il secondo blocco. La prima serie precisa la relazione di Israele con il suo Dio e inizia con la formula tipica del trattato di vassallaggio: «Io sono YHWH tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese di Egitto». La presentazione del Signore è accompagnata dalla motivazione storica che fonda il diritto: proprio dal fatto che YHWH ha liberato Israele deriva, come conseguenza, l’impegno del popolo ad assumere certi atteggiamenti. Infatti le clausole dell’alleanza non sono nell’originale ebraico all’imperativo, ma all’indicativo futuro: significa che il comportamento dell’uomo è conseguenza di ciò che ha già fatto Dio per lui. La seconda parte del Decalogo prevede poi le relazioni con il prossimo, divenendo anch’esse effetto della relazione con Dio stesso.
Al centro della serie troviamo i due precetti positivi, che risultano decisivi. «Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo»: questo è un imperativo e comanda come fondamentale il ricordo degli interventi salvifici di Dio, in modo che ogni padre diventi concretamente un liberatore nei confronti di chi dipende da lui, sul modello del Dio liberatore. L’altro imperativo positivo è complementare e rivolto ai figli («Onora tuo padre e tua madre»): esprime la necessità di dare peso alla tradizione, rappresentata dai genitori, in quanto testimonianza della storia di salvezza che ha preceduto ciascuno di noi.

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