venerdì 23 marzo 2012

352 - GESÙ E NICODEMO (seconda parte)

Per una pausa spirituale durante la IVª Settimana di Quaresima

DIO HA TANTO AMATO IL MONDO. Facendo un passo indietro, Gesù precisa questo piano di salvezza. Il Figlio dell’uomo è sceso dal cielo, perché Dio Padre ha regalato il Figlio per amore del mondo: il dono totale di sé è lo stile di Dio. Il dono del Figlio però non è orientato alla morte, bensì alla vita e alla vita eterna.
Secondo lo stile ripetitivo e insistente di Giovanni, lo stesso messaggio viene proposto con un’altra formula: l’obiettivo non è condannare il mondo, ma salvare il mondo. Notiamo però l’importanza di una forma diversa: «perché il mondo sia salvato per mezzo di lui». Tale sfumatura infatti sottolinea la responsabilità dei destinatari, perché la salvezza non è un fatto automatico, realizzato totalmente dall’intervento di Gesù. Il processo di salvezza è più complesso, profondo e vero: l’offerta chiede accoglienza. Al mondo, cioè all’umanità oggetto del grande amore divino, è offerta la possibilità di salvarsi: a tutti in genere e a ciascuno in particolare è data questa opportunità. Ma diventa effettiva ed efficace quando una persona l’accoglie con disponibilità a lasciarsi ri-generare.
Chi si fida di Gesù e si affida a lui supera il dramma del fallimento e della rovina, non viene condannato. Al contrario però chi rifiuta il dono di Dio, si condanna da solo, si mette fuori dalla possibilità di realizzare la propria vita. Non c’è da aspettare il giudizio finale – insegna Giovanni – ma gli effetti negativi della condanna si vedono già ora, per il semplice fatto di non aver creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. Alla fine del capitolo 2 (finale del Vangelo letto domenica scorsa), l’evangelista aveva detto che a Gerusalemme molti «credettero nel suo nome»: cioè come capitò a Nicodemo, credettero in una idea che si erano fatta di lui. Non basta! È necessario accettare Gesù come la fonte stessa della vita, l’origine divina della propria salvezza. Credere «nel nome dell’unigenito Figlio di Dio» significa riconoscere la divinità di Gesù, generato da Dio e capace di far rinascere ogni uomo.
IL GIUDIZIO TRA LUCE E TENEBRE. All’inizio dell’episodio si era detto che Nicodemo andò dal Maestro di notte, senza spiegarne però il motivo: ora ritorna il tema della tenebra e l’annuncio della luce. Infatti Gesù si presenta come luce venuta nel mondo, per illuminare l’umanità; ma amaramente deve constatare che «gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce». Leopardi scelse questo versetto come epigrafe della sua ultima grande poesia, La Ginestra, piena di delusione per lo stato dell’umanità, che pur illudendosi di progredire, in realtà resta sempre negativa.
In Giovanni non c’è un simile tono deluso, ma piuttosto la denuncia di un pericolo effettivo che blocca l’efficacia della salvezza portata dal Cristo.
La luce dà fastidio a chi opera il male; al buio si ruba meglio. Le opere malvagie fanno preferire le tenebre: far luce infatti significa riconoscere che c’è dello sporco, ammettere che c’è del marcio. Purtroppo è facile cedere alla tentazione di coprire e nascondere, chiudere gli occhi per non vedere il male che c’è, facendo finta che non ci sia. Riconoscere il male infatti comporta una responsabilità e un impegno: vedere lo sporco induce poi a lavorare per pulire. Sembra più comodo e più utile non far luce.
Gesù, come luce, è entrato nella nostra vita e la sua presenza ci fa vedere lo sporco. Di fronte a lui ci accorgiamo di essere imperfetti e pieni di difetti; illuminati da lui, riconosciamo lo sporco che c’è dentro di noi. Un’apparenza di religiosità ci dà l’impressione di essere santi, mentre quella luce che penetra in profondità nelle recondite stanze del nostro cuore fa emergere una realtà radicata di peccato. Rifiutare Gesù significa preferire il buio e continuare a illudersi di sembrare buoni; lasciarlo entrare come luce, al contrario, fa prendere coscienza della propria corruzione. A questo punto però l’onere della pulizia non è nostro: la bella notizia sta nel fatto che la luce è venuta nel mondo non solo per far conoscere il peccato, ma soprattutto per toglierlo. ‘Rinascere’ equivale a venire alla luce: anche nel nostro modo di parlare questa immagine indica la nascita. L’atto di fede in Gesù come Figlio di Dio è quindi disponibilità a fidarsi di lui perché compia l’opera del nostro rinnovamento, ovvero ci faccia ri-nascere. Umanamente non si può, osservava Nicodemo. Ma Gesù non chiede uno sforzo umano, annuncia bensì un dono divino!
Il giudizio avviene ora e dipende dalla tua disponibilità. La luce è entrata nella tua vita, ma se tu ami le tue abitudini e il tuo schema mentale, il tuo carattere e i tuoi vizi, riconosci che quella luce ti dà fastidio e chiudi di nuovo la finestra, preferendo il buio. E l’ultimo versetto, anche se complesso, chiarisce il senso del discorso: «Ma chi fa la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio» (Gv 3,21). Che cosa vuol dire «fare la verità»? È molto di più che essere coerenti. Secondo Giovanni, la verità è Gesù in persona, in quanto ‘rivelazione’ di Dio e della sua opera salvifica. Fare la verità dunque significa vivere la potenza data da Gesù. Se uno viene alla luce e nasce ex novo, allora appare chiaramente che la sua vita dipende da Dio, rivela così di essere stato generato da Dio per opera dell’unigenito Figlio di Dio.
Il discorso finisce senza che finisca il racconto dell’incontro con Nicodemo. Avrà capito il messaggio di Gesù? Come avrà reagito? Al momento l’evangelista non dice nulla, per lasciare che sia l’ascoltatore stesso a mettersi nei suoi panni e trarre le proprie conclusioni.

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