sabato 3 marzo 2012

340 - LA SCELTA DEI DISCEPOLI - 04 Marzo 2012 – IIª Domenica di Quaresima

(Genesi 22,1-18 Romani 8,31b-34 Marco 9,2-10)

La fiducia del credente lo porta, anche in mezzo alle difficoltà, a riconoscere la potenza liberatrice che viene da Dio. La scelta dei discepoli di affidarsi a Gesù è il modello anche della nostra fede. La fede cristiana non è fede in una dottrina, ma ascolto del Figlio ‘amato’. È questa scelta di fede che permette a Dio di entrare nella nostra vita e di rendere anche noi suoi ‘figli’.
Quando la religione, intesa come realtà e cultura, si dissolve, si hanno comportamenti divergenti. C’è chi vuol salvare, rievocandole, le motivazioni tradizionali, approfittando di situazioni di smarrimento comune. Risorgono il fanatismo e la sicurezza altezzosa, del tutto priva di consapevolezze storiche. Oppure si ritorna al versante segreto della nostra condizione di credenti, a cui scarsamente ritorniamo, ma su cui batte la luce di Dio.
Il vero credente vive la sua scelta come scelta di obbedienza al Dio della fede, non alle parole ereditate. Il nostro Vangelo non è un Corano da vivere. Esso è parola morta se non diventa Parola viva per l’ascolto di fede. E l’ascolto di fede è un evento che si giustifica da se stesso, appunto perché le altre giustificazioni sono tutte nel versante pubblico, sottoposto al mutamento storico.
Soltanto quando la fede si rifà al confronto del Dio della rivelazione, col Dio che ci parla in Gesù Cristo, trova la motivazione che regge. Per questa via il nostro fervore non viene meno, perché si appoggia ad una ragione di fondo, quella di una obbedienza di fede, il cui contenuto è la benedizione di tutte le genti. È qui la forza straordinaria della fede, non il fanatismo che assume brandelli di tradizione o parole scritte o relitti culturali per riproporli al mondo d’oggi. La fede, al contrario, assume i suoi contenuti dalla realtà dell’uomo vivente, perché in nessun altro luogo è Dio se non nell’uomo.
Emblematico è l’episodio della Trasfigurazione: Pietro e gli Apostoli stavano bene dinanzi ad un Dio che si rivela con tutta la sua luce. Ma la luce si spegne e c’è Gesù solo, un uomo avviato verso le ombre della passione e della morte. La fede non ci dà punti di riferimento nel miracolo: l’unico miracolo che le viene dato è quello della parola di Dio, che attesta la risurrezione del Cristo e la nostra risurrezione.
E le parole che il Signore pronunzia non sono private, per cui nessuno vive la fede piegandosi in sé. Il Dio di Abramo è un Dio che affida, ad Abramo, e ad ogni credente, tutte le genti. E in questo siamo con gli altri che non hanno Dio. Dio è nella nube e dalla nube viene la Parola. Dio non è una specie di condensato di principi da cui dedurre le risposte. Il credente vive all’interno della comune fatica umana, con l’unica forza che è quella della fede nella parola del Signore, del Dio che parla ed ha parlato, in Gesù Cristo, e che ci certifica, nella sua morte e nella sua risurrezione, che la nostra fatica storica non è vana e che anche il nostro fallimento rientra nel suo disegno di amore.
Siamo in un tempo in cui anche i modelli del passato non ci dicono più nulla. Ma una parola ci sospinge a scendere dal monte della contemplazione nella valle della fatica umana: e questa è la parola del Signore che si manifesta in Gesù. La Parola della fede, nella sua nudità essenziale, e l’uomo vivente oggi sono i termini di riferimento e di recupero dell’autenticità della fede. In questo senso, anche noi dobbiamo sacrificare i primogeniti, le ideologie in cui abbiamo creduto. E quante cose, invece, sono dentro di noi come idoli, e non ce ne sappiamo liberare! Se fossimo liberi da tutto ciò che ci vincola al mondo che passa, noi ritroveremmo la limpidezza della Parola di fede, e daremmo agli uomini fiducia e speranza nel loro cammino verso un adempimento che noi non sappiamo spiegare.
PREGHIERA - È a Gerusalemme che la tua missione troverà compimento, Gesù. È quello il luogo in cui, dopo esserti offerto interamente per la salvezza del mondo, conoscerai una morte dolorosa, ma anche la gloria della risurrezione. Quel che accade sul monte, dunque, è solo un anticipo donato ai discepoli che saranno testimoni della tua angoscia e delle tue sofferenze.
Ecco perché la proposta di Pietro è priva di senso, dettata solo dallo spavento che prova di fronte ad una situazione imprevista e indicibile.
La luce che irraggia dalla tua persona, Gesù, non dovranno dimenticarla quando l’oscurità piomberà sulla terra e il tuo corpo recherà i segni di una violenza ingiusta scatenata contro di te.
La voce del Padre che riconosce in te il suo Figlio non potranno ignorarla quando il tuo volto, privato di ogni bellezza, sarà reso irriconoscibile dal sangue e dal sudore di morte, dagli spasimi dell’agonia. L’uomo dei dolori è il Figlio che si dona fino all’ultimo.

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