Per una pausa spirituale durante la Iª Settimana di Quaresima
Dal Vangelo di Marco: “In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano”(1,12-13).
Immediatamente dopo il brano del battesimo di Gesù (Mc 1,9-11) Marco colloca l’accenno alle tentazioni (Mc 1,12-13). Con questo vuol dire che, dopo l’investitura ufficiale a Messia, la prima azione di Gesù è compiuta dallo Spirito Santo che ha preso a guidarlo: «Lo Spirito lo sospinse nel deserto». L’evangelista adopera un verbo quasi violento: ekbállei è un presente storico, da ek-bállō (= ‘gettare fuori’), e indica l’azione di spingere qualcuno fuori da un ambiente. Con forza cioè lo Spirito Santo lo tirò fuori dalla folla che circondava il Battista, per spingerlo nella solitudine del deserto, luogo tipico della prova e della verifica. L’evangelista vuole così sottolineare che a tale azione spirituale Gesù fu docile.
Possiamo chiarire l’espressione dicendo che Gesù si lasciò guidare dallo Spirito nel momento cruciale della riflessione e della decisione: la rivelazione del Giordano l’ha presentato come il Messia, ma non era così scontato e sicuro capire chi fosse il Messia, che cosa dovesse fare e come dovesse farlo. Gesù deve scegliere. E vuole scegliere secondo la volontà di Dio.
Marco non esplicita le tentazioni di Gesù; ma trasmette solo la notizia del ritiro di Gesù nel deserto e la presentazione del fatto che è stato tentato. Durante tutta la sua vita si è ripetutamente posto il problema della sua messianicità: la gente che lo ascolta e lo applaude ha tante idee diverse del Messia, ognuno vorrebbe che Gesù corrispondesse alla propria; i suoi stessi discepoli hanno consigli da dargli e proposte alternative; di fronte all’annuncio della passione, Pietro lo prende in disparte e lo rimprovera; fino all’ultima tentazione sulla croce, quando molti gli gridano: «Salva te stesso scendendo dalla croce!» (Mc 15,30). Durante tutta la sua vita Gesù è stato tentato di scegliere altre strade e altri modi.
La prima parte del Vangelo secondo Marco inizia con la notizia della tentazione di Gesù da parte di Satana; ma anche la seconda parte del Vangelo inizia pure con una scena di tentazione, ovvero di proposta alternativa, proprio da parte del discepolo che lo ha riconosciuto come il Cristo. A lui e a tutti Gesù ripete con decisione: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,33). Nel primo caso Marco non precisa quali siano state le tentazioni proposte da Satana, ma le esemplifica proprio nel secondo caso, di fronte al discepolo tentatore, a cui ripete «Vade retro!», cioè «Mettiti dietro a me e seguimi! Le tue scelte siano sempre simili alle mie». Marco intende evidenziare proprio questo: il discepolo è colui che deve seguire Gesù, concretamente, nelle scelte di vita. Eppure al discepolo la strada del Messia debole e povero, scelta dal Maestro, può non sembrare buona e perciò gli si oppone: in tal modo diventa egli stesso un «satana».
Nella lingua ebraica il vocabolo satán è nome comune e indica anzitutto una funzione giudiziaria, quella che definiamo «pubblico ministero», ovvero l’accusatore. Tale figura compare nel prologo narrativo al poema di Giobbe e svolge appunto il ruolo critico di chi mette in evidenza i limiti e le possibili distorsioni. Con la maturazione teologica della demonologia, il titolo di satana è stato attribuito, soprattutto nella corrente apocalittica, agli angeli ribelli e caduti, riconoscendo in essi un atteggiamento di opposizione e boicottaggio rispetto al progetto divino. In greco fu tradotto con il termine diábolos, che ha lo stesso significato: composto dal verbo bállō (= ‘gettare’) e dalla preposizione diá (= ‘attraverso’), designa visivamente colui che si intromette, cioè mette i bastoni fra le ruote, ostacola il cammino e intende far cadere. In genere viene usato con l’articolo determinativo e così capita anche in Mc 1,13 che conserva la forma semitica (ho satân), mentre il testo parallelo degli altri Sinottici impiega la traduzione greca (ho diábolos). Ben diverso è il termine demóne o demonio, che designa invece una realtà sovrumana e di natura diversa rispetto all’umanità. Perciò anche un uomo, addirittura un discepolo di Gesù, può essere chiamato «diavolo», in quanto impedisce il cammino messianico, ne intralcia la via e si oppone alle sue scelte.
Nella breve notizia riportata da Marco si conserva il particolare dei quaranta giorni di soggiorno nel deserto (cfr. Mt 4,2; Lc 4,2), nonché la nota finale che presenta gli angeli al servizio di Gesù (cfr. Mt 4,11). Invece una caratteristica originale del secondo evangelista è il ricordo della compagnia delle fiere. Questo particolare può essere una semplice nota pittoresca per evidenziare la solitudine in cui Gesù ha trascorso quei giorni; ma forse è meglio vedervi un’allusione teologica allo stato originale di Adamo e alla situazione dell’uomo fedele che viene protetto e guidato da Dio, come canta il Salmo 90: «Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi. Sulle loro mani ti porteranno perché non inciampi nella pietra il tuo piede. Camminerai su aspidi e vipere, schiaccerai leoni e draghi» (vv. 11- 13). Il termine thēríon (= ‘bestia’) indica gli animali selvatici, ma soprattutto quelli feroci e pericolosi per l’uomo: la terminologia è usata soprattutto dall’apocalittica per presentare le figure simboliche del male, proprio partendo dalle immagini del salmo (aspidi e vipere, leoni e draghi). Pur essendo in mezzo a serpenti e scorpioni, Gesù non ne è danneggiato. Anzi gli angeli di Dio si mettono al suo servizio. In tal modo simbolico l’evangelista intende presentare il Messia Gesù come l’uomo veramente fedele, in grado di insegnare ad ogni uomo la via della fede e la scelta corretta.
Dal Vangelo di Marco: “In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano”(1,12-13).
Immediatamente dopo il brano del battesimo di Gesù (Mc 1,9-11) Marco colloca l’accenno alle tentazioni (Mc 1,12-13). Con questo vuol dire che, dopo l’investitura ufficiale a Messia, la prima azione di Gesù è compiuta dallo Spirito Santo che ha preso a guidarlo: «Lo Spirito lo sospinse nel deserto». L’evangelista adopera un verbo quasi violento: ekbállei è un presente storico, da ek-bállō (= ‘gettare fuori’), e indica l’azione di spingere qualcuno fuori da un ambiente. Con forza cioè lo Spirito Santo lo tirò fuori dalla folla che circondava il Battista, per spingerlo nella solitudine del deserto, luogo tipico della prova e della verifica. L’evangelista vuole così sottolineare che a tale azione spirituale Gesù fu docile.
Possiamo chiarire l’espressione dicendo che Gesù si lasciò guidare dallo Spirito nel momento cruciale della riflessione e della decisione: la rivelazione del Giordano l’ha presentato come il Messia, ma non era così scontato e sicuro capire chi fosse il Messia, che cosa dovesse fare e come dovesse farlo. Gesù deve scegliere. E vuole scegliere secondo la volontà di Dio.
Marco non esplicita le tentazioni di Gesù; ma trasmette solo la notizia del ritiro di Gesù nel deserto e la presentazione del fatto che è stato tentato. Durante tutta la sua vita si è ripetutamente posto il problema della sua messianicità: la gente che lo ascolta e lo applaude ha tante idee diverse del Messia, ognuno vorrebbe che Gesù corrispondesse alla propria; i suoi stessi discepoli hanno consigli da dargli e proposte alternative; di fronte all’annuncio della passione, Pietro lo prende in disparte e lo rimprovera; fino all’ultima tentazione sulla croce, quando molti gli gridano: «Salva te stesso scendendo dalla croce!» (Mc 15,30). Durante tutta la sua vita Gesù è stato tentato di scegliere altre strade e altri modi.
La prima parte del Vangelo secondo Marco inizia con la notizia della tentazione di Gesù da parte di Satana; ma anche la seconda parte del Vangelo inizia pure con una scena di tentazione, ovvero di proposta alternativa, proprio da parte del discepolo che lo ha riconosciuto come il Cristo. A lui e a tutti Gesù ripete con decisione: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,33). Nel primo caso Marco non precisa quali siano state le tentazioni proposte da Satana, ma le esemplifica proprio nel secondo caso, di fronte al discepolo tentatore, a cui ripete «Vade retro!», cioè «Mettiti dietro a me e seguimi! Le tue scelte siano sempre simili alle mie». Marco intende evidenziare proprio questo: il discepolo è colui che deve seguire Gesù, concretamente, nelle scelte di vita. Eppure al discepolo la strada del Messia debole e povero, scelta dal Maestro, può non sembrare buona e perciò gli si oppone: in tal modo diventa egli stesso un «satana».
Nella lingua ebraica il vocabolo satán è nome comune e indica anzitutto una funzione giudiziaria, quella che definiamo «pubblico ministero», ovvero l’accusatore. Tale figura compare nel prologo narrativo al poema di Giobbe e svolge appunto il ruolo critico di chi mette in evidenza i limiti e le possibili distorsioni. Con la maturazione teologica della demonologia, il titolo di satana è stato attribuito, soprattutto nella corrente apocalittica, agli angeli ribelli e caduti, riconoscendo in essi un atteggiamento di opposizione e boicottaggio rispetto al progetto divino. In greco fu tradotto con il termine diábolos, che ha lo stesso significato: composto dal verbo bállō (= ‘gettare’) e dalla preposizione diá (= ‘attraverso’), designa visivamente colui che si intromette, cioè mette i bastoni fra le ruote, ostacola il cammino e intende far cadere. In genere viene usato con l’articolo determinativo e così capita anche in Mc 1,13 che conserva la forma semitica (ho satân), mentre il testo parallelo degli altri Sinottici impiega la traduzione greca (ho diábolos). Ben diverso è il termine demóne o demonio, che designa invece una realtà sovrumana e di natura diversa rispetto all’umanità. Perciò anche un uomo, addirittura un discepolo di Gesù, può essere chiamato «diavolo», in quanto impedisce il cammino messianico, ne intralcia la via e si oppone alle sue scelte.
Nella breve notizia riportata da Marco si conserva il particolare dei quaranta giorni di soggiorno nel deserto (cfr. Mt 4,2; Lc 4,2), nonché la nota finale che presenta gli angeli al servizio di Gesù (cfr. Mt 4,11). Invece una caratteristica originale del secondo evangelista è il ricordo della compagnia delle fiere. Questo particolare può essere una semplice nota pittoresca per evidenziare la solitudine in cui Gesù ha trascorso quei giorni; ma forse è meglio vedervi un’allusione teologica allo stato originale di Adamo e alla situazione dell’uomo fedele che viene protetto e guidato da Dio, come canta il Salmo 90: «Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi. Sulle loro mani ti porteranno perché non inciampi nella pietra il tuo piede. Camminerai su aspidi e vipere, schiaccerai leoni e draghi» (vv. 11- 13). Il termine thēríon (= ‘bestia’) indica gli animali selvatici, ma soprattutto quelli feroci e pericolosi per l’uomo: la terminologia è usata soprattutto dall’apocalittica per presentare le figure simboliche del male, proprio partendo dalle immagini del salmo (aspidi e vipere, leoni e draghi). Pur essendo in mezzo a serpenti e scorpioni, Gesù non ne è danneggiato. Anzi gli angeli di Dio si mettono al suo servizio. In tal modo simbolico l’evangelista intende presentare il Messia Gesù come l’uomo veramente fedele, in grado di insegnare ad ogni uomo la via della fede e la scelta corretta.
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