(2° Cronache 36,14-16.19-23 Efesini 2,4-10 Giovanni 3,14-21)
L’incontro di Gesù con Nicodemo ci rassicura: Dio ha mandato Gesù, il Figlio, perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Come Nicodemo, anche noi siamo invitati a mettere da parte le nostre false immagini di Dio, ad esempio del Dio castigatore o causa della nostra infelicità. La volontà di Dio nei nostri confronti è soltanto volontà della nostra salvezza. Ma nel Vangelo di oggi, il momento in cui, secondo la nostra fede, l’amore di Dio si è manifestato al mondo, è un momento dove la nostra osservazione constata il contrario. La crocifissione di un uomo abbandonato da tutti, persino dagli amici, con il trionfo delle istituzioni religiose e politiche inique, è un segno dell’assenza di Dio. Alcuni, sotto la croce, dicevano: «Invochi il suo Dio, che lo salvi». E Gesù stesso, invece disse: «Mio Dio, perché mi hai abbandonato». Eccoci di fronte al paradosso cristiano: da una parte noi affermiamo che il principio di tutte le cose è l’amore di Dio per il mondo, dall’altra questo amore è rivelato proprio là dove tutte le categorie dell’intelletto umano sono portate a constatare l’assenza dell’amore. Tenendo uniti questi due estremi, è possibile entrare in una intelligenza di fede che è un’intelligenza nell’oscuro; noi possiamo facilmente immaginare un padre di famiglia che dica: «Davvero il Signore ci ha voluto bene, non ci manca niente». Considerare un puro segno dell’amore di Dio le cose che vanno bene è uno stabilire, fra la nostra esperienza e l’amore di Dio, un rapporto di immediatezza, che è spezzato dalla croce di Gesù Cristo. E non si può partire dall’eventuale benessere della famiglia per risalire all’amore di Dio e ringraziarlo.
Ecco perché il nostro tempo ci chiama a ripulire la fede dalle ideologie di comodo, alla lezione che ci viene da un brano forte della Scrittura di oggi. Immaginate un ebreo seduto lungo i fiumi di Babilonia, schiavo, a parlare dell’amore di Dio! Eppure, in quella schiavitù e in quella abiezione c’era l’amore di Dio. Ma un amore di Dio che non andava secondo le aspettative del popolo quando era nel suo benessere.
Quel che conta non è che le cose vadano bene, ma che si viva la fedeltà alla legge dell’amore. Gesù, sulla croce, è una manifestazione dell’amore di Dio perché è un uomo che ha dato la sua vita per gli altri, fino ad annientare se stesso. Questa è la fedeltà all’amore. E noi possiamo riferirci all’amore di Dio, con gioia, solo nella misura in cui viviamo in questa fedeltà ad un progetto di esistenza la cui legge non sia il prestigio, la competizione vittoriosa con gli altri, ma sia la logica dell’amore.
Dio opera uno stratagemma di incredibile forza: proprio perché amava il suo popolo lo lascia in preda agli avversari. Tutto viene distrutto. Questo esilio è amore di Dio per il suo popolo. Questo modo di procedere di Dio è assolutamente contrario alle nostre strategie della Provvidenza. In questo crollo di una sicurezza storica è riflessa la stessa legge di salvezza. Se noi ci caliamo nella realtà contemporanea, ci accorgiamo che tutte le nostre sicurezze sono messe allo sbaraglio. L’Europa è un continente vecchio e senza speranza; siamo chiamati a scegliere le vie degli umili, scegliendo, cioè, la logica dell’amore, la logica della solidarietà con gli ultimi. L’importante è scegliere la fedeltà ad un amore che porti alla rinuncia a se stessi; a noi è chiesto di amare dimenticando noi stessi, dobbiamo assumerci, in pieno, il rischio di vivere secondo la legge dell’amore.
Dio è geloso dell’ultimo degli uomini. Il suo occhio è fisso su tutti gli abietti di questo mondo. Per questo credo nell’amore di Dio, perché mi mette in crisi e mi obbliga a vivere con respiro universale per farmi solidale con l’ultimo degli uomini nell’ombra della croce del Calvario, unico luogo di lettura del suo amore che afferra, costantemente, gli ultimi degli uomini per sollevarli perché proclamino la fine di ogni inno alla potenza.
PREGHIERA - Tu verrai innalzato, Gesù, ma non su un trono per esercitare la forza e piegare tutti alla tua volontà. È sulla croce che terminerà la tua esistenza terrena, su un patibolo inventato per umiliare i vinti, i sottomessi con una morte atroce. Eppure, paradossalmente, proprio accogliendo un Messia condannato, ingiuriato e straziato, gli uomini e le donne di ogni tempo troveranno misericordia e vita.
Tu verrai fermato, Gesù, inchiodato crudelmente ad un legno,nell’illusione di metterti a tacere, una volta per tutte. Eppure proprio quando il male sembrerà vittorioso tu manifesterai il potere dell’amore, un potere che si esprime col dono totale di sé. Davanti a te, in ogni caso, ognuno è chiamato a prendere posizione e noi tocchiamo con mano il mistero del rifiuto, legato alla nostra libertà.
Sei tu la luce del mondo: luce che non ferisce, ma rischiara, luce che non colpisce, ma porta fiducia. E tuttavia le tenebre non possono sopportarla perché essa le smaschera.
L’incontro di Gesù con Nicodemo ci rassicura: Dio ha mandato Gesù, il Figlio, perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Come Nicodemo, anche noi siamo invitati a mettere da parte le nostre false immagini di Dio, ad esempio del Dio castigatore o causa della nostra infelicità. La volontà di Dio nei nostri confronti è soltanto volontà della nostra salvezza. Ma nel Vangelo di oggi, il momento in cui, secondo la nostra fede, l’amore di Dio si è manifestato al mondo, è un momento dove la nostra osservazione constata il contrario. La crocifissione di un uomo abbandonato da tutti, persino dagli amici, con il trionfo delle istituzioni religiose e politiche inique, è un segno dell’assenza di Dio. Alcuni, sotto la croce, dicevano: «Invochi il suo Dio, che lo salvi». E Gesù stesso, invece disse: «Mio Dio, perché mi hai abbandonato». Eccoci di fronte al paradosso cristiano: da una parte noi affermiamo che il principio di tutte le cose è l’amore di Dio per il mondo, dall’altra questo amore è rivelato proprio là dove tutte le categorie dell’intelletto umano sono portate a constatare l’assenza dell’amore. Tenendo uniti questi due estremi, è possibile entrare in una intelligenza di fede che è un’intelligenza nell’oscuro; noi possiamo facilmente immaginare un padre di famiglia che dica: «Davvero il Signore ci ha voluto bene, non ci manca niente». Considerare un puro segno dell’amore di Dio le cose che vanno bene è uno stabilire, fra la nostra esperienza e l’amore di Dio, un rapporto di immediatezza, che è spezzato dalla croce di Gesù Cristo. E non si può partire dall’eventuale benessere della famiglia per risalire all’amore di Dio e ringraziarlo.
Ecco perché il nostro tempo ci chiama a ripulire la fede dalle ideologie di comodo, alla lezione che ci viene da un brano forte della Scrittura di oggi. Immaginate un ebreo seduto lungo i fiumi di Babilonia, schiavo, a parlare dell’amore di Dio! Eppure, in quella schiavitù e in quella abiezione c’era l’amore di Dio. Ma un amore di Dio che non andava secondo le aspettative del popolo quando era nel suo benessere.
Quel che conta non è che le cose vadano bene, ma che si viva la fedeltà alla legge dell’amore. Gesù, sulla croce, è una manifestazione dell’amore di Dio perché è un uomo che ha dato la sua vita per gli altri, fino ad annientare se stesso. Questa è la fedeltà all’amore. E noi possiamo riferirci all’amore di Dio, con gioia, solo nella misura in cui viviamo in questa fedeltà ad un progetto di esistenza la cui legge non sia il prestigio, la competizione vittoriosa con gli altri, ma sia la logica dell’amore.
Dio opera uno stratagemma di incredibile forza: proprio perché amava il suo popolo lo lascia in preda agli avversari. Tutto viene distrutto. Questo esilio è amore di Dio per il suo popolo. Questo modo di procedere di Dio è assolutamente contrario alle nostre strategie della Provvidenza. In questo crollo di una sicurezza storica è riflessa la stessa legge di salvezza. Se noi ci caliamo nella realtà contemporanea, ci accorgiamo che tutte le nostre sicurezze sono messe allo sbaraglio. L’Europa è un continente vecchio e senza speranza; siamo chiamati a scegliere le vie degli umili, scegliendo, cioè, la logica dell’amore, la logica della solidarietà con gli ultimi. L’importante è scegliere la fedeltà ad un amore che porti alla rinuncia a se stessi; a noi è chiesto di amare dimenticando noi stessi, dobbiamo assumerci, in pieno, il rischio di vivere secondo la legge dell’amore.
Dio è geloso dell’ultimo degli uomini. Il suo occhio è fisso su tutti gli abietti di questo mondo. Per questo credo nell’amore di Dio, perché mi mette in crisi e mi obbliga a vivere con respiro universale per farmi solidale con l’ultimo degli uomini nell’ombra della croce del Calvario, unico luogo di lettura del suo amore che afferra, costantemente, gli ultimi degli uomini per sollevarli perché proclamino la fine di ogni inno alla potenza.
PREGHIERA - Tu verrai innalzato, Gesù, ma non su un trono per esercitare la forza e piegare tutti alla tua volontà. È sulla croce che terminerà la tua esistenza terrena, su un patibolo inventato per umiliare i vinti, i sottomessi con una morte atroce. Eppure, paradossalmente, proprio accogliendo un Messia condannato, ingiuriato e straziato, gli uomini e le donne di ogni tempo troveranno misericordia e vita.
Tu verrai fermato, Gesù, inchiodato crudelmente ad un legno,nell’illusione di metterti a tacere, una volta per tutte. Eppure proprio quando il male sembrerà vittorioso tu manifesterai il potere dell’amore, un potere che si esprime col dono totale di sé. Davanti a te, in ogni caso, ognuno è chiamato a prendere posizione e noi tocchiamo con mano il mistero del rifiuto, legato alla nostra libertà.
Sei tu la luce del mondo: luce che non ferisce, ma rischiara, luce che non colpisce, ma porta fiducia. E tuttavia le tenebre non possono sopportarla perché essa le smaschera.
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