sabato 22 ottobre 2011

294 - AMERAI IL SIGNORE TUO DIO … AMERAI IL TUO PROSSIMO - 23 Ottobre 2011 – Domenica XXXª Tempo Ordinario

(Esodo 22,20-26 1ª Tessalonicesi1,5-10 Matteo 22,34-40)

Non si può dire di amare Dio se non amiamo il fratello che ci troviamo vicino. E anche: non è necessario allontanarsi dagli uomini per amare Dio. L’amore di Dio e l’amore degli uomini costituiscono un unico comandamento.
Diversamente dal vangelo secondo Marco, quello secondo Matteo (e anche Luca) interpreta il nostro episodio come una ‘tentazione’ di Gesù messa in atto dai farisei. La risposta tuttavia non assume il tono polemico di altre dispute e non ha neppure l’effetto dei «ma io vi dico» (cfr. Mt 5,20-48). Gesù riconduce qui la questione ad una affermazione fondamentale del suo Vangelo, ossia della sua novità nel rapporto da cercare e da vivere con Dio e con il prossimo … e lascia ai due ‘comandamenti’ la densità della rispettiva espressione originaria. Quella, anzitutto, da Dt 6,5: “Amerai il Signore tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, e con tutta la tua mente”, (la tradizione rabbinica interpretava la triplice espressione dell’amore verso Dio in questo modo: il cuore, ossia la dedizione religiosa a Dio; l’anima, ossia la vita, la fedeltà a lui fino al martirio; la mente, ossia la priorità riconosciuta pienamente a Dio), e, in modo analogo, anche l’affermazione da Lv 19,18: “Amerai il tuo prossimo come te stesso!” con la risonanza che la designazione di ‘prossimo’ può assumere in Lv 19, in cui si indicano più efficacemente i volti differenti da considerare e amare «come se stessi!».
■ In definitiva, verso tale sintesi del Decalogo (e di tutta la Legge di Mosè), sintesi compiuta da Gesù, già si orientava la stessa ricerca spirituale dell’ebraismo del tempo di Gesù. Così, infatti, si era pronunciato anche il grande rabbì Hillel. Ma diversamente da quanto rievoca Marco, Matteo non ci dice che gli interlocutori di Gesù abbiano riconosciuto la bontà e validità della soluzione data da lui circa i comandamenti della Legge. Anzi, siamo avvertiti dall’evangelista che obiettivo dei farisei e del dottore della Legge era soltanto di mettere alla prova il Profeta venuto da Nazaret. Senza quindi ricredersi a suo riguardo, dopo la sua risposta chiara e illuminante. Quando non si riconosce e non si accetta Gesù quale maestro e guida – così sembra suggerire Matteo – non si arriverà mai a capire che tutta la Legge e tutta la Bibbia sono un grandioso appello ad amare! Senza adesione a Cristo e al suo Vangelo, si continuerà a chiedere norme precise da osservare – cose da fare! – per essere a posto con i ‘doveri’ verso Dio e verso gli altri, mentre il Vangelo di Gesù Cristo chiama ad essere, cioè ad amare!
Amare Dio e amare il prossimo: in misure sempre nuove e interiorizzate, da non ridurre ad alcuni riti o gesti formali. I gesti, per essere veri, vanno riempiti di amore genuino, ossia compiuti con tutto il cuore, l’anima e la mente. Amare non esonera dall’obbedire, ma conferisce a quest’ultimo l’atteggiamento filiale; non annulla il timor di Dio, ma ne toglie il carattere servile; non rende meno esigente la relazione con il prossimo, ma non sopporta che l’amore verso di esso sia un ordine da eseguire. L’amore non lo si esegue, bensì lo si vive, in una festa di libertà!
Preghiera - Per un ebreo del tuo tempo, Gesù, che cosa v’era di più sacro della Legge che Dio aveva donato al suo popolo? Che cosa poteva pretendere di valere più di essa? E quale riferimento più sicuro del messaggio dei Profeti? Ebbene: tu non esiti ad affermare che i due comandamenti (l’amore per Dio e l’amore per il prossimo) contano più della Legge e dei Profeti! Non c’è dunque altro riferimento che risulti così decisivo per un rapporto autentico con Dio.
Così tu ci chiedi non un amore qualsiasi, una qualche religiosità, una certa devozione o la pratica di alcuni riti: tu esigi un amore per Dio che impegni il cuore, le grandi decisioni, le scelte che lasciano il segno, ma anche l’anima e la mente, l’intelligenza e la volontà, il corpo e lo spirito.
E non ti accontenti neppure di un qualche gesto di pietà nei confronti del nostro prossimo. Tu ci domandi di trattarlo come uno dei nostri perché è come noi: ha i nostri stessi diritti, i nostri bisogni e desideri, la nostra stessa dignità.

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