sabato 22 ottobre 2011

293 - CESARE E DIO: LA LEALTÀ DEL CRISTIANO VERSO LE ISTITUZIONI

Per una pausa spirituale durante la XXIXª settimana

Come è noto, la politica non è tema centrale nella Rivelazione. Essa non proclama una dottrina politica. E tuttavia l’appello a dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio è principio denso di implicazioni etico-politiche. Le accenno soltanto.
Innanzitutto, l’imperativo di portare rispetto all’autorità civile, di obbedire al potere legittimo. Una lealtà verso le istituzioni che impegna anche i cristiani. Come suggerisce il celebre scritto del secondo secolo, Lettera a Diogneto, ove si rappresentano la vita e il comportamento dei primi cristiani, la loro condizione di cittadini con una doppia patria, terrena e celeste, non li esonera dall’osservanza delle leggi che presiedono alla vita nella città dell’uomo. I cristiani, vi si dice, con il loro modo di vivere, con il loro stile e la loro tensione interiore, trascendono la logica propria di quelle leggi, ma intanto cominciano con il rispettarle. Potremmo dire che parte integrante della loro testimonianza è la partecipazione cordiale alla condizione comune dei propri concittadini, la lealtà verso le istituzioni. Sporgono verso la misura senza misura della cristiana carità, che si spinge sino al dono di sé, che si nutre di gratuità, ma intanto praticano la giustizia. Cioè la cura di dare a ciascuno ciò che è suo e alla comunità ciò che corrisponde al bene comune. In un tempo tanto segnato dal degrado del senso della legalità, del civismo, dell’etica pubblica, ai cristiani spetta il compito di mostrarsi cittadini esemplari, rispettosi delle leggi, dotati del senso dello Stato, inteso, secondo la bella espressione dei costituenti di parte cattolica, come «casa comune nella quale siamo chiamati ad abitare insieme» (Aldo Moro). Alla luce di questo richiamo, merita osservare che, nella sensibilità e nella formazione cristiana, è largamente coltivato il valore dell’obiezione di coscienza, cioè del dissenso motivato eticamente contro la legge ingiusta. Ed è buona cosa. Solo si dovrebbe rimarcare il suo carattere eccezionale e di ultima istanza. Non abusare nell’appello ad essa. Invocarla e ricorrervi solo a fronte di incoercibili ragioni etiche e coscienziali. Nella consapevolezza, non sempre viva, che trasgredire un obbligo di legge è comunque un vulnus inferto al bene di una convivenza ordinata e pacifica in quanto essa fa affidamento appunto sulla comune ottemperanza alle regole che ci si dà. Insomma, a fondamento di ogni comunità, vi è un’etica della convivenza, un vincolo di solidarietà che è responsabilità di tutti custodire e promuovere. I cristiani non devono proporsi come cittadini speciali incuranti del bene rappresentato da quel vincolo. Solo nel quadro di tale coscienza delle buone ragioni per le quali merita stare insieme rispettando regole e autorità civili, anche il gesto estremo della obiezione di coscienza può rappresentare un prezioso contributo a ripensare e correggere le leggi ingiuste e a richiamare le autorità civili stesse al loro compito e ai loro limiti: quello di detentori di un potere a servizio della persona e non autoreferenziale, dispotico, oppressivo.
In secondo luogo, rispettivamente, il nostro versetto evangelico prescrive il dovere di dare a Dio ciò che gli è dovuto. Cioè timore (nel senso del «timor di Dio»), obbedienza, amore. Adesione intima della coscienza. È implicito il richiamo al primato di Dio. Un primato utile e prezioso anche ai fini di una buona politica. Mi spiego: esso implica la relatività delle appartenenze politiche. Nessuna autorità politica, per quanto legittima, può pretendere di assurgere ad assoluto, a surrogato della divinità. È un antidoto contro l’idolatria dei totalitarismi di ogni colore e, conseguentemente, uno stimolo a disegnare e costruire regimi politici liberali e democratici. Nei quali l’autorità (lo Stato) sia a servizio della persona e della società e non viceversa. Non è un caso che la democrazia abbia avuto uno sviluppo così ricco nell’occidente di matrice cristiana (un occidente, sia chiaro, che invece, sotto altri profili, è decisamente lontano dal Vangelo). Quel primato di Dio, quella opposizione agli assolutismi politici, nel tempo hanno forgiato istituzioni politiche che sanno porre un limite a se stesse e al proprio potere. Si pensi alle costituzioni democratiche contemporanee e alle Carte internazionali dei diritti la cui molla originaria, la cui ratio sta appunto nel proposito di porre limiti al potere di chi comanda. Anche quando lo fa in rappresentanza delle maggioranze e investito della sovranità popolare.
Va poi messo in luce il rapporto tra Cesare e Dio. La distinzione e, insieme, la connessione. In primis la distinzione. Sia la distinzione di ambiti e di responsabilità tra istituzioni civili e istituzioni religiose, tra evangelizzazione e civilizzazione. Contro le opposte derive del confessionalismo e del laicismo. Sia la distinzione maritainiano-conciliare tra le azioni che i cristiani compiono in quanto cristiani e quelle che essi compiono in quanto cittadini sul terreno dei valori umani e universali, intrecciando un confidente dialogo e una fattiva cooperazione con tutti gli uomini di buona volontà. Ma la cura per la distinzione non contraddice la consapevolezza delle connessioni. Lo si evince, per esempio, dal preambolo dell’accordo di revisione del
Concordato siglato nel 1984 tra la Santa Sede e lo Stato italiano: indipendenti e sovrani nei rispettivi ordini, tuttavia entrambi si impegnano a cooperare per la promozione della persona e il bene del paese. È un corollario della cosiddetta laicità positiva o dell’incontro, che si discosta dal vecchio laicismo militante (o laicità da combattimento) di marca francese che misconosce il positivo contributo che può venire dalle religioni (al plurale) alla qualità etica e sociale della convivenza. A loro volta le religioni sono chiamate a un’opera di vigilanza e, se necessario, di auto-correzione e bonifica quando taluni cattivi interpreti di esse confondono religione e politica o, addirittura, fanno arbitrariamente appello alla religione (fraintesa, deformata) per giustificare intolleranza, violenza, guerra. È la degenerazione estrema di un Dio contraffatto dagli uomini che veste i panni di un Cesare
accecato dalla volontà di potenza e di dominio.
Tra breve, nel 2013, si celebrerà il centenario dell’editto di Costantino. Quale migliore occasione per una riflessione critica senza sconti sull’irrisolto rapporto tra Vangelo e potere. I cristiani non sono assimilabili a una setta che se ne sta ai margini delle civiltà, essi aspirano a fermentarle, risanarle e potenziarle, nella loro valenza umanizzatrice. Ma, lungo la storia remota e recente, troppe volte le lusinghe del potere hanno fatto premio sulla loro «differenza evangelica», sull’affidamento alla forza salvifica della Croce ossia della radicale spoliazione da ogni umano potere.

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