Per una pausa spirituale durante la XXVIIIª settimana (prima parte)
Con schiettezza e lucidità il Vangelo di questa domenica ci pone di fronte ad un problema di grande attualità. Come è possibile che degli individui riescano a declinare in un modo così superficiale un invito di comunione e di stabilità, come il banchetto delle nozze del figlio del re? La risposta indicata dal brano di Vangelo è chiara: per un errore di discernimento. Una cattiva valutazione del senso del tempo porta queste persone a ipervalutare il loro presente rispetto al bene futuro prospettato dal gesto di comunione del re. E il contesto tragico in cui sono inserite rende la loro scelta il punto di avvio di una catena di eventi di manifestazione dell’odio e della violenza del mondo inauditi.
Ci sono dunque situazioni nelle quali il Vangelo non suona come una buona notizia. Meglio ancora, ci sono situazioni in cui il contesto non genera le energie e gli strumenti atti a permettere l’ascolto del contenuto di buona notizia che il vangelo porta con sé. In questi casi il Vangelo viene visto piuttosto come un ingombrante messaggio di disturbo, una parola astratta e poco utile alla costruzione del senso della mia vita oggi.
Come reagire in simili contesti? Ad un problema comunicativo si risponde revisionando le nostre strategie di annuncio del messaggio cristiano: la loro capacità di leggere il contesto dentro cui porre il nostro annuncio, gli strumenti per questo annuncio, i suoi obiettivi.
Un contesto antropologico in forte mutazione
« La nascita di una civiltà urbana non è una vera sfida alla saggezza dell’uomo, alla sua capacità organizzativa, alla sua immaginazione rispetto al futuro? […] L’uomo sperimenta una nuova solitudine, non di fronte ad una natura ostile, per dominare la quale ci sono voluti dei secoli, ma nella folla anonima che lo circonda e in mezzo alla quale egli si sente come straniero. […] Invece di favorire l’incontro fraterno e l’aiuto vicendevole, la città sviluppa le discriminazioni e anche l’indifferenza; fomenta nuove forme di sfruttamento e di dominio, dove certuni, speculando sulle necessità degli altri, traggono profitti inammissibili. Dietro le facciate si celano molte miserie, ignote anche ai più vicini; altre si ostentano dove intristisce la dignità dell’uomo: delinquenza, criminalità, droga, erotismo» (Octogesima Adveniens, n. 10).
Sintetico e illuminante al pari di molte pagine elaborate dalle scienze sociali, papa Paolo VI già nel 1971 poneva la Chiesa di fronte alla sfida antropologica e culturale con cui si sarebbe dovuta misurare: la nascita di un nuovo modello di civilizzazione,
quello urbano. Prima ancora che una sfida per il cristianesimo, la città si presenta oggi all’uomo come una sfida a se stesso, alla sua umanità: non a caso Paolo VI fa un elenco dettagliato dei possibili effetti disumanizzanti degli odierni agglomerati urbani. La capacità di lettura di simili parole è tale da renderle valide ancora più di trent’anni dopo, in sintonia con indagini del fenomeno urbano, delle povertà e delle nuove forme di emarginazione che sono nate dentro le nostre città. Simili contesti rendono molto attuali le parole del vangelo: di fronte all’urgenza del presente, in simili contesti l’annuncio del Vangelo davvero non può essere recepito come una buona notizia, ma come un messaggio ulteriore che sta sullo sfondo rispetto ad un primo piano di questioni più urgenti e primarie.
Una questione di linguaggio e di identità
Il cristianesimo non può non misurarsi con una simile problematica, non può non essere toccato da una simile sfida. La Chiesa infatti scopre che in un simile contesto molti dei suoi strumenti più abituali di presenza nella società e di annuncio della fede sono improvvisamente diventati obsoleti, di fronte ad una cultura che ha mutato radicalmente i suoi linguaggi e le sue grammatiche. Gli uomini si trovano a vivere ormai in una città secolare; e le strutture di comunicazione della tradizione liturgica e catechetica non riescono più a trasmettere a questa nuova umanità il loro messaggio, il tesoro della memoria cristiana. La riforma della liturgia e della catechesi, iniziata per obbedire ai dettami del Vaticano II, si trova a dover essere attuata per motivi molto diversi: se non si lavora per la costruzione di un nuovo linguaggio, di nuove grammatiche celebrative e catechetiche, è l’identità cristiana stessa che non sarà più disponibile per questa nuova umanità urbana.
Con schiettezza e lucidità il Vangelo di questa domenica ci pone di fronte ad un problema di grande attualità. Come è possibile che degli individui riescano a declinare in un modo così superficiale un invito di comunione e di stabilità, come il banchetto delle nozze del figlio del re? La risposta indicata dal brano di Vangelo è chiara: per un errore di discernimento. Una cattiva valutazione del senso del tempo porta queste persone a ipervalutare il loro presente rispetto al bene futuro prospettato dal gesto di comunione del re. E il contesto tragico in cui sono inserite rende la loro scelta il punto di avvio di una catena di eventi di manifestazione dell’odio e della violenza del mondo inauditi.
Ci sono dunque situazioni nelle quali il Vangelo non suona come una buona notizia. Meglio ancora, ci sono situazioni in cui il contesto non genera le energie e gli strumenti atti a permettere l’ascolto del contenuto di buona notizia che il vangelo porta con sé. In questi casi il Vangelo viene visto piuttosto come un ingombrante messaggio di disturbo, una parola astratta e poco utile alla costruzione del senso della mia vita oggi.
Come reagire in simili contesti? Ad un problema comunicativo si risponde revisionando le nostre strategie di annuncio del messaggio cristiano: la loro capacità di leggere il contesto dentro cui porre il nostro annuncio, gli strumenti per questo annuncio, i suoi obiettivi.
Un contesto antropologico in forte mutazione
« La nascita di una civiltà urbana non è una vera sfida alla saggezza dell’uomo, alla sua capacità organizzativa, alla sua immaginazione rispetto al futuro? […] L’uomo sperimenta una nuova solitudine, non di fronte ad una natura ostile, per dominare la quale ci sono voluti dei secoli, ma nella folla anonima che lo circonda e in mezzo alla quale egli si sente come straniero. […] Invece di favorire l’incontro fraterno e l’aiuto vicendevole, la città sviluppa le discriminazioni e anche l’indifferenza; fomenta nuove forme di sfruttamento e di dominio, dove certuni, speculando sulle necessità degli altri, traggono profitti inammissibili. Dietro le facciate si celano molte miserie, ignote anche ai più vicini; altre si ostentano dove intristisce la dignità dell’uomo: delinquenza, criminalità, droga, erotismo» (Octogesima Adveniens, n. 10).
Sintetico e illuminante al pari di molte pagine elaborate dalle scienze sociali, papa Paolo VI già nel 1971 poneva la Chiesa di fronte alla sfida antropologica e culturale con cui si sarebbe dovuta misurare: la nascita di un nuovo modello di civilizzazione,
quello urbano. Prima ancora che una sfida per il cristianesimo, la città si presenta oggi all’uomo come una sfida a se stesso, alla sua umanità: non a caso Paolo VI fa un elenco dettagliato dei possibili effetti disumanizzanti degli odierni agglomerati urbani. La capacità di lettura di simili parole è tale da renderle valide ancora più di trent’anni dopo, in sintonia con indagini del fenomeno urbano, delle povertà e delle nuove forme di emarginazione che sono nate dentro le nostre città. Simili contesti rendono molto attuali le parole del vangelo: di fronte all’urgenza del presente, in simili contesti l’annuncio del Vangelo davvero non può essere recepito come una buona notizia, ma come un messaggio ulteriore che sta sullo sfondo rispetto ad un primo piano di questioni più urgenti e primarie.
Una questione di linguaggio e di identità
Il cristianesimo non può non misurarsi con una simile problematica, non può non essere toccato da una simile sfida. La Chiesa infatti scopre che in un simile contesto molti dei suoi strumenti più abituali di presenza nella società e di annuncio della fede sono improvvisamente diventati obsoleti, di fronte ad una cultura che ha mutato radicalmente i suoi linguaggi e le sue grammatiche. Gli uomini si trovano a vivere ormai in una città secolare; e le strutture di comunicazione della tradizione liturgica e catechetica non riescono più a trasmettere a questa nuova umanità il loro messaggio, il tesoro della memoria cristiana. La riforma della liturgia e della catechesi, iniziata per obbedire ai dettami del Vaticano II, si trova a dover essere attuata per motivi molto diversi: se non si lavora per la costruzione di un nuovo linguaggio, di nuove grammatiche celebrative e catechetiche, è l’identità cristiana stessa che non sarà più disponibile per questa nuova umanità urbana.
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