sabato 15 ottobre 2011

291 - COME IL VANGELO PUÒ ESSERE UNA BUONA NOTIZIA?

Per una pausa spirituale durante la XXVIIIª settimana (seconda parte)

Un impegno etico
Il fatto che la Chiesa si senta chiamata dalla città ad un’operazione di riscrittura e di ricostruzione delle proprie grammatiche e dei propri linguaggi non va confuso con l’idea che la Chiesa debba assumere nei confronti dell’universo urbano odierno una posizione di difesa e un’attitudine di chiusura. Al contrario, l’istituzione ecclesiale interpreta la nuova situazione urbana come un kairós, un’occasione che le viene fornita dentro la storia per vivere una volta di più il proprio atteggiamento costitutivo nei confronti del mondo: quello della testimonianza e del servizio, della comunicazione di speranza, dell’annuncio e della trasmissione efficace di una salvezza che già nel momento stesso in cui viene comunicata comincia a fare nuove tutte le cose.
Lascio ancora alle parole di Paolo VI il compito di illustrarci la via: «Costruire oggi la città, luogo di esistenza degli uomini e delle loro dilatate comunità, creare nuovi modi di contatto e di relazione, intravedere un’applicazione originale della giustizia sociale, prendere la responsabilità di questo avvenire collettivo che si annuncia difficile, è un compito al quale i cristiani devono partecipare. Agli uomini ammassati in una promiscuità urbana che diviene intollerabile, occorre portare un messaggio di speranza, attraverso una fraternità vissuta ed una giustizia concreta. Che i cristiani, coscienti di questa nuova responsabilità, non perdano coraggio davanti alla immensità della città senza volto, ma si ricordino del profeta Giona, il quale percorse in lungo e in largo Ninive, la grande città, per annunciarvi la buona novella della misericordia divina, sostenuto nella sua debolezza dalla sola forza della parola di Dio onnipotente. Nella Bibbia, invero, la città è sovente il luogo del peccato e dell’orgoglio: orgoglio di un uomo che si sente abbastanza sicuro per costruire la sua vita senza Dio e persino per affermarsi potente contro di lui. Ma essa è anche Gerusalemme, la città santa, il luogo dell’incontro con Dio, la promessa della città che scende dall’alto» (Octogesima Adveniens, n. 12).
Le parole di Paolo VI sono di facile comprensione: non necessitano di grandi esercizi interpretativi e, seppure scritte antecedentemente, si prestano bene ad indicare quali siano i contenuti e le forme che l’annuncio e la testimonianza cristiana devono assumere dentro il mondo urbano. I cristiani sono invitati a vivere dentro la città, ma non per nascondersi o per disperdersi in un anonimato poco utile e fruttuoso; sono chiamati a questa solidarietà per aiutare gli uomini a scoprire le potenzialità, gli elementi positivi del mondo urbano e della cultura che esprime. Se attraversata e trasfigurata dalle tante forme dell’esperienza cristiana, anche la città può diventare strumento di umanizzazione, luogo di maturazione dell’identità antropologica originaria. Ai cristiani è quindi chiesto di operare in questa direzione; senza questo genere di operazioni risulterà davvero difficile che il Vangelo possa essere ascoltato come una buona notizia per gli uomini e le donne di oggi.

Un modo di annunciare e celebrare
È in questo contesto di assunzione di un impegno etico esplicito e determinato nei confronti della città che occorre porre la questione dell’annuncio del Vangelo come buona notizia. L’azione di annuncio (e quella decisamente concatenata della celebrazione) è uno degli strumenti di cui il cristianesimo dispone per operare dentro la città nel ruolo di comunicatore di speranza, capace di far maturare e trasfigurare i tratti alienanti comunque presenti in ogni esperienza umana. L’annuncio e la celebrazione sono due luoghi in cui si realizza l’incontro tra memoria cristiana e figura urbana dell’uomo odierno, tra Vangelo e cultura; il celebrare cristiano è uno dei luoghi primari dell’evangelizzazione, come già indicava Paolo VI nella Evangelii Nuntiandi. Come è possibile un simile incontro tra Vangelo e cultura
urbana?
Approfittando di riflessioni già svolte su questa problematica, cercheremo di assumere le dimensioni antropologiche fondamentali dell’esperienza urbana odierna, per scoprire in che modo possiamo annunciare proprio al suo interno il Vangelo come buona notizia ‘reale’. Per raggiungere questo obiettivo occorre imparare ad intersecare l’annuncio cristiano con le dimensioni del tempo (della produzione), del senso, delle relazioni e del consumo, che sono i pilastri dell’esperienza urbana odierna.
La dimensione del tempo, anzitutto, trasformandone il carattere unidimensionale e solamente produttivo attraverso lo strumento della festa, il senso della domenica, che le nostre liturgie divengano spazi di scoperta del nostro essere più profondo.
La dimensione del senso, poi: di fronte ad una cultura della gratificazione istantanea, il nostro annuncio è tenuto a risvegliare dimensioni profonde e trascendenti dell’identità umana, aiutandoci a non dimenticare l’impronta di Dio presente in ognuno di noi, e la finalizzazione del tempo che viviamo (la differenza
cristiana: l’appello al Regno che viene).
La dimensione delle relazioni: in una società che ci frammenta e ci isola, chiudendoci in solitudini mortali, le nostre liturgie sono il luogo in cui sperimentare una comunione più forte dei nostri limiti, perché fondata sull’amore di Dio per noi in Gesù.
Infine, la dimensione del consumo e del possesso dei beni: in una società che fa del possesso e del consumo gli strumenti per vincere la paura della morte, il nostro annuncio sarà veramente buona notizia se ci guiderà a vivere la solidarietà con gli altri (la carità) e con il mondo (un’ecologia dell’uomo) come le conseguenze prime del nostro rapporto con Dio e tra noi.

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