(Isaia 454,1-4.6 1ª Tessalonicesi1,1-5 Matteo 22,15-21)
Gesù ha annunciato la presenza del regno di Dio nel nostro mondo. Questo annuncio non ci chiude in un ghetto spirituale, isolandoci dalla realtà, ma ci chiede piuttosto di lavorare perché Dio trasformi il nostro mondo secondo il suo progetto. In questa prospettiva va compreso il detto di Gesù: Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio.
I credenti in Cristo sono anche cittadini di questo mondo, pur se in situazione di minoranza e di diaspora. E cittadini attivi: soprattutto per quel tipo di servizio che è la lettura profetica della storia umana, una lettura che va oltre le narrazioni ‘tecniche’ della cronaca. Tuttavia, perché il detto di Gesù resti provocatorio e centrale nella sua novità e forza, occorre recepire ciò che Gesù aggiunse, non richiesto: rendere a Dio quello che è di Dio! Non sarebbe altrimenti neppure possibile una autentica lettura profetica di servizio alla città degli uomini. Che cosa rendere a Dio più di quanto già i dirigenti del santuario centrale israelitico organizzavano e celebravano in solenni cerimonie, con grandiosità di riti sacrificali e di feste? Ecco, si può fare tutto questo, avendo il cuore lontano da Dio, onorandolo quindi soltanto con le labbra: così già aveva denunciato il profeta Isaia (29,13), ripreso poi da Gesù medesimo (cfr. Mt 15,7-9 ). Il cuore lontano da Dio! È tale anche quando esso rimane insensibile e freddo, passando accanto ad un uomo aggredito e derubato dai briganti: come nel caso di quel sacerdote e di quel levita, che – dopo il ‘servizio’ al tempio – scendevano da Gerusalemme a Gerico (cfr. Lc 10,31-32)!
Rendere a Dio quello che è di Dio! Quante considerazioni circa l’autenticità della fede vengono sollecitate da questo appello sorprendente di Gesù: inatteso e non richiesto dai suoi interlocutori erodiani! Ma inatteso pure da noi, sempre tentati di fermarci al dibattito fra Stato e Chiesa, e alle rispettive loro autonomie e competenze.
C’è da restituire a Dio... spazi abusivamente occupati, sostituendoci a lui nel dominare arbitrariamente sull’universo e sulla vita umana stessa, andando cioè oltre le leggi dell’ordine e delle finalità loro proprie e imprescindibili.
C’è da restituire a Dio... la parola! La relazione, infatti, da lui avviata con l’uomo non era nel senso di ottenere riti, candeline e canti dagli uomini (cfr. Sal 49–50), bensì disponibilità ad essere ascoltato, ad incontrarsi nel dialogo. Ne è stata prova inequivocabile il dialogo aperto dal Figlio suo fatto uomo tra noi.
C’è da restituire a Dio... l’uomo, ogni persona umana, ciascuno di noi, senza esclusioni o eccezioni. Quell’uomo, anche se deforme nel corpo o nello spirito, che Gesù di Nazaret cercò, stimò, rispettò, perché il Padre suo – e lui stesso, Dio fatto uomo – ama: tutti e sempre, e in qualunque situazione.
Allora a questa visione possiamo comprendere quanto sia importante rendere a Dio quello che è di Dio nei tre tempi: passato, presente e futuro.
* Veniamo da Dio e quello che noi siamo è frutto dell’accoglienza del suo dono: da qui scaturisce il ringraziamento.
* Siamo cristiani se preghiamo e viviamo il Vangelo: l’invocazione e la richiesta di aiuto e sostegno nelle difficoltà dell’esistenza sono le dimensioni che ci accompagnano ogni giorno e, quando ci accorgiamo di percorrere vie diverse da quelle del Signore, sappiamo di poter contare sulla sua misericordia e sul suo perdono.
* Il desiderio e la speranza della comunione eterna con Cristo nella beatitudine del cielo compongono il nostro futuro che va oltre la morte.
PREGHIERA - La tentazione è quella di sempre: cedere, Gesù, al Cesare di turno, assicurarsi il suo appoggio, approfittare della sua amicizia e in cambio dimostrarsi conniventi con il suo potere, fino al punto di dichiarare l’esibizione della forza o il consenso ottenuto come qualcosa di divino.
Ma c’è anche un’altra faccia della medaglia che non deve essere dimenticata: è l’illusione di poter sottrarsi alle proprie responsabilità, al rispetto delle leggi, alla pratica della legalità, con la scusa che Cesare non è Dio e che a Dio solo si deve obbedienza.
Ecco perché la tua risposta, Gesù, si rivela preziosa: essa ci obbliga a fare i conti con i nostri doveri di cittadini e a non accampare scuse per sentircene esonerati. Ma nel contempo essa toglie qualsiasi patina di divino all’esercizio del potere, lo sottrae ad una zona franca in cui vorrebbe collocarsi e lo sottomette a regole etiche precise a cui non può sottrarsi, altrimenti corre il rischio di perdere la sua legittimità.
Gesù ha annunciato la presenza del regno di Dio nel nostro mondo. Questo annuncio non ci chiude in un ghetto spirituale, isolandoci dalla realtà, ma ci chiede piuttosto di lavorare perché Dio trasformi il nostro mondo secondo il suo progetto. In questa prospettiva va compreso il detto di Gesù: Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio.
I credenti in Cristo sono anche cittadini di questo mondo, pur se in situazione di minoranza e di diaspora. E cittadini attivi: soprattutto per quel tipo di servizio che è la lettura profetica della storia umana, una lettura che va oltre le narrazioni ‘tecniche’ della cronaca. Tuttavia, perché il detto di Gesù resti provocatorio e centrale nella sua novità e forza, occorre recepire ciò che Gesù aggiunse, non richiesto: rendere a Dio quello che è di Dio! Non sarebbe altrimenti neppure possibile una autentica lettura profetica di servizio alla città degli uomini. Che cosa rendere a Dio più di quanto già i dirigenti del santuario centrale israelitico organizzavano e celebravano in solenni cerimonie, con grandiosità di riti sacrificali e di feste? Ecco, si può fare tutto questo, avendo il cuore lontano da Dio, onorandolo quindi soltanto con le labbra: così già aveva denunciato il profeta Isaia (29,13), ripreso poi da Gesù medesimo (cfr. Mt 15,7-9 ). Il cuore lontano da Dio! È tale anche quando esso rimane insensibile e freddo, passando accanto ad un uomo aggredito e derubato dai briganti: come nel caso di quel sacerdote e di quel levita, che – dopo il ‘servizio’ al tempio – scendevano da Gerusalemme a Gerico (cfr. Lc 10,31-32)!
Rendere a Dio quello che è di Dio! Quante considerazioni circa l’autenticità della fede vengono sollecitate da questo appello sorprendente di Gesù: inatteso e non richiesto dai suoi interlocutori erodiani! Ma inatteso pure da noi, sempre tentati di fermarci al dibattito fra Stato e Chiesa, e alle rispettive loro autonomie e competenze.
C’è da restituire a Dio... spazi abusivamente occupati, sostituendoci a lui nel dominare arbitrariamente sull’universo e sulla vita umana stessa, andando cioè oltre le leggi dell’ordine e delle finalità loro proprie e imprescindibili.
C’è da restituire a Dio... la parola! La relazione, infatti, da lui avviata con l’uomo non era nel senso di ottenere riti, candeline e canti dagli uomini (cfr. Sal 49–50), bensì disponibilità ad essere ascoltato, ad incontrarsi nel dialogo. Ne è stata prova inequivocabile il dialogo aperto dal Figlio suo fatto uomo tra noi.
C’è da restituire a Dio... l’uomo, ogni persona umana, ciascuno di noi, senza esclusioni o eccezioni. Quell’uomo, anche se deforme nel corpo o nello spirito, che Gesù di Nazaret cercò, stimò, rispettò, perché il Padre suo – e lui stesso, Dio fatto uomo – ama: tutti e sempre, e in qualunque situazione.
Allora a questa visione possiamo comprendere quanto sia importante rendere a Dio quello che è di Dio nei tre tempi: passato, presente e futuro.
* Veniamo da Dio e quello che noi siamo è frutto dell’accoglienza del suo dono: da qui scaturisce il ringraziamento.
* Siamo cristiani se preghiamo e viviamo il Vangelo: l’invocazione e la richiesta di aiuto e sostegno nelle difficoltà dell’esistenza sono le dimensioni che ci accompagnano ogni giorno e, quando ci accorgiamo di percorrere vie diverse da quelle del Signore, sappiamo di poter contare sulla sua misericordia e sul suo perdono.
* Il desiderio e la speranza della comunione eterna con Cristo nella beatitudine del cielo compongono il nostro futuro che va oltre la morte.
PREGHIERA - La tentazione è quella di sempre: cedere, Gesù, al Cesare di turno, assicurarsi il suo appoggio, approfittare della sua amicizia e in cambio dimostrarsi conniventi con il suo potere, fino al punto di dichiarare l’esibizione della forza o il consenso ottenuto come qualcosa di divino.
Ma c’è anche un’altra faccia della medaglia che non deve essere dimenticata: è l’illusione di poter sottrarsi alle proprie responsabilità, al rispetto delle leggi, alla pratica della legalità, con la scusa che Cesare non è Dio e che a Dio solo si deve obbedienza.
Ecco perché la tua risposta, Gesù, si rivela preziosa: essa ci obbliga a fare i conti con i nostri doveri di cittadini e a non accampare scuse per sentircene esonerati. Ma nel contempo essa toglie qualsiasi patina di divino all’esercizio del potere, lo sottrae ad una zona franca in cui vorrebbe collocarsi e lo sottomette a regole etiche precise a cui non può sottrarsi, altrimenti corre il rischio di perdere la sua legittimità.
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