La fede cristiana va tenuta distinta:
* dall’opinione: un parere condiviso da più persone;
* dalla credenza: adesione ad una cultura, ad un’esperienza passata,
ad un insieme di dottrine da praticare;
* dall’ideologia: un sistema di idee di cui ci si serve per spiegare la realtà e
giustificare situazione o il comportamento di un gruppo;
* dalla religione: un insieme di riti, simboli, credenze e pratiche.
Ha scritto l’attuale Papa, quando era insegnante di teologia: “Non diamo troppo alla leggera per presupposto che religione e fede siano sempre la stessa identica cosa. Ciò in realtà risulta vero solo in maniera limitata…Ad esempio l’Antico Testamento si è presentato complessivamente non sotto il concetto di fede, bensì sotto quello di legge. Esso incarna primariamente un assetto di vita, nell’ambito del quale per altro l’atto di fede va acquistando maggior importanza. Per la religiosità romana poi, non è affatto decisivo che si emetta un atto di fede nel soprannaturale, esso può addirittura mancare completamente senza che per questo venga meno la religione. Siccome essa è essenzialmente un sistema di riti, ai suoi occhi l’elemento determinante è rappresentato dalla minuziosa osservanza delle cerimonie”.
L’essenziale della fede cristiana consiste nella fiduciosa risposta e nell’abbandono a Dio, che in Gesù Cristo si è avvicinato agli uomini per rivelare il Suo progetto di amore e di salvezza. La fede riconosce che all’inizio vi è l’azione amorosa e gratuita di Dio che si china sull’umanità. “Credere è accettare di essere accettati da Dio” …è percepire nel profondo della mia vita che Colui che ha creato l’universo, le stelle, la terra con tutto ciò che in essa vive...pensa a me, mi conosce e mi ama come “figlio prediletto”, mi perdona i miei innumerevoli peccati, mi dona una pace vera con me stesso e con tutti gli altri, mi offre una salvezza di vita. Nella misura in cui scopriamo la fedeltà assoluta di Dio, la nostra risposta deve essere una fede gioiosa, motivata, coinvolgente e confessante.
“Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. Lo spieghiamo con un racconto: “Il mio rabbino mi ha spesso raccontato la storia di un ebreo sfuggito con la moglie ed il figlio all’inquisizione spagnola. Era arrivato, con una piccola barca sballottata dal mare in tempesta, in prossimità di un’isola pietrosa; ma un fulmine colpì la moglie e un’onda trascinò il bambino in mare. Solo, nudo, flagellato dalla tempesta, spaventato dai tuoni e dai fulmini, i capelli al vento e le mani elevate a Dio, l’ebreo si mise ad errare sulle rocce dell’isola deserta dicendo: “Dio d’Israele sono finito; ebbene proprio ora non Ti posso più servire se non liberamente. Voglio compiere i Tuoi comandamenti e santificare il Tuo Nome perchè non ho altro da fare. Ma Tu, Tu hai fatto di tutto perché io non creda più in Te! Potevi pensare di riuscire a tagliarmi la strada? Bene, Te lo dico, mio Dio e Dio dei miei padri, no, Tu non ci riuscirai. Puoi colpirmi, puoi prendere i miei beni, quello che mi è più caro al mondo, puoi torturarmi a morte: crederò sempre in Te, Ti amerò sempre, tuo malgrado!”.
Dobbiamo, come Abramo, Mosè, Giobbe…, rischiare di entrare nell’oscurità del mistero, con la fiducia che Dio riuscirà a dare senso anche a ciò che ai nostri occhi è sconcertante. Mistero di Dio e fede dell’uomo alla fine si intrecciano in un nodo di luce.
(Continueremo la nostra riflessione a metà settimana su quest’ultimo argomento con il tema: “Il senso del dovere”)
venerdì 1 ottobre 2010
66 - XXVII DOMENICA – DALLA FEDE GENUINA UNA VITA VERA - 3 OTTOBRE 2010
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