sabato 16 ottobre 2010

75 - UNA SETTIMANA SU LA BELLEZZA DELLA COPPIA

Settimo giorno: La sessualità … il compimento dell’immagine di Dio

Possiamo davvero riconoscere nella sessualità umana il volto del Dio di Gesù Cristo?
Innanzi tutto la sessualità è desiderio. Non un desiderio meramente fisico, istintuale, ma anche emotivo, spirituale, umano: la sessualità porta con sé un desiderio di completezza, di comunione. La sessualità mi spinge fuori da me stesso, mi rende cosciente che non basto a me stesso; essa porta con sé l’aspirazione alla pienezza che è dentro il nostro cuore.
Il Dio di Gesù non è solo comunione, ma desiderio di comunione; Dio entra nella carne dell’uomo perché nemmeno la perfezione della relazione trinitaria può spegnere il desiderio che l’altro, ogni altro, partecipi di quella comunione d’amore.
La sessualità è dono di sé; non puoi entrare in relazione con qualcuno se non sei disposto ad offrirti. La nostra sessualità ci rende offerta per l’altro; siamo a disposizione della persona con cui entriamo in rapporto. Non posso più “essere per me”; devo imparare ad “essere per l’altro” in un cammino che pone l’altro al centro nella fiducia, generata dall’amore, che l’altro farà lo stesso. Così al centro ritroviamo il “noi” della comunione.
Gesù è l’offerta di Dio per noi; Gesù è il Dio che si offre, che apre la sua vita, che dilata la sua divinità fino ad accogliere tutta la nostra umanità. Si offre come uomo perché solo un rapporto paritario, in cui sono disposto a mettermi completamente in gioco con l’altro e per l’altro può diventare comunione.
La sessualità è fragilità; sono di fronte all’altro, nudo, e non posso nascondermi se non voglio rompere la relazione, spegnendo il desiderio. Devo accettare di farmi dono anche nella mia fragilità perché è proprio la mia fragilità che alimenta il desiderio: cos’altro cerco se non essere accolto nel mio limite, nella mia umanità, nel mio stesso peccato? E in che modo posso dire di amare l’altro se non accogliendolo nello stesso modo?
Gesù ci accoglie nella nostra fragilità e questo, forse, lo sappiamo. Dobbiamo però imparare anche a guardare al figlio di Dio come colui che ci fa dono della sua fragilità: è debole, come me; è limitato, come me; è ferito, come me; soffre, come me; cerca amore, come me! Gesù è nudo sulla croce mentre chiede da bere; è stanco quando si presenta a casa di Lazzaro, Marta e Maria; è scalzo e vicino alla morte quando la peccatrice gli unge i piedi; è sanguinante quando Veronica gli asciuga il volto; è solo, sulla croce, mentre cerca per l’ultima volta gli occhi di sua madre.
La sessualità, infine, è vita. L’autentico incontro con l’altro produce vita, non solo in termini biolo-
gici; esso crea una comunione nella quale il “noi” è qualcosa di nuovo e diverso dall’io e dal tu.
Gesù torna alla vita, ritrova la pienezza della sua vita non solo nell’amore per il Padre, ma nell’incontro autentico della sua fragilità di uomo che muore con la fragilità del peccato dei suoi discepoli. Nella morte Gesù compie l’atto ultimo di accoglienza della fragilità di chi lo amava; allo stesso tempo, nel momento stesso in cui il discepolo accoglie la debolezza del Dio crocifisso, si compie l’incontro con il Risorto, con la vita stessa.
La nostra stessa sessualità si fa dunque prova dell’Amore di Dio e del suo essere Amore, comunione e vita. Il tenero contatto degli sposi, culminante nell’unione sessuale, funge da tramite dell’amore di Dio; e questo la dice lunga sulla dignità dell’amore coniugale..L’amore fisico degli sposi è il luogo in cui essi possono fare esperienza di Dio nel modo più profondo.
Questa visione sacramentale dell’amore sessuale ha una certa corrispondenza con l’atteggiamento dell’attuale psicologia. Hans Jellouschek, consulente matrimoniale di indirizzo junghiano, sostiene che nella sessualità è racchiuso un potenziale di trascendenza. L’atto sessuale fa sempre riferimento a qualcosa che va al di là dell’atto stesso, cioè al mistero della trascendenza e al mistero di Dio stesso che è amore infinito e inesauribile. E il filosofo ebreo Walter Schubart vede una stretta relazione tra lo Spirito di Dio, che compone le contraddizioni, e l’amore degli sposi, attraverso i quali irrompe nel nostro mondo un po’ dell’unità divina: “L’unità divina si serve della duplicità umana per diventare visibile attraverso di essa…Ogni atto di amore … è, nel suo rincorrere la perfezione, preludio del ricongiungimento di Dio e del mondo… Quando si incontrano due persone che si amano, in un punto del cosmo si chiude la ferita dell’isolamento”.

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