sabato 19 maggio 2012

388 - “AMATEVI COME IO VI HO AMATO”

Per una pausa spirituale durante la Sesta Settimana di Pasqua


La proposta di Cristo di amare come lui ama è una provocazione per l’attuale cultura che predilige soluzioni rapide e desiderio imperante di libertà assoluta. La smania di tenersi sempre connessi fa sì che le relazioni siano sostituite dai contatti virtuali, cioè anonimi. I social network sembrano invitare a bypassare la dimensione più bella e complessa che è quella dell’incontro personale e della fatica di guardare l’altro negli occhi.

Nell’epoca delle ‘passioni tristi’ va ricercato un nuovo stile nei rapporti (coppia, famiglia, Chiesa, città), la cura dei legami, l’incontro con le persone nella scoperta della loro ricchezza. È tempo di educare alla relazione come strumento di crescita, attraverso il guardarsi e l’ascoltarsi, il rispettarsi e l’aiutarsi. È il momento di apprendere a stare con gli altri in maniera onesta e positiva per elaborare insieme regole più umanizzanti di convivenza e di costruzione della ‘casa comune’. Al conformismo e al consumismo del mordi-e-fuggi e della finzione, va sostituito il coraggio dell’agápē, che fa sentire nel proprio cuore la piaga bruciante nella carne dell’altro e che fa decidere di prendersi a cuore l’altro, nella varietà dei ruoli e delle responsabilità. Lo Spirito stimola alla condivisione e alla fantasiosa onnipotenza dell’amore. Anche la sproporzione delle sfide e il senso della propria impotenza non possono far arrendere al fatalismo o ripiegare nel quietismo. Il Figlio di Dio bandisce ignoranza e oblio, estraneità e pigrizia nei confronti degli altri, fratelli di fede e bisognosi.

Esistono almeno quattro modi di rapportarsi agli altri:

1. Essere ‘tra’ gli altri. È la modalità più povera della relazione umana, non ha interazione e reciprocità: si sta fra gli altri come se fossero cose, con una distanza emotiva che li rende estranei; non si vuole male, ma si ignora tutti e tutto, si è indifferenti e anonimi.

2. Essere ‘con’ gli altri. È la dimensione della relazione affettiva, fatta di attenzione e di ascolto, di tenerezza e di sintonia profonda. È motivo di gioia incontrare l’altro con le sue doti e i suoi limiti, come essere ‘altro’ da noi, compreso anche il conflitto, come passaggio alla negoziazione di un significato comune.

3. Essere ‘per’ gli altri. È la consapevolezza di non poter essere felici da soli. Senza rinunciare alla propria individualità, si supera l’egoismo, ponendo liberamente il proprio baricentro fuori di se stessi, nell’apertura all’altro, nel dono di sé e nel servizio gratuito.

4. Essere ‘in’. È l’originario orientamento di ogni persona a Dio. Il senso dell’esistenza umana sta nella sua auto-trascendenza, nell’apertura costitutiva a Qualcuno che sta al di sopra e al di là di se stessi, nell’adesione all’Amore infinito che dà pieno compimento alla propria finitudine. Solo Dio è l’appagamento della sete d’amore di ognuno, il riposo ultimo di ogni cuore in ricerca.

Gli uomini sono angeli dotati di un’ala soltanto, diceva il vescovo T. Bello: possono volare solo rimanendo abbracciati. Nel volo della vita è fondamentale avere sia l’ala dell’altro sia quella di Dio, il quale sostiene e guida entrambi. La novità di Gesù è la sinfonia dell’unico amore a Dio e al prossimo. Scriveva M. Delbrêl: «La carità fraterna è come un viadotto ad una sola arcata, che lega Dio e gli uomini. Questa arcata non la si può dividere. Come un biglietto di andata-ritorno è un unicum». Con la consapevolezza che non vi è modo di amare tutti gli uomini senza amare quelli che si conoscono di un amore concreto, di un amore attivo. Sant’Agostino esorta: «Quando ami, corri. I tuoi piedi sono il tuo amore. Quali sono questi due piedi? I due comandamenti dell’amore: l’amore per Dio e l’amore per il prossimo. Corri con questi due piedi verso Dio». Attenti, dunque, a non zoppicare!

Per costruire la Chiesa è necessario che la maggioranza dei suoi membri operi il passaggio da «la comunità per me» a «io per la comunità», dai propri interessi a quelli della comunità. Non c’è vera comunità se non quando si cerca la pienezza, la pace e la felicità di tutti gli altri. Due sono i virus mortali per la comunità cristiana. Il primo è rappresentato da chi viene considerato ‘nemico’: quanti sono in disaccordo con noi, ci emarginano e noi ignoriamo, criticano sempre e ci innervosiscono. Questo spirito di inimicizia genera fazioni, con tensione e aggressività, e trascina la comunità all’autodistruzione. Il secondo virus è dato dall’eccesso di amicizia e di simpatia umana, che porta alla chiusura agli altri, alla routine e alla mediocrità, alla mancanza di cammino di maturazione personale ed ecclesiale. In entrambi i casi prevale la comunità ‘psichica’, cioè costruita su criteri umani, psicologici e sociologici, funzionali.

La Chiesa invece nasce dall’Alto, dal cuore di Cristo crocifisso e dalla Pentecoste, dalla conversione profonda. La Chiesa è ‘miracolo’, ‘novità’ cioè opera dello Spirito che cambia i cuori e li rende capaci di amare tutti i membri della comunità, indipendentemente dall’età e dall’origine, dal carattere e dal ministero svolto. Più una comunità è varia per abitudini, mentalità e servizi e più testimonia la presenza del Risorto tra i fratelli di fede. Lo Spirito rivela la comune chiamata di Dio alla festa, l’alleanza primaria con Gesù, l’accettazione dell’altro non idealizzato, l’esercizio del perdono in vista della sopportazione e dell’aiuto vicendevole, la sincera collaborazione al servizio variegato della missione.

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