(Atti
9,26-31 1ªGiovanni 3,18-24 Giovanni 15,1-8)
Ci sono due cammini diversi: in tutte le religioni l’uomo è
orientato a Dio e scopo della sua esistenza è servire Dio; tutto quello chefa
lo fa per Dio. Con Gesù, invece, è Dio che prende l’iniziativa, che invade con
la sua bontà, che vuole comunicare tutto il suo amore all’uomo per diventarne
l’intimo amico. Questo è l’obiettivo della vita del credente: fondersi con Dio,
il che non significa essere diminuiti ma potenziati. È Dio che comunica la sua
forza. Non un Dio che assorbe le energie dell’uomo, come nelle antiche
religioni, ma comunica loro le sue. L’uomo allora cosa deve fare? Non deve fare
altro che espandersi verso gli altri uomini: con Dio e come Dio il cristiano va
verso gli altri.
Dio non è più solo il traguardo dell’uomo, ma è all’inizio, la
fonte; con lui e come lui si può andare verso il prossimo. L’Eucaristia è il
momento privilegiato per la comunità cristiana, nel quale Dio si mette al
nostro servizio per comunicarci la sua stessa forza.
La vera insidia per la fede oggi non è tanto la persecuzione
quanto l’evanescenza della figura di Cristo. Essa si esprime sia tramite
l’indifferenza o la non-incidenza di Cristo nella vita delle persone, sia
tramite la stima-rispetto ma come per un personaggio da museo: illustre ma
ormai superato: non il Vivente, ma ‘il Vissuto’ in un tempo lontano e diverso
dal nostro.
A livello di fede questa evanescenza si manifesta nella riduzione della
esperienza cristiana a ‘ispirazione, insegnamento, condotta, valori’. Cose
importanti ma che non possono sostituire il rapporto con Colui che ha detto:
«Senza di me non potete fare niente». Ci si ferma così al suo insegnamento
morale o di vita, o alle pratiche religiose ‘cristiane’; oppure si vive la
sequela in modo moralistico, riducendola a un corretto comportamento. Tutto
questo fa certamente parte dell’esperienza cristiana, ma prima di tutto c’è
l’essere innestati a Cristo. Senza di questo la fede non tocca il fondo del
nostro essere, ma solo la periferia. Una simile sequela non sarà trascinante,
piena di energia, gioiosa, creativa. Così facendo, disattendiamo dunque la
natura vera del rapporto di Gesù con noi, che è quello della vite con i tralci,
un rapporto di comunione in cui la buona linfa della sua vita nutre e sostiene
la nostra esistenza. La liturgia odierna intende aiutarci a riscoprire la
singolarità del rapporto che lega Cristo a ciascuno di noi e a rinnovare la
nostra adesione di appartenenza e di sequela.
Gesù è riuscito a sintetizzare tutto quanto detto sopra con una
splendida immagine: la vite e i tralci. Ogni affermazione della odierna pagina
evangelica è profonda e densa di significato. Il vignaiuolo è il Padre. La vite
è Gesù. I tralci siamo noi. L’uomo dei campi guarda la sua vigna con gli occhi
dell’amore. Essa è la sua opera d’arte e la pensa come fonte della sua
speranza. La lavora e la protegge, la difende dai predatori e su di essa
costruisce la sua vita. Così Cristo guarda e protegge noi, come frutto del suo
amore, come speranza quotidiana. Di più: Gesù vuole entrare in intimità con
ciascuna persona, essere bevanda di vita, ricca di forza vitale e donatrice di consolazione
e di gioia. Il vino nell’antichità era considerato un elisir di vita e una
bevanda di immortalità. Per questo motivo in nessun banchetto poteva mancare un
calice di vino. Nell’ultima cena Gesù si è fatto nostra bevanda: come l’uva
viene schiacciata nel torchio per diventare fonte di vita, così Gesù dona
persino il suo sangue per donarci una vita piena e gioiosa. Il segreto della
nostra esistenza è di rimanere uniti a lui!
PREGHIERA - Ognuno di noi, Gesù, desidera che la
sua vita sia feconda e porti un frutto buono ed abbondante. Ognuno di noi
vorrebbe sfuggire ad una sterilità che mortifica e rende inutile la sua
esistenza. Ognuno di noi si attende di poter esprimere il meglio di se stesso, quanto
di più prezioso e nobile si porta dentro.
Eppure tutto questo non è possibile se non rimaniamo uniti a te, se ci
lasciamo afferrare dall’illusione di poter fare da soli, contando unicamente
sulle nostre forze. Liberami, dunque, Signore, dall’orgoglio che non mi
permette di riconoscere le mie debolezze. Liberami dalla presunzione di non aver
bisogno di te e degli altri, della tua grazia e del loro aiuto.
Donami la gioia di accogliere con rinnovata riconoscenza la linfa
vitale che tu immetti nel circuito della mia vita. Donami la perseveranza che
mi induce a rimanere attaccato a te anche quando arriva il tempo doloroso della
potatura e non solo la festa del raccolto.
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