sabato 5 maggio 2012

385 - IO SONO LA VITE VOI I TRALCI - 06 MAGGIO 2012 – Quinta Domenica di Pasqua

(Atti 9,26-31  1ªGiovanni 3,18-24  Giovanni 15,1-8)
 Quello che Gesù è venuto a presentarci è una Notizia del tutto nuova, bella, talmente sconvolgente che a noi appare paradossale. Egli non ci presenta infatti una religione, intesa come insieme di pratiche, di atteggiamenti che l’uomo deve fare nei confronti di Dio, ma una fede: dove con questo termine intendiamo l’accoglienza di Gesù Dio-con-noi. Un Dio che si è fatto come noi per farci come lui.
Ci sono due cammini diversi: in tutte le religioni l’uomo è orientato a Dio e scopo della sua esistenza è servire Dio; tutto quello chefa lo fa per Dio. Con Gesù, invece, è Dio che prende l’iniziativa, che invade con la sua bontà, che vuole comunicare tutto il suo amore all’uomo per diventarne l’intimo amico. Questo è l’obiettivo della vita del credente: fondersi con Dio, il che non significa essere diminuiti ma potenziati. È Dio che comunica la sua forza. Non un Dio che assorbe le energie dell’uomo, come nelle antiche religioni, ma comunica loro le sue. L’uomo allora cosa deve fare? Non deve fare altro che espandersi verso gli altri uomini: con Dio e come Dio il cristiano va verso gli altri.
Dio non è più solo il traguardo dell’uomo, ma è all’inizio, la fonte; con lui e come lui si può andare verso il prossimo. L’Eucaristia è il momento privilegiato per la comunità cristiana, nel quale Dio si mette al nostro servizio per comunicarci la sua stessa forza.
La vera insidia per la fede oggi non è tanto la persecuzione quanto l’evanescenza della figura di Cristo. Essa si esprime sia tramite l’indifferenza o la non-incidenza di Cristo nella vita delle persone, sia tramite la stima-rispetto ma come per un personaggio da museo: illustre ma ormai superato: non il Vivente, ma ‘il Vissuto’ in un tempo lontano e diverso dal nostro.
A livello di fede questa evanescenza si manifesta nella riduzione della esperienza cristiana a ‘ispirazione, insegnamento, condotta, valori’. Cose importanti ma che non possono sostituire il rapporto con Colui che ha detto: «Senza di me non potete fare niente». Ci si ferma così al suo insegnamento morale o di vita, o alle pratiche religiose ‘cristiane’; oppure si vive la sequela in modo moralistico, riducendola a un corretto comportamento. Tutto questo fa certamente parte dell’esperienza cristiana, ma prima di tutto c’è l’essere innestati a Cristo. Senza di questo la fede non tocca il fondo del nostro essere, ma solo la periferia. Una simile sequela non sarà trascinante, piena di energia, gioiosa, creativa. Così facendo, disattendiamo dunque la natura vera del rapporto di Gesù con noi, che è quello della vite con i tralci, un rapporto di comunione in cui la buona linfa della sua vita nutre e sostiene la nostra esistenza. La liturgia odierna intende aiutarci a riscoprire la singolarità del rapporto che lega Cristo a ciascuno di noi e a rinnovare la nostra adesione di appartenenza e di sequela.
Gesù è riuscito a sintetizzare tutto quanto detto sopra con una splendida immagine: la vite e i tralci. Ogni affermazione della odierna pagina evangelica è profonda e densa di significato. Il vignaiuolo è il Padre. La vite è Gesù. I tralci siamo noi. L’uomo dei campi guarda la sua vigna con gli occhi dell’amore. Essa è la sua opera d’arte e la pensa come fonte della sua speranza. La lavora e la protegge, la difende dai predatori e su di essa costruisce la sua vita. Così Cristo guarda e protegge noi, come frutto del suo amore, come speranza quotidiana. Di più: Gesù vuole entrare in intimità con ciascuna persona, essere bevanda di vita, ricca di forza vitale e donatrice di consolazione e di gioia. Il vino nell’antichità era considerato un elisir di vita e una bevanda di immortalità. Per questo motivo in nessun banchetto poteva mancare un calice di vino. Nell’ultima cena Gesù si è fatto nostra bevanda: come l’uva viene schiacciata nel torchio per diventare fonte di vita, così Gesù dona persino il suo sangue per donarci una vita piena e gioiosa. Il segreto della nostra esistenza è di rimanere uniti a lui!
PREGHIERA - Ognuno di noi, Gesù, desidera che la sua vita sia feconda e porti un frutto buono ed abbondante. Ognuno di noi vorrebbe sfuggire ad una sterilità che mortifica e rende inutile la sua esistenza. Ognuno di noi si attende di poter esprimere il meglio di se stesso, quanto di più prezioso e nobile si porta dentro.
Eppure tutto questo non è possibile se non rimaniamo uniti a te, se ci lasciamo afferrare dall’illusione di poter fare da soli, contando unicamente sulle nostre forze. Liberami, dunque, Signore, dall’orgoglio che non mi permette di riconoscere le mie debolezze. Liberami dalla presunzione di non aver bisogno di te e degli altri, della tua grazia e del loro aiuto.
Donami la gioia di accogliere con rinnovata riconoscenza la linfa vitale che tu immetti nel circuito della mia vita. Donami la perseveranza che mi induce a rimanere attaccato a te anche quando arriva il tempo doloroso della potatura e non solo la festa del raccolto.

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