sabato 26 maggio 2012

392 - LA PRIMA PENTECOSTE (prima parte)

Lunedì – Per una pausa spirituale nella settimana di Pentecoste

ATTI 2,1-11: “Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, 1della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio”.

Il racconto della prima Pentecoste cristiana , che abbiamo appena letto, svolge per il narratore la funzione di fondamento dell’universalismo cristiano, in quanto il dono dello Spirito Santo rende il progetto di Dio realmente universale: il gruppo dei discepoli è ora potenzialmente aperto a tutti. Luca la presenta come festa della nuova alleanza con numerosi richiami alla tradizione giudaica sull’evento teofanico del Sinai: nel culto giudaico della legge, dunque, viene inserito il dono dello Spirito che porta a compimento la legge e l’alleanza.

Il nome «Pentecoste» è greco e vuol dire «cinquantesimo» (giorno); nella tradizione biblica ebraica invece è chiamata anche «festa delle messi», ma comunemente viene denominata «festa delle settimane», giacché cade sette settimane dopo Pasqua. In origine era una festa agricola delle primizie, ma fu da Israele storicizzata, cioè collegata a un evento importante della sua storia, che è il dono della legge fatto da Dio sul Sinai. In qualche modo dunque la Pentecoste era sentita come una festa di rinnovamento dell’alleanza.

Nell’anno 30 della nuova era, l’anno della morte e risurrezione di Gesù, la comunità giudaica festeggiava a Pentecoste il dono della legge. Cinquanta giorni dopo la Pasqua in cui Gesù era risorto, gli apostoli erano riuniti per festeggiare il ricordo della legge che Dio aveva donato al suo popolo Israele. L’evento di quel giorno ebbe per loro un chiaro significato di cambiamento e di passaggio: dalla legge allo Spirito.

Fortunatamente la versione CEI 2008 ha mutato la precedente traduzione, rendendo in modo corretto l’idea che il giorno di Pentecoste non sta per finire, ma segna il compimento di un tempo prefissato (2,1a). L’espressione iniziale indica che è arrivato il momento, si è colmato lo spazio di separazione tra Pasqua e Pentecoste, cioè è venuto quel giorno significativo: la stessa formula ricorre anche in Lc 9,51 – che segna l’inizio del viaggio di Gesù verso Gerusalemme – e serve a Luca per indicare l’inizio del nuovo viaggio, quello decisivo per la Chiesa.

Per la descrizione della comunità riunita Luca impiega un’espressione tecnica di tipo liturgico che designa l’assemblea convocata per la preghiera: «Tutti insieme nello stesso (luogo)». Ha un significato locale, ma soprattutto personale: erano insieme concordi, unanimi, spiritualmente uniti. Tale sottolineatura sembra derivare da Es 19,8 («tutto il popolo rispose insieme»), perché diversi particolari lasciano intendere che il narratore vuole presentare la comunità cristiana come l’assemblea israelitica del Sinai, a cui richiamano i vari fenomeni teofanici. Non viene detto che ci fu vento, ma che il fenomeno percepito fu quello di un suono, paragonabile a una raffica di vento: di conseguenza ‘tutta’ la casa viene riempita, come del Sinai si dice che ‘tutto’ il monte era fumante. Anche per le fiamme si tratta di un’immagine: non c’è del fuoco, ma una realtà con forma di lingua e assomigliante al fuoco, cioè una specie di fiamma che si insedia su ciascuno, ne prende possesso e comunica la fiamma della parola. Il paragone con le lingue serve per anticipare il carisma straordinario che permette agli apostoli di essere capiti da tutti.

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