sabato 30 ottobre 2010

81 - XXXI DOMENICA – UN INCONTRO RICCO DI SORPRESE - 31 OTTOBRE 2010

LA PAROLA DOMENICALE LETTA IN FAMIGLIA
( Sapienza 11,22-12,2 2Tessalonicesi 1,11-2,2 Luca 19,1-10 )

Le tappe di un incontro
1) E’ Gesù che entra nella città di Gerico e l’attraversa. Nulla diventa possibile se non è Lui a fare il primo passo.
2) C’è, tuttavia proprio in Zaccheo, il desiderio di vedere chi era Gesù. Semplice curiosità? Forse è qualcosa di più se quest’uomo odiato, piccolo di statura, non si arrende al primo ostacolo e pur di raggiungere il suo obiettivo non esita a sfiorare il ridicolo salendo su una pianta.
3) Colui che cerca scopre di essere cercato … dallo sguardo di Gesù che si alza proprio per incrociare quell’uomo appollaiato sull’albero.
4) Basta questo per far scattare qualcosa dentro Zaccheo. Colpiscono la sua fretta e la sua gioia. E’ la fretta di chi percepisce qualcosa di grande, di bello ed insperato che lo investe. E’ la gioia di poter accogliere in casa propria il Signore.
5) Ci sono tuttavia altre reazioni che gettano un’ombra su Gesù (è entrato in casa di un peccatore) e che ottengono un effetto opposto su Zaccheo (io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto) … un’inversione di vita a 180 gradi.
6) E’ Gesù stesso a trarre la conclusione: “Oggi per questa cosa è avvenuta la salvezza”. Questo oggi sancisce l’intervento divino nella sua attualità di grazia e di responsabilità. Zaccheo ha saputo afferrare quest’oggi di grazia, ha accolto la salvezza, cioè il perdono dei peccati, e si è impegnato a restaurare la giustizia. Questo oggi è l’appuntamento che Dio riserva ad ognuno di noi lungo le strade della vita, quando siamo visitati dalla sua bontà, dalla sua misericordia.

Saper sorprendere in famiglia
Zaccheo sorprende Gesù salendo sulla pianta di sicomoro.
Gesù sorprende Zaccheo andando a casa sua.
Zaccheo sorprende Gesù dividendo con i poveri i suoi beni e restituendo quattro volte alle persone da lui frodate.
Gesù sorprende Zaccheo constatando la sua conversione frutto della salvezza entrata nella sua casa.
Saper sorprendere le persone con le quali viviamo è una realtà molto interessante ed invitante. L’amore ha bisogno di queste novità e di questi stimoli. Tutto ciò dice che abbiamo dedicato alla nostra vita di coppia e alla nostra famiglia tempo e fantasia. Spesso non si tratta di essere stravaganti ma intelligenti, e dell’intelligenza l’amore ne ha un bisogno estremo. Dobbiamo far capire all’altro/a che occupa il primo posto nella nostra vita, che pensiamo spesso a lei/lui, che ci piace, con una sorpresa, riuscire ad aprire il suo sorriso.
E’ importante anche lasciarci sorprendere e saperlo ammettere con sincerità e verità. Mi ricordo con simpatia la sorpresa preparata da un marito per il decimo anniversario di matrimonio in cui sono stato coinvolto perchè, avendolo celebrato, dovevo essere presente alla festa. La sorpresa era la cena nello stesso ristorante dove si era fatto il pranzo e la mia presenza. Mentre il contatto con me è stato telefonico, al ristorante dovette andare di persona a prenotare ... il risultato fu l’arrivo a casa in ritardo più del solito. A me la situazione fu descritta quella sera! Grande tensione: ... potevi telefonare (e cosa ti dicevo, pensa il marito, mica ti potevo dire che ero al lago d’Iseo) ... sei il solito ... non pensi mai a noi ... con qualche parola di troppo! La moglie diventava ancora rossa a pensare all’accaduto. Ma il tutto è diventata una grande festa ... dove il bacio del decimo anniversario era molto più maturo e più bello del primo. Tutto aveva arricchito quella sera ed anche l’incomprensione era servita ad imparare ad avere più pazienza nei momenti in cui non si capisce l’altro.
Alcune volte basta un fiore, uno sguardo prolungato, una piccola cosa ma fatta con le proprie mani, una serata in cui l’uomo prepara le cena e poi rimette tutto in ordine, un invito ad uno spettacolo particolarmente gradito all’altro/a, un viaggio tanto sognato dall’altro/a ... metteteci la vostra fantasia.

venerdì 29 ottobre 2010

80 - L'ATTIZZATOIO

Alla scuola della sapienza … impariamo a crescere in famiglia!
Una povera nonna allevava con molta fatica un nipotino rimasto orfano in tenera età. Ma con l'andar del tempo, si trovò di fronte a una scoperta allarmante: il bambino aveva preso I'abitudine di rubare ... Era un ladro!
Adoperò tutti i mezzi per combattere quella tendenza. Ma niente da fare: quel vizio oramai il bambino lo aveva nella pelle. Né minacce né promesse sortivano alcun effetto.
A corto di risorse, la nonna gli minacciò un castigo terribile, se mai avesse dovuto ricadere anche una sola volta in quella colpa. «Vedi questo attizzatoio? ... Se ti colgo ancora a rubare, lo faccio arroventare al fuoco e ti trapasso la mano da parte a parte».
Ma il bimbo tornò a rubare ... Arraffò dal logoro portafogli della nonna uno dei pochi biglietti e si precipitò a spenderlo. Tornato che fu, la nonna, che già aveva scoperto il furto, gli afferrò le mani e lo trascinò in cucina. Poi impugno l'attizzatoio, lo immerse nel carbone incandescente e stette ad aspettare che si arroventasse.
Il bambino contemplava smarrito quei preparativi insensati. Non riusciva a credere alla minaccia. Era così convinto della bontà della nonna, da ritenerla incapace di un gesto tanto atroce. Non ci poteva credere.
Ma ecco, la vecchia lo agguantò spingendolo presso il fornello, estrasse l'attizzatoio ormai incandescente. Poi bruscamente allentò la presa, lo lasciò andare, e trapassò la propria mano da parte a parte.
Adesso il piccolo ladro è diventato un uomo. Un uomo che non ruba. Piuttosto che metter la mano sulla roba che non gli appartiene, se la farebbe bruciare.

Due brevissime riflessioni:
a) questo è educare! Non possiamo chiedere ai nostri figli di fare ciò che noi genitori non facciamo e di non fare ciò che noi genitori facciamo! La fatica dell’educazione la dobbiamo fare prima di tutto noi adulti.
b) «Da quel giorno», commenta nel raccontare il terribile episodio George Richard-Molard, «ho capito il mistero della Redenzione di Cristo».

domenica 24 ottobre 2010

79 - XXX DOMENICA – L’UMILE RICERCA DI DIO E’ LA PRIMA CONDIZIONE PER INCONTRARLO - 24 OTTOBRE 2010


LA PAROLA DOMENICALE LETTA IN FAMIGLIA
( Siracide 35,15b-22.20-22a 2Timoteo 4,6-8.16-18 Luca 18, 9-14 )

Le persone umane partecipano tutte della stessa impotenza e sono solidali nello stesso stato di rottura con Dio, no n possono salvarsi da se stessi, non possono cioè entrare da sole nella amicizia di Dio. il prima atto di verità che ogni persona deve compiere è riconoscersi peccatrice, impotente a salvarsi, e aprirsi quindi all’azione di Dio.
Nella parabola del fariseo e del pubblicano ci sono due modi di concepire la persona umana e il suo rapporto con Dio. La preghiera del fariseo è un rendimento di grazie a Dio. Solo apparente però. In realtà è un pretesto per lodare se stesso e non Dio, compiacersi di sé per la mancanza di ogni peccato e per il merito delle buone opere, in forza delle quali si ritiene giustificato ed”esige” da Dio la ricompensa. La preghiera del fariseo non è preghiera, anzi è l’opposto.
Il pubblicano invece è “nella verità”: è consapevole della sua colpa e di non avere meriti davanti a Dio. Chiede grazia. La sua è vera preghiera.
Perciò dietro i due personaggi della parabola si può scorgere l’opposizione tra due tipi di giustizia: quella dell’uomo che ritiene di poterla realizzare con il compimento perfetto della legge e quella che Dio concede al peccatore che si ritiene tale e si converte.
Oggi la sufficienza farisaica non è più l’osservanza di una legge, ma prende altre forme. In molti c’è la convinzione che l’uomo possa salvarsi facendo appello unicamente alle sue risorse. L’uomo salva l’uomo mediante la scienza, la politica, l’arte …
E’ perciò necessario che i cristiani annuncino al mondo Cristo come Salvatore. La salvezza che Egli porta non è antagonista della salvezza umana. Anzi la conduce a pienezza Con la celebrazione dei Sacramenti, specie dell’Eucaristia, essi testimoniano la necessità dell’intervento divino sulla vita dell’uomo, si mettono sotto l’azione di Dio presente con il Suo Spirito, e fanno l’esperienza privilegiata della giustificazione ottenuta mediante la fede in Gesù Cristo. Dobbiamo perciò essere costantemente vigilanti per non partecipare ai Sacramenti con spirito farisaico.

Ancora sulla preghiera in famiglia
Noi pensiamo alla preghiera come qualcosa da dare a Dio, una cosa faticosa e difficile, un dovere da compiere.
La preghiera è un dono che Dio fa a noi perché … sospendendo tutte le attività possiamo stare un po’ con noi stessi! Dio è dentro di noi e quando incontriamo noi stessi nella verità della nostra storia e della nostra vocazione …. lì incontriamo certamente Dio.
Ci sono sposi che non riescono a stare con se stessi allora la preghiera è difficile e faticosa! Pensano a tutt’altro … perché l’incontro con Dio li porta ad entrare nella loro vita e questo non lo vogliono.
Dio, come abbiamo scritto più volte ma non ci stanchiamo di ripeterlo, ama l’umanità, Dio ama tutte le persone …anzi Dio ama me personalmente, mi ama come sono, mi ama come figlio. Sant’Agostino ha scritto che “Dio mi ama più di quanto io ami me stesso”.
Pregare allora…
…è entrare in relazione con questo Dio,
…è lasciare che il suo amore penetri la nostra vita e faccia vibrare il nostro cuore,
…è far silenzio per sentire le Sue parole d’amore,
…è lasciare che il suo amore paterno e materno risani le nostre ferite, asciughi le nostre lacrime,
sciolga i nostri rancori, perdoni i nostri peccati,
…è attingere dalla Sua fedeltà la nostra fedeltà coniugale,
…è dissetare la nostra sete d’amore a questa fonte inesauribile per rendere gratuito il nostro amare,
…è dire a Dio il nostro grazie per tutto questo amore!
Tutto questo vi sembra difficile e faticoso?!? No!È bello, buono, interessante, utile, vero e benefico.

mercoledì 20 ottobre 2010

78 - DUE UOMINI Alla scuola della sapienza … impariamo a crescere in famiglia

Due uomini, entrambi molto malati, occupavano la stessa stanza d'ospedale. Ad un uomo è stato permesso di sedere nel suo letto per un'ora ogni pomeriggio per aiutare il drenaggio dei fluidi dal suo corpo. Il suo letto era vicino all'unica finestra della stanza L'altro uomo doveva passare tutto il suo tempo disteso sulla schiena.
Gli uomini parlavano per ore e ore. Parlavano delle loro mogli, delle famiglie, delle loro case, dei loro posti di lavoro, della loro partecipazione al servizio militare, di dove erano stati in vacanza … Ogni pomeriggio, quando l'uomo nel letto vicino alla finestra poteva sedersi, passava il tempo raccontando al suo compagno di stanza tutte le cose che poteva vedere fuori dalla finestra.
L'uomo nell'altro letto cominciò a vivere per quelle singole ore nelle quali il suo mondo era reso più bello e più vivo da tutte le attività ed i colori del mondo esterno.
La finestra dava su un parco con un delizioso laghetto. Anatre e cigni giocavano nell'acqua mentre i bambini facevano navigare le loro barche giocattolo. Giovani innamorati camminavano mano nella mano tra fiori di ogni colore. C'era anche una bella vista sulla città che si vedeva in lontananza.
Mentre l'uomo vicino alla finestra descriveva tutto ciò nei minimi dettagli, l'uomo dall'altra parte della stanza chiudeva gli occhi e immaginava la scena.
In un caldo pomeriggio, l'uomo della finestra descrisse una parata che stava passando. Sebbene l'altro uomo non potesse sentire la banda, poteva vederla con gli occhi della sua mente così come l'uomo dalla finestra gliela descriveva a parole.
Giorni, settimane e mesi intanto passavano.
Una mattina, l'infermiera di giorno, arrivata per portare l'acqua per il bagno trovò il corpo senza vita dell'uomo vicino alla finestra, morto pacificamente nel sonno. Era triste e chiamò gli inservienti per portare via il corpo.
Non appena gli sembrò appropriato, l'altro uomo chiese se poteva essere spostato vicino alla finestra. L'infermiera fu felice di fare il cambio e, dopo essersi assicurata che stesse bene, lo lasciò solo.
Lentamente, dolorosamente, l'uomo si sollevò su un gomito per dare il suo primo sguardo al mondo reale che gli era stato descritto dall’amico. Si sforzò e si voltò lentamente per guardare fuori dalla finestra accanto al letto. Essa si affacciava su un muro bianco.
L'uomo chiese all'infermiera che cosa poteva avere spinto il suo amico morto a descrivere delle cose così meravigliose da quella finestra.
L'infermiera rispose che l'uomo era cieco e non poteva nemmeno vedere il muro. E aggiunse: “Forse voleva solo incoraggiarti'”
Vi è una tremenda felicità nel rendere felici gli altri, nonostante la nostra situazione.
Dolore condiviso è la metà della pena, ma la felicità condivisa si raddoppia.
Se vuoi sentirti ricco conta tutte le cose che hai e che il denaro non può comprare.
“Oggi” è un dono sempre nuovo, è per questo che si chiama “presente”.

Se si vuole bene in famiglia bisogna imparare a vivere, a guardare, a sentire, a gustare, a sognare … con il cuore dell’altro/a. Qualche volta bisogna chiudere gli occhi e lasciarsi guidare dall’amore dell’altro/a. Ricordiamoci: “Non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.

sabato 16 ottobre 2010

77 - XXIX DOMENICA – LA PREGHIERA …GRIDO CHE NASCE DALLA NOSTRA POVERTA’ - 17 OTTOBRE 2010

LA PAROLA DOMENICALE LETTA IN FAMIGLIA
( Esodo 17,8-13 2Timoteo 3,14-4,2 Luca 18,1-8 )

Fede e preghiera si richiamano reciprocamente. Se è vero che per pregare bisogna credere è anche vero che per credere bisogna pregare. La preghiera perseverante è espressione e nutrimento della fede.
La preghiera è prima di tutto fare silenzio per ascoltare Dio. Le persone entrano in comunione ascoltandosi. Noi entriamo in comunione con Dio e ci disponiamo a fare la sua volontà ascoltandoLo. Come la fede, anche la preghiera nasce dall’ascolto: è una risposta vitale, ma anche verbale.
La preghiera è il nostro rapporto filiale con Dio. Questo rapporto ha varie forme:
• prima di tutto Dio va riconosciuto come Creatore e Signore del creato e della storia … da qui nasce l’adorazione che ci porta a prostrarsi riconoscendoLo come unico Signore dell’universo;
• dall’adorazione nasce la lode … innalziamo a Dio il nostro canto di lode per tutte le cose meravigliose che ha creato ma soprattutto per il dono della vita e della salvezza;
• dall’adorazione alla lode per giungere al ringraziamento … un grazie che non finisce mai perché Dio non smette di amarci e di salvarci. L’azione di grazie per eccellenza resta l’Eucaristia;
• la coscienza di non amare Dio quanto Lui ama noi e di non comportarci come Lui ci chiede ci fa chiedere perdono delle nostre mancanze e dei nostri peccati ed il suo amore ci riconcilia con Lui, con noi stessi, con gli altri e con tutto il creato;
• tante volte preghiamo per gli altri…per la nostra famiglia, per i nostri amici, per chi ci vuole bene, per chi ci fa del bene e anche per chi ci fa del male … questa è la preghiera di intercessione;
• quando chiediamo qualcosa per noi stessi, e Dio come un Padre amoroso ci ascolta con molta attenzione, … facciamo una preghiera di domanda
Ma Dio non fa mai quello che io chiedo! Manifestare a Dio tutti i nostri bisogni e desideri è sottoporli alla Sua luce. L’uomo è veramente ciò che domanda; le richieste gli vengono spontanee e salgono fino alle sue labbra: dirle a Dio è vagliarle e purificarle. La preghiera di intercessione e di domanda è un atto di verità e di fede, ma non è mai forzare Dio a fare la nostra volontà: La preghiera di domanda, quando è autentica, è sorgente di impegno per cominciare a fare quello che chiediamo. Pregare per la pace, spinge a diventare operatore di pace; pregare perché cessino le sofferenze, spinge ad aiutare chi soffre…
Il vangelo poi ci dice come deve essere la preghiera:
• fatta con fede … devo credere che il Signore sempre mi ascolta e mi dà cose buone aldilà di quello che io chiedo;
• fatta con costanza, senza stancarsi, sempre, con insistenza … questo dice che quello che chiedo lo voglio veramente;
• fatta tutti i giorni, specialmente all’inizio e al termine di una giornata … è il nostro buon giorno e buona notte detti a Dio;
• fatta con il cuore più che con la bocca;
• fatta in comunione con Gesù e con Maria…
Il Padre nostro, che Gesù stesso ci ha insegnato, ha tutte queste caratteristiche!

Cinque suggerimenti per pregare in famiglia
A pregare s’impara… pregando!
La preghiera è il nostro desiderio di amare!
Se un cristiano prega solo quando sta in preghiera, egli non prega affatto!
La nostra preghiera resterà sempre una lotta per giungere ad amare più e meglio chi vive accanto a noi,
giorno dopo giorno!
Un’educazione senza preghiera è… un fiume senz’acqua, un giardino senza fiori, un giorno senza sole!!!
Una famiglia è cristiana solo se ha il coraggio di pregare insieme.

76 - UNA SETTIMANA SU LA BELLEZZA DELLA COPPIA

Ottavo giorno: Il sacramento del matrimonio

Nei sacramenti Dio si impadronisce dei segni (acqua per il battesimo, olio crismale per la confermazione, pane e vino per l’eucaristia, il segno di croce del sacerdote che assolve per la penitenza, olio per l’unzione degli ammalati, l’imposizione delle mani per l’ordine, la stretta di mano, detto consenso, nel matrimonio) per comunicare ai suoi credenti la sua grazia, il suo amore, la sua vita …Se Stesso!
Nel sacramento del matrimonio gli sposi sono segno che rende presente l’amore di Dio per l’umanità e l’amore di Cristo per la Chiesa… dice san Paolo: “grande è questo mistero” (Efesini 5,32). Guardando l’amore dello sposo per la sua sposa e viceversa, la loro reciproca accettazione, il loro portare i pesi l’uno dell’altro, la condivisione dei momenti di gioia e di difficoltà, il loro impegno alla fedeltà coniugale, l’accoglienza responsabile e disponibile del dono della vita, il lavoro quotidiano per far crescere la loro famiglia, l’intelligenza e la costanza genitoriale per l’educazione dei figli, la partecipazione reale alla comunità ecclesiale, una impostazione evangelico-cristiana della vita familiare… tutti possono scoprire l’amore del Padre per ogni persona, la dedizione di Gesù Cristo per ogni credente e la presenza dello Spirito Santo nella storia di oggi e nella vita di gni uomo di buona volontà
Questa missione trinitaria dell’amore sponsale fondata sul sacramento del matrimonio è prima di tutto grazia divina che va chiesta quotidianamente nella preghiera fatta insieme dagli sposi stessi e poi sapienza umana dal valore inestimabile che si nasconde in ogni gesto d’amore fatto all’interno della coppia e della famiglia. Aiutiamoci a capire questo mistero con un esempio: se prendo un sacchetto di farina e con una parte faccio la torta che mi piace di più …ho fatto una cosa interessante e buona, con il resto preparo un pane azzimo con il quale celebro l’eucaristia …quella farina è diventata il Corpo di Gesù, mistero divino. Così è dell’unione d’amore di un uomo e di una donna: come matrimonio umano è un’azione bella, buona e straordinaria (siamo alla torta che piace), come sacramento è un’azione divina (siamo al pane eucaristico divenuto Gesù Cristo).
Nei sacramenti agisce Dio in prima persona … per questo un sacramento validamente celebrato non può essere cancellato (se quel pane azzimo è stato consacrato…è diventato Gesù … nessuno può farlo ritornare pane). Qui si nasconde il mistero che il segno sacramentale può essere testimoniato anche da una persona sola che è stata abbandonata dall’altra, non per morte la quale pone le persone in stati di vita diversi... uno terrestre e uno celeste dove non c’è il legame matrimoniale, ma per separazione. Come fa il figlio che se ne è andato da casa sbattendo la porta a credere che quando ritornerà… troverà un Padre pronto ad abbracciarlo e a fare festa? Il fatto che una persona tradita, abbandonata, rimasta sola… sia fedele al matrimonio celebrato mi è garanzia dell’amore gratuito, fedele, oceanico … in poche parole divino di Dio. Veramente grande è questo mistero … un gesto d’amore fatto alla Trinità che sa molto di divino… e ci sono queste persone!!!
Se, dunque, il visibile fa da tramite all’invisibile, ciò significa anche che ciò che è visibile non è tutto, ma soltanto un’indicazione di ciò che è invisibile, cioè del divino. Questo modo di intendere il sacramento è di sollievo per gli sposi che, spesso, a causa delle loro immagini ideali, esigono troppo da se stessi. Molti matrimoni finiscono male, infatti, perché si aspetta dal patner qualcosa di assoluto e di divino: amore assoluto, assoluta comprensione e assoluta fedeltà. Si tratta di pretese esorbitanti nei confronti del patner, dato che solo Dio può dare qualcosa di assoluto. Ma se io considero l’amore del patner come un rimando all’amore di Dio, allora ne posso godere e gioire. Sono consapevole del fatto che questo amore è anche fragile e limitato; so di non poterne pretendere sempre di più; ma ne posso godere perché in esso intuisco qualcosa dell’amore assoluto di Dio.
Ancora, se l’amore degli sposi rimanda a Dio, questo amore non annoia mai. Molti sposi soffrono del fatto che il loro amore diventa a tal punto routine che il sentimento svanisce: una volta che si è conosciuto l’altro/a, l’amore non è più qualcosa di eccitante e non incanta più. Se l’amore umano, invece, rimanda di continuo al mistero dell’amore di Dio, esso non conosce fine perché partecipa della Sua infinità e della Sua eternità. Sentirò quindi l’amore dell’altro/a sempre più come un dono immeritato, lo percepirò sempre come un mistero. In quell’amore mi è dato di sfiorare l’infinitezza del mistero stesso di Dio.

75 - UNA SETTIMANA SU LA BELLEZZA DELLA COPPIA

Settimo giorno: La sessualità … il compimento dell’immagine di Dio

Possiamo davvero riconoscere nella sessualità umana il volto del Dio di Gesù Cristo?
Innanzi tutto la sessualità è desiderio. Non un desiderio meramente fisico, istintuale, ma anche emotivo, spirituale, umano: la sessualità porta con sé un desiderio di completezza, di comunione. La sessualità mi spinge fuori da me stesso, mi rende cosciente che non basto a me stesso; essa porta con sé l’aspirazione alla pienezza che è dentro il nostro cuore.
Il Dio di Gesù non è solo comunione, ma desiderio di comunione; Dio entra nella carne dell’uomo perché nemmeno la perfezione della relazione trinitaria può spegnere il desiderio che l’altro, ogni altro, partecipi di quella comunione d’amore.
La sessualità è dono di sé; non puoi entrare in relazione con qualcuno se non sei disposto ad offrirti. La nostra sessualità ci rende offerta per l’altro; siamo a disposizione della persona con cui entriamo in rapporto. Non posso più “essere per me”; devo imparare ad “essere per l’altro” in un cammino che pone l’altro al centro nella fiducia, generata dall’amore, che l’altro farà lo stesso. Così al centro ritroviamo il “noi” della comunione.
Gesù è l’offerta di Dio per noi; Gesù è il Dio che si offre, che apre la sua vita, che dilata la sua divinità fino ad accogliere tutta la nostra umanità. Si offre come uomo perché solo un rapporto paritario, in cui sono disposto a mettermi completamente in gioco con l’altro e per l’altro può diventare comunione.
La sessualità è fragilità; sono di fronte all’altro, nudo, e non posso nascondermi se non voglio rompere la relazione, spegnendo il desiderio. Devo accettare di farmi dono anche nella mia fragilità perché è proprio la mia fragilità che alimenta il desiderio: cos’altro cerco se non essere accolto nel mio limite, nella mia umanità, nel mio stesso peccato? E in che modo posso dire di amare l’altro se non accogliendolo nello stesso modo?
Gesù ci accoglie nella nostra fragilità e questo, forse, lo sappiamo. Dobbiamo però imparare anche a guardare al figlio di Dio come colui che ci fa dono della sua fragilità: è debole, come me; è limitato, come me; è ferito, come me; soffre, come me; cerca amore, come me! Gesù è nudo sulla croce mentre chiede da bere; è stanco quando si presenta a casa di Lazzaro, Marta e Maria; è scalzo e vicino alla morte quando la peccatrice gli unge i piedi; è sanguinante quando Veronica gli asciuga il volto; è solo, sulla croce, mentre cerca per l’ultima volta gli occhi di sua madre.
La sessualità, infine, è vita. L’autentico incontro con l’altro produce vita, non solo in termini biolo-
gici; esso crea una comunione nella quale il “noi” è qualcosa di nuovo e diverso dall’io e dal tu.
Gesù torna alla vita, ritrova la pienezza della sua vita non solo nell’amore per il Padre, ma nell’incontro autentico della sua fragilità di uomo che muore con la fragilità del peccato dei suoi discepoli. Nella morte Gesù compie l’atto ultimo di accoglienza della fragilità di chi lo amava; allo stesso tempo, nel momento stesso in cui il discepolo accoglie la debolezza del Dio crocifisso, si compie l’incontro con il Risorto, con la vita stessa.
La nostra stessa sessualità si fa dunque prova dell’Amore di Dio e del suo essere Amore, comunione e vita. Il tenero contatto degli sposi, culminante nell’unione sessuale, funge da tramite dell’amore di Dio; e questo la dice lunga sulla dignità dell’amore coniugale..L’amore fisico degli sposi è il luogo in cui essi possono fare esperienza di Dio nel modo più profondo.
Questa visione sacramentale dell’amore sessuale ha una certa corrispondenza con l’atteggiamento dell’attuale psicologia. Hans Jellouschek, consulente matrimoniale di indirizzo junghiano, sostiene che nella sessualità è racchiuso un potenziale di trascendenza. L’atto sessuale fa sempre riferimento a qualcosa che va al di là dell’atto stesso, cioè al mistero della trascendenza e al mistero di Dio stesso che è amore infinito e inesauribile. E il filosofo ebreo Walter Schubart vede una stretta relazione tra lo Spirito di Dio, che compone le contraddizioni, e l’amore degli sposi, attraverso i quali irrompe nel nostro mondo un po’ dell’unità divina: “L’unità divina si serve della duplicità umana per diventare visibile attraverso di essa…Ogni atto di amore … è, nel suo rincorrere la perfezione, preludio del ricongiungimento di Dio e del mondo… Quando si incontrano due persone che si amano, in un punto del cosmo si chiude la ferita dell’isolamento”.

74 - UNA SETTIMANA SU LA BELLEZZA DELLA COPPIA

Sesto giorno: L’amore nei giovani … e nel tempo

Che cos’è dell’amore che fa paura ai giovani?
Desiderare la grandezza di ciò che l’amore promette, ecco il timore di fondo dei giovani. L’amore implica il lasciare le redini della vita a chi ci ama. E’ un’esperienza che può accecare, ma può dare anche occhi nuovi. In una relazione giovane, i due sono chiamati ad imparare ad essere l’uno lo scultore dell’altro/a, a verificare se sono fatti di un marmo adatto alle reciproche speranze e, perché non, alle possibili arrabbiature.

Ci sono momenti perfetti nella coppia?
Il ruolo del tempo è quello di indicarci che l’amore è chiamato a crescere e fiorire nel grande abbraccio di Dio. Come faremo ad accogliere un abbraccio così grande? Egli ha disposto un percorso per prepararci a questo incontro: sono i bei momenti del matrimonio. Dentro la dimensione del tempo, essi sono la scintilla che apre l’orizzonte, illumina la strada e conduce al momento in cui respireremo dentro il respiro di Dio.

(Intervista a Padre José Noriega, vicepreside del Pontificio Istituto per studi su matrimonio e famiglia fondato da Giovanni Paolo II nel 1981)

In controtendenza alla “sindrome della fretta”, che sta corrodendo le relazioni, sta emergendo una cultura alternativa che magnifica l’indugiare e l’arrestarsi nell’ascolto, che assapora gli umori delle persone e delle cose. La fretta è una sorte di alienazione che ci fa vivere fuori della realtà, l’ascolto tranquillo e pensoso è, invece, il modo per entrare dentro l’intimità delle persone e di noi stessi.

La coppia vive il suo cammino assumendo fino in fondo il compito di essere “verso una carne sola” (il testo greco del Vangelo sembra sottolineare una dimensione di cammino, un traguardo da raggiungere). Proprio perché l’unità della coppia è un percorso, sono necessarie le virtù del cammino: il coraggio, la pazienza, la perseveranza.
Il coraggio sorge dal credere alla bontà del traguardo proposto e dall’intuire così che la via delineata, pur difficoltosa, porta ad una meta di una bellezza unica, vitale, sorprendete e dinamica.
La pazienza è la forza del riprendersi oltre ogni esitazione, inciampo, incertezza….. E’ la virtù semplice e fedele, incarnata nel fare un passo per volta nella vita e nel rispettare i tempi di ognuno nella propria crescita. “I beni più preziosi non devono essere conquistati ma attesi”.
La perseveranza passa attraverso i gesti quotidiani con cui si riannoda continuamente il rapporto e si afferma così di credere al traguardo dell’essere una sola carne. “Non è perché le cose sono difficili che noi non osiamo, è perché non osiamo che esse sono difficili”.

venerdì 15 ottobre 2010

73 - UNA SETTIMANA SU LA BELLEZZA DELLA COPPIA

Quinto giorno: Gratuità, gratitudine, fede nella coppia

Possiamo parlare di gratuità nella coppia?

Bella la parola “gratuità”, ma per capirla e viverla bisogna impararne un’altra: gratitudine. Nel momento in cui siamo riconoscenti per i doni ricevuti, ecco, allora sì, possiamo fare di noi stessi un dono. La gratitudine rende possibile la gratuità verso l’altro/a anche nei momenti difficili.
L’amore ci aiuta a capire quella che abbiamo detto al terzo giorno, cioè che la nostra vita si fa bella mentre abbelliamo la vita di un altro/a. Donarsi significa mettere il nostro io in un noi più grande: nella matematica della coppia, uno più uno non fa due, ma un’unità. E’ questo il miracolo dell’amore!

Un messaggio controcorrente in tempi di individualismo diffuso…

Dio ci ha creati più fragili di ogni altro essere vivente, ma capaci di ricevere più di tutti. Ci ha fatti bene! Ci dice: ti creo con una potenzialità meravigliosa, ma non te la do in un colpo solo. Ti creo in un modo tale che ti sorprenderò mano a mano. La tua vita sarà piena di sorprese. In queste sorprese della vita capirai sempre più profondamente che sei fatto per qualcosa di molto grande. Ti lascerò vulnerabile, perché tu possa reagire di frante all’amore e ogni volta, reagendo, tu possa capire qualcosa in più sulla grandezza a cui sei chiamato.

E per le coppie lontane dall’esperienza della fede?

La tensione erotica è qualcosa che Dio ha messo nell’esistenza della persona perché potesse essere il luogo per cogliere il divino. Alcuni teologi cristiani hanno elaborato una bella riflessione sulla creazione, che viene descritta come lo sgorgare libero della pienezza di Dio che, con uno stesso movimento, esce da Lui ed è chiamata a rientrare nel Suo cuore. Anche il movimento dell’uomo verso la donna, e viceversa, è un modo di attirare le creature verso la comunione con Dio. il fatto di poter ritornare nel cuore di Dio proprio attraverso la sessualità e l’amore ci responsabilizza molto: ci chiede di prestare un’intelligente cura a questo aspetto del vivere di coppia, per costruire qualcosa di bello.

(Intervista a Padre José Noriega, vicepreside del Pontificio Istituto per studi su matrimonio e famiglia fondato da Giovanni Paolo II nel 1981)

Il farsi l’uno con l’altro è il senso profondo dell’amore. La persona non si fa da sola, si fa con l’altra. E’ l’altro che ti stimola, ti fa crescere, ti inquieta, ti chiama per nome. Lo sposarsi è partorirsi l’uno con l’altro, è generarsi. E’ la sposa (e viceversa) che genera lo sposo, che dischiude le sue possibilità. Ciascuno ‘io’ viene sollecitato, sprigionato dall’altro. E’ la relazione con l’altro che fa uscire le ricchezze e le potenzialità dell’io. Spesso tale schiudersi è così lento, progressivo, silenzioso che neanche si avverte, ma esiste e progredisce. Per questo devi esplodere la gratitudine.

giovedì 14 ottobre 2010

72 - UNA SETTIMANA SU LA BELLEZZA DELLA COPPIA

Quarto giorno: Non smantellare la potenziale bellezza dell’altro/a

A volte succede – forse senza piena consapevolezza – che l’uno lavori per smantellare la potenziale bellezza dell’altro/a!

Analizzerei anche questo aspetto da un punto di vista positivo. Che cose si nasconde dietro le piccole o grandi meschinità nella relazione di coppia, se non il desiderio di qualcosa di grande che non sappiamo come realizzare? Ecco perché si cercano delle scorciatoie. Ebbene, anche in questo desiderio che ha preso una direzione sbagliata c’è una grande intuizione. Tale consapevolezza mi permette di dire anche a chi ha vissuto un’esperienza di fallimento del proprio amore: “ Sapevo che cercavi qualcosa di bello, ma non hai visto e forse non hai voluto nemmeno capire l’ampiezza del tuo desiderio. Non hai desiderato fino in fondo la bellezza e la grandezza che cercavi.

C’è però anche chi non cerca più la bellezza o non desidera risvegliarla dentro di sé, e alla fine si accontenta!

L’emozione è la scintilla necessaria a manifestare quel qualcosa di grande che sta accadendo nella mia vita. E’ un dono molto fragile che devo far crescere pian piano. Sappiamo bene che una relazione che si ferma alla sola emozione finisce nel giro di brave tempo. Infatti, quando essa diminuisce d’intensità, tende a svanire per far posto a un’altra emozione più forte e a un altro ipotetico amore. L’amore invece è qualcosa che va oltre. L’amore è la memoria di quel dono fragile e intenso che illumina la vita tutta. Attraverso la memoria dei doni ricevuti, risvegliamo il senso della bellezza.

(Intervista a Padre José Noriega, vicepreside del Pontificio Istituto per studi su matrimonio e famiglia fondato da Giovanni Paolo II nel 1981)

L’amore di coppia (che è paradigma anche per altri amori e relazioni) non corre tra due persone perfette, costruite, arrivate, ma tra soggetti in divenire. Essi sono come due ‘nomadi’ in cerca di se stessi, sempre in tensione per decifrare la propria identità e rispondere ad un progetto. Ma può questo essere inseguito senza scosse, turbamenti, devianze? Il pretendere dall’altro/a la perfezione o che non debba mai peccare, è realmente amore all’altro/a nella sua concretezza e nella sua realtà? Uno sposo (e viceversa) non può amare la sua sposa finché è irreprensibile o perché è giusta, ma perché lo possa diventare. Di fronte ad uno sbaglio la coppia deve diventare il luogo dove i due si interrogano, si confrontano, ricercano insieme il perché di quell’errore e insieme si ripropongono di ricominciare da capo. Se questo non avvenisse, vuol dire che l’amore non c’era o non era adulto, perché non era aperto all’altro/a, ma alle proprie attese sull’altro/a. Amare l’altro/a, invece, è accettare anche la sua debolezza, le sue imperfezioni, i suoi eventuali peccati. “La peggior scuola è quella che educa all’infallibilità. Imparare a vivere la fallibilità nostra e quella dell’altro, smantellano le immagini di onnipotenza che devastano il vero amore” (K. Popper).

mercoledì 13 ottobre 2010

71 - UNA SETTIMANA SU LA BELLEZZA DELLA COPPIA

Terzo giorno: Scultori della bellezza dell’altro/a

Ci può spiegare che cos’è la bellezza nella relazione di coppia?
La bellezza è strettamente legata a qualcosa di più grande di noi. Se la vita fosse a misura delle nostre mani sarebbe troppo piccola e troppo “nostra”. La bellezza è un richiamo, un colpo al cuore che ci dice: sei creato per qualcosa di grande, la vita è più grande di te! Quando ci meravigliamo di fronte a un bel tramonto intuiamo la dimensione divina del creato. Allo stesso modo, quando ci meravigliamo della bellezza di chi amiamo, comprendiamo che essa non è riducibile solo ad una questione estetica, ma al modo di essere e di esprimersi, ai gesti della persona, che raccontano di come ci accoglie e quale posto abbiamo nel suo cuore. Giovanni Paolo II sosteneva che quando un uomo dice ad una donna “Ti amo” è come se Dio stesso dicesse “Ti amo” alla sua creatura. Ecco allora che nella bellezza dell’amato possiamo capire come Dio ci guarda, come ci accompagna , cosa fa per noi: Lo stesso Benedetto XVI nel suo discorso agli artisti ha messo in evidenza che la bellezza è la possibilità di trascendere. Quindi, rimanendo nella dimensione di coppia, possiamo dire che la bellezza dell’altro/a è la possibilità che ci viene offerta per uscire da noi stessi ed andare oltre.

A proposito di arte: possiamo dire di essere delle opere d’arte per la persona che amiamo?
Questo è il punto più delicato della questione. Mi spiego con un esempio: molti, ascoltando una sinfonia di Beethoven, pensano che non riusciranno mai a realizzare una cosa così bella. Ma sbagliano, perché – ed ecco la rivoluzione – nella coppia io posso diventare un artista e rendere bella la vita di qualcuno. Posso diventare protagonista della mia vita perché ho avuto un’intuizione riguardo a qualcosa che ora non c’è, ma che si può realizzare in una forma più bella proprio attraverso di me:

Perché senza bellezza non possiamo vivere?
Perché la bellezza è il richiamo della “felicità” che sono chiamato a costruire. La parola felicità, tuttavia, crea un corto circuito nella gente che spesso che spesso ne fraintende il significato più profondo, Felicità non è sentirsi a proprio agio o soddisfare i propri desideri, è pienezza di vita. Allora, che cos’è che fa bella e piena la mia vita? La mia vita diventa bella se io rendo più belli gli altri. Nel caso della coppia, se agisco affinché la persona che amo possa acquistare quella pinezza di vita che lei stessa ha risvegliato in me attraverso l’amore. E’ questo il momento in cui si diventa, per certi versi, artisti.

In quale modo possiamo diventare gli scultori della bellezza dell’altro?
Tutto si gioca dentro il concetto di amicizia. La più grande amicizia, intima e intensa, è quella tra marito e moglie. Molte persone comprendono che alla fin fine ciò che sono lo devono all’altro/a, perché è stato l’altro/a che ha fatto uscire il genio, il santo, l’eroe che si nascondeva dentro di loro. Nella coppia la bellezza è tutta da costruire.

(Intervista a Padre José Noriega, vicepreside del Pontificio Istituto per gli studi su matrimonio e famiglia fondato da Giovanni Paolo II nel 1981)

martedì 12 ottobre 2010

70 - UNA SETTIMANA SU LA BELLEZZA DELLA COPPIA

Secondo giorno: La creazione dell’uomo e della donna

Dio disse: “Facciamo l’umano a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. E Dio creò l’umano a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e Dio disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra”....Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. (Genesi 1,26-31)

Siamo al sesto giorno della creazione. Dio sta per chiamare all’esistenza qualcuno di speciale; per questo comunica alla corte celeste la sua decisione regale (“Facciamo…”). Egli vuole creare un essere che sia a sua immagine e somiglianza. L’immagine (selem), nel linguaggio biblico, è l’effige posta ai confini di un regno o in luoghi strategici, per segnalare chi ne era il signore. L’uomo e la donna creati ad immagine di Dio, sono perciò la visibilità, di fronte al mondo, della sua regalità, al punto che la sua regalità si esprime nelle relazioni costitutive della famiglia umana e nell’assunzione di responsabilità verso di esse.
Una prima relazione è quella uomo-donna, che diventa poi una chiamata alla fecondità, alla generazione. Ma anche il rapporto con il mondo deve essere segnato da questa responsabilità come esprime bene quel verbo ‘dominare’, che fa parte della terminologia regale per indicare il governo di una comunità, di un regno.
L’altra relazione costitutiva è quella che la creatura umana intrattiene con il suo Creatore. In questo caso la responsabilità è quella dell’ascolto; infatti la prima cosa che Dio fa, dopo aver creato la coppia umana, è parlare loro. E’ chiaro che dall’altra parte deve stare l’ascolto di questa parola che è insieme benedizione e comando.
Infine c’è una parola stupenda sulla prima coppia: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona”. Non è tanto qui un apprezzamento etico, ma uno sguardo compiaciuto di contemplazione da parte di Dio stesso sul mistero che egli ha posto sull’uomo e sulla donna nella loro vita insieme.
La relazione di coppia è rivelazione e partecipazione alla vita di Dio. L’uomo e la donna sono creati l’uno per l’altro e insieme, nella loro reciproca corrispondenza, sono immagine di Dio. In questo modo il rapporto uomo-donna rispecchia nella maniera più chiara, quel Dio che, nella sua essenza, è amore ed è – all’interno di se stesso – relazione.

Immagine: nel mondo antico l’immagine non è la rappresentazione di un oggetto, quasi a tener luogo dello stesso, ma è un’irradiazione, una manifestazione visibile dell’essenza della cosa stessa. Non l’opera d’arte, ma la cosa stessa nel suo splendore, nel suo valore, è immagine sensibile della sua realtà intima. Dio dona alla coppia di essere Sua immagine…è un dono da accogliere, da custodire, da contemplare, da amare per il quale non abbiamo mai ringraziato abbastanza insieme il nostro Signore.

Somiglianza: perché l’immagine risplenda in tutta la sua bellezza e fragranza dobbiamo conseguire una certa somiglianza con l’immagine perfetta del Dio invisibile che è il Figlio Gesù: fare proprie le Sue scelte, entrare nei Suoi pensieri. Come coppia dobbiamo imitare la santità di Dio nei più piccoli gesti della vita quotidiana. Questo impegno, che è grazia, ci fa essere ‘icona’ del nostro Creatore.

lunedì 11 ottobre 2010

69 - UNA SETTIMANA SU LA BELLEZZA DELLA COPPIA

Primo giorno: La misura della felicità

Capitano quelle giornate in cui guardandosi intorno, si ha la sensazione di essere dentro un attimo perfetto dove la luce, gli edifici, l’aria e le persone che ci stanno vicino sono testimoni inconsapevoli di qualcosa di così bello che non riusciamo facilmente a descrivere. Sono momenti in cui ci si chiede: qual è la misura della felicità? Come potrà il mio cuore, così piccolo, contenerla tutta? Se poi vediamo un bambino sorridere o una coppia che cammina mano nella mano, comprendiamo che ci sono gesti che raccontano, meglio di tante parole, quanto la vita possa essere bella. Se la parola amore non fosse poi così abusata, riusciremmo poi a dare un viso, una forma ed un respiro a quella sensazione che dura solo un attimo. Ma esistono nella vita esperienze che ci aiutano a trovare quel tipo di felicità? La vita di coppia può essere una di queste.

L’amore è una cosa meravigliosa, cioè una realtà che crea stupore, incanto, estasi. L’amore nasce al di là di quello che conosciamo della persona. Non si riferisce al conoscibile ma a ciò che trascende la conoscenza. La persona amata allude a qualcosa d’altro. Essa incarna un qualcosa di inesprimibile. L’amore per una persona nasce nell’assaporare la sua presenza e nel rimanere in ascolto del suo dischiudersi. L’amore cresce quando viene coltivata la meraviglia, cioè quando c’è l’atteggiamento di continua sorpresa di fronte all’altro/a. La persona non è mai uguale, c’è sempre qualcosa di nuovo in lui/lei. L’altro/a nell’amore, diventa una realtà stupenda e fascinosa ed incute riverenza, che è una delle risposte della persona umana alla presenza del mistero. L’innamorato è una persona riverente perché si trova di fronte al mistero. E questa riverenza indica che la persona esce da sé per contemplare qualcosa che spunta dal di fuori. Qui si esprime la meraviglia e così può crescere costantemente l’amore, fonte della nostra felicità.

Mentre sfogliava i suoi dossier matrimoniali, il diavolo notò con dispetto che c’era ancora una coppia, sulla terra, che filava d’amore e d’accordo. Decise di fare un’ispezione. Si trattava in realtà di una coppia comune. Eppure sprigionava tanto amore che attorno ad essa pareva ci fosse una eterna primavera.
Il diavolo volle conoscere il segreto di quell’amore!
“Nessun segreto, gli spiegarono i due! Viviamo il nostro rapporto come una gara: °quando uno dei due sbaglia….è l’altro che se ne assume la colpa!
°quando uno dei due fa bene….è l’altro che ne ha le lodi!
°quando uno dei due soffre……è l’altro che ne ha consolazione!
°quando uno dei due gioisce…..è l’altro che ne ricava piacere!
…….Insomma, facciamo sempre a chi arriva per primo!”
Al diavolo tutto ciò parve scemo….e se ne andò senza far loro del male.
Ed è così che possono ancora esistere delle coppie felici sulla terra!

venerdì 8 ottobre 2010

68 - XXVIII DOMENICA – ANCHE DIO ASPETTA IL GRAZIE - 10 OTTOBRE 2010


LA PAROLA DOMENICALE LETTA IN FAMIGLIA
( 2Re 5,14-17 2Timoteo 2,8-13 Luca 17,11-19 )

I miracoli vanno letti nella prospettiva del Regno messianico. Per il suo contenuto, il miracolo è una anticipazione del Regno escatologico, è un pegno della realtà futura, sottolinea concretamente l’efficacia invisibile della Parola di salvezza.
I miracoli manifestano l’essenziale gratuità dell’azione di Dio; dicono in forma evidente che la salvezza non è una conquista umana, ma un dono di Dio; vogliono suscitare la fede per la persona di Gesù e far prorompere l’azione di grazie.
Il lebbroso del vangelo torna indietro “lodando Dio a gran voce”…rende grazie a Dio e riconosce che Gesù è il Messia-Cristo e Salvatore in cui Dio è presente e opera non solo la salute del corpo ma la salvezza totale dell’uomo. E questa è fede che Gesù stesso sottolinea: “Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato”.Il rendimento di grazie del lebbroso nasce prima di tutto dalla fede e non dall’utilità: è contemplazione gioiosa e gratuita dell’amore salvatore di Dio prima che contentezza per la salute ritrovata.
La gratitudine è un sentimento ed un atteggiamento che sottende una certa dipendenza del beneficato dal benefattore, ma non può essere considerato un atteggiamento umiliante; al contrario onora l’uomo che lo professa. Tuttavia il “rendimento di grazie” del cristiano dice molto di più del semplice “ringraziamento”; infatti sottolinea la dialogicità dell’incontro salvifico Dio-uomo. Mentre, da una parte, il credente ha la profonda convinzione di vivere come soffuso in un universo di gratuità: tutto è grazia perché tutto è dono del Padre di ogni bene; dall’altra è consapevole di essere chiamato dal Padre a sprigionare da ogni realtà ricevuta tutti i valori positivi che vi sono racchiusi al fine di testimoniare e di rendere percepibile la bontà e la graziosità dei doni divini.
Ma forse io sono uno di quelli che pensa: “ Dio, per me, non ha fatto neanche un miracolo!”.
Non lo so … *ma se nella tua vita hai fatto anche un solo peccato mortale … quando il sacerdote ti ha assolto, questa assoluzione è un miracolo molto più grande che guarire un lebbroso! *Se hai partecipato ad una messa quel pane e quel vino trasformato in Gesù Cristo è un miracolo più grande che cambiare l’acqua in vino! *Se sei stato battezzato … sei diventato realmente figlio di Dio, hai ricevuto la Sua Vita, il Suo DNA e questo è un miracolo inimmaginabile .. strepitoso! *Il dono della vita è un miracolo di amore personale … posso anche essere stato concepito “per sbaglio” ma Dio mi ha voluto personalmente, mi ha fatto e mi fa esistere! *………………… continua da solo questo elenco di miracoli personali …e poi mettiti in ginocchia … e innalza al Signore il tuo “GRAZIE!”.

Gratitudine in famiglia
Quando i rapporti personali sono tutti basati sull’utile e sul piacere, è ben difficile aprirsi alla contemplazione dell’amore che racchiude in sé la dimensione della gratuità. Anzi la mentalità utilitaristica ed egocentrica snatura gli atti d’amore familiari. Se abbiamo perso il gusto del gratuito, se le azioni che compiamo hanno il movente del diritto alla ricompensa … molto facilmente non possiamo avere un’esperienza vera dell’amore. Dobbiamo scoprire o riscoprire il senso del “ricevuto” per aprirci alla verità della gratitudine e del ringraziamento. L’amore non è tanto una legge da osservare per avere la coscienza a posto … ma è la gioia che fiorisce dal vivere insieme, che nasce dalla scoperta di essere amati e di amare nella più totale reciproca gratuità.
Il non dare per scontato nulla (dal cibo sulla tavola ai vestiti puliti nel cassetto, dal letto ritrovato fatto la sera al dentifricio sullo spazzolino, dal saluto al sorriso, dal tenere in ordine i giornali e le riviste alle polveri fatte sui mobili…) rende interessante la vita di famiglia e fa trovare mille occasioni al giorno per dire: GRAZIE!!! grazie!!! GrAzIe!!! gRaZiE!!! GRAzie!!! graZIE!!! GRazIE!!! grAZie!!! g r a z i e ! ! ! G R A Z I E ! ! !
Quello che chiediamo normalmente ai bambini di dire “grazie!” anche per una sola caramella chiediamolo a noi stessi ed impariamo a dire “grazie!” per ogni parola, gesto che riceviamo!

67 - IL SENSO DEL DOVERE

Alla scuola della sapienza … impariamo a crescere in famiglia

Nel tempo in cui viviamo si assiste ad un inconfondibile fenomeno, che trova diverse modalità espressive a secondo del piano su cui si declina: lavorativo, scolastico, familiare, sociale o religioso. Sembra essere iniziata da tempo la paradossale stagione della “eclissi dei doveri” e della “luna piena dei diritti”. Il termine stesso ‘dovere’ è scomparso dal nostro vocabolario, resta come fossile di un’epoca da cui fortunatamente ci siamo liberati. Eppure il dovere esiste. L’eclissi nasconde, ma non ha il potere di annullare. Il dovere esiste anche là dove “rapina, violenza, liti e contese” sembrano averne indebolito il senso. Esiste alla maniera delle cose “forti” – scritte ed incise – ed inconfondibili – da “leggere speditamente”.

Il superamento dell’eclissi
Il concetto di dovere patisce oggi una forte riduzione alla sfera giuridica. Esso sembra non avere altri significati se non quelli legati al contratto sociale. “Devo! Altrimenti perdo i miei diritti”. Qualora i diritti fossero garantiti indipendentemente dai doveri, questi ultimi perderebbero il loro senso. Mentre i primi hanno una chiara radice nella ‘natura umana’ – vengono infatti indicati come diritti umani – i secondi raramente si erigono su solide fondamenta. Si tutelano i diritti, ma si nascondono i doveri, salvo richiamarli quando, dal punto di vista giuridico, non se ne può fare a meno. Ovviamente il ‘buon senso’ ne riconosce immediatamente la necessità, ma prova una certa resistenza ad attribuirgli l’enfasi con la quale, in altre circostanze, riveste facilmente i diritti.
Il superamento della crisi dei doveri non può che ripartire da una ricomprensione del loro rapporto con la legge, che perde la sua ‘forza’ proprio dal venir meno del ‘senso del dovere’. Ed ecco l’apporto dell’esperienza della fede. In Luca 17,5-10, il vangelo di domenica, è interessante che, alla sommesse richiesta dei discepoli di accrescere la loro fede, Gesù risponda con un esempio che rimanda al rapporto tra diritto e dovere, dischiudendo un nuovo modo di intendere il senso stesso del dovere. Il dover fare non scaturisce dal contratto, ma dall’orizzonte di gratuità nel quale la fede in Gesù ci inserisce: il fare senza utile. Non è il fare banalizzato – di fronte al quale non possiamo che sentirci inutili – ad essere la fonte del dovere, ma il fare che entra a pieno titolo nella logica del dono.

Il dovere all’interno del dinamismo del dono
Per comprendere come il dovere venga riqualificato all’interno dell’esperienza di fede è necessario scorgere il modo con cui il dono – da cui deriva la grammatica della fede – si interseca con l’icona della legge. La legge della Scrittura non è parificabile alla lex latina, da cui deriva la sfera propria del giuridico, ma al concetto biblico di Torah. Due esempi: 1) nell’episodio della Manna (Esodo 16) il dono precede chiaramente la legge. Il pane disceso dal cielo non è successivo a nessuna prescrizione. Appare esclusivamente frutto della gratuità di Dio, nella quale l’uomo è chiamato a ricomprendersi. Solo dopo, in un secondo momento, compare la legge: “non ne devi raccogliere più del necessario”. Il dovere si assesta sull’esperienza della sovrabbondanza, a partire dalla quale si ricomprende: se l’osservanza della legge non serve a far scaturire il dono, serve allora a custodirlo. 2) l’incipit con cui il Decalogo (Esodo 20) viene introdotto, fornendone la chiave di lettura, racconta l’esperienza della liberazione dalla schiavitù in Egitto. L’evento della libertà donata sta alla base di ogni prescrizione successiva. Il dovere, che scaturisce dal dono ricevuto e gustato, ne permette la tutela e la custodia. In questo modo i termini sono ribaltati. Nell’alveo dell’esperienza biblica, il senso del dovere consegue alla necessità di custodire ciò che si è ricevuto; è l’altra faccia del dono non dei diritti.
Il servo dell’esempio evangelico si mette al servizio della tavola senza reclami, non per contratto, ma per aver pregustato il compimento di una promessa. Nella fede sa di poter nutrire la sua fame, sa che già vive del dono, e allora non teme di servire. Il senso del dovere scaturisce imperioso da una promessa sottesa ad ogni azione. In questo modo il dono, già visibile nel carattere promettente con cui la vita si dischiude davanti a noi, fonda il senso del nostro fare.
Il senso cristiano del dovere attinge da qui la sua forza. Innanzitutto non teme il limite posto dalla legge, a cui il dovere non può sottrarsi. Sa che il limite posto al fare dell’uomo, torna a suo beneficio. Quando siamo nella condizione di poter fare tutto, senza limiti, in realtà siamo di fronte ad una chimera, che prima o poi si trasformerà in frustrazione. Noi siamo esseri limitati: l’illimitato ci fa esplodere, i limiti ci proteggono. La legge, nella logica della custodia del dono, ci ricorda che non possiamo andare oltre. Se siamo amministratori, non possiamo comportarci da padroni.
Tuttavia, il senso del dovere nell’ottica della fede non è un malum necessarium, ma una risposta feconda ad un alleanza scritta nel cuore. Inciso su quella ‘tavoletta’ interiore, da cui proviene “la forza di Dio”, il dovere ci ricorda continuamente di porci al servizio della vita, di non prestare il fianco alla rapina, al torto, alla malvagia convinzione secondo cui è meglio possedere che donare. Il dovere affonda le proprie radici in quelle regioni in cui attingono forza l’amore, la promessa, la spendibilità della vita e il lavoro paziente, senza la quale ogni cosa diviene, presto o tardi, un diritto a senso unico ed una arrogante pretesa.
Nella prospettiva cristiana la prima parola non è mai il ‘dovere’, ma non lo è neppure il ‘diritto’; la prima parola risuona con il suo potere fecondo all’interno della semantica del dono. Nel gratuito il dovere perde la sua ruvida scorza e lascia spazio ad un senso profondo, che corrisponde alla realtà stessa dell’uomo, il quale è creato ad immagine e somiglianza di Dio per puro dono. Il senso del dovere scaturisce, pertanto, da un debito di gratuità e da una promessa, non da un contratto. L’esperienza di fede diventa il nutrimento del giusto che con animo retto scopre di dover vivere in altro modo rispetto allo stolto. Senza il dovere il “diritto ne esce stravolto”.
Di fronte all’eclissi del dovere, vantaggiosa solo per un’etica indolore, la fede possiede risorse capaci di scongiurarne la scomparsa e di rilanciarne il senso profondo: non come mesto contrappeso dei diritti, ma come audace risposta alla sovrabbondanza del dono di Dio.

venerdì 1 ottobre 2010

66 - XXVII DOMENICA – DALLA FEDE GENUINA UNA VITA VERA - 3 OTTOBRE 2010

LA PAROLA DOMENICALE LETTA IN FAMIGLIA
(Abacuc 1,2-3;2,2-4 2Timoteo 1,6-8.13-14 Luca 17,5-10 )

La fede cristiana va tenuta distinta:
* dall’opinione: un parere condiviso da più persone;
* dalla credenza: adesione ad una cultura, ad un’esperienza passata,
ad un insieme di dottrine da praticare;
* dall’ideologia: un sistema di idee di cui ci si serve per spiegare la realtà e
giustificare situazione o il comportamento di un gruppo;
* dalla religione: un insieme di riti, simboli, credenze e pratiche.
Ha scritto l’attuale Papa, quando era insegnante di teologia: “Non diamo troppo alla leggera per presupposto che religione e fede siano sempre la stessa identica cosa. Ciò in realtà risulta vero solo in maniera limitata…Ad esempio l’Antico Testamento si è presentato complessivamente non sotto il concetto di fede, bensì sotto quello di legge. Esso incarna primariamente un assetto di vita, nell’ambito del quale per altro l’atto di fede va acquistando maggior importanza. Per la religiosità romana poi, non è affatto decisivo che si emetta un atto di fede nel soprannaturale, esso può addirittura mancare completamente senza che per questo venga meno la religione. Siccome essa è essenzialmente un sistema di riti, ai suoi occhi l’elemento determinante è rappresentato dalla minuziosa osservanza delle cerimonie”.
L’essenziale della fede cristiana consiste nella fiduciosa risposta e nell’abbandono a Dio, che in Gesù Cristo si è avvicinato agli uomini per rivelare il Suo progetto di amore e di salvezza. La fede riconosce che all’inizio vi è l’azione amorosa e gratuita di Dio che si china sull’umanità. “Credere è accettare di essere accettati da Dio” …è percepire nel profondo della mia vita che Colui che ha creato l’universo, le stelle, la terra con tutto ciò che in essa vive...pensa a me, mi conosce e mi ama come “figlio prediletto”, mi perdona i miei innumerevoli peccati, mi dona una pace vera con me stesso e con tutti gli altri, mi offre una salvezza di vita. Nella misura in cui scopriamo la fedeltà assoluta di Dio, la nostra risposta deve essere una fede gioiosa, motivata, coinvolgente e confessante.

“Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. Lo spieghiamo con un racconto: “Il mio rabbino mi ha spesso raccontato la storia di un ebreo sfuggito con la moglie ed il figlio all’inquisizione spagnola. Era arrivato, con una piccola barca sballottata dal mare in tempesta, in prossimità di un’isola pietrosa; ma un fulmine colpì la moglie e un’onda trascinò il bambino in mare. Solo, nudo, flagellato dalla tempesta, spaventato dai tuoni e dai fulmini, i capelli al vento e le mani elevate a Dio, l’ebreo si mise ad errare sulle rocce dell’isola deserta dicendo: “Dio d’Israele sono finito; ebbene proprio ora non Ti posso più servire se non liberamente. Voglio compiere i Tuoi comandamenti e santificare il Tuo Nome perchè non ho altro da fare. Ma Tu, Tu hai fatto di tutto perché io non creda più in Te! Potevi pensare di riuscire a tagliarmi la strada? Bene, Te lo dico, mio Dio e Dio dei miei padri, no, Tu non ci riuscirai. Puoi colpirmi, puoi prendere i miei beni, quello che mi è più caro al mondo, puoi torturarmi a morte: crederò sempre in Te, Ti amerò sempre, tuo malgrado!”.
Dobbiamo, come Abramo, Mosè, Giobbe…, rischiare di entrare nell’oscurità del mistero, con la fiducia che Dio riuscirà a dare senso anche a ciò che ai nostri occhi è sconcertante. Mistero di Dio e fede dell’uomo alla fine si intrecciano in un nodo di luce.

(Continueremo la nostra riflessione a metà settimana su quest’ultimo argomento con il tema: “Il senso del dovere”)