sabato 30 luglio 2011

265 - GESÙ VIDE UNA GRANDE FOLLA E NE SENTÌ COMPASSIONE - 31 Luglio 2011 – Domenica XVIIIª Tempo Ordinario - (Is 55,1-3 Rm 8,35.37-39 Mt 14,13-21)

Ai grandi problemi umani, anche oggi assillanti, Gesù non chiede soluzioni che sono sproporzionate rispetto alle nostre forze e possibilità. Ci chiede di accettare la nostra condizione di creature e il nostro limite, ma nonostante ciò di condividere con i più sprovveduti quel poco che abbiamo.
La folla che si pone in ricerca ha bisogno di incontrare il volto di un uomo che non risponda alle domande solo perché «è il suo mestiere». La folla ha bisogno del «miracolo di Dio», della presenza del Figlio del Padre, per poter trovare il volto della compassione, della gratuità dell’amore.
Proprio di fronte all’offerta gratuita del banchetto imbandito da Dio (l’Eucarestia domenicale) la nostra libertà è sollecitata a dare il suo assenso e a mettere a disposizione per la condivisione i propri “cinque pani e due pesci”. La condivisione non è una condizione per la partecipazione al banchetto, ma è la conseguenza della partecipazione al banchetto. Come dice un Padre della Chiesa, noi non possiamo condividere il Pane di vita-Cristo e poi restare estranei l’uno dall’altro nei beni della mensa familiare e quotidiana. Come Dio dona totalmente suo Figlio per saziare la nostra fame di verità e di amore, così anche noi dobbiamo sapere condividere ciò che siamo e ciò che abbiamo con i fratelli a noi vicini e con quelli lontani.
Ancora ai giorni nostri non è raro trovare uomini e donne che cercano disperatamente la consolazione alle proprie angosce, investendo grandi quantità di danaro e rivolgendosi a persone che si professano ‘profeti’ diagnosticando ‘malocchi’, oppure prevedendo il futuro a partire dalla lettura di ‘carte’ e di ‘mani’. Il mistero cristiano, per contro, offre invece gratuitamente libertà, gioia e speranza nella fonte vera della consolazione, che è il Signore Gesù: tale proposta gratuita molto spesso non annienta la croce, ma aiuta a viverla e a darle un senso alla luce di Gesù che, come dice la lettera agli Ebrei, viene esaudito – e quindi vince la sua prova – affidandosi a Dio stesso.
Preghiera - Tu hai compassione della folla della gente che ti ha cercato, della gente che ti ha seguito, della gente che ti ascolta e ti porta i suoi malati perché tu li guarisca, della gente che non si preoccupa neppure più del pane pur di stare con te. Per questo, Gesù, offri loro un segno destinato a nutrire non solo i loro corpi, ma anche la loro speranza. Spezzi per loro quel poco che ti viene messo tra le mani, cinque pani e due pesci, e li fai mangiare a sazietà.
Signore Gesù, desta nel mio cuore una compassione autentica per tutti quelli che provano il desiderio di Dio, per tutti quelli che si mettono in cammino per trovare un senso alla loro vita, per quanti non sopportano più di percorrere le strade del mondo
disorientati e smarriti.
Signore Gesù, insegnami a spezzare con loro quel poco che ho tra le mani: il mio tempo, le mie risorse, quello che tu mi hai affidato. E a offrire il tuo Pane, l’unico cibo che può saziare la nostra esistenza.

martedì 26 luglio 2011

264 - I DODICI PASSI DEL PERDONO - Settima giornata

1) Perdonare fa bene prima di tutto a chi lo dona! “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo la spada? … Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a Colui che ci ha amati” (Romani 8,35.37)
2) Perdonare è quindi un diritto di chi è stato offeso prima di essere un dovere cristiano! “Vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione” (Luca 15,7).
3) Distinguere sempre il peccato (azione) dal peccatore (persona). “La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il sangue, ma contro i principati e le potenze, contro i dominatori di questo mondo, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti” (Efesini 6,12).
4) Togliere la trave dal proprio occhio per vedere con più verità la vita degli altri. “Togli prima la trave del tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del fratello” (Matteo 7,5).
5) Confrontare i debiti che gli altri hanno con noi (100 denari = 100 giornate lavorative) con i debiti che noi abbiamo con Dio (10.000 talenti = 60.000.000 di giornate lavorative … 2.000 anni di storia fanno 730.000 giornate circa!!! Cfr. Matteo 18,21-35 la parabola del servo spietato – quarta giornata).
6) Non giudicare mai le persone. “Non giudicate, per non essere giudicati; perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi” (Matteo 7,1s).
7) Cercare sempre di giustificare gli sbagli altrui. “Se voi perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi” (Matteo 6,14).
8) Dare fiducia alle persone come Dio sempre la dà a noi. "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori" (Matteo 9,12s).
9) Accogliere e pregare per chi sbaglia. “Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano” (Matteo 5,43s).
10) Portare con gli altri il peso dei loro sbagli. “Siate tutti concordi, partecipi delle gioie e dei dolori degli altri, animati da affetto fraterno, misericordiosi, umili. Non rendete male per male né ingiuria per ingiuria, ma rispondete augurando il bene … Se poi doveste soffrire per la giustizia, beati voi!” (1ª Pietro 3,8-9.14).
11) Caricarsi del peso degli sbagli altrui. “Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?” Quello rispose: “Chi ha avuto compassione di lui”. Gesù gli disse: “Va’ e anche tu fa’ così” (Luca 10,25-37 - parabola del buon samaritano – sesta giornata).
12) Pagare volontariamente con la propria vita gli sbagli degli altri. “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (Luca 6,36).

263 - IL PERDONO NEL VANGELO - Sesta giornata

La parabola del buon samaritano – Luca 10,25-37
Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: "Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?". Gesù gli disse: "Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?". Costui rispose: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso". E Gesù: "Hai risposto bene; fà questo e vivrai". Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: "E chi è il mio prossimo?". Gesù riprese:"Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?". Quegli rispose: "Chi ha avuto compassione di lui". Gesù gli disse: "Và e anche tu fà lo stesso".

Gesù perdona una donna adultera – Giovanni 8,1-12
Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava.
Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: "Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?". Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei". E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: "Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?". Ed essa rispose: "Nessuno, Signore". E Gesù le disse: "Neanch'io ti condanno; và e d'ora in poi non peccare più".
Di nuovo Gesù parlò loro: "Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita".

Insegnamento sul puro e sull’impuro – Marco 7,14-23
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: "Ascoltatemi tutti e intendete bene: non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo".
Quando entrò in una casa lontano dalla folla, i discepoli lo interrogarono sul significato di quella parabola. E disse loro: "Siete anche voi così privi di intelletto? Non capite che tutto ciò che entra nell'uomo dal di fuori non può contaminarlo, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va a finire nella fogna?". Dichiarava così mondi tutti gli alimenti. Quindi soggiunse: "Ciò che esce dall'uomo, questo sì contamina l'uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo”.

262 - IL PERDONO NEL VANGELO - Quinta giornata

Le parabole della Misericordia Divina – Luca 15,1-32
Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: "Costui riceve i peccatori e mangia con loro".
Allora egli disse loro questa parabola: "Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.
O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta. Così, vi dico, c'è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte".
Disse ancora: "Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre.
Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato".

261 - IL PERDONO NEL VANGELO - Quarta giornata

Correzione fraterna e parabola del servo spietato – Matteo 18,15-35
Se il tuo fratello commette una colpa, và e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all'assemblea; e se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano. In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo.
In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro".
Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: "Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?". E Gesù gli rispose: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette. A proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello".

Il Padre nostro – Matteo 6,9-14
Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male.
Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.

La nuova giustizia – Matteo 5,20-24.38-48
Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna.
Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare e và prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono…
Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. Dà a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle.
Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.

Gesù mangia con i peccatori – Matteo 9,10-13
Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli. Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: "Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?". Gesù li udì e disse: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori".

260 - IL PERDONO - Terza giornata

(da Il rifugio di W. Paul Young - BUR Rizzoli)
(Terza parte) - Mack sentì che Pa si sedeva per terra, accanto a lui, ma continuò a tenere gli occhi bassi. Le braccia di Pa lo strinsero, e lui cominciò a piangere. “Sfogati” sussurrò Pa, e lui non se lo fece ripetere. Chiuse gli occhi, senza cercare di trattenere le lacrime. I ricordi di Missy gli invasero la mente; libri da colorare, pastelli, un abitino rosso strappato. Pianse finché non sentì di avere sciolto tutta l’oscurità, tutta la nostalgia e il senso di perdita, finché non restò più niente.
Con gli occhi chiusi, dondolando davanti e indietro, supplicava: “Aiutami, Pa. Aiutami! Cosa devo fare? Come faccio a perdonarlo?”
“Diglielo”.
Mack alzò lo sguardo, quasi aspettandosi di trovarsi davanti un uomo che non aveva mai visto, ma non c’era nessuno.
“Come, Pa?”
“Dillo ad alta voce. C’è grande potere, nelle dichiarazioni dei miei figli”.
Mack iniziò a bisbigliare, dapprima meccanicamente, poi con sempre maggiore convinzione. “Ti perdono. Ti perdono. Ti perdono”.
Pa lo strinse a sé. “Mackenzie, sei una tale gioia”.
Quando Mack riuscì a ricomporsi, Pa allungò una pezza umida perché si rinfrescasse il viso. Poi si alzò, su gambe malferme.
“Caspita!” disse, la voce rotta, cercando inutilmente parole per descrivere il viaggio emotivo appena compiuto. Si sentiva vivo. Restituì a Pa la pezza e chiese: “Allora non è sbagliato, che io ce l’abbia ancora con lui?”.
Pa rispose subito: “Ma certo! Ciò che ha fatto è terribile. Ha procurato immenso dolore a molti. Ha sbagliato, e la rabbia è la reazione giusta a un torto così terribile. Ma non lasciare che rabbia, dolore e senso di perdita ti impediscano di perdonarlo e di togliere le mani dal suo collo”.
Poi sollevò lo zaino e se lo rimise in spalla. “Figliolo, forse dovrai dichiarare il tuo perdono cento volte il primo giorno, e il secondo, ma al terzo saranno già meno, e con il tempo ti renderai conto di aver pian piano perdonato completamente. E un giorno ti scoprirai a pregare per il suo benessere e ad affidarlo a me, perché il mio amore bruci in lui ogni vestigia di corruzione. Per quanto in questo momento ti sembri incomprensibile, forse un giorno conoscerai quest’uomo sotto una luce del tutto nuova”.
Mack fece una smorfia, ma per quanto le parole di Pa gli facessero contrarre lo stomaco, nel suo cuore sapeva che rispondevano al vero. Si alzarono insieme, e Mack si avviò verso il sentiero, per tornare da dove erano venuti …”Grazie” fu tutto ciò che riuscì a dire a Pa, mentre gli occhi gli si riempivano nuovamente di lacrime. “Odio fare così … piangere, biascicare come un idiota, tutte queste lacrime …” si lamentò.
“Oh, piccolo” disse Pa, teneramente. “Non sminuire mai le meraviglie delle tue lacrime. Sono acque guaritrici e sorgente di gioia. A volte sono le parole migliori cher il cuore possa pronunciare.”
Mack fece un passo indietro e lo guardò negli occhi. Non aveva mai fissato tanta pura bontà d’animo, tanto amore, speranza e gioia vitale. “Ma tu hai promesso che un giorno non ci saranno più lacrime, giusto? Non sai come aspetto quel momento.”
Pa sorrise, gli sfiorò il viso con il dorso delle dita e gli asciugò le gote dal pianto. “Mackenzie, questo mondo è pieno di lacrime, ma se ricordi bene ho promesso che sarei stato io ad asciugartele”.

259 - IL PERDONO - Seconda giornata

(da Il rifugio di W. Paul Young - BUR Rizzoli)
(Seconda parte) - “Io voglio che tu ci riesca. Il perdono è prima per te, che lo amministri” rispose Pa, “per liberarti da qualcosa che potrebbe divorarti dall’interno; può distruggere la tua gioia e la tua capacità di amare pienamente e incondizionatamente. Credi che a quest’uomo importi del dolore e del tormento che hai sopportato? Forse quella consapevolezza gli fa addirittura piacere. Non vuoi che tutto questo finisca? Perdonandolo, lo libererai da un fardello che forse nemmeno sa di portare. Quando decidi di perdonare qualcuno, lo stai amando nel modo giusto.”
“Ma io non lo amo”.
“Non ora, no. Ma io sì, Mack, non per ciò che è diventato, ma per il bambino ferito che è stato reso mostruoso dal dolore. Voglio che tu abbracci la parte di te che trova più forza nell’amore e nel perdono che nell’odio.”
“Quindi vuoi dire” disse Mack, nuovamente seccato dalla piega che aveva preso il discorso, “che se io perdono quest’uomo, potrei lasciarlo giocare con Kate, l’altra mia figlia, o con la mia prima nipotina?”
“Mackenzie” disse Pa, con risolutezza. “Ti ho già spiegato che il perdono non crea un rapporto. A meno che le persone non dicano la verità su ciò che hanno fatto e cambino il loro modo di pensare e i loro comportamenti, non può stabilirsi un rapporto di fiducia. Quando perdoni qualcuno lo liberi dal giudizio, ma senza un vero cambiamento … un vero rapporto non è possibile”.
“Quindi il perdono non mi impone di fingere che non sia successo niente?”
“Come potresti? Ieri hai perdonato tuo padre. Dimenticherai mai cosa ti ha fatto?”
“Non credo”.
“ Ma ora puoi amarlo, nonostante tutto. Il suo cambiamento te lo consente. Il perdono non ti impone di fidarti della persona che perdoni. Ma se alla fine confessa e si pente, scoprirai nel tuo cuore un miracolo che ti consente di iniziare a costruire tra voi un ponte di riconciliazione. E a volte – anche se ora questo può sembrarti inconcepibile – quel ponte può addirittura ripristinare completamente la tua fiducia in quella persona.”
Mack si lasciò scivolare a terra e appoggiò la schiena alla roccia sulla quale era stato seduto. Guardò per terra. “Pa, credo di capire quello che vuoi comunicarmi, ma mi sembra che se lo perdono lui sarà libero dalla sua colpa. Come posso scusare ciò che ha fatto? Se non continuo a odiarlo, ho la sensazione di fare un torto a Missy.”
“Mackenzie, il perdono non giustifica nulla. Credimi, quest’uomo è tutt’altro che libero. Tu non hai il dovere di fare giustizia, in questa vicenda. Di questo mi occuperò io. Quanto a Missy, lei lo ha già perdonato”.
“Davvero?” Mack non alzò nemmeno lo sguardo. “Come può averlo fatto?”
“Per via della mia presenza in lei. Solo così il perdono è possibile.” (continua)

258 - IL PERDONO - Prima giornata

(da Il rifugio di W. Paul Young - BUR Rizzoli)
(Prima parte) - “Pa, come posso perdonare il mostro che ha ucciso mia figlia Missy di 5 anni e mezzo? Se fosse qui davanti a me, ora, non so cosa farei. So che non è giusto, ma voglio che soffra come ha fatto soffrire me … se non posso avere giustizia, voglio almeno vendetta”.
Pa lasciò che quel torrente di rancore uscisse e attese che l’ondata si placasse.
“ Mack, se perdonerai quest’uomo lo libererai, e mi permetterai di redimerlo.” “Redimerlo?” Mack fu avvinto dalle fiamme della rabbia e del dolore. “Non voglio redimerlo! Voglio fargli male, punirlo, regalarlo all’inferno …”
Non fu in grado di completare la frase. Pa attese che le emozioni si calmassero. “Sono bloccato, Pa. Non posso dimenticare quello che ha fatto, lo capisci?” implorò Mack.
“Il perdono non ha a che vedere con il dimenticare. Significa piuttosto smettere di stringere alla gola un’altra persona”.
“Ma io credevo che tu dimenticassi i nostri peccati!”
“Mack, io sono Dio. Non dimentico niente. So tutto. Dimenticare, per me, significherebbe limitarmi, figliolo,” disse Pa, poi tacque, così Mack dovette alzare la testa e fissare quei suoi profondi occhi castani. “Grazie a Gesù, non esiste più la legge che richiede che io ti ricordi i tuoi peccati. Tra noi, essi non contano, e non interferiscono nella nostra relazione.”
“Ma quest’uomo …”
“Anche lui è mio figlio. Voglio redimerlo.”
“E poi? Io lo perdono, le cose si aggiustano, e diventiamo amici?” chiese Mack, a bassa voce, ma in tono sarcastico.
“Tu non hai alcun rapporto con lui, almeno non ancora. Il perdono non crea una relazione. In Gesù, io ho perdonato tutti gli uomini per i loro peccati contro di me, ma solo alcuni di loro scelgono di rapportarsi a me. Mackenzie, non capisci che il perdono è una cosa incredibile … un potere che condividi con noi, che Gesù concede a tutti coloro in cui lui vive, per consentire la crescita della riconciliazione? Quando Gesù ha perdonato gli uomini che lo hanno inchiodato alla croce, essi non sono più stati in debito con lui, né con me. Nel mio rapporto con quegli uomini, io non ricorderò mai loro ciò che hanno fatto, non li farò vergognare, non li farò sentire in colpa”.
“Non credo di esserne capace” disse Mack, in un sospiro. (continua)

sabato 23 luglio 2011

257 - IL VALORE INESTIMABILE DEL REGNO DI DIO - 24 Luglio 2011 – Domenica XVIIª Tempo Ordinario -(1°Re 3,5.7-121 Romani 8,28-30 Matteo 13,44-52)

Il Regno di Dio, inteso come la relazione profonda che Dio stabilisce con noi e che trasforma la nostra esistenza, è il tesoro più prezioso che possiamo scoprire, la perla che vale la più accurata ricerca. Una religiosità puramente esteriore o ipocrita ne svuota radicalmente il significato. Più che mai abbiamo bisogno di interiorità seria.
Ma quali sono considerati i veri tesori nella vita di una persona? Forse la salute, il lavoro, la famiglia, una vita tranquilla senza grandi turbamenti?Forse è un luogo comune, però è diffuso nella mentalità; frasi come: «Quando c’è la salute c’è tutto», indicano valori ritenuti importanti se non addirittura essenziali. Il vangelo cammina in altra direzione quando individua il tesoro più grande nel regno di Dio accolto nella vita. Si dovrebbe allora dire che chi invoca presso Dio, per esempio, la salute come il dono più importante, non ha centrato il cuore del messaggio evangelico? Sembra proprio di sì, se prendiamo sul serio le letture bibliche di oggi e il primato valoriale/esistenziale che propongono: per la prima lettura non esiste nulla di più grande che la sapienza; per la seconda è il disegno di Dio che si concretizza nella chiamata; per il vangelo è il regno di Dio.
Dovremmo fare tutti un serio esame di coscienza e verificare che cosa conti davvero nella nostra vita: qual è il bene che riteniamo veramente il più grande? che cosa è veramente essenziale nella nostra vita? di che cosa non potremmo fare a meno? che cosa domandiamo al Signore? forse talvolta le logiche umane sono anteposte alla sapienza che viene da Dio, alla sua chiamata, al suo Regno? Urge un vero impegno per accogliere e attuare il regno di Dio, per cui è necessario investire ogni energia.
La passione per il Regno abbraccia diverse situazioni di vita.
Il vangelo precisa le differenze tra i protagonisti delle prime due parabole: l’uomo che trova il tesoro nel campo è probabilmente un bracciante agricolo, certamente povero; invece l’altro è un mercante di perle preziose, un uomo ricco, proprietario di negozi di gioielli. Questa diversità dice che il cammino verso il regno di Dio è differenziato e si adatta a persone diverse; ciò che le accomuna è che, una volta trovato ciò che è prezioso, investono tutte le loro sostanze per entrarne in possesso. Sono diversi i cammini per il Regno, diverse le strade che conducono al Cristo, come diverse sono le situazioni in cui ci si può trovare o da cui si può partire, ma questo percorso è possibile per tutti, nessuno ne è escluso.
La conclusione delle parabole parla dello scriba discepolo di Gesù che è come «un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche». L’evangelista intende mostrare come «la novità del messaggio di Gesù venga cercata fino dai suoi anticipi, abbozzati dall’Antico Testamento ». È la novità perenne del vangelo del Regno, valido per tutti i tempi, per cui la fede di ieri è giovane anche oggi e ha qualcosa da dire anche all’uomo contemporaneo. Ci sono cose nuove e cose antiche, ma il tesoro e la perla preziosa soddisfano la sete di verità e di realizzazione che alberga nel cuore dell’uomo d’oggi, come nel cuore dell’uomo di ogni tempo.
Preghiera - Ci sono momenti decisivi in cui si gioca tutta la nostra esistenza: è allora che bisogna essere pronti a perdere ogni cosa pur di assicurarsi ciò che conta veramente, la nostra partecipazione alla tua pienezza, al tuo Regno.
Nessun rimpianto, in quel frangente, per quello che si lascia, per quello che si deve necessariamente abbandonare, ma piuttosto la gioia di entrare in una condizione nuova, al di là di ogni nostro sogno e desiderio.
Ecco perché, Gesù, quello che appare come un gesto sconsiderato è invece segno di grande saggezza. Che importa se occorre vendere tutti i propri averi pur di garantirsi
il possesso di quel campo? In esso c’è un tesoro inestimabile! Che importa se si è obbligati a disfarsi di ogni proprietà pur di arrivare ad avere quella perla di valore smisurato? La sua bellezza e il suo valore ci ricompensa di tutto quello che si è sacrificato! Pur di entrare nel tuo Regno, Gesù, pur di condividere la tua gioia, io sono pronto a disfarmi di ogni cosa.

256 - SENAPE E LIEVITO OVVERO PRESENZA SICURA E DISCRETA DEL REGNO

Per una pausa spirituale durante la XVIª settimana

Le due brevissime, deliziose parabole del granello di senape e del lievito suggeriscono lo stile della presenza del regno di Dio nel mondo. È una presenza che cresce: all’inizio minuscola, quasi invisibile, ma poi diventa un segno importante e un punto di riferimento per tanti. È una presenza discreta, che non si impone, ma che indica una direzione verso il cielo che dà valore al senso della vita umana. È una presenza di animazione del mondo che non costringe la libertà di alcuno, ma pone nei
sentieri della storia umana quei semi di Dio che portano frutto, anche se a volte in modo misterioso o invisibile.
Chiaramente nessuno identifica il regno di Dio con la Chiesa, ma questa ne vuole essere un segno, secondo la missione che Dio stesso le affida. Le intercessioni della preghiera eucaristica V evocano più volte questo aspetto della missione del popolo
di Dio: «La tua Chiesa sia testimonianza viva di verità e di libertà, di giustizia e di pace, perché tutti gli uomini si aprano alla speranza di un mondo nuovo» (V/c); «In un mondo lacerato da discordie la tua Chiesa risplenda segno profetico di unità e di
pace» (V/d).
Con quale stile la Chiesa potrà e dovrà essere presente nel mondo per rispondere alla sua vocazione di segno del regno di Dio in mezzo agli uomini? La storia offre risposte differenziate mostrando una pluralità di stili di tale presenza secondo le epoche o le diverse sensibilità ecclesiali. Anche nel nostro tempo si riscontrano simili differenze che si incarnano in questo o quell’altro movimento o associazione ecclesiale e che risalgono a varie sensibilità esistenti anche nel magistero. Se qualche decennio fa si invocava una presenza ispirata al lievito, dove i cristiani nel mondo erano animatori della vita sociale portandovi le istanze evangeliche magari nel nascondimento, attualmente sembra più in voga lo stile di una presenza visibile nella società, riconducibile all’immagine del grande albero della parabola, che si traduca anche in strutture sociali, economiche, se non addirittura politiche e sindacali.
Ogni sensibilità ha ovviamente legittimità di esistere e trovare, per ogni tempo e ogni luogo, la più adeguata modalità di azione al fine di portare i semi del vangelo nel mondo; nessuno avrà la pretesa di essere ‘il Regno’, ma di porsi ‘al servizio del Regno’, rispettando la libertà di ogni persona perché Dio sia presente nella storia umana. Tutti comunque avranno il comune desiderio di essere fedeli alla parola del Signore..

255 - GRANO BUONO E ZIZZANIA OVVERO REALISMO E PERSEVERANZA INVECE CHE PESSIMISMO O SANTO ZELO

Per una pausa spirituale durante la XVIª settimana

La parabola del buon grano e della zizzania apre una finestra sulla storia del mondo, anzi su ogni pagina della storia del mondo, compresa quella attuale. Essa ci insegna quel necessario realismo, antidoto per atteggiamenti poco produttivi, che permette di guardare alla realtà con le sue grandezze e miserie. Al di là della cronaca dei fatti quotidiani o degli eventi epocali, una costante di ogni tempo è che sempre troviamo grano e zizzania che convivono, bene e male, segni di speranza e segni di declino, gesti che edificano la società umana e gesti che la minacciano nei fondamenti essenziali.
Che fare davanti a questa realtà? Il vangelo ci assicura che sarà sempre così e che le due opposte tendenze convivranno finché durerà il nostro mondo. Questo realismo preserva da quegli atteggiamenti poco produttivi che oscillano tra il pessimismo
e il santo zelo. Il pessimismo porta a dire che il male regna nel mondo e che non c’è speranza di alcuna ripresa, chiudendosi così nella rassegnazione. Il santo zelo è quello rappresentato dai servi della parabola, che vorrebbero estirpare la zizzania: non si concepisce che il male e il bene possano, anzi debbano convivere e quindi si desidera la società dei puri e dei senza macchia. La Chiesa non ha mai ceduto a questa tentazione che a più riprese si è affacciata nella storia (per esempio il movimento ereticale dei catari), ma ha accolto l’insegnamento del Signore secondo
cui i puri e gli empi stanno nel mondo gli uni accanto agli altri.
Il realismo evangelico porta anzitutto all’accettazione di questa realtà e sollecita la perseveranza nella logica del Regno, indica chiaramente da che parte stare e invita a essere, nella storia del mondo, il buon grano.
La parabola ci consente di prendere la lente d’ingrandimento e di zoomare sulla nostra storia, sulla vita di ciascuno di noi. Anche qui il buon grano e la zizzania convivono, anche dentro di noi riscontriamo il male e il bene, spesso con sofferenza per ciò che vorremmo attuare e ciò che non riusciamo a evitare. È l’esperienza che Paolo con acume sintetizza quando riconosce: «Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. […] Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me» (Rm 7,19.21). Anche questa è una realtà da accettare senza rassegnazione, ma col desiderio della perseveranza nella parola di Dio. Le due forze del bene e del male non stanno solo dentro di noi, ma si esprimono anche nei
fatti, da quelli quotidiani sino alle scelte di vita, dove comunque l’opzione fondamentale di seguire il Signore è quella che, per un cristiano, è predominante e dà l’indirizzo all’intera esistenza.
Come agisce Dio davanti a questa realtà ambivalente? Egli non è all’origine del male (Sap 2,24: «Per l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo e ne fanno esperienza coloro che le appartengono»), ma attende che i suoi figli si accostino a lui prima del giudizio definitivo; allora sì, nel giudizio finale, egli dividerà il buon grano dalla zizzania. Dio rispetta la libertà dell’uomo, per questo sa attendere e accogliere chi a lui ritorna.
Il libro della Sapienza ricorda la possibilità di scegliere ogni giorno della vita tra il bene e il male, poiché Dio sospende il giudizio, comprende e rispetta il cammino di ogni uomo: «Hai dato ai tuoi figli la buona speranza che, dopo i peccati, tu concedi il
pentimento» (12,19).
Gesù tuttavia non intende deresponsabilizzare i suoi discepoli invocando un perdono che giunge sempre e comunque, ma la parabola è un forte richiamo a non seguire la zizzania seminata dal maligno, per stare invece dalla parte del buon grano. L’appello
finale: «Chi ha orecchi, ascolti», risuona come un invito urgente a scegliere per il Regno, sapendo che se Dio attende e tiene conto della libertà dell’uomo, tuttavia si giungerà al giudizio finale, al momento promesso della separazione tra i figli del Regno e i seguaci del maligno. Sarà un momento di verifica di tutta la storia dell’umanità davanti a Cristo re e giudice dell’universo e un momento di verifica della storia di ogni singola persona. Senza riesumare toni apocalittici a proposito di salvezza o dannazione eterna, non è comunque da tacere il richiamo alla realtà del giudizio.

sabato 16 luglio 2011

254 - IL REGNO DI DIO NEL TEMPO DELLA CHIESA - 17 Luglio 2011 – Domenica XVIª Tempo Ordinario (Sapienza 12,13.16-19 Romani 8,26-27 Matteo 13,24-43)

Le letture di oggi ci parlano della pazienza di Dio: nonostante la presenza del male nella realtà umana Dio attende che il bene seminato porti il suo frutto. In questo senso, dunque, la parabola del grano che cresce insieme con la zizzania fa riflettere anche sulla nostra personale responsabilità. La pazienza di Dio è comunque fonte di fiducia.
La liturgia della Parola odierna ci invita ad abbandonare gli schemi di pensiero consueti per assumere i pensieri di Dio, che sovrastano i nostri come il cielo sovrasta la terra (cfr. Isaia 55,8s). Quante volte, vedendo il male restare impunito, ci siamo chiesti dov’è la giustizia di Dio! Quante volte il sorgere di assurde difficoltà nelle nostre iniziative meglio intenzionate ci ha fatto esclamare: “Fino a quando …?”! Ecco la Parola oggi ci mostra la pazienza di Dio e ci aiuta a comprendere meglio la realtà del suo Regno. Per noi è forte ciò che vince ogni opposizione, ciò che ha successo ed ha sicurezza. Per Dio la forza sta nell’amore; fino al punto che l’Onnipotente è, per così dire, ‘Onni-paziente’. Egli attende, ancora e sempre, il pentimento di ciascuno dei suoi figli: per questo la porta della casa paterna rimane aperta per tutti fino al giorno definitivo. Anzi Egli non si limita ad attendere, ci viene incontro facendosi debole con i deboli per condurre l’umanità verso la piena redenzione, verso la creazione nuova, verso il compimento del Regno.
Attraverso la croce di Cristo ed i gemiti dello Spirito Santo che abita in noi, il Padre Accompagna, sostiene, sollecita il pellegrinaggio dell’uomo nella storia. Il nemico che ci ostacolerà, ma non potrà impedire il disegno di Dio. Sta a noi, però, affrettarne la realizzazione. Come? Appunto facendo nostro, nelle situazioni concrete, il modo di agire divino; sospendiamo perciò ogni giudizio inesorabile di condanna, ogni zelo intempestivo di sradicare il male con la forza. Impariamo piuttosto a cogliere nelle realtà più umili ed insignificanti le grandi occasioni di carità che ci sono offerte. Allora il tempo degli uomini sarà tutto lievitato dall’amore di Dio; allora il Regno dei cieli crescerà a dismisura nella nostra storia; allora il gemito dello Spirito Santo diverrà canto di lode prorompente da ogni creatura.
Preghiera - Abbiamo fretta, Gesù, una fretta dannata: fretta di separare, di dividere,
fretta di giudicare, di condannare, fretta di dichiarare da che parte sta il bene e da che parte sta il male.
Abbiamo risposte nette per ogni tipo di problema e soprattutto smerciamo le nostre presunte sicurezze come un’applicazione fedele della tua volontà, della tua parola. Fa uno strano effetto oggi la nostra fretta abituale di fronte alla pazienza di Dio, alla sua misericordia, alla sua ritrosia ad accettare la proposta di eliminare subito la zizzania, separandola dal buon grano.
Non è senz’altro incertezza la sua e neppure acquiescenza alle opere del male. È piuttosto l’atteggiamento di chi ha fiducia nella forza del bene, anche se questo appare terribilmente fragile, come un granello di senape sepolto nella terra, come un po’ di lievito disperso nella pasta. Donaci, Gesù, lo stesso sguardo benevolo e saggio del Padre tuo e donaci la sua pazienza, colma d’amore.

253 - DIO SEMINA CONTINUAMENTE … Per una pausa spirituale a metà della XVª settimana

Continuiamo la nostra riflessione sull’immagine del seminatore. Se fosse un contadino reale, quello della parabola sarebbe quantomeno imprudente a voler seminare in qualsiasi tipo di terreno, addirittura tra le pietre o sulla strada. Ma il Dio seminatore getta i suoi semi dappertutto, perché ha fiducia e scommette che anche l’aridità possa diventare feconda.
Prima ancora che puntare l’attenzione sul terreno, l’attenzione va posta sul contadino che si appresta per la semina: egli non si preoccupa di selezionare prima i destinatari della sua opera, ma vuole rimandare la sua valutazione a partire dai frutti. Fuor di metafora: Dio dimostra ancora una volta di ragionare ‘da Dio’ per la fiducia che ripone in noi uomini, per la lungimiranza che nella sua onniscienza coglie il mistero di una vita, di una libertà che potrà dire sì o no, che potrà rispondere all’invito o invece rifiutare, che potrà accogliere la Parola in tempi e modi umanamente non prevedibili o comprensibili.
Se la parabola evangelica mostra il seminatore che non sceglie prima il terreno è perché Dio fa udire la sua voce nella varietà di modi e tempi che il suo disegno provvidente dispone; fa udire la sua voce a prescindere dalla risposta che ne seguirà; fa udire la sua voce perché, come la pioggia e la neve, sa che non ritornerà senza effetto. Ecco l’immagine di Dio che scaturisce dalla parabola, per noi di grande incoraggiamento: un Padre che ripone la fiducia nei figli, anche quando fosse umanamente azzardata; un Padre che ha la speranza che la Parola donata potrà portare prima o poi frutto, ora nella fecondità del trenta, ora del sessanta, ora del cento per uno; un Padre che non si stanca di seminare, che sa aspettare, proprio come il Padre misericordioso dell’altra parabola che attende amorevolmente il ritorno del proprio figlio, perché i tempi umani non sono il tempo di Dio.
Beati i vostri orecchi perché ascoltano. Dopo aver contemplato l’immagine del Dio seminatore, ora va sollecitato il terreno perché accolga la Parola che viene seminata. La beatitudine che titola questo paragrafo è simmetrica, nel brano evangelico, alla drammatica possibilità che risiede nella libertà umana di chiudersi alla voce di Dio: «Guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono». È il cuore indurito e insensibile, che ritiene di non aver bisogno di quella Parola che illumina la vita, che pensa di ascoltarla ma poi la addomestica a proprio uso e consumo, che ne apprezza il valore ma poi non sa compiere quelle scelte più decise e radicali che essa richiede. È un cuore a volte più superbo che distratto, che pensa di bastare a se stesso e di poter decidere del proprio destino senza Dio; forse un cuore legato a questa o quella pratica religiosa, ma in fondo radicalmente autosufficiente. È severa la profezia di Isaia che Gesù cita: quel cuore insensibile non vede, non ascolta, non comprende e non si converte, così che Dio, rispettando la sua libertà, non può salvarlo.
Gli occhi che vedono e gli orecchi che ascoltano, destinatari della beatitudine di Gesù, sono invece coloro che accolgono la Parola perché sanno di averne bisogno, perché sono coscienti di non potersi salvare da soli, perché sperimentano che in quell’ascolto c’è la piena realizzazione della loro vita. Sarebbe improprio e un po’ manicheo ritenere che alcuni rappresentino il terreno buono e altri quello infecondo, in quanto ciascuno di noi è insieme e l’uno e l’altro nelle varie situazioni di vita. Non è difficile riconoscersi in tutti i tipi di terreno che la parabola descrive: nella strada che si espone alle tentazioni che allontanano da Dio; nel campo sassoso che non ha la perseveranza di affidarsi a lui nella prova; nei rovi degli inganni che promettono gioia e realizzazione e invece producono solo amarezza; infine nel terreno fecondo di chi accoglie Dio nella fede e porta frutto, di chi pur nella prova sperimenta la gioia che la Parola produce. A questo punto si possono richiamare le varie modalità di ascolto della parola di Dio e di lettura della Bibbia: da quella liturgica a quella personale, dalla lectio divina comunitaria allo studio biblico per tutti i fedeli.
I frutti della semina. Nell’ottica pastorale ed educativa ci si può legittimamente attendere di trovare il frutto dei semi gettati. È spesso questo il desiderio, se non l’apprensione, di genitori e catechisti quando desiderano vedere in tempi più o meno brevi i risultati della propria azione formativa. Ma il Dio seminatore sa attendere con fiducia il frutto e manda il seme della sua Parola gratuitamente e in abbondanza. Questa fiducia e capacità di attesa è propria di ogni educatore, che non ha timore di seminare, a volte contro ogni evidenza, nella coscienza che i frutti della formazione della coscienza non sono legati a logiche di profitto aziendale, ma seguono tempi che sono quelli di Dio e quelli della libertà e della maturazione umana. L’importante è non stancarsi di seminare.

sabato 9 luglio 2011

252 - IL SEME-PAROLA IN OGNI TERRENO-VITA - 10 Luglio 2011 – Domenica XVª Tempo Ordinario - (Is 55,10-11 Rom 8,18-23 Mt 13,1-23)

L’immagine del seminatore, o meglio del seme gettato su molti tipi di terreno, ci parla della nostra vita e della originalità della Parola che può operare meraviglie in noi, se lasciata agire. La parabola ispira profonda fiducia, poiché nessun terreno è privato della parola di Dio.
La recente esortazione apostolica Verbum Domini di Benedetto XVI ripropone il tema centrale della parola di Dio nella vita della Chiesa ed in un passaggio richiama il dialogo d’amore al quale Dio chiama l’uomo e in cui lo vuole suo partner. Dice il Papa al n.22: “Il mistero dell’Alleanza esprime questa relazione tra Dio che chiama con la sua Parola e l’uomo che risponde, nella chiara consapevolezza che non si tratta di un incontro tra due contraenti alla pari; ciò che noi chiamiamo Antica e Nuova Alleanza non è un atto di intesa tra due parti uguali, ma puro dono di Dio. Mediante questo dono del suo amore Egli, superando ogni distanza, ci rende veramente suoi «partner», così da realizzare il mistero nuziale dell’amore tra Cristo e la Chiesa. In questa visione ogni uomo appare come il destinatario della Parola, interpellato e chiamato ad entrare in tale dialogo d’amore con una risposta libera. Ciascuno di noi è reso così da Dio capace di ascoltare e rispondere alla divina Parola. L’uomo è creato nella Parola e vive in essa; egli non può capire se stesso se non si apre a questo dialogo. La Parola di Dio rivela la natura filiale e relazionale della nostra vita. Siamo davvero chiamati per grazia a conformarci a Cristo, il Figlio del Padre, ed essere trasformati in Lui”.
Accogliere la proposta di dialogo che il Signore instaura è l’atto della fede con cui il cristiano riconosce di non bastare a se stesso, ma di avere bisogno della Parola che chiama, illumina, nutre, dà senso, salva; riconosce che la Parola sollecita di essere
accolta e allora diventa feconda. L’azione liturgica è luogo privilegiato per questo dialogo, perché ciò che viene annunciato si realizza, diventa vivo nel sacramento che si celebra per essere attuale, storicamente attuale nella vita del cristiano. Il frutto che essa produce è ora la coerenza di vita che sa respingere ciò che è contrario al nome cristiano per seguire ciò che invece gli è proprio.

Preghiera - La tua parola, Gesù, è come un seme: un seme che scompare nella terra, un seme divorato dagli uccelli, un seme ingoiato dal frastuono, un seme destinato immediatamente a terminare la sua storia.
La tua parola, Gesù, è come un seme: spunta presto un germoglio e già fa intravedere la possibilità di un frutto, ma è un’illusione fugace perché basta poco per farlo seccare, per soffocarlo e spegnere un futuro troppo fragile.
La tua parola, Gesù, è come un seme: così piccolo da far pensare ad un raccolto striminzito, ad una spiga misera, ad un cibo insufficiente. E invece, al di là delle apparenze, questo seme può manifestare una fecondità insperata, una ricchezza imprevista, un’abbondanza che supera le più rosee aspettative.
A noi, che cerchiamo spasmodicamente un’efficacia immediata, una forza travolgente, risultati magici, tu proponi un dono dall’aspetto dimesso e modesto, ma dagli effetti smisurati.

251 - UNA LEZIONE DI VITA SULLA RISURREZIONE DI GESÙ - Per una pausa spirituale a metà della XIVª settimana

Gesù ha detto nel vangelo di domenica: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli.”(Matteo 11,25). Una storia che arriva dalla California … quella di un bambino malato terminale che dimostra come Dio dona la sapienza del cuore agli “ultimi” e alle “pietre scartate”.
JEREMY NON SA PARLARE MA VEDE CON IL CUORE1
È una di quelle storie che arrivano sulle ali del vento, con parole leggere, ma profende ed inquietanti, che provocano un sussulto di intensa commozione. Dimostrano come Dio dona la sapienza del cuore alle “pietre scartate” e agli “ultimi”. Arriva dalla California, da un’aula di seconda elementare, diciannove bambini, fra cui Jeremy, dodici anni, ferito dalla nascita nella mente e nel corpo. Non riesce a stare fermo al suo posto, sbava, emette dei grugniti, interrompe le lezioni. Ogni tanto, come se la lama di luce penetrasse nel buio della sua mente, riesce a esprimersi con parole chiare.
La maestra spesso perde la pazienza. È esasperata: non è giusto che quel ragazzino che non potrà mai imparare a leggere e a scrivere, che ha una malattia terminale, le impedisca di lavorare con serenità con gli allievi normali, di cinque anni più piccoli di lui. Convoca i genitori e chiede loro di portarlo in una scuola speciale. “Nei dintorni non ci sono queste scuole e poi per Jeremy sarebbe uno shock drammatico, a lui piace molto venire in questa classe”, dice la madre, piangendo.
Qualche giorno dopo Jeremy, zoppicando sulla gamba ammalata, si avvicina timidamente alla cattedra e con voce chiara le dice: “Ti amo, Miss Miller”. La donna colpita e commossa da quell’improvvisa esternazione, arrossisce e dice a voce alta: “Io mi lamento dei miei problemi e non penso a quelli degli altri, a quelli della famiglia di Jeremy”. Da quel giorno guarda con occhi diversi il ragazzo e cerca di essere più paziente con i suoi sguardi vuoti, con lo scompiglio che provoca.
Arriva Pasqua. Dopo aver raccontato la morte e la risurrezione di Gesù la maestra consegna ai bambini un grande uovo di plastica: “Riportatelo con dentro qualcosa che richiami il risorgere ad una vita nuova”. Tutti sono entusiasti della proposta. Soltanto Jeremy rimane in silenzio. L’indomani gli allievi ripongono le uova nella grande cesta sulla cattedra. Miss Miller comincia ad aprirle, fra l’eccitazione generale. Nel primo c’è un fiore appena sbocciato, nel secondo una farfalla di plastica, nel terzo un frammento di roccia con sopra del muschio. Il quarto uovo è vuoto. Non ha dubbi, è quello di Jeremy. Per non metterlo a disagio, non fa nessun commento.
Il ragazzino le chiede con apprensione: “Miss Miller perché non dici nulla del mio uovo? Non ti piace?”. “Jeremy, il tuo uovo è vuoto!”. “Sì, ma anche la tomba di Gesù era vuota!”. “Ma tu lo sai perché la tomba era vuota?”. “Oh, sì, maestra che lo so! Gesù fu crocifisso e posto lì., poi suo Padre lo ha risuscitato. Questo è il segno di una nuova vita!”, risponde il bambino con dolcezza.
La donna piange, sente sciogliersi i nodi che le stringono l’anima. Jeremy ha visto e detto quanto nessuno di loro aveva visto ed era riuscito a dire. Le ha insegnato che, per rinascere a nuova vita, bisogna spogliarsi di tutto. Tre mesi dopo Jeremy muore. Sulla sua bara ci sono diciannove uova tutte vuote. (Da Famiglia Cristiana 2011 n. 19 pag. 182).

sabato 2 luglio 2011

250 - VENITE A ME, VOI TUTTI CHE SIETE STANCHI E OPPRESSI - 03 Luglio 2011 – Domenica XIVª Tempo Ordinario - (Zacc. 9,9-10 Rom 8,9.11-13 Mt 11,25-30

La fede e l’umiltà di coloro che sanno farsi, davanti a Dio, piccoli e semplici,permette loro di scoprirne le tracce altrimenti invisibili. E permette altresì di fare esperienza della sua protezione e guida, di trovare in lui ristoro se stanchi e liberazione se oppressi. Per questo i ‘piccoli’ sanno anche esprimere la loro gioia di fronte ai segni di Dio, presente anche nel nostro mondo distratto.
«Venite a me…»(Matteo 11,28) Gesù si propone come nostro maestro, come colui che apre uno spazio di libertà, che ci educa a intuire un certo senso della vita. Vuole aprire la nostra vita alla serenità e alla gioia. In che modo ci educa a un nuovo modo di rapportarci con Dio e trovare serenità? Preferisce un asino al cavallo dei vincitori; sceglie lo scandalo della croce, piuttosto che la corona dei potenti; sceglie di spiegare il Regno con le storie della vita di ogni giorno, piuttosto che con dotti e profondi ragionamenti e sentenze sulla Legge di Mosè. Ascoltando Gesù, ma soprattutto guardando la sua vita noi capiamo chi è Dio. Questo è il suo modo di fare il Messia. Questo strano maestro ci fa fare a poco a poco l’apprendistato dei tempi nuovi e dell’amore a Dio e dell’amore ai fratelli.
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra…» (Matteo 11,25) a dare lode per l’opera meravigliosa compiuta nella rivelazione del Figlio. Il vangelo non sopporta dei cristiani immusoniti. La rivelazione di Dio e la rivelazione del cammino di libertà per accostarci a lui è un dono di cui si deve essere riconoscenti. Nello stesso tempo la pagina evangelica invita a vivere la beatitudine dei poveri, beatitudine che Gesù ha vissuto per primo. Questo è un cammino aperto a tutti, senza distinzioni, anche a quanti sono schiacciati dalla vita, addirittura oppressi da religiosità asfissianti. Per intraprendere questa strada non c’è bisogno di avere una superiorità intellettuale o una integrità morale scaturita da una dura lotta. Basta intessere un legame fiducioso e profondo con Gesù «mite e umile di cuore».
Preghiera - Non ti è bastato venire alla luce in un alloggio di fortuna, nel bel mezzo del censimento e di avere come culla una mangiatoia. Tutta la tua vita, Gesù, dall’inizio alla fine, reca i connotati della povertà, della semplicità e dell’umiltà.
Nulla di appariscente e straordinario nei trent’anni della tua vita a Nazaret, tanto da destare la sorpresa dei tuoi compaesani alla tua prima uscita ufficiale, alla prima dichiarazione sconcertante. E anche il tuo ministero non si avvale di un grande spiegamento di forze, di risorse consistenti, dell’appoggio di persone in vista.
Tu rifuggi dall’uso della forza, dall’esibizione del tuo potere e non ti proponi di sbaragliare i tuoi oppositori, i tuoi avversari. Preferisci essere il Messia che cavalca un asino, disposto ad offrire la tua vita piuttosto che toglierla agli altri, pronto ad essere addirittura giudicato e condannato, inchiodato ad una croce. Eppure, Gesù, è proprio così che tu hai cambiato il corso della storia e hai rivelato ai piccoli e ai poveri l’amore di Dio che raggiunge ogni creatura.

venerdì 1 luglio 2011

249 - UN SOLO PANE, UN SOLO CORPO - Per una pausa spirituale a metà della XIII settimana

Premessa - La solennità odierna trova le sue radici nella venerazionedell’Eucaristia tipica del sec. XII e successivi. Stabilita dopo le visioni mistiche di Giuliana di Liegi dal suo confessore divenuto papa Urbano IV, la festa si svilupperà dopo la pubblicazione delle Decretali (1317) e soprattutto per il suo legame con la processione, elemento popolare che vi si inserirà verso la fine del sec. XIII. Il Corpus Domini è una festa che si è sviluppata dalla pietà eucaristica medievale.
L’Eucaristia domenicale è forma della Chiesa. La comunione allo stesso pane spezzato e allo stesso calice dice che dobbiamo edificarci come corpo di Cristo; anzi, la comunione eucaristica invoca e realizza l’unità ecclesiale.
Il pasto comune, simbolo intenso. Mangiano insieme marito e moglie, i fratelli, gli amici, i colleghi di lavoro. Bevono allo stesso bicchiere solo i più intimi, si passano di mano in mano un boccone di pane solo i più vicini.
Il pane e il vino condivisi generano la comunità credente. La famiglia ecclesiale ritrova la sua unità e la edifica partecipando all’Eucaristia, lasciando che sia Cristo a unirci a lui e tra di noi. Anzi, nutrendoci dei segni sacramentali noi diventiamo il suo
corpo. Corpo vivente oggi, per la vita del mondo.
Costruire una comunità fraterna e ministeriale. Il pane e il vino che condividiamo costruiscono la nostra unità e ci spingono a diventare persone di comunione, a costruire la fraternità ecclesiale.
Potremmo chiudere la nostra riflessione sulla solennità del Corpo e del Sangue del Signore passando in rassegna le concrete situazioni di divisione che abbiamo creato o stiamo vivendo nella nostra famiglia e comunità parrocchiale. Stimoliamo i familiari ed gli amici a farsi carico dei pesi gli uni degli altri, certi che: «Per arrivare alla forza simbolica della “Cena del Signore” è indispensabile un itinerario di conversione spirituale e teologale, ossia di fede illuminata e sostenuta dallo Spirito di Dio: perché le esigenze di koinōnía non si scoprono per intuizione spontanea, ma per dono dello Spirito del Signore».
Preghiera - Padre, tu ci nutri con lo stesso pane e fai sedere alla stessa tavola i tuoi figli. Guarda alla tua Chiesa e rendila sorgente di fraternità e di pace, distruggi le sue divisioni, e vieni in nostro aiuto.
– Dio, nelle tue mani sono le speranze degli uomini e i diritti dei popoli. Guarda alla nostra nazione: dona giustizia e concordia tra i cittadini, onestà e saggezza ai governanti, e vieni in nostro aiuto.
– Dio, nella mensa che tu ci prepari, ci riconcili con te e tra noi e chiami gli uomini
alla alleanza con te. Guarda a quanti ignorano il vangelo, hanno smesso di cercarti e riempiono il vuoto lasciato dalla tua assenza con idoli vani, e vieni in nostro aiuto.
– Padre, il tuo Figlio ha dato tutta la sua vita nel pane spezzato e condiviso. Guarda alla disperazione degli affamati di questa terra, all’angoscia dei popoli in guerra, alla sofferenza dei malati, alla fragilità dei deboli, allo smarrimento dei profughi, e vieni in nostro aiuto.
– Dio, il tuo Figlio non cessa di nutrirci nel cammino della vita e sempre effonde lo Spirito di santità. Guarda a noi e alla nostra comunità, come siamo incapaci di percorrere vie di concordia e di vera comunione, come è sbiadita la nostra testimonianza evangelica, e vieni in nostro aiuto