sabato 25 settembre 2010

64 - XXVI DOMENICA – LA MORTE PERMETTE UNA LUCE DIVERSA SULLA VITA - 26 SETTEMBRE 2010

LA PAROLA DOMENICALE LETTA IN FAMIGLIA
( Amos 6.1.4-7 1° Timoteo 6,11-16 Luca 16,19-31 )

La vita del ricco epulone e del povero Lazzaro con la morte cambia totalmente.
Nella luce del Vangelo la morte non è solo una forza che travolge, ma è anche un’occasione perché essa sia l’ultimo gesto della vita. Un gesto di offerta, ultimo dei gesti di offerta, per i quali la vita non è segnata dalla disperazione che chiude in un destino, ma incontra un’apertura nella possibilità di amore e di grazia, per cui le piaghe da fonte di dolore diventano sorgenti di energie. E’ la forma feriale di risurrezione. E’ il dono di speranza che permette di non cedere alla disperazione che conduce all’eutanasia.
Questo porta a cogliere tutti i ‘più’ della vita, anzi a costruirli con la serena ironia della maturità della fede, che sa non solo accettare e pazientare, ma anche sfruttare i ‘meno’ della vita.
Questo discorso apre anche la luce sul giudizio, che ordinariamente viene visto come sentenza, mentre è “l’attuazione definitiva della storia”. Il darsi del giudizio significa che la storia è sotto il progetto, le disposizioni di Dio. E’ il giudizio di Dio che avviene sempre, ogni giorno, ad ogni biforcarsi della strada. Teilhard de Chardin ricorda che ad ogni bivio avviene un dramma: davanti alle creature sta o la via per evolversi, abbandonando quello che si è stati fino ad allora, o rifiutare il di più, il nuovo, rimanendo quello che si è stato fino ad allora (che risulta essere un meno a fronte del più offerto). Il giudizio avviene ogni momento nel quale la libertà risponde (è l’atto della responsabilità). Il peccato allora più che fare il male è “preferire di rimanere nelle nostre cose, lasciando le cose di Dio a Dio! Così avviene il giudizio e la determinazione della vita, per cui il giudizio finale, personale ed universale, è come una presa d’atto di Dio di ciò che abbiamo deciso di essere, più che una sentenza su ciò che abbiamo fatto.
Il senso del giudizio pertanto non è uno spauracchio, ma un incentivo a quel di più che Dio vuole per noi, ma anche a quel di più che ogni persona desidera, perché in se stessa ogni creatura è desiderio di infinito, desiderio di Dio.

In famiglia serve pazienza e mitezza
In famiglia il lavoro di entrambi i genitori e le molteplici attività scolastiche ed extrascolastiche dei ragazzi tolgono spesso spazio all’incontro tra i componenti. Quando i rapporti intrafamiliari vengono gestiti in modo rivendicativo, o come momento di scarico delle tensioni accumulate nella giornata e nella settimana, non vi è più la possibilità di pensare alla famiglia come chiesa domestica, luogo in cui riconosciamo e viviamo l’amore e la delicatezza di Dio Padre. Pazienza e mitezza, al contrario, offrono il vero volto di Dio rivelatosi in Gesù Cristo, paziente e mite Buon Pastore.
Teniamo sempre presente che nella vita la parola paziente e mite di una persona, che si fa compagno di viaggio pronto a portare anche i pesi dell’altro, ha valenza ben superiore degli interventi sporadici attuati come risposta alle emergenze.
La comprensione che la nostra vita è nelle mani di Dio e l’individuazione che l’obiettivo del nostro vivere è essere nella comunione con il Signore ci offre nuove possibilità di vita: ci rende più disposti alla condivisione dei beni materiali e spirituali; ci rende pazienti e miti con le persone della nostra famiglia e con quelle che incontriamo ogni giorno nel nostro vivere; ci permette di crescere nella vita cristiana modellata secondo fede, speranza e carità.

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