Domenica: Diventare il padre
Sin dall’inizio ero preparato ad accettare che non solo il figlio minore, ma anche il figlio maggiore, mi avrebbero rivelato un aspetto importante della mia vita. Per lungo tempo il padre è rimasto “l’altro”, colui che mi avrebbe ricevuto, perdonato, offerto la sua casa e dato pace e gioia. Il padre era il rifugio cui tornare, la meta del mio viaggio, il luogo del riposo finale. Solo gradualmente e spesso piuttosto dolorosamente sono arrivato a capire che il mio viaggio spirituale non sarebbe mai stato completo finché il padre fosse rimasto, per così dire, un estraneo.
Mi stupisco se penso a tutto il tempo che mi ci è voluto per porre il padre al centro della mia attenzione. E’ stato così facile invece identificarsi con i due figli. La loro ritrosia esteriore ed interiore è così comprensibile e così profondamente umana che l’identificazione avviene quasi spontaneamente. Ma perché prestare tanta attenzione ai figli quando è il padre ad essere al centro e quando è con il padre che mi devo identificare?
Forse l’affermazione più radicale che Gesù abbia mai fatto è questa: “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro”(Luca 6,36). La misericordia di Dio viene descritta da Gesù non solo per mostrarmi quanto il Padre sia pronto ad avere compassione di me o a perdonare i miei peccati e offrirmi una vita nuova e la felicità, ma per invitarmi a diventare come Lui e a mostrare la stessa compassione agli altri come Lui la mostra a me.
Osservando il padre, nel dipinto di Rembrandt, riesco ad individuare tre vie che portano ad una vera paternità di misericordia: il dolore, il perdono e la generosità.
Il dolore mi chiede di consentire che i peccati del mondo, i miei compresi, strazino il mio cuore e mi facciano versare lacrime, molte lacrime, per essi. Non c’è compassione senza lacrime. Il dolore mi consente di vedere al di là del mio muro e di capire l’immensa sofferenza che deriva dalla rovina dell’uomo. Apre il mio cuore ad una solidarietà autentica con tutte le persone del mondo intero.
Il perdono è la via per superare questo muro e accogliere gli altri nel mio cuore senza aspettarmi nulla in cambio. Mi chiede di superare quella parte ferita del mio cuore che si sente offesa e maltrattata e che vuole “mantenere il controllo” e porre un po’ di condizioni tra me e colui che mi si chiede di perdonare. Solo quando ricordo di essere il figlio prediletto, posso accogliere gratuitamente quelli che vogliono tornare a casa con la stessa misericordia con cui il Padre accogli me.
La generosità: Dio non offre soltanto di più di quanto ci si possa ragionevolmente aspettare da chi è stato offeso, ma si dà completamente, senza riserve. La parabola ci presenta un Dio la cui bontà, il cui amore e perdono, la cui sollecitudine, gioia e misericordia sono senza confini. Proprio come il Padre dà tutto se stesso ai propri figli, così devo dare tutto me stesso ai miei fratelli e sorelle.
(Queste riflessioni sono tolte dal libro di Henri J.M. Nouwen
L’abbraccio benedicente - Editrice Queriniana)
Sin dall’inizio ero preparato ad accettare che non solo il figlio minore, ma anche il figlio maggiore, mi avrebbero rivelato un aspetto importante della mia vita. Per lungo tempo il padre è rimasto “l’altro”, colui che mi avrebbe ricevuto, perdonato, offerto la sua casa e dato pace e gioia. Il padre era il rifugio cui tornare, la meta del mio viaggio, il luogo del riposo finale. Solo gradualmente e spesso piuttosto dolorosamente sono arrivato a capire che il mio viaggio spirituale non sarebbe mai stato completo finché il padre fosse rimasto, per così dire, un estraneo.
Mi stupisco se penso a tutto il tempo che mi ci è voluto per porre il padre al centro della mia attenzione. E’ stato così facile invece identificarsi con i due figli. La loro ritrosia esteriore ed interiore è così comprensibile e così profondamente umana che l’identificazione avviene quasi spontaneamente. Ma perché prestare tanta attenzione ai figli quando è il padre ad essere al centro e quando è con il padre che mi devo identificare?
Forse l’affermazione più radicale che Gesù abbia mai fatto è questa: “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro”(Luca 6,36). La misericordia di Dio viene descritta da Gesù non solo per mostrarmi quanto il Padre sia pronto ad avere compassione di me o a perdonare i miei peccati e offrirmi una vita nuova e la felicità, ma per invitarmi a diventare come Lui e a mostrare la stessa compassione agli altri come Lui la mostra a me.
Osservando il padre, nel dipinto di Rembrandt, riesco ad individuare tre vie che portano ad una vera paternità di misericordia: il dolore, il perdono e la generosità.
Il dolore mi chiede di consentire che i peccati del mondo, i miei compresi, strazino il mio cuore e mi facciano versare lacrime, molte lacrime, per essi. Non c’è compassione senza lacrime. Il dolore mi consente di vedere al di là del mio muro e di capire l’immensa sofferenza che deriva dalla rovina dell’uomo. Apre il mio cuore ad una solidarietà autentica con tutte le persone del mondo intero.
Il perdono è la via per superare questo muro e accogliere gli altri nel mio cuore senza aspettarmi nulla in cambio. Mi chiede di superare quella parte ferita del mio cuore che si sente offesa e maltrattata e che vuole “mantenere il controllo” e porre un po’ di condizioni tra me e colui che mi si chiede di perdonare. Solo quando ricordo di essere il figlio prediletto, posso accogliere gratuitamente quelli che vogliono tornare a casa con la stessa misericordia con cui il Padre accogli me.
La generosità: Dio non offre soltanto di più di quanto ci si possa ragionevolmente aspettare da chi è stato offeso, ma si dà completamente, senza riserve. La parabola ci presenta un Dio la cui bontà, il cui amore e perdono, la cui sollecitudine, gioia e misericordia sono senza confini. Proprio come il Padre dà tutto se stesso ai propri figli, così devo dare tutto me stesso ai miei fratelli e sorelle.
(Queste riflessioni sono tolte dal libro di Henri J.M. Nouwen
L’abbraccio benedicente - Editrice Queriniana)
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