Martedì: Il padre misericordioso
Osservando le fattezze con cui è ritratto il padre ho compreso all’improvviso, in modo tutto nuovo, il significato della tenerezza, della misericordia e del perdono. Raramente, se mai ciò sia avvenuto, l’immenso amore misericordioso di Dio è stato espresso in maniera così intensa. Ogni dettaglio della figura del padre – l’espressione del volto, il suo atteggiamento, i colori dell’abbigliamento e, soprattutto, la gestualità delle mani – parla dell’amore divino per l’umanità che è esistito dall’inizio e che sempre esisterà.
Ciò che dà al ritratto del padre una forza così irresistibile è il fatto che ciò che vi è di più divino venga espresso con ciò che vi è di più umano. Vedo un uomo anziano mezzo cieco, con baffi e barba bipartita, vestito con indumenti ricamati in oro e con un mantello rosso scuro, che posa le sue mani, grandi e calme, sulle spalle del figlio che ritorna. Tutto questo e ben definito, concreto e descrivibile.Però vedo anche una infinita misericordia, un amore senza riserve, un perdono eterno - realtà divine – che emanano da un Padre che è il creatore dell’universo. Qui, sia l’umano che il divino, il fragile ed il potente, il vecchio e l’eternamente giovane, sono pienamente espressi.
Particolarmente significativo è il fatto che Rembrandt scelga un uomo anziano quasi cieco per comunicare l’amore di Dio. Egli riconosce il proprio figlio non con gli occhi del corpo, ma con l’occhio interiore del cuore. Sembra che le mani che toccano le spalle del figlio siano gli strumenti dell’occhio interiore del padre. Il padre quasi cieco vede un intero orizzonte. La sua è una vista eterna che spazia su tutta l’umanità. E’ una vista che comprende lo smarrimento di donne e uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, che capisce con compassione immensa la sofferenza di coloro che hanno scelto di andarsene da casa. Quanto avrebbe voluto trattenerli con la sua autorità paterna e tenerli vicini a sé perché non si facessero del male.
Ma il suo amore è troppo grande per comportarsi così. Non può forzare, costringere, spingere o trattenere. Offre la libertà di rifiutare o ricambiare tale amore. Proprio l’immensità dell’amore divino costituisce la fonte della sofferenza divina. Dio, creatore del cielo e della terra, ha scelto di essere, prima di tutto e soprattutto, un Padre.
Come Padre, vuole che i suoi figli siano liberi, liberi di amare. Tale libertà include la possibilità che lascino la loro casa, se ne vadano in un paese lontano e perdano ogni cosa. Il cuore del Padre conosce tutto il dolore che questa scelta comporterà, ma il suo amore non gli consente di prevenirlo.
Come Padre l’unica autorità che rivendica per sé è l’autorità della compassione. Essa deriva dal consentire che i peccati dei figli feriscano il suo cuore.
(Queste riflessioni sono tolte dal libro di Henri J.M. Nouwen
L’abbraccio benedicente - Editrice Queriniana)
Osservando le fattezze con cui è ritratto il padre ho compreso all’improvviso, in modo tutto nuovo, il significato della tenerezza, della misericordia e del perdono. Raramente, se mai ciò sia avvenuto, l’immenso amore misericordioso di Dio è stato espresso in maniera così intensa. Ogni dettaglio della figura del padre – l’espressione del volto, il suo atteggiamento, i colori dell’abbigliamento e, soprattutto, la gestualità delle mani – parla dell’amore divino per l’umanità che è esistito dall’inizio e che sempre esisterà.
Ciò che dà al ritratto del padre una forza così irresistibile è il fatto che ciò che vi è di più divino venga espresso con ciò che vi è di più umano. Vedo un uomo anziano mezzo cieco, con baffi e barba bipartita, vestito con indumenti ricamati in oro e con un mantello rosso scuro, che posa le sue mani, grandi e calme, sulle spalle del figlio che ritorna. Tutto questo e ben definito, concreto e descrivibile.Però vedo anche una infinita misericordia, un amore senza riserve, un perdono eterno - realtà divine – che emanano da un Padre che è il creatore dell’universo. Qui, sia l’umano che il divino, il fragile ed il potente, il vecchio e l’eternamente giovane, sono pienamente espressi.
Particolarmente significativo è il fatto che Rembrandt scelga un uomo anziano quasi cieco per comunicare l’amore di Dio. Egli riconosce il proprio figlio non con gli occhi del corpo, ma con l’occhio interiore del cuore. Sembra che le mani che toccano le spalle del figlio siano gli strumenti dell’occhio interiore del padre. Il padre quasi cieco vede un intero orizzonte. La sua è una vista eterna che spazia su tutta l’umanità. E’ una vista che comprende lo smarrimento di donne e uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, che capisce con compassione immensa la sofferenza di coloro che hanno scelto di andarsene da casa. Quanto avrebbe voluto trattenerli con la sua autorità paterna e tenerli vicini a sé perché non si facessero del male.
Ma il suo amore è troppo grande per comportarsi così. Non può forzare, costringere, spingere o trattenere. Offre la libertà di rifiutare o ricambiare tale amore. Proprio l’immensità dell’amore divino costituisce la fonte della sofferenza divina. Dio, creatore del cielo e della terra, ha scelto di essere, prima di tutto e soprattutto, un Padre.
Come Padre, vuole che i suoi figli siano liberi, liberi di amare. Tale libertà include la possibilità che lascino la loro casa, se ne vadano in un paese lontano e perdano ogni cosa. Il cuore del Padre conosce tutto il dolore che questa scelta comporterà, ma il suo amore non gli consente di prevenirlo.
Come Padre l’unica autorità che rivendica per sé è l’autorità della compassione. Essa deriva dal consentire che i peccati dei figli feriscano il suo cuore.
(Queste riflessioni sono tolte dal libro di Henri J.M. Nouwen
L’abbraccio benedicente - Editrice Queriniana)
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