Venerdì: Il figlio maggiore
Ora passiamo al lato destro del quadro dove ci sono i volti di coloro che circondano il “ritorno”. Sono enigmatici, a dir poco, specialmente quello dell’uomo alto che sta alla destra del dipinto. Sì, in esso c’è bellezza, gloria, salvezza …ma ci sono anche gli occhi critici di coloro che guardano senza sentirsi coinvolti.
Non ho mai dubitato, nemmeno per un momento, che l’uomo in piedi alla destra della pedana su cui il padre abbraccia il figlio che ha fatto ritorno, fosse il figlio maggiore. E’ l’osservatore principale che guarda la scena ma se ne sta rigidamente sulle sue. Guarda il padre, ma non con gioia. Non si protende in avanti né sorride o esprime il suo benvenuto. Sta semplicemente lì, a lato della pedana, evidentemente non desideroso di farsi coinvolgere.
E’ vero che il “ritorno” è l’evento dominante del dipinto; non è comunque situato al centro fisico della tela. Ha luogo sul lato sinistro del quadro, mentre il fratello maggiore, alto ed impassibile, domina il lato destro. C’è un ampio spazio che separa il padre da questo figlio, uno spazio dove si crea una tensione che esige una soluzione.
Il modo in cui il figlio maggiore è stato dipinto da Rembrandt lo mostra molto simile al padre. Entrambi hanno la barba ed indossano ampi mantelli rossi sulle spalle. Questi elementi esterni suggeriscono come figlio e padre abbiano molto in comune e questa comunanza è sottolineata dalla luce sul figlio maggiore che in modo molto diretto collega il suo al volto luminoso del padre.
Ma che differenza penosa tra i due! Il padre si piega sul figlio che è tornato. Il figlio maggiore sta in piedi irrigidito, posizione accentuata dal lungo bastone che dalla mano arriva sino a terra. Il mantello del padre è ampio e accogliente; quello del figlio cade giù rigido e uniforme lungo il corpo. Le mani del padre sono stese e toccano colui che ritorna in un gesto di benedizione; quelle del figlio maggiore sono strette insieme e tenute vicino al petto. C’è luce su entrambi i volti, ma la luce che emana dal volto del padre fluisce per tutto il corpo – specialmente le mani – e riverbera sul figlio più giovane un grande alone di calore luminoso; mentre la luce del volto del figlio maggiore è fredda e circoscritta. La sua figura rimane nell’oscutità e le sue mani congiunte restano nell’ombra.
Nella storia ci si può immaginare che il figlio maggiore sia fuori al buio e non voglia entrare nella casa illuminata, piena di allegri rumori. Ma Rembrandt non dipinge né la casa né i campi. Ritrae tutto con la luce e l’oscurità. L’abbraccio del padre, peino di luce, è la casa di Dio. Tutta la musica e le danze sono lì. Il figlio maggiore rimane al di fuori del cerchio di questo amore, rifiutandosi di entrarvi. La luce sul suo volto fa capire che anche lui è chiamato alla luce, ma non può essere forzato.
(Queste riflessioni sono tolte dal libro di Henri J.M. Nouwen
L’abbraccio benedicente - Editrice Queriniana)
Ora passiamo al lato destro del quadro dove ci sono i volti di coloro che circondano il “ritorno”. Sono enigmatici, a dir poco, specialmente quello dell’uomo alto che sta alla destra del dipinto. Sì, in esso c’è bellezza, gloria, salvezza …ma ci sono anche gli occhi critici di coloro che guardano senza sentirsi coinvolti.
Non ho mai dubitato, nemmeno per un momento, che l’uomo in piedi alla destra della pedana su cui il padre abbraccia il figlio che ha fatto ritorno, fosse il figlio maggiore. E’ l’osservatore principale che guarda la scena ma se ne sta rigidamente sulle sue. Guarda il padre, ma non con gioia. Non si protende in avanti né sorride o esprime il suo benvenuto. Sta semplicemente lì, a lato della pedana, evidentemente non desideroso di farsi coinvolgere.
E’ vero che il “ritorno” è l’evento dominante del dipinto; non è comunque situato al centro fisico della tela. Ha luogo sul lato sinistro del quadro, mentre il fratello maggiore, alto ed impassibile, domina il lato destro. C’è un ampio spazio che separa il padre da questo figlio, uno spazio dove si crea una tensione che esige una soluzione.
Il modo in cui il figlio maggiore è stato dipinto da Rembrandt lo mostra molto simile al padre. Entrambi hanno la barba ed indossano ampi mantelli rossi sulle spalle. Questi elementi esterni suggeriscono come figlio e padre abbiano molto in comune e questa comunanza è sottolineata dalla luce sul figlio maggiore che in modo molto diretto collega il suo al volto luminoso del padre.
Ma che differenza penosa tra i due! Il padre si piega sul figlio che è tornato. Il figlio maggiore sta in piedi irrigidito, posizione accentuata dal lungo bastone che dalla mano arriva sino a terra. Il mantello del padre è ampio e accogliente; quello del figlio cade giù rigido e uniforme lungo il corpo. Le mani del padre sono stese e toccano colui che ritorna in un gesto di benedizione; quelle del figlio maggiore sono strette insieme e tenute vicino al petto. C’è luce su entrambi i volti, ma la luce che emana dal volto del padre fluisce per tutto il corpo – specialmente le mani – e riverbera sul figlio più giovane un grande alone di calore luminoso; mentre la luce del volto del figlio maggiore è fredda e circoscritta. La sua figura rimane nell’oscutità e le sue mani congiunte restano nell’ombra.
Nella storia ci si può immaginare che il figlio maggiore sia fuori al buio e non voglia entrare nella casa illuminata, piena di allegri rumori. Ma Rembrandt non dipinge né la casa né i campi. Ritrae tutto con la luce e l’oscurità. L’abbraccio del padre, peino di luce, è la casa di Dio. Tutta la musica e le danze sono lì. Il figlio maggiore rimane al di fuori del cerchio di questo amore, rifiutandosi di entrarvi. La luce sul suo volto fa capire che anche lui è chiamato alla luce, ma non può essere forzato.
(Queste riflessioni sono tolte dal libro di Henri J.M. Nouwen
L’abbraccio benedicente - Editrice Queriniana)
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