venerdì 5 ottobre 2012

433 - LA FEDE E LO SCANDALO

Per una pausa spirituale durante la XXVIª Settimana del Tempo ordinario

Scandalo è un sasso piantato in mezzo al sentiero; mentre te ne vai tranquillo per la strada e ti metti a correre, ci inciampi e il sasso ti fa perdere l’equilibrio, cadi rovinosamente a terra; lo scandalo ti ha colpito. L’immagine è chiarissima; ora l’applicazione. «Dimentico del passato – scriveva san Paolo ai Filippesi – e proteso verso il futuro, corro verso la meta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù» (Fil 3,13-14). Dunque, la vita di fede è una corsa diretta verso il futuro, verso Cristo; ma una corsa che si sviluppa qui, nel mondo. E il mondo non è un sentiero liscio, diritto; ci sono ostacoli, deviazioni, erte, forre, buche, luoghi scivolosi… ci sono scandali che possono interrompere la corsa; possono addirittura spingere ad abbandonarla, a far pensare che non vale la pena; che quel sentiero non può condurre al traguardo; che è meglio cercare strade più comode e meno pericolose.

Non c’è bisogno di spendere molte parole per dimostrare che è così. Lo scandalo della pedofilia brucia dentro di noi e brucerà per chissà quanto tempo: una pioggia di residui velenosi ha ricoperto la Chiesa, l’insieme dei preti, il Vangelo stesso che annunciamo. Ultimo di una serie di ‘scandali’ ai quali la pubblicistica fa riferimento volentieri e che sono entrati nell’immaginario dell’uomo d’oggi come impedimenti a credere che nella Chiesa ci sia l’impronta di Dio, uno Spirito divino: l’Inquisizione e Galileo, l’Indice e le scomuniche, le crociate e le guerre di religione, le incoerenze dei ministri della Chiesa e le meschinità dei credenti bigotti… Sono tanti gli inciampi che stanno sul cammino del credente e che rendono faticoso il cammino. Che fare?

Il Vangelo chiede due cose: non scandalizzare, non lasciarci scandalizzare. Anzitutto non diventare per gli altri motivo di inciampo; e cioè, non falsificare con la vita quello che annunciamo con le parole; «dicono e non fanno» è il rimprovero che Gesù ha diretto agli scribi, ma che naturalmente colpisce proprio noi. Se annunciamo un vangelo di salvezza, la nostra vita deve essere e apparire una vita ‘salvata’; se invece continua a essere connivente col male, se è quindi lontana dalla salvezza, le nostre parole non sono credibili. Scoppiano a volte scandali gravi, che gelano il cuore – appunto come nel caso della pedofilia; ma ci sono scandali striscianti, che non finiscono sui giornali, ma che avvelenano il tessuto delle comunità cristiane. Qui possiamo solo confessare con vergogna il peccato e affidarci alla misericordia di Dio: «Abbiamo peccato, abbiamo agito da iniqui, abbiamo mancato in ogni modo». Naturalmente, la confessione è sanante solo se la vergogna è autentica; solo se suscita lacrime amare e desideri autentici di conversione dentro al cuore.

Ma il Vangelo chiede anche un’altra cosa: non lasciarsi scandalizzare. Usa, anzi, delle immagini fortissime: «se la tua mano ti è occasione di scandalo, tàgliala, se il tuo piede… tàglialo… se il tuo occhio… càvalo!». È come dire: sii disposto a rinunciare a tutto, anche a ciò che più ti preme, per difendere la tua fede, per portare a compimento il tuo percorso di vita. Ma perché parla così? Non sono certo la mano o il piede o l’occhio che possono diventare inciampo alla fede; che senso può avere sacrificare una parte di se stessi?

Una prima risposta si trova nell’esortazione che Gesù rivolge ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce…». Accade, nella vita cristiana, che la sequela di Gesù esiga rinunce anche gravi; in questo caso bisogna essere decisi nella scelta, senza esitare: «Usciamo dunque verso di lui fuori dell’accampamento, portando il suo disonore» (Eb 13,13). Proprio così: Gesù è morto come un malfattore; dobbiamo essere disposti ad apparire come malfattori – se, naturalmente, questo giudizio su di noi è errato: «Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida o ladro o malfattore o delatore. Ma se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca [cioè non si lasci impaurire dal giudizio degli altri, non si lasci scandalizzare così da abbandonare la sua fede]; per questo nome, anzi, dia gloria a Dio» (1 Pt 4,15-16)

La seconda risposta è più sottile: lo scandalo che l’incoerenza degli altri ci procura può diventare anche una scusa, una giustificazione per abbandonare la fede quando il prezzo della fede è troppo alto. Per evitare questo scandalo, l’unico rimedio è imparare a valutare la fede tanto che nessun guadagno riesca a uguagliarla, che nessuna perdita la faccia apparire troppo costosa.

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