lunedì 8 ottobre 2012

441 - LA FEDELTÀ CONIUGALE: UN OBBLIGO O UN VALORE?(seconda parte)

Una settimana di riflessione sul Matrimonio

Settimo giorno

LA INDISSOLUBILITÀ È RIEMPITA DALLA FELICITÀ -

Quale indissolubilità dunque andiamo cercando? Quella riempita dalla fedeltà e non dalla “occupazione di territorio”, come si diceva. La fedeltà, lungi dall’essere un peso irrevocabile, è ciò che riempie il legame che non può essere sciolto: fedeltà che non è anzitutto esigere dall’altro, ma un offrire se stessi senza condizioni. E percepiamo immediatamente che qui c’entra Dio, poiché tale fedeltà è un munus, cioè un dono e un compito; come ogni dono che viene dall’alto non può essere meritato, bensì inteso come una chiamata. Dio infatti ha unito ciò che l’uomo non può dividere, non nel senso banale che Dio ha allegato due scegliendoli l’uno per l’altra come se fossero le sue marionette, ma nel senso infinitamente più profondo di congiungere autoritativamente ciò che la libertà dei due ha voluto: Dio si rivela qui garante dell’amore dei due, disposto – come ci insegna la Scrittura – a pagare per loro, a metterli con infinito rispetto sulla via della Sua fedeltà.

Abbiamo fatto un primo guadagno: la fedeltà che viene dall’alto è ciò che riempie la indissolubilità. E siamo davvero grati e stupefatti: i due che si sono liberamente scelti sono chiamati a incarnare almeno un briciolo di quella indefettibile fedeltà di Dio che li regge e regge il mondo.

L’INDISSOLUBILITÀ È ISCRITTA NEL CUORE DI CARNE -

La pagina di oggi si apre anche a un secondo guadagno: tale fedeltà è l’opposto della sklerokardía, della durezza di cuore: l’una non può stare dove abita l’altra. Detto in termini positivi: se il cuore non è ‘tenero’ (in termini biblici: cuore di carne) non può essere fedele. Anzitutto perché ad essere fedeli quando tutto va bene, sono capaci tutti, ma perché proprio la durezza di cuore rende impossibile la «carne sola» pensata all’origine. E durezza di cuore nel matrimonio è avanzare la domanda autoreferenziale in cui ci immerge la nostra cultura: «e io?», «e che cosa ci guadagno?», «se l’altro/a non mi riempie, se non mi realizza, non risponde ai miei bisogni, perché la sera deve mettere la chiave proprio nella serratura di casa nostra?». Posso scegliere un’altra serratura, ma posso anche entrare negando il saluto vero (quello formale non lo si nega a nessuno), posso fiondarmi al PC o riempire lo spazio dei suoni inutili della tv, posso autorizzarmi a sfogare le mie frustrazioni, i miei nervosismi su chi abita la casa. Eccola la sklērokardía, è quella che mina la fedeltà e quindi l’indissolubilità, sicché ciò che «divide ciò che Dio ha congiunto» può non essere tanto una legge esterna più o meno divorzista, ma lo stesso coniuge – lui o lei – che ha dimenticato il sapore inebriante della fedeltà.

L’INDISSOLUBILITÀ È SVELAMENTO DELLE QUALITÀ DELL’ALTRO -

Ed eccoci al terzo guadagno: la fedeltà di cui parliamo è il dedicare il cuore all’altro, ma non nel senso romantico che, in ultima analisi, è semplicistico, ma nel senso biblico, cuore come volontà di amare e intelligenza di riconoscimento dell’altro, che si esprime nel desiderare di svelare e realizzare tutte le potenzialità dell’altro/a. E tutto questo nella buona e nella cattiva sorte, come sappiamo: quando l’altro è funzionale al mio bisogno e quando non lo è. La fedeltà è una sorta di sentinella che aspetta la luce dell’alba, anche quando sa che è ancora notte.

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